(Tribunale Civile di Roma – Sezione Lavoro sentenza n. 22524 del 19.12.2005 – causa r.g. 219019/2004)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ritualmente e tempestivamente notificato J.S. conveniva in giudizio R.M. dinanzi all’intestato Tribunale in funzione di Giudice del lavoro, e premesso di aver lavorato alle dipendenze dell’Ambasciata di tale Repubblica presso lo Stato italiano in qualità di segretaria e traduttrice dal 1.9.1994 al 26.2.2004 lavorando tutti i gionri della settimana dalle 8,30 alle 16,30 con quindici minuti di pausa per il pranzo, e per due volte alla settimana di aver svolto un’ora e mezza oltre il normale orario di lavoro per una retribuzione iniziale di un milione di lire mensili via via aumentata fino ad € 945 mensili, esponeva che il rapporto si era risolto con il suo licenziamento e che non aveva percepito quanto dovutale per differenze retributive, lavoro straordinario, tredicesima, quattordicesima, indennità per le ferie ed i permessi non goduti, t.f.r., chiedendo pertanto che la condanna di controparte alla corresponsione dell’importo complessivo di € 152.073,67 calcolati in base alla retribuzione spettante al livello A2 del c.c.n.l. dei dipendenti da enti diplomatici. Si costituiva tardivamente in giudizio la Repubblica convenuta, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice italiano trattandosi di impiegata il cui rapporto deve ritenersi disciplinato da norme straniere, circostanza che esclude anche l’applicabilità della contrattazione collettiva italiana, e concludendo nel merito per il rigetto del ricorso assumendo che la ricorrente aveva svolto lavoro tecnico-amministrativo, affermandosi che avesse svolto mansioni inquadrabili nel livello B3 e non nel richiesto livello A2, e negandosi che avese svolto lavoro straordinario. Esaurita la fase istruttoria, concretatasi nell’acquisizione di documenti e nell’escussione di testi, all’odierna udienza la causa veniva decisa dandosi lettura del dispositivo in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione di difetto di giurisdizione è già stata respinta all’udienza del 18.5.2005, con ordinanza cui si rinvia, ribadendosi che la ricorrente si è limitata ad azionare pretese di esclusiva natura patrimoniale conseguenti allo svolgimento di prestazioni di lavoro subordinato, senza chiedere che fossero imposti facere specifici alla Repubblica convenuta – come ad esempio la reintegrazione nel posto di lavoro ed i provvedimenti ad essa consequenziali – di talché non viene in essere alcun vulnus alla sovranità della Repubblica di M. nei cui confronti viene rivolta domanda volta alla condanna al mero pagamento di una somma di denaro (vedi in termini con riferimento alle mansioni di segretaria Cass. SS. UU. n. 12771.1991, e n. 395.1999). Né il vulnus può essere recato dal fatto che funzionari di grado elevato della ricorrente percepiscano retribuzioni inferiori a quelle azionate in giudizio dalla ricorrente. Al di là del fatto che trattasi di circostanza meramente dedotta e non provata, si rileva che la stessa è del tutto ininfluente ai fini del decidere, poiché il presente giudizio non è volto a sindacare l’equità dei trattamenti retributivi dei dipendenti dell’Ambasciata in parola, avendo l’esclusiva finalità di accertare se la ricorrente sia stata retribuita secondo la contrattazione collettiva italiana – comunque applicabile nel caso di specie anche ex artt. 36 Costituzione [1]e2099 c.c. [2] con riferimento alla prestazione lavorativa svolta. Neppure applicabile è la normativa straniera come desumibile dagli stessi contratti versati in atti dalla resistente. E’ pur vero che in tali contratti (docc. 1 e seguenti) si prevede all’art. 2 che i lavori effettuati in base ai regolamenti del Ministero degli affari esteri della Repubblica, ma pare evidente che tali regolamenti riguardano appunto le modalità di svolgimento di una prestazione tipicamente amministrativa, e che del tutto ragionevolmente debbono essere svolti secondo i regolamenti sopra richiamati. Nondimeno il seguente art. 4 così recita: visto il regolamento italiano relativo al lavoro e in base al consenso del Ministero degli affari esteri della Repubblica alla suddetta (J.) si paga un compenso di lire 420.000. L’interpretazione di tale norma contrattuale porta inequivocabilimente all’applicazione della contrattazione collettiva italiana – così qualificato il regolamento italiano relativo al lavoro – cui lo Stato convenuto presta il consenso con riferimento alla retribuzione percepita dalla ricorrente. Ne discende che la disciplina patrimoniale del rapporto di lavoro intercorso tra le parti deve essere recata dalla contrattazione collettiva di cui si è invocata l’applicazione. Ciò premesso, si ritiene nel merito che la prestazione lavorativa svolta dalla ricorrente debba essere inquadrata nel richiesto livello A2 (ex secondo livello) che contempla, tra gli altri, interpreti e traduttori, nonché gli impiegati di concetto come da c.c.n.l. in atti. Che la ricorrente svolgesse anche traduzioni si può dire pacificamente accertato in sede di istruttoria. In tal senso si rimarca che lo stesso contratto di lavoro indica che la ricorrente è stata assunta per svolgere lavori amministrativo-tecnici (segretaria, consolari e – appunto – traduzioni). La circostanza è stata anche confermata da uno dei testi escussi – il G. – ex dipendente dell’Ambasciata che ha riferito di aver visto la ricorrente tradurre utilizzando il vocabolario. Entrambi i testi hanno poi dichiarato del tutto attendibilmente – anche a fronte dell’oggetto dei contratti sopra citati – che la ricorrente svolgeva mansioni di segreteria, e secondo il G. era anche la segretaria personale dell’Ambasciatore, peraltro, in assenza di altre segretarie, di talché deve escludersi che la J. abbia svolto mansioni meramente esecutive come assunto nella memoria di costituzione di parte resistente. Dalle deposizioni testimoniali è emerso che effettivamente la ricorrente ha lavorato dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 16,30 con una pausa per il pasto, e che talvolta restava in ufficio anche fino alle 19, circostanza questa che induce a ritenere provata l’esistenza di lavoro straordinario per circa tre ore settimanali per come chiesto in ricorso. Il ricorso è pertanto fondato e deve essere integralmente accolto. Ne discende che la ricorrente ha diritto alla corresponsione della somma richiesta in ricorso per le causali sopra indicate in base all’applicazione del c.c.n.l. dei dipendenti di Enti diplomatici, evidenziandosi che i conteggi – condivisi da questo giudice perché immuni da vizi logici o giuridici – non sono stati in alcun modo contestati sotto il profilo algebrico, posto che le contestazioni hanno riguardato essenzialmente l’inquadramento e le ore di lavoro straordinario. Di conseguenza la convenuta deve essere condannata a corrispondere in favore della ricorrente l’import di € 152.073, 67 oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. Spese secondo soccombenza, e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraia istanza,m deduzione ed eccezione così decide: 1) condanna la Repubblica di M. a corrispondere in favbore di J.S. l’importo di € 152.073,67 oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo; 2) condanna la Repubblica di M. a rifondere le spese processuali controparte che liquida in € 6.000,00, oltre iva e cpa.

Roma, 7.12.2005

Il Giudice

Dott. Carmine Castaldo

Depositato in cancelleria in data 19.12.2005





[1]
Ai sensi dell’art. dell’art. 36 della Costituzione "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita per legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi ".

 





[2]
Ai sensi dell’art. dell’art. 2099 del codice civile "la retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito. In mancanza di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali. Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura".