Massimiliano Valdannini


 

MEDICI P.S. SENTENZA CONSIGLIO DI STATO

MEDICI P.S. SENTENZA CONSIGLIO DI STATO


REPUBBLICA ITALIANA N.3505/01 REG.DEC.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 6365 REG.RIC

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 1995

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso in appello sub n. 6365/1995, proposto dal Ministero dell’Interno e dal Compartimento della Polizia Stradale della Toscana, rappresentati e difesi dall’Avv.tura Generale dello Stato e presso gli uffici della medesima elettivamente domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

contro

L’Unità Sanitaria Locale N. 10/G (ora n. 10), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Tosi e Bartolo Spallina e presso il secondo domiciliata in Roma, Piazza Sallustio n. 9;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, Sez. III, n. 331 del 5 agosto 1994;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;

Vista la memoria prodotta dalla parte appellata a sostegno delle proprie difese;

Vista l’ordinanza n. 1704/1995 con la quale è stata respinta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 27 febbraio 2001 il consigliere Vincenzo A. Borea, udito l’avv. Spallina per l’appellata, nessun comparso per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO
Con ricorso al TAR della Toscana il Ministero dell’Interno e il Compartimento della Polizia Stradale della Toscana impugnavano un atto stilato da operatori della U.S.L. n. 10/G con il quale, a seguito di un sopralluogo effettuato presso la stazione della Polstrada di Firenze Nord, nell’esercizio delle funzioni di cui all’art. 10 D.P.R. 19 marzo 1955 n. 520, erano state imposte una serie di prescrizioni finalizzate a prevenire infortuni e garantire l’igiene delle condizioni di lavoro.

I ricorrenti sostenevano in primo luogo l’incompetenza, in via generale, della U.S.L. ad esercitare poteri di cui sopra nei confronti della Polizia di Stato, e, in subordine, denunciavano comunque i vizi di eccesso di potere e di violazione di legge.

I primi giudici respingevano il ricorso.

Avverso la relativa sentenza viene ora proposto l’appello in esame, deducendosi l’erroneità delle considerazioni poste a base delle argomentazioni di rigetto e insistendosi per l’accoglimento del ricorso.

DIRITTO
La questione di fondo che il Collegio è chiamato a decidere nella controversia in esame consiste nello stabilire se, in base alla normativa vigente, le U.S.L. siano o meno competenti ad esercitare, anche nei confronti delle stazioni o uffici della Polizia di Stato, le funzioni ad esse in via generale affidate in materia di prevenzione infortuni ed igiene degli ambienti di lavoro.

Nessun dubbio in primo luogo può sorgere, né in effetti sorge, sulla competenza istituzionale delle U.S.L. nella materia de qua, posto che l’art. 14 L. 23 dicembre 1978 n. 833, completando del resto analogo disegno già previsto dall’art. 27 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, concernente il trasferimento alle regioni di funzioni amministrative dello stato, ha attribuito alle U.S.L., tra l’altro (comma 3 lett. f)), i compiti relativi “all’igiene e medicina del lavoro, nonché alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali”.

Occorre però precisare che la medesima disposizione, a conclusione di una elencazione di materie specifiche individuate nella loro compiutezza come unitarie, tra le quali quella che qui interessa, nella finale lett q), specifica che sono di competenza delle U.S.L. anche “gli accertamenti, le certificazioni e ogni altra prestazione medico legale spettanti al Servizio Sanitario nazionale, con esclusione di quelle [prestazioni] relative ai servizi di cui alla lett. z) dell’art. 6”, e, cioè, con esclusione de “i servizi sanitari istituiti per le Forze Armate ed i Corpi di Polizia, per il Corpo degli agenti di custodia e per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché i servizi dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato relativi all’accertamento tecnico-sanitario delle condizioni del personale dipendente”: servizi che, come precisa il suddetto art. 6, rimangono di competenza dello Stato.

