MEDICI P.S. SENTENZA CONSIGLIO DI STATO
REPUBBLICA ITALIANA N.3505/01 REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 6365 REG.RIC
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 1995
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso in appello sub n. 6365/1995, proposto dal Ministero dell’Interno e
dal Compartimento della Polizia Stradale della Toscana, rappresentati e difesi
dall’Avv.tura Generale dello Stato e presso gli uffici della medesima
elettivamente domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
contro
L’Unità Sanitaria Locale N. 10/G (ora n. 10), in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Tosi e Bartolo
Spallina e presso il secondo domiciliata in Roma, Piazza Sallustio n. 9;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, Sez. III,
n. 331 del 5 agosto 1994;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;
Vista la memoria prodotta dalla parte appellata a sostegno delle proprie
difese;
Vista l’ordinanza n. 1704/1995 con la quale è stata respinta la domanda
incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 27 febbraio 2001 il consigliere Vincenzo A.
Borea, udito l’avv. Spallina per l’appellata, nessun comparso per
l’appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso al TAR della Toscana il Ministero dell’Interno e il Compartimento
della Polizia Stradale della Toscana impugnavano un atto stilato da operatori
della U.S.L. n. 10/G con il quale, a seguito di un sopralluogo effettuato
presso la stazione della Polstrada di Firenze Nord, nell’esercizio delle
funzioni di cui all’art. 10 D.P.R. 19 marzo 1955 n. 520, erano state imposte
una serie di prescrizioni finalizzate a prevenire infortuni e garantire
l’igiene delle condizioni di lavoro.
I ricorrenti sostenevano in primo luogo l’incompetenza, in via generale, della
U.S.L. ad esercitare poteri di cui sopra nei confronti della Polizia di Stato,
e, in subordine, denunciavano comunque i vizi di eccesso di potere e di
violazione di legge.
I primi giudici respingevano il ricorso.
Avverso la relativa sentenza viene ora proposto l’appello in esame,
deducendosi l’erroneità delle considerazioni poste a base delle argomentazioni
di rigetto e insistendosi per l’accoglimento del ricorso.
DIRITTO
La questione di fondo che il Collegio è chiamato a decidere nella controversia
in esame consiste nello stabilire se, in base alla normativa vigente, le
U.S.L. siano o meno competenti ad esercitare, anche nei confronti delle
stazioni o uffici della Polizia di Stato, le funzioni ad esse in via generale
affidate in materia di prevenzione infortuni ed igiene degli ambienti di
lavoro.
Nessun dubbio in primo luogo può sorgere, né in effetti sorge, sulla
competenza istituzionale delle U.S.L. nella materia de qua, posto che l’art.
14 L. 23 dicembre 1978 n. 833, completando del resto analogo disegno già
previsto dall’art. 27 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, concernente il
trasferimento alle regioni di funzioni amministrative dello stato, ha
attribuito alle U.S.L., tra l’altro (comma 3 lett. f)), i compiti relativi
“all’igiene e medicina del lavoro, nonché alla prevenzione degli infortuni sul
lavoro e delle malattie professionali”.
Occorre però precisare che la medesima disposizione, a conclusione di una
elencazione di materie specifiche individuate nella loro compiutezza come
unitarie, tra le quali quella che qui interessa, nella finale lett q),
specifica che sono di competenza delle U.S.L. anche “gli accertamenti, le
certificazioni e ogni altra prestazione medico legale spettanti al Servizio
Sanitario nazionale, con esclusione di quelle [prestazioni] relative ai
servizi di cui alla lett. z) dell’art. 6”, e, cioè, con esclusione de “i
servizi sanitari istituiti per le Forze Armate ed i Corpi di Polizia, per il
Corpo degli agenti di custodia e per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco
nonché i servizi dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato relativi
all’accertamento tecnico-sanitario delle condizioni del personale dipendente”:
servizi che, come precisa il suddetto art. 6, rimangono di competenza dello
Stato.
Questo essendo il quadro normativo di riferimento, ritiene il Collegio che
l’appello sia infondato.
