Il lavoratore stanco che subisca un incidente può chiedere i danni
Risarcibile il danno derivante da stress sul lavoro PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 5/2002)
   
   
Il datore di lavoro responsabile della ‘condizione lavorativa stressante’ a cui ha sottoposto il suo dipendente può essere chiamato a risarcire il danno derivante dall'incidente occorso al lavoratore a causa dello stress. Questo il principio stabilito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso di un dipendente di banca che aveva chiesto la condanna del datore di lavoro ad un miliardo, a titolo di risarcimento per i danni subiti in un incidente automobilistico causato da stress lavorativo, vedendosi negare il risarcimento sia dal Pretore che dal Tribunale, che avevano sostenuto che non vi fosse un ''nesso di causalità'' tra l'incidente e lo stress da lavoro. Non è stata dello stesso avviso la Suprema Corte che, facendo applicazione del principio della cosiddetta "causalità adeguata", ha rilevato che incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare esclusivamente l’esistenza di tale danno, la nocività delle condizioni di lavoro e il nesso causale tra questi due elementi; una volta provate tali circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno ovvero che il danno lamentato dal dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi. (27 febbraio 2002)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.5/2002

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Pretore di Roma ha respinto la domanda del dr. Roberto Possenti volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento di lire un miliardo, a titolo di risarcimento dei danni subiti nell’incidente automobilistico causato dallo stress lavorativo.

Il Tribunale di Roma con sentenza 27 maggio- 7 dicembre 1998 n. 21494, ha respinto l’appello principale del Possenti e l’appello incidentale con cui il datore di lavoro chiedeva la restituzione della retribuzione pagata durante la mattina conseguente all’infortunio.

A fondamento della decisione il Tribunale ha posto il principio di diritto secondo cui una condotta umana (nella specie del datore di lavoro, per asserita violazione dell’art. 2087 cod. civ.) può essere ritenuta causa di un determinato evento solo quando questo appaia come conseguenza normale dell’antecedente, nel senso che tra questo e l’effetto conseguenziale deve esistere un rapporto di sequenza costante, secondo un calcolo di regolarità statistica, si da potersi ritenere che il pregiudizio rientri nelle normali conseguenze dell’illecito, secondo il criterio della c.d. regolarità causale; viceversa, deve escludersi il nesso eziologico tra il comportamento umano e l’evento ove le conseguenze verificatesi siano eccezionali alla stregua di un giudizio di probabilità ex ante, quale un incidente stradale rispetto alla condizioni lavorative stressanti.

Sulla base di tale principio, il Tribunale ha ritenuto irrilevanti le prove richieste dal Possenti in primo grado (e quindi corretta la decisione negatoria del Pretore), volte a dimostrare gli orari di lavoro stressanti e la richiesta al datore di lavoro di spostamento di sede, motivata anche con le particolari condizioni familiari (moglie operata di tumore).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Possenti, con due motivi.

Si sono costituiti con controricorso, resistendo, la intimata Banca Nazionale dell’Agricoltura s.p.a. e la sua assicuratrice SAI, chiamata in causa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2110, 2087, 2043, 2697 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui, per erronea interpretazione dell’art. 2087 cod. civ. [1], non ha ammesso le prove ritualmente richieste in primo grado, volte a dimostrare che l’incidente trova causa nello stress derivante dagli orari di lavoro, dalle condizioni di trasferta, e dalle particolari condizioni familiari (moglie operata di tumore), note al datore di lavoro, e per le quali aveva richiesto uno spostamento di sede; nonché per contraddittorietà tra esigenze probatorie e negata ammissione delle stesse.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha respinto le richieste probatorie, volte a provare, secondo la prospettazione del ricorrente, la colpa del datore di lavoro nel disporre condizioni lavorative estremamente stressanti, unitamente a condizioni familiari note al medesimo datore di lavoro, tali da costituire causa dell’infortunio stradale occorso, in quanto ritenute irrilevanti rispetto alla nozione accolta di nesso causale ai sensi dell’art. 2087 c.c., inteso secondo il criterio della c.d. regolarità causale, quale collegamento tra causa ed effetto legati da necessaria regolarità statistica.

