SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
 

SEZIONE QUINTA
 

SENTENZA 12-04-2005 / 22-04-2005, n. 15271


 

Svolgimento del processo

 

(omissis). impugnano per cassazione la sentenza che, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, ne ha dichiarato la colpevolezza in ordine al delitto di falso in atto pubblico, perchè, nella qualità di ispettrici dell'Inail, avevano attestato e documentato falsamente spese di missione superiori a quelle effettivamente affrontate. Propongono entrambe due motivi d'impugnazione.

 

Con il primo motivo le ricorrenti deducono violazione dell'art. 479 c.p. e sostengono che le richieste di rimborso delle spese di missione non vengono redatte nell'esercizio di pubbliche funzioni, sicchè si tratta di atti privati per i quali non è punibile la falsità ideologica. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono in via subordinata violazione dell'art. 480 c.p., sostenendo che le suddette richieste di rimborso possono essere qualificate tutt'al più certificati amministrativi, non atti pubblici.

 

Il primo motivo del ricorso è fondato e assorbente. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, "in materia di falso ideologico in atto pubblico, è tale ogni scritto redatto dal pubblico impiegato e dal pubblico ufficiale per uno scopo inerente alle loro funzioni, anche quando si tratti di atti di corrispondenza, interna o esterna, o comunque, di atti interni alla P.A., anche non tassativamente previsti dalla legge: ciò che rileva è la provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni ed il contributo da esso fornito - in termini di conoscenza o di determinazione - ad un procedimento della Pubblica amministrazione" (Cass., sez. 5^, 18 marzo 1999, Andronico, m. 213363).

 

Sicchè è sufficiente che l'atto provenga dalla pubblica amministrazione, perchè rientri nella tutela prevista dall'art. 479 c.p., essendo irrilevante la sua eventuale destinazione meramente interna all'organizzazione.

 

Vanno pertanto considerati pubblici anche gli atti redatti dal pubblico dipendente per attestare l'effettivo espletamento di una missione di istituto (Cass., sez. 5^, 23 ottobre 1995, Iaquinta, m. 202500) ovvero la sua stessa presenza in ufficio (Cass., sez. 5^, 9novembre 2004, Amendola, m. 230261), perchè si tratta di attestazioni attinenti, oltre che eventualmente al rapporto di lavoro del dichiarante, anche al regolare funzionamento dell'ufficio pubblico e possono assumere nei confronti dei terzi un rilievo probatorio non predeterminabile.

 

Deve escludersi invece che il pubblico dipendente rediga atti pubblici quando non agisca neppure indirettamente per conto della pubblica amministrazione, ma operi solo come soggetto privato in un rapporto contrattuale con la sua stessa amministrazione di appartenenza. E tanto si desume non solo dall'art. 479 c.p., che per la sua applicazione richiede l'esercizio delle funzioni pubbliche, e dall'art. 493 c.p., che presuppone l'esercizio delle attribuzioni dell'incaricato di pubblico servizio equiparato al pubblico ufficiale, ma anche dall'art. 482 c.p., laddove, sia pure ai soli fini delle falsità materiali, equipara al privato il pubblico ufficiale che agisca al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni.

 

Redige perciò un atto privato il pubblico dipendente che, avendo effettivamente compiuto una missione fuori sede, richieda il rimborso delle spese sostenute per il trasferimento.

 

In questi casi infatti il pubblico dipendente non esprime la volontà o la conoscenza della pubblica amministrazione, ma rappresenta esclusivamente un suo interesse privato, senza attestare alcunchè in ordine all'attività della pubblica amministrazione. Sicchè nella sua condotta risulterà configurabile il delitto di truffa ai danni dell'amministrazione dalla quale dipende, ma non sarà ipotizzabile un falso punibile, perchè, com'è noto, la falsità ideologica in atti privati non è prevista come reato.

 

La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

 

P.Q.M.

 

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

 

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2005.

 

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2005.