Considerazioni d’ordine letterale e sistematico inducono infatti ad escludere,
contrariamente a quanto si vorrebbe, che la riserva allo stato di cui all’art.
6 L. n. 833/78 cit. ricomprenda anche le competenze di cui qui si discute: la
lett. f) dell’art. 14 stessa legge , come si è detto, configura la prevenzione
infortuni e l’igiene negli ambienti di lavoro come una materia in sé compiuta,
al pari delle altre fattispecie elencate (si ricordano, ad es., l’educazione
sanitaria, lett. a), la prevenzione delle malattie fisiche e psichiche, lett.
c), l’igiene e medicina scolastica, lett. e), l’assistenza ospedaliera lett.
l), ecc. ecc.), mentre la disposizione di cui alla successiva lett. q) ha
carattere aggiuntivo e residuale, del tutto distinta dalla “materia” di cui
alla lett. f), con la conseguenza che la specificazione in essa contenuta
secondo la quale dagli accertamenti, certificazioni e prestazioni
medico-legali ivi in via generale rimessi alle U.S.L. vanno esclusi quelli
attinenti ai servizi di cui all’art. 6 lett. z) non può riguardare la materia,
in questione, che qui interessa, attinente dell’igiene del lavoro e della
prevenzione infortuni sui luoghi di lavoro: a tale conclusione si perviene sul
piano di un ‘intepretazione letterale in modo inequivocabile, ed essa trova
conferma sul piano sistematico, posta l’evidente differenziazione esistente,
ictu oculi, tra le varie attività miranti alla prevenzione o cura delle
malattie delle persone, da un lato, attività che costituiscono altrettante
materie o sub-materie come tali assegnate alle U.S.L. (a quelle già viste in
precedenza potendosi aggiungere l’assistenza medico-generica, lett. h), e
l’assistenza medico- specialistica, lett. i)), e dall’altro, le attività
miranti a garantire la salubrità e la prevenzione da infortuni nei luoghi di
lavoro. E ciò è tanto vero che prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n.
616/77 e della L. n. 833/78 citt. le attività che qui interessano non erano
svolte da strutture sanitarie, bensì dagli ispettorati del lavoro, ai sensi
delle disposizioni contenute nell’art. 401 nel D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547
(norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro), e nell’art. 63 del
D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 (norme generali per l’igiene del lavoro). Ed è
sintomatico che tanto l’art. 2 del predetto D.P.R. n. 547/55 cit. quanto
l’art. 2 del D.P.R. n. 303/56, nell’elencare le attività escluse dalla
normativa ivi dettata, non ricomprendano, tra le altre, quelle che qui
interessano.
E poiché ai suddetti ispettorati del lavoro, come risulta evidente,
nell’esercizio del suddetto potere di vigilanza e di controllo, si richiedono
competenze tecniche che si aggiungono a quelle proprie del medico, riguardando
piuttosto quelle degli ingegneri (sicurezza impianti) e dei chimici (igiene
ambientale), risulta per altro verso confermato che le relative funzioni, ora
trasferite alle U.S.L., non possono essere ricomprese tra quelle espressamente
mantenute allo Stato dall’art. 6 lett. z) L. n. 833/78 cit., che riguardano “
i servizi sanitari….dei Corpi di Polizia…”, espressione con la quale
evidentemente si fa riferimento esclusivo ai servizi di assistenza medica del
personale interessato.
La conclusione alla quale si è pervenuti trova poi piena conferma nel D.P.R.
24 aprile 1982 n. 338 (emanato a seguito della smilitarizzazione delle Forze
di Polizia disposta con la L. 1° aprile 1981 n. 121), il cui art. 1 istituisce
nuovi ruoli professionali dei sanitari della Polizia di Stato, riservandoli a
personale in possesso della qualifica professionale di medico, e il cui art.
3, nell’elencare le relative funzioni, prevede competenze professionali o
accertative tipiche della professione di medico, senza alcun cenno alla
vigilanza e controllo sulla sicurezza e igiene degli ambienti di lavoro.
