Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio

Sezione II bis

Sentenza 23 settembre 2005, n. 7362

FATTO

 

Ricorso n. 12157/97.

Nella sua qualità di dipendente della Polizia Municipale del Comune di Roma, il ricorrente, essendo iscritto al corso di laurea in Scienze Geologiche, chiedeva di poter fruire per l'anno accademico 1995-96 dei permessi di studio di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 395/1988.

Mediante nota del 21 febbraio 1996, a firma del dirigente della II U.O.A., si concedevano al (omissis) le 150 ore di permesso straordinario retribuito per motivi di studio, con la precisazione che, in mancanza della certificazione richiesta a giustificazione dei permessi utilizzati, gli stessi sarebbero stati considerati come aspettativa per motivi di famiglia, con conseguente recupero delle relative competenze economiche, rideterminazione delle ferie annuali e non valutabilità del periodo di assenza agli effetti giuridici.

Il dipendente utilizzava i permessi concessigli e sosteneva anche due esami: Sedimentologia in data 30 settembre 1996 e Vulcanologia in data 31 ottobre 1996, presentando la relativa documentazione all'Amministrazione.

Senonché, in alcuni periodi di assenza l'interessato è stato considerato in aspettativa per motivi di famiglia, "per un totale di ore 129 e 36 minuti, pari a giorni 18 ed ore 3".

Col presente gravame l'istante deduce le seguenti censure:

Violazione del d.P.R. n. 395/1988, art. 3; del d.P.R. n. 333/1990, art. 24; degli artt. 34 e 97 Cost. e principi generali. Eccesso di potere.

Si contesta la correttezza dell'interpretazione che il Comune di Roma offre circa le disposizioni relative alle c.d. 150 ore, allorché inopinatamente ed illogicamente introduce l'ulteriore requisito del superamento di almeno due esami nel corso dell'anno accademico.

L'introduzione di requisiti limitativi non previsti dal legislatore violerebbe la ratio delle disposizioni, che hanno appunto lo scopo di agevolare al massimo il diritto allo studio.

Peraltro, il superamento degli esami sarebbe valutabile non già per la verifica a posteriori del corretto utilizzo dei permessi, bensì al diverso fine della redazione della graduatoria degli aspiranti ai permessi.

Si conclude per l'accoglimento del ricorso, con ogni conseguenziale pronuncia.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio con atto depositato il 23 novembre 2004.

Ricorso n. 13267/97.

Avverso il recupero della somma di Lire 433.512, disposto dall'Amministrazione per i mesi di agosto e settembre senza l'adozione del relativo provvedimento, insorge il ricorrente formulando le seguenti doglianze:

1) Violazione d.P.R. 395/1988, art. 3; d.P.R. 333/1990, art. 24; artt. 34 e 97 Cost. e principi generali. Eccesso di potere.

2) Violazione l. 241/1990; artt. 36 e 97 Cost. e principi generali. Eccesso di potere.

Si assume che illegittimamente è stato disposto il recupero delle somme a suo tempo erogate, anche in considerazione dei principi affermati dall'A.P. del Consiglio di Stato nella decisione n. 20/1992, tenuto conto della mancata comunicazione di avvio del procedimento di recupero e della buona fede del percipiente, nonché in assenza della necessaria comparazione degli interessi in gioco.

Il Comune intimato si è costituito in giudizio con atto depositato il 3 novembre 1997.

In un successivo scritto, unico per entrambi i ricorsi, l'intimante ha insistito per l'accoglimento dei gravami, sottolineando comunque di non essere stato informato, al momento della presentazione della domanda, degli elementi restrittivi del diritto allo studio introdotti dall'Amministrazione comunale.

In resistenza alle proposte impugnative il Comune intimato ha prodotto un'unica memoria, nella quale ha sostenuto la necessità di richiedere, in assenza della frequenza obbligatoria delle lezioni, il superamento di almeno due esami durante ciascun anno accademico, a dimostrazione della proficua utilizzazione dei permessi di studio.

Controparte ha perciò chiesto il rigetto di ambedue i ricorsi, con ogni conseguenza di legge anche in ordine alle spese di lite.

DIRITTO

 

Evidenti ragioni di connessione inducono il Collegio a disporre, in via preliminare, la riunione dei ricorsi all'esame, ai fini della loro decisione con un'unica sentenza.

La pretesa azionata con l'odierno contenzioso merita accoglimento, alla stregua delle disposizioni che disciplinano la materia del diritto allo studio.

