LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
B. M., assumendo che era stato attinto con
gravissime conseguenze lesive da un colpo di arma da fuoco esploso da
una pattuglia di carabinieri composta da P. M. e S. S. contro
l’autovettura, sulla quale si trovava, dopo che la stessa aveva
forzato un posto di blocco, conveniva innanzi al Tribunale di Venezia
il ministero dell’Interno per ottenere la condanna al risarcimento dei
danni.
Nella contumacia accoglieva la domanda, liquidando
il danno in £ 1.034.632.000.
La Corte di appello di Venezia perveniva ad opposta
conclusione, considerando che, se pure si doveva condividere quanto
affermato dal tribunale e, cioè, che nel quadro di un doveroso
contemperamento degli interessi in gioco il tiro avrebbe dovuto essere
ad altezza tale da evitare di mettere in pericolo le persone che
occupavano l’autovettura, tuttavia la condotta del P., il quale aveva
esploso il colpo, costituiva esercizio di attività doverosa e mirava a
respingere una resistenza all’autorità, sicchè era riconducibile
all’esercizio di un diritto- dovere con esclusione dell’ingiustizia
del danno; che non era possibile ascrivere l’evento a colpa del P.,
che si trovava in condizioni tali che non si poteva pretendere la
normale precisione di tiro, considerato che la raffica di mitra
risulta essere stata sparata in un unico contesto nell’immediatezza
della caduta del limite.
Il B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base
di quattro motivi; l’intimato non ha svolto attività difensiva in
questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso non contiene una parte dedicata alla
esposizione dei fatti, ma è ciononostante ammissibile in quanto la
vicenda processuale si può ricostruire negli elementi indispensabili
per decidere attraverso i motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia falsa
applicazione degli artt. 2043
c.c. e 53 c.p. [1]; sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto
dalla corte di merito, non è ravvisabile uso legittimo delle armi con
esclusione dell’ingiustizia del danno tutte le volte che, come nella
specie, venga fatto fuoco contro chi senza opporre resistenza si da
alla fuga per sottrarsi all’arresto.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta carenza
e contraddittorietà della motivazione; in particolare addebita alla
corte di merito di avere ritenuto la ricorrenza della scriminante di
cui all’art. 53 c.p. sulla base di una ricostruzione dei fatti
resistita dalle risultanze probatorie e soprattutto senza considerare
che i colpi sono stati esplosi ad altezza di uomo contro autovettura i
corsa dal P. che, come da lui stesso dichiarato, non è affatto caduto
a terra.
I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la
stretta interdipendenza, sono fondati nei limiti che risultano da
quanto appresso.
Il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa
Corte, secondo la quale quando taluno si sottrae con la fuga ad
un’intimazione e all’arresto l’uso delle armi non è legittimo perché
la fuga non costituisce resistenza attiva.
La giurisprudenza più recente è orientata
diversamente (Casss. Pen., sez. IV, 7/6/2000, Branbcatelli, in Cass.
pen. 2001, 2716).
Muovendo dalla considerazione che nella descrizione
della fattispecie la distinzione tra resistenza attiva e passiva non
assume alcuna rilevanza, tale giurisprudenza utilizza il criterio
della proporzione tra i contrapposti interessi come requisito
implicito e canone immanente della fattispecie medesima con
estensione, oltre che alla legittimità dell’uso dell’arma in se, alla
graduazione di esso, tenendo comunque presente che al p. u., il quale
si trovi in situazione che imponga l’adempimento del dovere, non è
riconosciuta, come invece nel caso della legittima difesa o dello
stato di necessità, un’opzione di rinuncia o di commodus discessus.
Conseguentemente la fuga non impedisce al p. u. di
usare le armi tutte le volte che l’uso sia necessario, avuto riguardo
al criterio di proporzionalità tra gli interessi in conflitto e
precisamente tra il rischio di danno al fuggitivo ed a terzi, seppure
per questi in diversa prospettiva, ed il contenuto del dovere di
ufficio da adempiere.
In particolare, quando l’uso dell’arma sia
finalizzato a bloccare la fuga di malviventi si deve ritenere che
sussista la proporzione, ove per le specifiche modalità con le quali i
fuggitivi cercano di sottrarsi alla cattura siano ragionevolmente
prospettabili in aggiunta all’avvenuta commissione di reati, al cui
accertamento essi cerchino di sottrarsi, rischi attuali per
l’incolumità e la sicurezza di terzi; verificandosi tale ipotesi, ed
accertata quindi la legittimità dell’uso dell’arma, nella specifica
forma prescelta dal p. u., non può farsi poi carico a quest’ultimo
dell’evento diverso e più grave da lui prodotto, rispetto a quello
preventivato, quando tale evento non sia riconducibile a negligenza o
imperizia, ma all’ineludibile componente di rischio che l’uso
dell’arma in se comporta.
A questa giurisprudenza, condivisa da autorevole
dottrina, aderisce il Collegio, ritenendo pertanto che, contrariamente
quanto sostenuto dal ricorrente, il solo fatto che l’autovettura ha
proseguito la marcia e non l’ha arrestata al posto di blocco non vale
di per se ad escludere la legittimità dell’uso delle armi.
Peraltro, la sentenza impugnata presenta le carenze
motivazionali che le vengono addebitate in quanto ha ritenuto che il
P. ha esploso i colpi di arma da fuoco da terra senza esaminare la
deposizione dell’altro carabiniere, S. S., riportata nel ricorso,
dalla quale risulta che il P. voltandosi indietro, faceva partire una
raffica; deposizione che incide direttamente sui punti che concernono
la proporzionalità tra gli interessi in conflitto nella graduazione
dell’uso dell’arma, con possibilità di esclusione della legittimità
dell’uso stesso, e la valutazione del comportamento del p. u. sotto il
profilo della diligenza e della perizia.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con
rinvio per nuovo esame sulla base dei principi di cui sopra e
pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione ad altra sezione
della Corte di Appello di Venezia.
Rimangono assorbiti i rimanenti motivi: il terzo
perché il ricorrente lamenta di essere stato condannato alle spese del
giudizio di primo grado in favore del ministero, ancorchè lo stesso
fosse contumace; il quarto perché il ricorrente si duole della carente
motivazione dell’ordinanza di sospensione.
PQM
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del
ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa in relazione la sentenza
impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte
di Appello di Venezia.
Roma, 28/4/2003.
Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2003.