Infine, a conferma della correttezza delle conclusioni alle quali si è
pervenuti sulla base di una interpretazione rigorosa della normativa da
applicare, nel senso che, data la competenza generale nella materia de qua
attribuita dal legislatore del ’78 alle U.S.L., le eccezioni a detta
competenza non possono essere se non quelle inequivocabilmente previste come
tali, appare utile richiamare quanto affermato in un parere della Sez I del
Consiglio di Stato (9 dicembre 1992 n. 3030) avente ad oggetto la disposizione
contenuta nell’art. 13 L. 7 agosto 1990 n. 232, nella parte in cui si affidano
le incombenze sanitarie relative alla tutela delle lavoratrici madri
dipendenti della Polizia di Stato ai servizi sanitari dell’Amministrazione
della Pubblica Sicurezza. Sul punto la Sezione ha affermato infatti che tale
disposizione deve essere interpretata restrittivamente, nel senso che essa si
riferisce esclusivamente alle incombenze sanitarie di regola svolte dalle
U.S.L. e non anche ai provvedimenti amministrativi già attribuiti alla
competenza dell’Ispettorato del Lavoro, in quanto organo non soppresso
dall’art. 6 lett. z) L. n. 833/78: il che dimostra, a quanto si afferma, che
il legislatore, eccezion fatta per le prestazioni strettamente di natura
sanitaria, ha inteso salvaguardare l’esistenza e l’operatività di tali organi
periferici del Ministero del Lavoro in quanto specializzati in subiecta
materia. E poiché nel caso che ne occupa la riserva allo stato riguarda
soltanto i servizi sanitari della Polizia di Stato, ne deriva, in via
analogica, secondo il ragionamento seguito dalla pronuncia richiamata, il
mantenimento alle U.S.L., in quanto ex lege subentrate agli ispettorati del
lavoro, dell’esercizio delle funzioni che qui interessano, stante la
sostanziale equivalenza della espressione “incombenze sanitarie” di cui
all’art. 13 L. n. 232/90 a quella usata dal legislatore del ’78 (“servizi
sanitari”): a nulla rilevando, quindi, contrariamente a quanto si assume, la
formale differenza di oggetto esistente fra le due norme poste a confronto.
Alle conclusioni alle quali si è pervenuti, conformi a quelle dei primi
giudici, non possono essere opposte le argomentazioni, pur appassionate,
svolte nell’atto di appello.
Non ha pregio in primo luogo osservare che dall’art. 6 lett. m) L. n. 833/78
cit. risulterebbe la permanenza in capo allo stato delle competenze in materia
di igiene e sicurezza del lavoro, dato che la disposizione invocata (“..disciplina
generale del lavoro e della produzione ai fini della prevenzione degli
infortuni sul lavoro e delle malattie professionali”) riguarda evidentemente
soltanto l’emanazione di atti normativi, generali e di governo sulla materia,
senza incidere sulle attività operative conseguenti, le quali come visto, sono
rimesse alle U.S.L. dal successivo art. 14.
Non vale neppure opporre che l’art 3 D.P.R. n. 338/82 cit., prima di elencare
le competenze dei sanitari della Polizia di Stato, richiama la riserva
contenuta nell’art. 6 lett. z) della L. n. 833/78, da ciò volendosi desumere
che il richiamo suddetto non avrebbe alcun senso se l’elencazione di cui
all’art. 3 in questione fosse da intendersi in sé compiuta: si è visto il
significato da attribuirsi alla predetta disposizione, nel senso che la
riserva allo Stato riguarda solo i servizi sanitari in senso stretto, in
connessione con il rinvio ad essa operato dall’art. 14 lett. q), con la
conseguenza che il richiamo ora invocato contenuto nell’art. 3 D.P.R. n.
338/82 vale soltanto a specificare che l’elencazione ivi contenuta non è
esaustiva, certamente, ma soltanto nel senso che sono fatte salve le altre
competenze comunque spettanti ai medici dei Corpi di Polizia ricomprese nella
formulazione “servizi sanitari” di cui all’art. 6 lett. z) L. n. 833/78.