Questo essendo il quadro normativo di riferimento, ritiene il Collegio che l’appello sia infondato.

Considerazioni d’ordine letterale e sistematico inducono infatti ad escludere, contrariamente a quanto si vorrebbe, che la riserva allo stato di cui all’art. 6 L. n. 833/78 cit. ricomprenda anche le competenze di cui qui si discute: la lett. f) dell’art. 14 stessa legge , come si è detto, configura la prevenzione infortuni e l’igiene negli ambienti di lavoro come una materia in sé compiuta, al pari delle altre fattispecie elencate (si ricordano, ad es., l’educazione sanitaria, lett. a), la prevenzione delle malattie fisiche e psichiche, lett. c), l’igiene e medicina scolastica, lett. e), l’assistenza ospedaliera lett. l), ecc. ecc.), mentre la disposizione di cui alla successiva lett. q) ha carattere aggiuntivo e residuale, del tutto distinta dalla “materia” di cui alla lett. f), con la conseguenza che la specificazione in essa contenuta secondo la quale dagli accertamenti, certificazioni e prestazioni medico-legali ivi in via generale rimessi alle U.S.L. vanno esclusi quelli attinenti ai servizi di cui all’art. 6 lett. z) non può riguardare la materia, in questione, che qui interessa, attinente dell’igiene del lavoro e della prevenzione infortuni sui luoghi di lavoro: a tale conclusione si perviene sul piano di un ‘intepretazione letterale in modo inequivocabile, ed essa trova conferma sul piano sistematico, posta l’evidente differenziazione esistente, ictu oculi, tra le varie attività miranti alla prevenzione o cura delle malattie delle persone, da un lato, attività che costituiscono altrettante materie o sub-materie come tali assegnate alle U.S.L. (a quelle già viste in precedenza potendosi aggiungere l’assistenza medico-generica, lett. h), e l’assistenza medico- specialistica, lett. i)), e dall’altro, le attività miranti a garantire la salubrità e la prevenzione da infortuni nei luoghi di lavoro. E ciò è tanto vero che prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 616/77 e della L. n. 833/78 citt. le attività che qui interessano non erano svolte da strutture sanitarie, bensì dagli ispettorati del lavoro, ai sensi delle disposizioni contenute nell’art. 401 nel D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547 (norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro), e nell’art. 63 del D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 (norme generali per l’igiene del lavoro). Ed è sintomatico che tanto l’art. 2 del predetto D.P.R. n. 547/55 cit. quanto l’art. 2 del D.P.R. n. 303/56, nell’elencare le attività escluse dalla normativa ivi dettata, non ricomprendano, tra le altre, quelle che qui interessano.

E poiché ai suddetti ispettorati del lavoro, come risulta evidente, nell’esercizio del suddetto potere di vigilanza e di controllo, si richiedono competenze tecniche che si aggiungono a quelle proprie del medico, riguardando piuttosto quelle degli ingegneri (sicurezza impianti) e dei chimici (igiene ambientale), risulta per altro verso confermato che le relative funzioni, ora trasferite alle U.S.L., non possono essere ricomprese tra quelle espressamente mantenute allo Stato dall’art. 6 lett. z) L. n. 833/78 cit., che riguardano “ i servizi sanitari….dei Corpi di Polizia…”, espressione con la quale evidentemente si fa riferimento esclusivo ai servizi di assistenza medica del personale interessato.

La conclusione alla quale si è pervenuti trova poi piena conferma nel D.P.R. 24 aprile 1982 n. 338 (emanato a seguito della smilitarizzazione delle Forze di Polizia disposta con la L. 1° aprile 1981 n. 121), il cui art. 1 istituisce nuovi ruoli professionali dei sanitari della Polizia di Stato, riservandoli a personale in possesso della qualifica professionale di medico, e il cui art. 3, nell’elencare le relative funzioni, prevede competenze professionali o accertative tipiche della professione di medico, senza alcun cenno alla vigilanza e controllo sulla sicurezza e igiene degli ambienti di lavoro.