Al riguardo, stabilisce testualmente l'art. 3 ("Diritto allo studio") del d.P.R. 23 agosto 1988, n. 395 - recante le "Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo intercompartimentale di cui all'art. 12 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93" - che "Al fine di garantire il diritto allo studio sono concessi permessi straordinari retribuiti, nella misura massima di centocinquanta ore annue individuali." (comma 1), e che "I permessi di cui alla comma 1sono concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento di titoli di studio in corsi universitari, postuniversitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall'ordinamento pubblico." (comma 2).

E' prescritto, altresì, che il personale interessato ai corsi "ha diritto, salvo eccezionali ed inderogabili esigenze di servizio, a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non è obbligato a prestazioni di lavoro straordinario o durante i giorni festivi e di riposo settimanale." (comma 4), ed "è tenuto a presentare alla propria amministrazione idonea certificazione in ordine alla iscrizione ed alla frequenza alle scuole ed ai corsi, nonché agli esami finali sostenuti. In mancanza delle predette certificazioni, i permessi già utilizzati vengono considerati come aspettativa per motivi personali." (comma 6).

A sua volta, l'art. 24 (parimenti rubricato "Diritto allo studio") del d.P.R. 3 agosto 1990, n. 333 ("Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo 23 dicembre 1989 concernente il personale del comparto delle regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dei comuni, delle province, delle comunità montane, loro consorzi o associazioni, di cui all'art. 4, D.P.R. 5 marzo 1986, n. 68") statuisce, al comma 5, che "Per la concessione dei permessi i dipendenti interessati debbono presentare, prima dell'inizio dei corsi, il certificato di iscrizione e, al termine degli stessi, il certificato di frequenza e quello degli esami sostenuti."

Dal combinato disposto delle norme sopra riportate si evince, dunque, che la disciplina di settore non solo non prevede il numero minimo degli esami da documentare, ma neppure prescrive che gli esami finali, ai quali l'interessato si sia sottoposto nel corso o al termine dell'anno accademico, debbano essere stati superati, bensì si limita a richiedere la certificazione relativa a quelli sostenuti.

Nel privilegiare, pertanto, la lettera della norma che, nella circostanza, è chiara e non necessita di ulteriori specificazioni o interpretazioni di sorta ("in claris non fit interpretatio"), va in ogni caso riconosciuto che il dettato normativo risponde pienamente alla "ratio" dell'istituto delle 150 ore, dacché tende a facilitare il diritto allo studio e ad agevolare lo svolgimento delle attività didattiche e la preparazione agli esami.

Se, poi, come nel caso di specie, accade che uno o più esami finali non vengano superati, ciò non può legittimare l'operato dell'Amministrazione che provveda a considerare i permessi utilizzati come aspettativa per motivi personali.

Deve, invero, osservarsi che non il mancato superamento degli esami conduce ad una siffatta qualificazione giuridica delle ore di studio usufruite, bensì soltanto l'omessa produzione della certificazione relativa all'iscrizione ed alla frequenza alle scuole ed ai corsi, oltre a quella concernente gli esami finali sostenuti (cfr. art. 3, d.P.R. n. 395/1988, comma 6, secondo alinea).

Del resto, la riprova della correttezza di tale assunto si ricava dal disposto di cui all'art. 24, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 333/1990, laddove è stabilito che i permessi, qualora le richieste superino il tre per cento delle unità in servizio presso ciascuna amministrazione all'inizio dell'anno, vengono concessi secondo un determinato ordine, che vede prioritariamente indicati, unitamente ai dipendenti che frequentino l'ultimo anno del corso di studi, coloro che, studenti universitari o post-universitari, abbiano superato gli esami degli anni precedenti.

Come si vede, il superamento degli esami è situazione che privilegia la concessione dei permessi, allorché la richiesta sia superiore a determinati limiti percentuali, ma non si pone quale condizione indispensabile al fine di poterne comunque usufruire, nell'ipotesi in cui residui la possibilità di accordarli anche a chi, come il ricorrente, non abbia superato tutti gli esami sostenuti al termine o nel corso dell'anno accademico.

Rappresenta, dunque, un'evidente forzatura della vigente disciplina la disposizione comunale, contenuta nella circolare n. 65469 del 14 luglio 1994, la quale prescrive il superamento di almeno due esami finali, pena la qualificazione dell'assenza come aspettativa non retribuita per motivi di famiglia.