Ancora, si sottolinea che non avrebbe rilievo, ai fini di sottrarre ai servizi
sanitari della Polizia di Stato le competenze in questione, il fatto che il
servizio sanitario di cui all’art. 3 D.P.R. n. 338/82 cit. sia composto
soltanto da medici, dato che presso ciascun ente o ufficio è presente una
Commissione Ambiente e Salubrità, composta da un medico e da quattro
rappresentanti del personale, con compiti di vigilanza sulla igiene e
salubrità degli ambienti di lavoro: a prescindere dal fatto che tali
commissioni sono previste in sede regolamentare, in applicazione del primo
contratto di lavoro dei dipendenti della Polizia di Stato (D.P.R. 27 marzo
1984 n. 69), e non possono certamente come tali derogare a norme di legge, non
si vede come tali commissioni consultive, per la loro stessa composizione,
possano validamente sostituirsi alle competenze proprie degli ispettori del
lavoro (ora delle U.S.L.) istituzionalmente previste per la vigilanza sul
rispetto delle norme antinfortunistiche e sull’igiene del lavoro, valendo
semmai soltanto come un primo esercizio di vigilanza, non certamente
definitivo, in quanto del tutto informale ed interno, sul rispetto delle norme
in questione, salvi i poteri autoritativi e sanzionatori degli ispettori del
lavoro (che costituiscono un organo terzo e imparziale), a ciò preposti, i
quali, si ricordi, nell’esercizio delle loro funzioni sono ufficiali di
polizia giudiziaria (cfr. l’art. 8 D.P.R. 19 marzo 1955 n. 520, recante norme
sulla riorganizzazione del Ministero del Lavoro, e, ora, l’art. 21 L. n.
833/78).
Ancora, non appaiono convincenti le argomentazioni secondo le quali la riserva
allo stato delle competenze in questione sarebbe necessitata dalla
riservatezza e segretezza che istituzionalmente caratterizza non solo
l’attività delle forze di polizia, ma anche, consequenzialmente, i locali e
gli ambienti ove detta attività si svolge. E’ vero certamente che i corpi di
polizia sono preposti allo svolgimento di indagini spesso assai delicate (si
pensi a “Tangentopoli” e alla lotta contro la Mafia), e che gli addetti sono
ufficiali di polizia giudiziaria; ma non è men vero che anche gli ispettori
preposti alla vigilanza antinfortunistica e sull’igiene degli ambienti di
lavoro sono ufficiali di polizia giudiziaria, come si è detto, e, nell’ambito
delle competenze loro demandate hanno pari dignità e poteri rispetto ai
colleghi della Polizia di Stato: con l’aggiunta, per quel che più interessa,
che sono tenuti a mantenere il segreto sulle notizie e sui dati di cui vengono
a conoscenza nell’espletamento delle loro funzioni, salvo il caso di espresso
consenso dei datori di lavoro (art. 4 L. 22 luglio 1961 n. 628). Né vale
obiettare che l’art. 24, commi due e quattro, L. 7 agosto 1990 n 241 esclude
il cosiddetto “diritto d’accesso” in relazione all’esigenza di salvaguardare,
tra l’altro, l’ordine pubblico e la prevenzione e la repressione della
criminalità, essendo evidente che il relativo divieto limita la sua efficacia
ai privati cittadini, e non opera certamente nei confronti di pubblici
ufficiali istituzionalmente incaricati di verifiche e controlli sulla
prevenzione degli infortuni e sull’igiene degli ambienti di lavoro. Da ultimo,
basta un cenno per dimostrare l’inconferenza ed irrilevanza dell’osservazione
secondo la quale non sarebbe concepibile che a persone non addette ai problemi
di organizzazione del servizio di polizia sia consentito impartire
disposizioni, ad es., sulle modalità di tenuta delle armi o sulla sistemazione
delle finestre dei locali ove alloggia il personale: a prescindere dal fatto
che gli ispettori siano o meno, come si adombra, provvisti di specifica
cultura militare, è certo che questi, lo si ribadisce ancora una volta, in
quanto istituzionalmente preposti a prevenire i rischi di incidenti che
possono occorrere al personale, e forniti evidentemente della necessaria
professionalità, che non implica di per sé il possesso di una specifica
cultura militare, sono naturalmente investiti del potere di dettare le
prescrizioni ritenute opportune al riguardo.