Infine, a conferma della correttezza delle conclusioni alle quali si è pervenuti sulla base di una interpretazione rigorosa della normativa da applicare, nel senso che, data la competenza generale nella materia de qua attribuita dal legislatore del ’78 alle U.S.L., le eccezioni a detta competenza non possono essere se non quelle inequivocabilmente previste come tali, appare utile richiamare quanto affermato in un parere della Sez I del Consiglio di Stato (9 dicembre 1992 n. 3030) avente ad oggetto la disposizione contenuta nell’art. 13 L. 7 agosto 1990 n. 232, nella parte in cui si affidano le incombenze sanitarie relative alla tutela delle lavoratrici madri dipendenti della Polizia di Stato ai servizi sanitari dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza. Sul punto la Sezione ha affermato infatti che tale disposizione deve essere interpretata restrittivamente, nel senso che essa si riferisce esclusivamente alle incombenze sanitarie di regola svolte dalle U.S.L. e non anche ai provvedimenti amministrativi già attribuiti alla competenza dell’Ispettorato del Lavoro, in quanto organo non soppresso dall’art. 6 lett. z) L. n. 833/78: il che dimostra, a quanto si afferma, che il legislatore, eccezion fatta per le prestazioni strettamente di natura sanitaria, ha inteso salvaguardare l’esistenza e l’operatività di tali organi periferici del Ministero del Lavoro in quanto specializzati in subiecta materia. E poiché nel caso che ne occupa la riserva allo stato riguarda soltanto i servizi sanitari della Polizia di Stato, ne deriva, in via analogica, secondo il ragionamento seguito dalla pronuncia richiamata, il mantenimento alle U.S.L., in quanto ex lege subentrate agli ispettorati del lavoro, dell’esercizio delle funzioni che qui interessano, stante la sostanziale equivalenza della espressione “incombenze sanitarie” di cui all’art. 13 L. n. 232/90 a quella usata dal legislatore del ’78 (“servizi sanitari”): a nulla rilevando, quindi, contrariamente a quanto si assume, la formale differenza di oggetto esistente fra le due norme poste a confronto.

Alle conclusioni alle quali si è pervenuti, conformi a quelle dei primi giudici, non possono essere opposte le argomentazioni, pur appassionate, svolte nell’atto di appello.

Non ha pregio in primo luogo osservare che dall’art. 6 lett. m) L. n. 833/78 cit. risulterebbe la permanenza in capo allo stato delle competenze in materia di igiene e sicurezza del lavoro, dato che la disposizione invocata (“..disciplina generale del lavoro e della produzione ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali”) riguarda evidentemente soltanto l’emanazione di atti normativi, generali e di governo sulla materia, senza incidere sulle attività operative conseguenti, le quali come visto, sono rimesse alle U.S.L. dal successivo art. 14.

Non vale neppure opporre che l’art 3 D.P.R. n. 338/82 cit., prima di elencare le competenze dei sanitari della Polizia di Stato, richiama la riserva contenuta nell’art. 6 lett. z) della L. n. 833/78, da ciò volendosi desumere che il richiamo suddetto non avrebbe alcun senso se l’elencazione di cui all’art. 3 in questione fosse da intendersi in sé compiuta: si è visto il significato da attribuirsi alla predetta disposizione, nel senso che la riserva allo Stato riguarda solo i servizi sanitari in senso stretto, in connessione con il rinvio ad essa operato dall’art. 14 lett. q), con la conseguenza che il richiamo ora invocato contenuto nell’art. 3 D.P.R. n. 338/82 vale soltanto a specificare che l’elencazione ivi contenuta non è esaustiva, certamente, ma soltanto nel senso che sono fatte salve le altre competenze comunque spettanti ai medici dei Corpi di Polizia ricomprese nella formulazione “servizi sanitari” di cui all’art. 6 lett. z) L. n. 833/78.

Ancora, si sottolinea che non avrebbe rilievo, ai fini di sottrarre ai servizi sanitari della Polizia di Stato le competenze in questione, il fatto che il servizio sanitario di cui all’art. 3 D.P.R. n. 338/82 cit. sia composto soltanto da medici, dato che presso ciascun ente o ufficio è presente una Commissione Ambiente e Salubrità, composta da un medico e da quattro rappresentanti del personale, con compiti di vigilanza sulla igiene e salubrità degli ambienti di lavoro: a prescindere dal fatto che tali commissioni sono previste in sede regolamentare, in applicazione del primo contratto di lavoro dei dipendenti della Polizia di Stato (D.P.R. 27 marzo 1984 n. 69), e non possono certamente come tali derogare a norme di legge, non si vede come tali commissioni consultive, per la loro stessa composizione, possano validamente sostituirsi alle competenze proprie degli ispettori del lavoro (ora delle U.S.L.) istituzionalmente previste per la vigilanza sul rispetto delle norme antinfortunistiche e sull’igiene del lavoro, valendo semmai soltanto come un primo esercizio di vigilanza, non certamente definitivo, in quanto del tutto informale ed interno, sul rispetto delle norme in questione, salvi i poteri autoritativi e sanzionatori degli ispettori del lavoro (che costituiscono un organo terzo e imparziale), a ciò preposti, i quali, si ricordi, nell’esercizio delle loro funzioni sono ufficiali di polizia giudiziaria (cfr. l’art. 8 D.P.R. 19 marzo 1955 n. 520, recante norme sulla riorganizzazione del Ministero del Lavoro, e, ora, l’art. 21 L. n. 833/78).

Ancora, non appaiono convincenti le argomentazioni secondo le quali la riserva allo stato delle competenze in questione sarebbe necessitata dalla riservatezza e segretezza che istituzionalmente caratterizza non solo l’attività delle forze di polizia, ma anche, consequenzialmente, i locali e gli ambienti ove detta attività si svolge. E’ vero certamente che i corpi di polizia sono preposti allo svolgimento di indagini spesso assai delicate (si pensi a “Tangentopoli” e alla lotta contro la Mafia), e che gli addetti sono ufficiali di polizia giudiziaria; ma non è men vero che anche gli ispettori preposti alla vigilanza antinfortunistica e sull’igiene degli ambienti di lavoro sono ufficiali di polizia giudiziaria, come si è detto, e, nell’ambito delle competenze loro demandate hanno pari dignità e poteri rispetto ai colleghi della Polizia di Stato: con l’aggiunta, per quel che più interessa, che sono tenuti a mantenere il segreto sulle notizie e sui dati di cui vengono a conoscenza nell’espletamento delle loro funzioni, salvo il caso di espresso consenso dei datori di lavoro (art. 4 L. 22 luglio 1961 n. 628). Né vale obiettare che l’art. 24, commi due e quattro, L. 7 agosto 1990 n 241 esclude il cosiddetto “diritto d’accesso” in relazione all’esigenza di salvaguardare, tra l’altro, l’ordine pubblico e la prevenzione e la repressione della criminalità, essendo evidente che il relativo divieto limita la sua efficacia ai privati cittadini, e non opera certamente nei confronti di pubblici ufficiali istituzionalmente incaricati di verifiche e controlli sulla prevenzione degli infortuni e sull’igiene degli ambienti di lavoro. Da ultimo, basta un cenno per dimostrare l’inconferenza ed irrilevanza dell’osservazione secondo la quale non sarebbe concepibile che a persone non addette ai problemi di organizzazione del servizio di polizia sia consentito impartire disposizioni, ad es., sulle modalità di tenuta delle armi o sulla sistemazione delle finestre dei locali ove alloggia il personale: a prescindere dal fatto che gli ispettori siano o meno, come si adombra, provvisti di specifica cultura militare, è certo che questi, lo si ribadisce ancora una volta, in quanto istituzionalmente preposti a prevenire i rischi di incidenti che possono occorrere al personale, e forniti evidentemente della necessaria professionalità, che non implica di per sé il possesso di una specifica cultura militare, sono naturalmente investiti del potere di dettare le prescrizioni ritenute opportune al riguardo.

