Non sussiste la giurisdizione esclusiva del tribunale amministrativo
Il giudice ordinario può disapplicare i decreti ministeriali PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione Sezioni Unite Civili 1807/2003)
   
   
Il giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, può disapplicare gli atti amministrativi di carattere generale, se sono presupposti agli atti, organizzativi o di gestione, che hanno ingenerato la controversia di lavoro. Il giudice ordinario, infatti, ha il compito di tutelare tutti i diritti soggettivi inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Nella consapevolezza che, anche nelle materie riservate alla legge e sottratte alla contrattazione, le situazioni giuridiche del dipendente hanno, se inerenti al rapporto, la consistenza del diritto soggettivo. E’ questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, in un ordinanza emessa in sede di regolamento di giurisdizione: uno strumento procedurale cui possono ricorrere le parti in lite, per conoscere il parere delle Sezioni unite ogni volta che vi sono dubbi sulla giurisdizione. Il caso riguardava un’assistente bibliotecaria trasferita da un Ente locale allo Stato, contro la sua volontà, che si era opposta al trasferimento con un ricorso d’urgenza. Ricorso al quale aveva fatto seguito il diniego del giudice per difetto di giurisdizione. Di qui la domanda di regolamento di giurisdizione da parte della ricorrente, che otteneva una pronuncia favorevole da parte della Cassazione, la quale dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario. (27 marzo 2003)  


Suprema Corte di Cassazione Sezioni Unite CiviliOrdinanza n. 1807 del 6 febbraio 2003. PUBBLICO IMPIEGO PRIVATIZZATO – COGNIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO – DISAPPLICAZIONE DI DECRETO MINISTERIALE.

 

 

(Sezioni Unite Civili - Presidente R. Corona - Relatore S. Evangelista)

RITENUTO IN FATTO

Con contratto individuale sottoscritto il 7 giugno 1999, la dott.ssa N. C., dopo avere partecipato con esito favorevole al concorso bandito nell'anno 1995, veniva assunta alla dipendenze dell'Amministrazione Provinciale di Roma, con la qualifica di assistente di biblioteca, e destinata al Liceo scientifico (omissis).

Peraltro, la pressoché coeva legge 3 maggio 1999, n. 124 stabiliva che: a) il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario dipendente dagli enti locali ed in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della legge medesima transitasse alle dipendenze dello Stato, con inquadramento in qualifiche funzionali e profili professionali corrispondenti a quelli di provenienza, nonché con conservazione, ad ogni effetto, delle pregresse anzianità e della sede di lavoro; b) in difetto di tale corrispondenza, il personale interessato potesse esercitare, entro tre mesi dalla data suddetta, l'opzione per il mantenimento del rapporto con l'ente locale.

Le disposizioni di attuazione venivano dettate con Decreto del Ministro della Pubblica Istruzione n. 184 del 23 luglio 1999, ivi prevedendosi il passaggio nei ruoli statali sia del personale già in servizio alla data (25 maggio 1999) di entrata in vigore della legge n. 124 del 1999, sia di quello successivamente assunto (fino al 31 dicembre 1999) in espletamento di procedure concorsuali indette prima della medesima data.

La dott.ssa C., con istanza del 6 agosto 1999 dichiarava di volere optare per la permanenza nei ruoli dell'Amministrazione provinciale, ai sensi dell'art. 8, secondo comma della citata legge n. 124 del 1999 [1] .

L'Amministrazione provinciale, con nota del 20 settembre 1999, comunicava di non potere accogliere la richiesta di permanenza nei propri ruoli, poiché il profilo professionale dell'interessata trovava corrispondenza, in quelli del personale statale.

Con ricorso al Tribunale di Roma la dott.ssa C. chiedeva, pertanto, che, mentre, in via cautelare ed urgente, fosse sospeso il suo trasferimento nei ruoli del personale dipendente dallo Stato, nella sede di merito, contestualmente adita, fosse accertata l'illegittimità del trasferimento medesimo, non essendo essa ricorrente in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 1999, e che fosse disposta la sua reintegrazione nei ruoli dell'Amministrazione provinciale, con condanna della medesima alle conseguenti differenze retributive.