Più delicate questioni, infine, solleva la problematica sollevata in appello
relativa da un lato dalla affermata sostanziale equiparazione, ai fini che qui
interessano, tra Polizia di Stato e Forze Armate, e dall’altro, di
conseguenza, alla asserita contraddittorietà della sentenza appellata nella
parte in cui, viceversa, questa ammette che, per quanto riguarda le strutture
appartenenti al Ministero della difesa, le U.S.L. sarebbero incompetenti nella
materia de qua, come già affermato dalla giurisprudenza (cfr. parere C.d.S. n.
1426/87 e dec. 9 ottobre 1992 n. 486 della I Sez. TAR Toscana, peraltro, nelle
more del giudizio, confermata in appello dalla V Sez., dec. n. 1175 del 27
settembre 1999). Avuto riguardo al fatto, da ritenersi determinante, che, come
si è in precedenza ricordato, le forze di polizia sono state smilitarizzate
con la ricordata L. 1° aprile 1981 n. 121 (l’art. 3 dice che l’Amministrazione
della P.S. è civile ed ha un ordinamento speciale), giustamente in primo luogo
hanno osservato sul punto i primi giudici che il più volte ricordato art. 6 L.
n. 833/78, questa volta alla lett. v), riserva espressamente allo Stato le
funzioni amministrative concernenti l’organizzazione sanitaria militare, e
tanto basterebbe a non ritenere illogica la distinzione tenuta ferma dai primi
giudici, tra forze militari, da un lato, con riguardo alle quali si sono
ritenuti sottratti al potere ispettivo delle U.S.L. gli impianti e le
strutture in genere di pertinenza militare (dec. n. 486/92 cit.), e Polizia di
Stato, dall’altro, sia perché ora smilitarizzata, e sia perché la prescrizione
di cui alla citata lett. v) art. 6 L. n. 833/78, con ogni evidenza, non la
riguarda.
Né alla voluta ex lege smilitarizzazione delle Forze di Polizia, e quindi alla
conseguente netta distinzione rispetto all’organizzazione delle Forze Armate,
può opporsi il fatto che, per taluni aspetti, siano mantenuti in vita
determinati collegamenti con le strutture dell’Amministrazione della Difesa,
quali l’uso delle attrezzature militari, la possibilità di far ricorso ad un
veterinario militare per la cura degli animali dei “reparti a cavallo”, e le
eventuali convenzioni esistenti con le Forze Armate (art. 29 L. n. 121/81 cit.):
a prescindere dal fatto che la norma richiamata prevede la possibilità per il
Ministro dell’interno di disporre diversamente, il che dimostra la voluta
autonomia della Polizia di Stato, ora amministrazione civile, rispetto a
quella della Difesa, va segnalato che in numerose disposizioni la predetta
legge n. 121/81 mostra, in piena coerenza con la voluta smilitarizzazione, di
voler distinguere nettamente l’organizzazione della Polizia di Stato da quella
militare, sia, in generale, dando alla nuova struttura un ordinamento suo
proprio, e sia in particolare, come dimostrano, ad esempio, il passaggio
all’autorità giudiziaria ordinaria della competenza a giudicare sui
procedimenti penali a carico dei dipendenti, in precedenza affidati alla
giustizia militare (art. 104), e il divieto di avvalersi dei cappellani
militari per assicurare l’assistenza religiosa (art. 69).
Con la precisazione, pur se le argomentazioni sopra svolte appaiano
sufficienti a considerare insussistente la contraddittorietà dedotta a carico
della sentenza appellata, che appare al Collegio quanto meno dubbia la
soluzione fornita dalla giurisprudenza sopra richiamata che ha ritenuto
sottratte alla competenza delle U.S.L. le ispezioni de quibus nei confronti
delle strutture dell’Amministrazione della Difesa.
L’espressione “organizzazione sanitaria militare” contenuta nell’art. 6 lett.
v) L. n. 833, mentre da un lato ricomprende certamente i servizi sanitari
svolti dalle strutture ospedaliere militari, e cioè attività esclusivamente
miranti alla prevenzione e cura della salute delle persone, da un altro lato,
al pari della espressione “servizi sanitari” utilizzata nella successiva lett.
z), della quale si è detto, e non a caso riferita non solo ai Corpi di
polizia, ma anche alle Forze Armate, non sembra in sé idonea, per ragioni non
dissimili da quelle già esposte, per la sua stessa formulazione letterale, a
ricomprendere in sé la distinta “materia” della prevenzione infortuni e
dell’igiene negli ambienti di lavoro.
Non sembra al Collegio un caso che sia l’art. 2 del D.P.R. n. 547/55
(prevenzione infortuni sui luoghi di lavoro) che l’art. 2 del D.P.R. n. 303/56
(norme generali per l’igiene del lavoro) non prevedano fra le attività escluse
dalle disposizioni in dette normative previste quelle proprie
dell’Amministrazione della Difesa in generale, mentre per contro appare
sintomatico che tale esclusione sia invece espressamente prevista soltanto per
gli stabilimenti ed arsenali militari (che l’art. 1 D.P.R. 18 novembre 1965 n.
1481 definisce quali “organi di produzione e lavoro a carattere industriale
del Ministero della difesa, per il supporto tecnico e logistico delle Forze
Armate”, da non confondere quindi con i normali locali ove si svolge
l’attività amministrativa o anche operativa delle Forze di polizia), dall’art.
18 D.M. 12 settembre 1959, concernente attribuzione dei compiti relativi
all’esercizio delle verifiche e controllo delle norme di prevenzione degli
infortuni del lavoro, a tenore del quale “sono affidati al personale
specializzato dipendente o scelto dal Ministero della difesa i collaudi e le
verifiche…limitatamente ai lavori che vengono effettuati direttamente dalla
Amministrazione militare nei propri complessi industriali”.
Infine, a conferma, cioè, che i locali e gli ambienti di lavoro facenti capo
al Ministero della difesa (ad eccezione di quanto si è appena detto con
riguardo agli stabilimenti industriali) non sembrano sottratti, allo stato, e
cioè al momento di adozione dell’atto ora impugnato (risalente al 1993) al
potere di vigilanza degli ispettori già del Lavoro e ora delle U.S.L., occorre
dire che solo con Decreto del ministro della difesa 14 giugno 2000 n. 284, di
concerto con i ministri del Lavoro, della Sanità e della Funzione pubblica, in
attuazione dell’art. 1, comma 4, D.l.vo 15 agosto 1991 n. 277 e dell’art. 1
comma 2 D.l.vo 19 settembre 1994 n. 626 (disposizioni che si limitavano a
prevedere che nei riguardi delle Forze armate e di polizia le norme, anche di
provenienza comunitaria, sul miglioramento della sicurezza del lavoro e della
salute dei lavoratori sul luogo di lavoro devono essere applicate tenendo
conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato), si è
provveduto finalmente a disporre che la competenza ad effettuare i controlli
tecnici, le verifiche e i collaudi, e a rilasciare le dovute certificazioni
riguardanti la sicurezza dei luoghi di lavoro dell’amministrazione della
difesa spetta alla stessa amministrazione della difesa, con proprio personale
tecnico, previa apposita formazione tecnico-professionale (art. 1).
Esaurito, così, negativamente, l’esame della questione di fondo posta con
l’appello in esame, restano da esaminare le censure con le quali, senza più
contestare radicalmente la competenza degli ispettori della U.S.L. ad imporre
le contestate prescrizioni, se ne deduce comunque, sotto vari profili,
l’illegittimità.
Anche a tale riguardo devono essere confermate le conclusioni negative cui
sono pervenuti i primi giudici.
