ANCHE LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI FIRMATARIE DI “CONTRATTI GESTIONALI” APPLICATI NELL’UNITA’ PRODUTTIVA HANNO DIRITTO ALLA COSTITUZIONE DI RAPPRESENTANZE SINDACALI – In base all’art. 19 St. Lav.,  nel testo risultante dal referendum  (Cassazione Sezione Lavoro n. 19271 del 24 settembre 2004, Pres. Sciarelli, Rel. Cataldi).
             La Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti di Milano, aderente alla Confederazione Unitaria di Base, ha costituito, alla fine del 1995, presso uno stabilimento milanese della Sirti S.p.A., una rappresentanza sindacale aziendale di cui ha chiesto alla società il riconoscimento in base all’art. 19 St. Lav. (nel testo modificato in D.P.R. 28 luglio 1995 n. 319, in seguito al risultato del referendum abrogativo indetto nell’aprile del 1995) “rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati all’unità produttiva”. La Sirti S.p.A. ha sostenuto che la Flmu non era firmataria di alcun contratto collettivo applicato nello stabilimento milanese.
             La Flmu ha promosso, davanti al Pretore di Milano un procedimento per repressione di comportamento antisindacale in base all’art. 28 St. Lav. affermando l’applicabilità dell’art. 19 St. Lav. in quanto essa aveva sottoscritto con l’azienda, il 14 luglio 1995, un accordo che regolamentava la procedura di ricorso alla cassa integrazione per 24 mesi, in base alla legge n. 223 del 1991. Il Pretore, dopo aver rigettato il ricorso nella fase cautelare, ha accolto l’opposizione proposta dalla Flmu e la sua decisione è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Milano. La S.p.A. Sirti ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l’accordo sottoscritto dalla Flmu nell’ambito di una procedura per collocamento di lavoratori in cigs non può ritenersi contratto collettivo agli effetti dell’art. 19 St. Lav.
             La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 19271 del 24 settembre 2004, Pres. Sciarelli, Rel. Cataldi) ha rigettato il ricorso. La definizione di contratto collettivo di lavoro – ha affermato la Corte – non è riferibile unicamente agli accordi con funzione normativa, che hanno cioè lo scopo di determinare i contenuti dei futuri rapporti individuali di lavoro, in quanto ogni contratto collettivo contiene una serie di clausole non riconducibili a tale funzione, ad esempio le clausole che prescrivono ai datori di lavoro di fornire informazioni alle organizzazioni sindacali: la caratteristica comune di queste clausole va individuata nel fatto che esse instaurano rapporti obbligatori che non hanno effetti diretti sui futuri contratti di lavoro, ma producono effetti giuridici esclusivamente nei confronti dei sindacati stipulanti o dei datori stipulanti che risultano obbligati a tenere comportamenti pattiziamente definiti. Sempre più spesso inoltre – ha osservato la Corte – i contratti collettivi e gli accordi sindacali costituiscono lo strumento di gestione delle crisi aziendali, con i  quali le soluzioni dei problemi che tale crisi pone per i lavoratori occupati nell’azienda vengono preventivamente contrattate con il sindacato: si tratta dei cosiddetti contratti gestionali riguardanti la mobilità, le procedure di cassa integrazione guadagni o i contratti di solidarietà; non c’è dubbio che tali accordi, pur riguardando un solo istituto, disciplinino un momento importante dei rapporti di lavoro (come richiesto da Corte Cost. 244/96), contenendo regole generali per il datore di lavoro che predeterminano il contenuto di alcuni istituti che incidono nell’attuazione dei singoli rapporti di lavoro (criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, collocamento in cassa integrazione, sospensioni e criteri di rotazione dei lavoratori sospesi). Anche se le regole previste in un accordo gestionale sono dirette a delimitare l’ambito del potere del datore di lavoro – ha affermato la Corte – esse si risolvono in fonte di diritti per i singoli lavoratori che di quegli accordi possono pretendere l’attuazione; in una procedura per riduzione di personale, le regole stabilite in un accordo sindacale, determinando il diritto all’applicazione dei criteri di scelta, si risolvono in diritto alla conservazione del posto. Comprendere tali contratti tra i “contratti collettivi applicati nell’unità produttiva” – ha concluso la Cassazione – corrisponde quindi non solo alla lettera della norma, trattandosi di contratti collettivi che disciplinano aspetti importanti del rapporto di lavoro, ma anche alla sua ratio, tenuto conto che il contenuto obbligatorio di tali contratti assume una notevole importanza economica e vincolante per il datore di lavoro e costituisce quindi espressione di quella capacità negoziale delle organizzazioni sindacali firmatarie che è il presupposto per il riconoscimento del loro diritto a costituire rappresentanze sindacali aziendali.
 