Più delicate questioni, infine, solleva la problematica sollevata in appello relativa da un lato dalla affermata sostanziale equiparazione, ai fini che qui interessano, tra Polizia di Stato e Forze Armate, e dall’altro, di conseguenza, alla asserita contraddittorietà della sentenza appellata nella parte in cui, viceversa, questa ammette che, per quanto riguarda le strutture appartenenti al Ministero della difesa, le U.S.L. sarebbero incompetenti nella materia de qua, come già affermato dalla giurisprudenza (cfr. parere C.d.S. n. 1426/87 e dec. 9 ottobre 1992 n. 486 della I Sez. TAR Toscana, peraltro, nelle more del giudizio, confermata in appello dalla V Sez., dec. n. 1175 del 27 settembre 1999). Avuto riguardo al fatto, da ritenersi determinante, che, come si è in precedenza ricordato, le forze di polizia sono state smilitarizzate con la ricordata L. 1° aprile 1981 n. 121 (l’art. 3 dice che l’Amministrazione della P.S. è civile ed ha un ordinamento speciale), giustamente in primo luogo hanno osservato sul punto i primi giudici che il più volte ricordato art. 6 L. n. 833/78, questa volta alla lett. v), riserva espressamente allo Stato le funzioni amministrative concernenti l’organizzazione sanitaria militare, e tanto basterebbe a non ritenere illogica la distinzione tenuta ferma dai primi giudici, tra forze militari, da un lato, con riguardo alle quali si sono ritenuti sottratti al potere ispettivo delle U.S.L. gli impianti e le strutture in genere di pertinenza militare (dec. n. 486/92 cit.), e Polizia di Stato, dall’altro, sia perché ora smilitarizzata, e sia perché la prescrizione di cui alla citata lett. v) art. 6 L. n. 833/78, con ogni evidenza, non la riguarda.

Né alla voluta ex lege smilitarizzazione delle Forze di Polizia, e quindi alla conseguente netta distinzione rispetto all’organizzazione delle Forze Armate, può opporsi il fatto che, per taluni aspetti, siano mantenuti in vita determinati collegamenti con le strutture dell’Amministrazione della Difesa, quali l’uso delle attrezzature militari, la possibilità di far ricorso ad un veterinario militare per la cura degli animali dei “reparti a cavallo”, e le eventuali convenzioni esistenti con le Forze Armate (art. 29 L. n. 121/81 cit.): a prescindere dal fatto che la norma richiamata prevede la possibilità per il Ministro dell’interno di disporre diversamente, il che dimostra la voluta autonomia della Polizia di Stato, ora amministrazione civile, rispetto a quella della Difesa, va segnalato che in numerose disposizioni la predetta legge n. 121/81 mostra, in piena coerenza con la voluta smilitarizzazione, di voler distinguere nettamente l’organizzazione della Polizia di Stato da quella militare, sia, in generale, dando alla nuova struttura un ordinamento suo proprio, e sia in particolare, come dimostrano, ad esempio, il passaggio all’autorità giudiziaria ordinaria della competenza a giudicare sui procedimenti penali a carico dei dipendenti, in precedenza affidati alla giustizia militare (art. 104), e il divieto di avvalersi dei cappellani militari per assicurare l’assistenza religiosa (art. 69).

Con la precisazione, pur se le argomentazioni sopra svolte appaiano sufficienti a considerare insussistente la contraddittorietà dedotta a carico della sentenza appellata, che appare al Collegio quanto meno dubbia la soluzione fornita dalla giurisprudenza sopra richiamata che ha ritenuto sottratte alla competenza delle U.S.L. le ispezioni de quibus nei confronti delle strutture dell’Amministrazione della Difesa.

