Benefici contrattuali su pensione: spettano solo quelli maturati in servizio
(Corte dei Conti Veneto, Sentenza 24 novembre 2004 n° 1559)

... il ricorso è infondato nel merito, atteso che per costante orientamento giurisprudenziale non possono essere riconosciuti a fini pensionistici tutti i miglioramenti economici previsti da un contratto collettivo, ma soltanto quelli maturati all'atto del collocamento a riposo e nell'entità effet-tivamente corrisposta (Corte dei conti Sezione III Giurisdi-zionale Centrale d'appello n.13 del 21 gennaio 2004 ed in tal senso anche Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto n.834 del 2001).
REPUBBLICA ITALIANA N. 1559/04

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO

IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

nella persona della Dott.ssa Rosalba Di Giulio

visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, appro-vato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modi-fiche;visti gli artt. 1 e 6 del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19;

visto l'art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205;

visti gli artt. 131, 132, 420, 421, 429, 430, e 431 c.p.c., nonché l'art. 26 del Reg. proc.: r.d. 1933, n. 1038;

visto l'atto introduttivo del giudizio;

esaminati gli atti e i documenti di causa;

chiamata la causa alla pubblica udienza del 16 novembre 2004, con l'assistenza del segretario d'udienza dr. Mizgur Stefano, ha emanato la seguente

SENTENZA

nel giudizio pensionistico iscritto al n. 16420 del registro di Segreteria, promosso con ricorso proposto dalla Signora xxxxxxxxx, nata a xxxxxxx (TV) l'11 settembre xxx e residente in xxx(TV), in via xxxxxx, nonché elettivamente domiciliata in xxxx(xx), in via Mazzini n.19 presso la sede del Patronato INAS-CISL, che la rappresenta e difende giusta mandato in atti,  contro l'INPDAP di Treviso, in persona del legale rappre-sentante pro tempore, onde ottenere l'accertamento del diritto alla riliquidazione della pensione sulla base di tutti i benefici retributivi previsti dall'art.42 del CCNL approvato con DPR 20 maggio 1987 n.270, compresi quelli maturati dopo la cessazione dal servizio e fino alla scadenza dell'ac-cordo. Ritenuto in

FATTO

Con il ricorso depositato in data 27 aprile 1992, la ricor-rente indicata in epigrafe, titolare di pensione CPDEL con iscrizione n.6738253, sulla posizione n.2887309, in quanto già dipendente della USL n.11 di xxxxx (TV), quale ausi-liaria di III livello, sino al collocamento a riposo avvenuto con decorrenza dall'1 marzo 1986, per cessazione dal servi-zio avvenuta il 28 febbraio 1986 per dimissioni volontarie, contestava il fatto che la sua pensione diretta ordinaria fos-se stata computata senza tenere conto di tutti gli aumenti del trattamento economico fissati dal CCNL approvato con D.P.R. 20 maggio 1987 n.270 ed attribuiti in modo fraziona-to nel triennio 1985-87.

La parte ricorrente assumeva di aver invece diritto ad ottenere la riliquidazione della pensione sulla base di tutti gli scaglioni di aumento retributivo fissati dal CCNL fino alla sua scadenza. Deduceva infatti che, essendo ancora in servizio al 1° gennaio 1985, data di decorrenza giuridica del pre-detto accordo e ricadendo comunque il collocamento a ripo-so nel periodo -1° gennaio 1985/31 dicembre 1987- di vi-genza del contratto collettivo, visto l'art. 13 del DPR 1983 n.93, doveva affermarsi il suo diritto a beneficiare per l'in-tero anche degli effetti economici incrementativi di matrice contrattuale liquidati in data successiva alla cessazione dal servizio, i quali erano da considerarsi unitariamente, anche se scaglionati nel tempo in più rate.

Concludeva, pertanto, chiedendo la riliquidazione del trattamento di quiescenza alla luce di tutti gli incrementi retributivi previsti dal menzionato CCNL, oltre rivalutazione ed interessi sugli importi differenziali dalle singole scadenze al saldo.

Con memoria depositata il 2 novembre 2004 si costi-tuiva in giudizio l'INPDAP, trasmettendo documentazione amministrativa relativa al collocamento in quiescenza della ricorrente e ricostruiva le vicende concernenti l'attribuzione del trattamento pensionistico.

Negava, in particolare, che nella specie si potesse van-tare un diritto al computo a fini pensionistici dei migliora-menti economici contrattuali maturati dopo la cessazione dal servizio e fino alla scadenza del CCNL, in carenza di una espressa previsione legale in tal senso e comunque osser-vava che il DPR n.270/87 non era integralmente applicabile al personale collocato a riposo in data antecedente all'1.1.88 ossia alla scadenza della sua vigenza triennale, eccependo infine la prescrizione del diritto vantato.