Si sostiene in primo luogo che la prevenzione di lesioni che possano derivare
da fatti dolosi di terzi fuoriesce dalla normativa contenuta dal D.P.R. n.
547/55 (nella specie il foglio di prescrizioni contestato prevede la posa in
opera di vetri antiproiettile con grate alle finestre e di porte blindate,
nonché la predisposizione di locali idonei per il deposito armi e la sosta di
persone soggette a provvedimento di fermo). Si osserva giustamente nella
sentenza impugnata che l’art. 374 D.P.R. n. 547/55 cit., nel prevedere che le
condizioni di sicurezza del lavoro devono essere garantite in relazione alle
condizioni di uso, appare tale da non escludere, dal proprio ambito di
applicazione, trattandosi nella specie di una caserma di polizia, la
prevenzione di rischi provenienti dall’esterno o comunque a causa di atti
dolosi di terzi, a tutela della sicurezza del luogo di lavoro.
Quanto alle altre specifiche doglianze aventi ad oggetto le varie prescrizioni
imposte, si osserva:
a)non ha pregio affermare che la vigilanza affidata agli ispettori del lavoro
riguarderebbe i soli locali ove si presta attività di servizio, e non anche
quelli adibiti ad alloggio del personale, posto che l’art. 8 D.P.R. n. 520/55
cit. prevede che gli ispettori stessi hanno facoltà di visitare “in ogni
parte, e a qualunque ora del giorno e anche della notte, gli edifici, i
cantieri…nonché i dormitori e i refettori annessi agli stabilimenti”;
b)è irrilevante che le prolunghe e derivazioni elettriche rilevate come non a
regola di sicurezza siano state sistemate direttamente dal personale, stante
l’obbligo evidente del datore di lavoro di predisporre le necessarie
precauzioni atte ad evitare rischi e a garantire la sicurezza sul luogo di
lavoro;
c)la circostanza che la scala portatile rilevata come priva di sistema
antisdrucciolo ai piedi e di agganci di trattenuta in alto sia aggiuntiva
rispetto ad altre scale da ritenersi a regola non fa venir meno la violazione
compiuta di norme di sicurezza e quindi non esonera dal dovere di eliminare o
adeguare alle norme la scala in questione;
d)non ha pregio ancora osservare che, contrariamente a quanto ritenuto dagli
ispettori della U.S.L., una sola uscita di sicurezza sarebbe sufficiente, dato
che il numero delle persone contemporaneamente presenti sarebbe inferiore a 50
(art. 14 D.P.R. n. 547/55); come si osserva giustamente nella sentenza
appellata, la prescrizione contestata tiene conto della necessità di prevenire
il rischio di incendi, a prescindere dall’affollamento della struttura,
rischio dovuto alla presenza nella struttura stessa di un deposito di armi,
dell’impianto a gas per la cucina e di un archivio cartaceo, tutti fattori
idonei ad accentuare il suddetto rischio di incendio (art, 33 stesso D.P.R.);
e)infine, la circostanza che le procedure adottate all’interno della stazione
non prevedano che all’interno degli armadietti vengono riposte uniformi sudice
o bagnate non significa che venga meno l’obbligo di tenere due spogliatoi
distinti per sesso e muniti di un idoneo numero di sedili (art. 40 D.P.R. n.
303/56).
In definitiva, l’appello deve essere respinto.
Sussistono tuttavia validi motivi per procedere alla integrale compensazione
delle spese fra le parti del presente grado di giudizio.
PQM
Il Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), definitivamente pronunciando:
Rigetta l’appello proposto come in epigrafe.
Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 27 febbraio 2001, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez.
V), riunito in Camera di Consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Salvatore Rosa - Presidente
Andrea Camera - Consigliere
Piergiorgio Trovato - Consigliere
Vincenzo Borea - Consigliere est.
Marco Pinto - Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Vincenzo Borea F.to Salvatore Rosa
IL SEGRETARIO
F.to Franca Provenziani
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il........................27/06/2001.........................
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
F.to Pier Maria Costarelli