 

Cassazione: inseguire il ladro che fugge? È giusto ed encomiabile

Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 37960/2004) precisando che il privato cittadino ha il diritto di difendere la sua proprietà, e quella dei terzi, dagli attacchi dei malfattori. I Giudici del Palazzaccio hanno quindi precisato che inseguire il ladro che si dà alla fuga per recuperare la refurtiva e consentire l'arresto, da parte della polizia giudiziaria, del disonesto, non solo è legittimo ma anche giusto ed encomiabile e ciò anche se il comune cittadino di per sé non ha la facoltà di procedere all'arresto in flagranza. Con questa decisione la Corte ha confermato la legittimita' del comportamento di un giovane che, accortosi del furto di un portamonete a una ragazza, si era messo ad inseguire il ladro in fuga.


 
I PARTECIPANTI A UN CONCORSO INTERNO PER PROMOZIONE HANNO DIRITTO AL RISPETTO DELLA “PAR CONDICIO” – Non è consentita l’ammissione di candidati muniti di titolo diverso da quello previsto dal bando (Cassazione Sezione Lavoro n. 14943 del 4 agosto 2004, Pres. Ciciretti, Rel. Filadoro).
          La S.p.A. Monte dei Paschi di Siena ha indetto, nel giugno del 1998, una selezione interna per la copertura di tre posti di funzionario. Secondo il bando, il concorso era riservato ai capi ufficio del ruolo tecnico in possesso del diploma di geometra o di perito industriale del ramo edile. Monica D., geometra, capo ufficio del ruolo tecnico, ha partecipato al concorso e si è classificata al quarto posto essendo stata superata nella graduatoria di merito da una collega, Giulia P. in possesso della laurea in ingegneria, ma non del diploma di geometra.
          Monica D. ha chiesto al Tribunale di Siena di accertare in suo diritto alla qualifica di funzionario, sostenendo che la banca non avrebbe dovuto ammettere al concorso, riservato a geometri e periti industriali, Giulia P., munita di laurea in ingegneria,  ma non di uno dei due prescritti diplomi; ella ha anche rilevato che, per prassi ormai consolidata e divenuta obbligatoria, la Banca aveva sempre tenuto distinte le selezioni per personale diplomato da quello per laureati. Il Tribunale ha accolto la domanda e la sua decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze che ha affermato che la banca, ammettendo al concorso Giulia P., non munita del titolo prescritto, ha tenuto un comportamento contrario a correttezza e buona fede, recando lesione al diritto di Monica D. alla par condicio fra concorrenti; l’ammissione di Giulia P. al concorso sarebbe stata lecita ed anzi dovuta solo se ella, oltre alla laurea in ingegneria avesse avuto il diploma di geometra. La banca ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la laurea in ingegneria dovesse ritenersi quanto meno equipollente al diploma di geometra.
          La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 14943 del 4 agosto 2004, Pres. Ciciretti, Rel. Filadoro) ha rigettato il ricorso affermando che con il bando la banca si era obbligata ad ammettere al concorso soltanto i dipendenti muniti del diploma di geometra o di perito industriale e che questa regola, di natura negoziale, non poteva essere modificata, successivamente alla emissione del bando, per casi singoli; una deroga del genere contrastava infatti con il principio di tendenziale parità di condizioni fra i vari candidati, correttamente – ha osservato la Cassazione – i giudici del merito hanno ritenuto che l’ammissione di Giulia P. al concorso sarebbe stata lecita e doverosa solo se ella, oltre alla laurea di ingegnere avesse avuto il diploma di geometra. La Corte ha ritenuto inammissibile la tesi della equipollenza fra laurea in ingegneria e diploma di geometra in quanto diretta a prospettare nel giudizio di cassazione una diversa interpretazione del bando.

 


La contestazione di un addebito disciplinare deve contenere specifici riferimenti, oggettivi, soggettivi e di tempo – In base all’art. 7 St. Lav. - La contestazione di addebito disciplinare deve contenere riferimenti specifici (oggettivi, soggettivi e di tempo). E’ generica la contestazione mossa a un lavoratore, in sede disciplinare, di negligenza nell’espletamento di mansioni relative all’imbustamento di lettere, per mancato inserimento di corrispondenza nella busta, collocazione in busta di una lettera al posto di un’altra, spedizione di documentazione incompleta. In questo caso il lavoratore, per potersi difendere avrebbe dovuto essere messo in condizione di stabilire di quali plichi si trattasse, il contenuto per essi previsto ed il relativo destinatario. La genericità della contestazione comporta la nullità della sanzione disciplinare in base ad essa applicata, per violazione dell’art. 7 St. Lav. (Cassazione Sezione Lavoro n. 14759 del 2 agosto 2004, Pres. Mileo, Rel. Amoroso).