All'udienza odierna, presente per l'INPDAP il Dr. Taor-mina Antonio ed assente e non rappresentata la parte ricor-rente, la causa è stata decisa come da dispositivo in calce pubblicamente letto ai sensi dell'art.5 della legge 2000, n. 205, e depositato, al termine dell'udienza, in allegato al relativo verbale a disposizione delle parti come per legge. Considerato in

DIRITTO

In via preliminare deve darsi atto del fatto che, non essendo presenti tutte le parti o loro rappresentanti abilitati, all'udienza pubblica odierna non è stato possibile procedere al tentativo di conciliazione previsto dall'art. 420, comma 1, del c.p.c., norma applicabile ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei conti in virtù del richiamo operato dall'art. 5, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205.

La parte ricorrente sostanzialmente chiede la riliqui-dazione del trattamento di quiescenza con riferimento a tutti i miglioramenti conferiti, sotto il profilo stipendiale, al per-sonale civile di pari qualifica ed anzianità, ma in attività di servizio, dal DPR n.270/87 (“Norme risultanti dalla disci-plina prevista dall'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativa al comparto del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale”), rivendicando il diritto a ve-dersi computare nella base pensionabile i ratei retributivi anche successivi al suo collocamento a riposo e scaglionati rispettivamente alle scadenze dell'1.1.86, 1.1.87 ed 1.1.88.

Il ricorso è infondato nel merito, atteso che per co-stante orientamento giurisprudenziale non possono essere riconosciuti a fini pensionistici tutti i miglioramenti econo-mici previsti da un contratto collettivo, ma soltanto quelli maturati all'atto del collocamento a riposo e nell'entità effet-tivamente corrisposta (Corte dei conti Sezione III Giurisdi-zionale Centrale d'appello n.13 del 21 gennaio 2004 ed in tal senso anche Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto n.834 del 2001).

Non è invero riscontrabile, nel vigente ordinamento giuridico, un principio di carattere generale che prescriva di computare automaticamente, ai fini del trattamento di quie-scenza, gli incrementi retributivi introdotti per il personale in servizio e ciò è possibile soltanto in presenza di una espres-sa previsione legale o contrattuale.

Vige anzi, il principio contrario, che è quello consa-crato per i dipendenti civili e militari dello Stato nell'art.43 del DPR n.1092 del 1973, secondo cui la base pensionabile deve essere commisurata all'entità della retribuzione effetti-vamente percepita (o almeno maturata) all'atto del colloca-mento a riposo. Posto che, ai sensi dell'art. 1 del DPR n.270/87: “Gli effetti giuridici decorrono dal 1° gennaio 1985 e quelli economici dal 1° gennaio 1986 e si protraggo-no fino al 30 giugno 1988”, ai fini dell'applicazione degli aumenti stipendiali previsti dall'art.42 del CCNL in questio-ne, occorre dunque far riferimento soltanto alla retribuzione effettivamente percepita dal personale ancora in servizio e sino alla cessazione da quest'ultimo, limite posto dal legisla-tore alla progressione economica agganciata alla carriera e, di riflesso, alla determinazione della base pensionabile ai fini del computo del trattamento di quiescenza.

Né si potrebbe diversamente opinare invocando il disposto dell'art. 64 del D.P.R. n.270/87 il quale prevede che “Al personale destinatario del presente decreto che cessa dal servizio per raggiunti limiti di anzianità o di servizio ovvero per decesso o per inabilità permanente asso-luta i nuovi stipendi hanno effetto sul trattamento ordinario di quiescenza, normale e privilegiato, negli importi effettiva-mente corrisposti alla data di cessazione dal servizio e nelle misure in vigore alla data del 1° gennaio 1987 e 1 gennaio 1988, con decorrenza dalle date medesime”. Difatti, ove pu-re si volesse conferire a quest'articolo una portata derogato-ria alle regole generali (che per la verità, ad avviso della scrivente, non appare così chiaramente evincibile dal dato letterale della disposizione), è certo che esso contiene un'e-lencazione dei casi in cui gli aumenti stipendiali possono ri-percuotersi sul trattamento di quiescenza (personale cessato dal servizio per raggiunti limiti di anzianità o di servizio ov-vero per decesso o per inabilità permanente assoluta) che, per costante giurisprudenza di questa Corte, è da ritenere tassativa e non estensibile analogicamente ad ipotesi non contemplate.

Fra tali ipotesi, com'è evidente, non é compresa la ces-sazione dal servizio per dimissioni volontarie, indubbiamente nell'intento di evitare che si possa consentire al dipendente di lucrare l'intero beneficio economico contrattuale sulla ba-se di una propria volontaria scelta.

Ne discende che alla fattispecie in esame, trattandosi di dimissioni volontarie, dovrà quindi applicarsi in ogni caso il generale principio contenuto nell'art. 43 del T.U. n. 1092 del 1973 secondo cui, ai fini della determinazione della misura del trattamento pensionistico dei dipendenti civili, deve con-siderarsi, quale base pensionabile, l'ultimo stipendio inte-gralmente percepito, poiché non potrebbe costituire base pensionabile uno stipendio non percepito e non percepibile.