L’espressione “organizzazione sanitaria militare” contenuta nell’art. 6 lett. v) L. n. 833, mentre da un lato ricomprende certamente i servizi sanitari svolti dalle strutture ospedaliere militari, e cioè attività esclusivamente miranti alla prevenzione e cura della salute delle persone, da un altro lato, al pari della espressione “servizi sanitari” utilizzata nella successiva lett. z), della quale si è detto, e non a caso riferita non solo ai Corpi di polizia, ma anche alle Forze Armate, non sembra in sé idonea, per ragioni non dissimili da quelle già esposte, per la sua stessa formulazione letterale, a ricomprendere in sé la distinta “materia” della prevenzione infortuni e dell’igiene negli ambienti di lavoro.

Non sembra al Collegio un caso che sia l’art. 2 del D.P.R. n. 547/55 (prevenzione infortuni sui luoghi di lavoro) che l’art. 2 del D.P.R. n. 303/56 (norme generali per l’igiene del lavoro) non prevedano fra le attività escluse dalle disposizioni in dette normative previste quelle proprie dell’Amministrazione della Difesa in generale, mentre per contro appare sintomatico che tale esclusione sia invece espressamente prevista soltanto per gli stabilimenti ed arsenali militari (che l’art. 1 D.P.R. 18 novembre 1965 n. 1481 definisce quali “organi di produzione e lavoro a carattere industriale del Ministero della difesa, per il supporto tecnico e logistico delle Forze Armate”, da non confondere quindi con i normali locali ove si svolge l’attività amministrativa o anche operativa delle Forze di polizia), dall’art. 18 D.M. 12 settembre 1959, concernente attribuzione dei compiti relativi all’esercizio delle verifiche e controllo delle norme di prevenzione degli infortuni del lavoro, a tenore del quale “sono affidati al personale specializzato dipendente o scelto dal Ministero della difesa i collaudi e le verifiche…limitatamente ai lavori che vengono effettuati direttamente dalla Amministrazione militare nei propri complessi industriali”.

Infine, a conferma, cioè, che i locali e gli ambienti di lavoro facenti capo al Ministero della difesa (ad eccezione di quanto si è appena detto con riguardo agli stabilimenti industriali) non sembrano sottratti, allo stato, e cioè al momento di adozione dell’atto ora impugnato (risalente al 1993) al potere di vigilanza degli ispettori già del Lavoro e ora delle U.S.L., occorre dire che solo con Decreto del ministro della difesa 14 giugno 2000 n. 284, di concerto con i ministri del Lavoro, della Sanità e della Funzione pubblica, in attuazione dell’art. 1, comma 4, D.l.vo 15 agosto 1991 n. 277 e dell’art. 1 comma 2 D.l.vo 19 settembre 1994 n. 626 (disposizioni che si limitavano a prevedere che nei riguardi delle Forze armate e di polizia le norme, anche di provenienza comunitaria, sul miglioramento della sicurezza del lavoro e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro devono essere applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato), si è provveduto finalmente a disporre che la competenza ad effettuare i controlli tecnici, le verifiche e i collaudi, e a rilasciare le dovute certificazioni riguardanti la sicurezza dei luoghi di lavoro dell’amministrazione della difesa spetta alla stessa amministrazione della difesa, con proprio personale tecnico, previa apposita formazione tecnico-professionale (art. 1).

Esaurito, così, negativamente, l’esame della questione di fondo posta con l’appello in esame, restano da esaminare le censure con le quali, senza più contestare radicalmente la competenza degli ispettori della U.S.L. ad imporre le contestate prescrizioni, se ne deduce comunque, sotto vari profili, l’illegittimità.

Anche a tale riguardo devono essere confermate le conclusioni negative cui sono pervenuti i primi giudici.

Si sostiene in primo luogo che la prevenzione di lesioni che possano derivare da fatti dolosi di terzi fuoriesce dalla normativa contenuta dal D.P.R. n. 547/55 (nella specie il foglio di prescrizioni contestato prevede la posa in opera di vetri antiproiettile con grate alle finestre e di porte blindate, nonché la predisposizione di locali idonei per il deposito armi e la sosta di persone soggette a provvedimento di fermo). Si osserva giustamente nella sentenza impugnata che l’art. 374 D.P.R. n. 547/55 cit., nel prevedere che le condizioni di sicurezza del lavoro devono essere garantite in relazione alle condizioni di uso, appare tale da non escludere, dal proprio ambito di applicazione, trattandosi nella specie di una caserma di polizia, la prevenzione di rischi provenienti dall’esterno o comunque a causa di atti dolosi di terzi, a tutela della sicurezza del luogo di lavoro.

Quanto alle altre specifiche doglianze aventi ad oggetto le varie prescrizioni imposte, si osserva:

a)non ha pregio affermare che la vigilanza affidata agli ispettori del lavoro riguarderebbe i soli locali ove si presta attività di servizio, e non anche quelli adibiti ad alloggio del personale, posto che l’art. 8 D.P.R. n. 520/55 cit. prevede che gli ispettori stessi hanno facoltà di visitare “in ogni parte, e a qualunque ora del giorno e anche della notte, gli edifici, i cantieri…nonché i dormitori e i refettori annessi agli stabilimenti”;

b)è irrilevante che le prolunghe e derivazioni elettriche rilevate come non a regola di sicurezza siano state sistemate direttamente dal personale, stante l’obbligo evidente del datore di lavoro di predisporre le necessarie precauzioni atte ad evitare rischi e a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro;

c)la circostanza che la scala portatile rilevata come priva di sistema antisdrucciolo ai piedi e di agganci di trattenuta in alto sia aggiuntiva rispetto ad altre scale da ritenersi a regola non fa venir meno la violazione compiuta di norme di sicurezza e quindi non esonera dal dovere di eliminare o adeguare alle norme la scala in questione;

d)non ha pregio ancora osservare che, contrariamente a quanto ritenuto dagli ispettori della U.S.L., una sola uscita di sicurezza sarebbe sufficiente, dato che il numero delle persone contemporaneamente presenti sarebbe inferiore a 50 (art. 14 D.P.R. n. 547/55); come si osserva giustamente nella sentenza appellata, la prescrizione contestata tiene conto della necessità di prevenire il rischio di incendi, a prescindere dall’affollamento della struttura, rischio dovuto alla presenza nella struttura stessa di un deposito di armi, dell’impianto a gas per la cucina e di un archivio cartaceo, tutti fattori idonei ad accentuare il suddetto rischio di incendio (art, 33 stesso D.P.R.);

e)infine, la circostanza che le procedure adottate all’interno della stazione non prevedano che all’interno degli armadietti vengono riposte uniformi sudice o bagnate non significa che venga meno l’obbligo di tenere due spogliatoi distinti per sesso e muniti di un idoneo numero di sedili (art. 40 D.P.R. n. 303/56).

In definitiva, l’appello deve essere respinto.

Sussistono tuttavia validi motivi per procedere alla integrale compensazione delle spese fra le parti del presente grado di giudizio.

PQM
Il Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), definitivamente pronunciando:

Rigetta l’appello proposto come in epigrafe.

Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 27 febbraio 2001, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), riunito in Camera di Consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Salvatore Rosa - Presidente

Andrea Camera - Consigliere

Piergiorgio Trovato - Consigliere

Vincenzo Borea - Consigliere est.

Marco Pinto - Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Vincenzo Borea F.to Salvatore Rosa

IL SEGRETARIO

F.to Franca Provenziani

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il........................27/06/2001.........................

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)



IL DIRIGENTE

F.to Pier Maria Costarelli