Il principio così enunciato nella sentenza impugnata è erroneo, e contrario all’insegnamento di questa Corte.

Nel sistema risarcitorio civilistico un evento dannoso è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della conditio sine qua non): ma nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante, non appaiano del tutto inverosimili (cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, la quale in realtà oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell’imputazione del danno).

Più in particolare l’incidenza eziologica delle cause antecedenti va valutata, per un verso, nel quadro dei presupposti condizionanti (per cui deve trattarsi di antecedente necessario dell’evento dannoso, a questo legato da un rapporto di causazione normale e non straordinario) e, per altro verso, in coordinazione con il principio della causalità efficiente, che contemporaneamente la regola della equivalenza causale, espunge appunto le cause antecedenti dalla serie causale (facendole scadere al rango di mere occasioni) in presenza di un fatto sopravvenuto di per se idoneo a determinare il determinarsi dell’evento anche senza quegli antecedenti (Cass. 10 maggio 2000 n. 5962; Cass. 24 maggio 1968 n. 1599; Cass. 25 luglio 1967 n. 1945).

Venendo all’interpretazione dell’art. 2087 cod. civ., tale norma non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva (Cass. 3 aprile 1999 n. 3234), in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

Dato però il carattere contrattuale di tale responsabilità (Cass. 26 ottobre 1995 n. 11120), ai fini del suo accertamento incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare esclusivamente l’esistenza di tale danno, la nocività delle condizioni di lavoro e il nesso causale tra questi due elementi.

Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno ovvero che il danno lamentato dal dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi (Cass. 18 febbraio 2000 n. 1886; Cass. 7 novembre 2000 n. 14469, Cass. 3 settembre 1997 n. 8422; Cass. 17 luglio 1995 n. 7768).

In applicazione di tali principi, questa Corte ha ritenuto che il nesso causale rilevante ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., diversamente da come erroneamente opinato dal Tribunale, non è riservato agi eventi che costituiscono conseguenza necessitata della condotta datoriale, secondo un giudizio prognostico ex ante, ma si estende a tutti gli eventi possibili, rispetto ai quali la condotta datoriale si ponga con un nesso di causalità adeguata (la rapina, per stare alla fattispecie esaminata dalla citata sent. 8422/1997, non è una conseguenza necessaria della mancata adozione di misure di sicurezza da parte di una banca, ma semplicemente possibile).

Non è sufficiente il semplice concorso di colpa del lavoratore per interrompere il nesso causale, sicchè l’imprenditore è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’esorbitanza, atipicità ed eccezionalità rispetto alle condizioni di lavoro (Cass. 17 febbraio 1999 n. 1331); occorre una condotta dolosa del lavoratore, ovvero la presenza di un rischio elettivo generato da un’attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso (Cass. 17 novembre 1993 n. 11351).

Pertanto anche una condizione lavorativa stressante (nella specie per sottorganico) può costituire fonte di responsabilità per il datore di lavoro (Cass. 1 settembre 1997 n. 8267).

Analogamente non si può escludere a priori che vi sia un nesso causale, per un lavoratore obbligato o autorizzato all’uso di autoveicoli nell’espletamento delle proprie mansioni in situazione di trasferta, tra le condizioni di stress e l’incidente stradale, senza prima consentire la prova richiesta (ed ovviamente la controprova ritualmente richiesta) di tutte le circostanze del caso.

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata, e gli atti trasmessi alla Corte d’appello di L’Aquila, la quale deciderà la causa attenendosi alla nozione di nesso causale sopra indicata.

Il giudice di rinvio provvederà alle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di L’Aquila.

Roma, 25 ottobre 2001.

Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2002.