E' senz'altro ben vero che ogni amministrazione interessata è abilitata ad "introdurre norme regolamentari che, ad integrazione degli accordi e non in contrasto con essi, stabiliscano le «modalità» attraverso le quali venga fornita prova dell'accesso alla sede universitaria e del reale svolgimento delle attività indicate nella richiesta" (cfr. T.A.R. Toscana, 6 dicembre 1988, n. 1987).

Non è, tuttavia, consentito travalicare i limiti della norma, prevedendo condizioni e modalità addirittura in contrasto con la lettera, oltre che con lo spirito della disciplina fondamentale di riferimento.

Né, d'altra parte, può essere condivisa la giustificazione addotta dalla difesa comunale, a sostegno della restrittiva prescrizione imposta all'esercizio del diritto allo studio, giustificazione che si fonda sulla necessità di evitare speculazioni "in subiecta materia" e, quindi, di assicurare una proficua frequenza dei corsi, dal momento che la frequenza obbligatoria non è ormai più richiesta dalla quasi totalità degli istituti universitari.

Trattasi, invero, di argomento che non convince, giacché trascura di considerare, in primo luogo, che, all'atto dell'introduzione delle cosiddette centocinquanta ore, la frequenza obbligatoria non era già più richiesta in molti istituti di Facoltà universitarie, specialmente umanistiche, sicché ben presente doveva avere il legislatore la situazione relativa alla regolamentazione della frequenza dei corsi di studio, presso le varie Università italiane, dovendosi, al limite, restringere illogicamente il diritto di usufruire dei permessi di studio alle sole ipotesi di iscrizione a corsi universitari che richiedano la frequenza obbligatoria.

D'altro canto, l'attività dello studente nella sede universitaria non si esaurisce nella frequenza dei corsi e nella partecipazione ai relativi esami, ma comporta una serie di adempimenti indispensabili, connessi e tutt'altro che marginali, che inducono a ritenere più aderente allo spirito ed alla lettera della norma, un'interpretazione della stessa che consideri i permessi da concedere "diretti a consentire allo studente dipendente pubblico l'accesso all'università per svolgervi ogni attività «necessaria»: iscrizioni, esami, assistenza e presenza alle lezioni" (cfr. TAR Toscana, n. 1987/1988, cit.), e quant'altro risulti collegato e finalizzato all'esigenza di pervenire, in tempi ragionevoli, all'ultimazione con profitto degli studi universitari intrapresi.

Non sembra, pertanto, condivisibile la posizione assunta dall'Amministrazione intimata, che tende a penalizzare eccessivamente i dipendenti che, a volte incolpevolmente e per ragioni contingenti ed imprevedibili, si trovino a non poter documentare l'avvenuto superamento di almeno due esami nel corso dell'anno accademico, del resto neppure richiesto dalla normativa di settore.

Con riferimento, infine, alla specifica posizione dell'attuale ricorrente, corre obbligo osservare che l'interessato, al momento della presentazione, in data 15 dicembre 1995, della richiesta di congedo studi per l'anno 1996, non era verosimilmente al corrente della restrittiva prescrizione imposta dall'Amministrazione di appartenenza.

Invero, il modulo di domanda utilizzato e sottoscritto nella circostanza non conteneva il rinvio "a quanto previsto dalla circolare prot. n. 64569 del 14/7/1994 della Ripartizione I", riportato in altro e diverso modulo di domanda, ma rimandava unicamente alla normativa di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 395/1988.

In conclusione, la ravvisata fondatezza del ricorso n. 12157/1997 conduce al suo accoglimento e comporta inevitabilmente l'accoglimento anche del successivo ricorso n. 13267/1997, che risulta del pari fondato alla luce delle considerazioni in precedenza svolte.

Conseguentemente va disposto l'annullamento, per quanto di ragione, degli atti impugnati, con la declaratoria dell'obbligo dell'Amministrazione di restituire al ricorrente le somme indebitamente trattenute, maggiorate degli interessi al tasso legale e della rivalutazione monetaria, con l'osservanza dei limiti imposti dalla vigente normativa di settore per i crediti di lavoro maturati posteriormente al 31 dicembre 1994 (l. n. 724/1994).

Si rinvengono, infine, valide ragioni per disporre l'integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione seconda bis, accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i due ricorsi meglio specificati in epigrafe - previamente riuniti - e, per l'effetto, annulla, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.