Ciò in quanto deve ribadirsi che, salvo deroghe norma-tive espressamente disposte, la base pensionabile deve determinarsi con riferimento alla sola retribuzione effettiva-mente e integralmente percepita l'ultimo giorno di prestazio-ne del servizio (artt. 43, 44, 53 e 54 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092).

Né per questo si potrebbe ritenere violato il principio costituzionale di uguaglianza fra cittadini, atteso che la posizione giuridica ed economica dei pubblici dipendenti può risultare diversificata, a fini pensionistici, anche solo in ra-gione della data di collocamento a riposo, che costituisce un elemento differenziante delle singole posizioni più volte già considerato costituzionalmente legittimo dal giudice delle leggi (cfr.: Corte Cost.  sentenze n.226/1993 e n.409/1995).

Né si può diversamente opinare ritenendo che gli sca-glioni di aumento debbano considerarsi come adempimento frazionato di un'unica obbligazione retributiva, poiché essi devono invece essere considerati autonomi.

Difatti anche il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la decisione n.266 del 1995 ha avuto occasione di affermare che lo scaglionamento dei benefici economici previsto da analoga disposizione del D.P.R. 25 giugno 1983 n. 344 (con cui sono state emanate le norme risultanti dalla disciplina prevista dagli accordi fra i sindacati ed il Governo a norma della legge 29 marzo 1983 n. 93, concernenti il personale dei vari comparti del pubblico impiego) non è da intendersi come una mera rateizzazione, ossia come peculiare modalità d'esecuzione di un'unica obbligazione precedentemente sor-ta. Ciò in quanto, nel disporre la "attribuzione" dei miglio-ramenti economici da determinate decorrenze, detti accordi hanno inteso riferirsi alla "costituzione" del diritto degli au-menti, senza che detti miglioramenti potessero avere rifles-si ai fini della riliquidazione delle pensioni dei dipendenti collocati a riposo prima di tali decorrenze. Neppure dalla natura di retribuzione differita della pensione può desumersi alcun necessario collegamento tra essa e l'incremento del trattamento retributivo del personale ancora in servizio.

Del resto sono intervenute sul punto anche le Sezioni Riunite di questa Corte, le quali nella sentenza del 9 giugno 1999 n.17/99/QM, sia pure con riferimento alla diversa questione concernente l'ambito di applicazione dell'accordo sindacale collettivo per il personale dei Ministeri di cui al D.P.R. 25 Giugno 1983, n. 344, hanno chiarito che “come non si matura in servizio il diritto ad un dato aumento per-centuale dello stipendio di cui all'art. 3 prima della decorren-za dell'anno di riferimento, parallelamente non può calcolar-si in pensione - avente natura di retribuzione differita - un trattamento retributivo mai acquisito in servizio e mai entra-to nel patrimonio del soggetto, in quanto il diritto all'intero, esistente in via potenziale o di mera aspettativa, non è poi sorto in concreto per non essersi verificata la condizione so-spensiva della permanenza in servizio alla data di matura-zione di quel determinato aumento percentuale annuale”.

Né giova alla parte ricorrente il richiamo all'art. 13 della legge 29 marzo 1983 n. 93 (oggi abrogato dall'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29) il quale, dopo aver sancito al 1° co. la durata triennale degli accordi, prevede al 2° co. che "la disciplina emanata sulla base degli accordi conserva provvisoriamente efficacia fino all'entrata in vigore di nuove normative, fermo restando che le stesse si applica-no dalla data di scadenza dei precedenti accordi".

La ratio della norma è soltanto quella di evitare solu-zione di continuità nel succedersi della normativa di fonte contrattuale, onde evitare che la disciplina dei rapporti di lavoro in essa contenuta, anche e soprattutto afferente agli aspetti economici, possa essere caducata ancor prima dell'entrata in vigore di una nuova disciplina pattizia (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI del 9 settembre 1992 n. 633).

In conclusione, applicando i delineati principi al caso di specie e, rilevato che la parte ricorrente cui si riferisce il trattamento pensionistico in questione risulta cessata dal servizio il 28 febbraio 1986, ossia durante la vigenza del citato CCNL, ma antecedentemente all'ultima scadenza (1.1.88) indicata ai fini della maturazione di tutti gli aumenti retributivi scaglionati nel triennio, il ricorso deve essere re-spinto, dovendo restare il trattamento pensionistico commi-surato alle sole retribuzioni effettivamente maturate e per-cepite all'epoca della cessazione, restando pertanto assor-bita l'eccezione di prescrizione sollevata dall'INPDAP.

 Sussistono, comunque, apprezzabili motivi di giustizia per dichiarare compensate le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per il Veneto-
Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando,
respinta ogni altra domanda, istanza od eccezione
rigetta il ricorso, dichiarando integralmente compensate tra le parti le spese processuali. Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti. Così deciso in Vene-zia, nella pubblica udienza del 16 novembre 2004.       
                                                      Il Giudice Unico delle Pensioni

                                                         (F.to Dott.ssa Rosalba Di Giulio)

 

 

Depositata in Segreteria il 24/11/04

                                                                                         Il Direttore della Segreteria

                                                                                              F.to Tonolo