Il giudice adito negava il provvedimento cautelare richiesto, rilevando che le rivendicazioni della ricorrente erano resistite da contrarie disposizioni del D.M. n. 184 del 1999 [2] , atto di normazione secondaria, con caratteristiche di generalità ed astrattezza, non disapplicabile, in quanto tale, dal giudice ordinario.

In pendenza della trattazione del merito della causa, la lavoratrice ha, quindi proposto istanza di regolamento preventivo della giurisdizione, cui resiste l'Amministrazione provinciale con controricorso e successiva memoria illustrativa.

Non hanno spiegato attività difensiva il Ministero della Pubblica Istruzione ed il Liceo Scientifico (omissis).

CONSIDERATO IN DIRITTO

La ricorrente sostiene che la controversia è devoluta alla giurisdizione ordinaria, in relazione alla natura contrattuale del rapporto di lavoro che dà causa alle pretese in contestazione fra le parti, mentre questo momento di collegamento non è vanificato dalla circostanza che venga in rilievo la legittimità o meno di un atto amministrativo presupposto, come il D.M. n. 184 del 1999.

L'assunto è fondato.

Deve premettersi che la controversia ha ad oggetto un rapporto di lavoro di lavoro contrattualizzato, ai sensi dell'art. 2, secondo e terzo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 [3] , ossia non compreso nel novero di quelli che l'art. 3 dello stesso decreto riserva ancora al regime del diritto pubblico.

Opera, quindi, in materia, la disposizione dell'art. 63, 1° co., del citato d.lgs n. 165 del 2001, ossia la regola della devoluzione al giudice ordinario (in funzione di giudice del lavoro, e, quindi, con applicazione dell'ordinario rito del lavoro se non specificamente derogato) di tutte le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.

Né, attesa l'epoca nella quale si collocano i fatti di causa, può essere richiamata in contrario la disposizione transitoria di cui all'art. 69, settimo comma, del ripetuto decreto legislativo, la quale mantiene in vita la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo limitatamente alle controversie su questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998.

Rimane, dunque, soltanto da scrutinare se, nella specie, la giurisdizione ordinaria l possa trovare deroga in favore di quella amministrativa, in considerazione della natura pubblicistica delle fonti contenenti la disciplina del trasferimento del personale in questione dai ruoli dell'Amministrazione provinciale a quelli dell'Amministrazione statale, e, in particolare, per essere la pretesa della ricorrente (di conservare il suo posto di lavoro presso la prima di tali amministrazioni) in conflitto con le disposizioni dettate dal D.M. n. 184 del 1999, del quale la ricorrente medesima deduce l'illegittimità.

Alla questione deve darsi risposta negativa.

Esiste certamente una spiccata specialità della disciplina del rapporto di lavoro pubblico "contrattualizzato", data dal sistema delle fonti concorrenti (la legge e il contratto, ma anche gli atti organizzativi, normativi o amministrativi); dal procedimento di formazione dei contratti collettivi del settore e dal sistema di selezione dei soggetti contrattuali; dalla natura giuridica e dagli effetti peculiari dei contratti collettivi; dalla stipulazione del contratto di lavoro con soggetti scelti all'esito di procedimenti amministrativi; dalla sensibile deviazione rispetto a regole fondamentali del lavoro privato (inapplicabilità della sanzione della costituzione di rapporti a tempo indeterminato per la violazione delle regole sulle assunzioni a tempo; disciplina delle mansioni; divieto di svolgere altre attività e regime delle incompatibilità, ecc.).

Queste peculiarità di disciplina sono, quindi, tali da collocare il rapporto suddetto a metà strada tra il modello pubblicistico e quello privatistico (in questo senso si è espressa la Corte costituzionale nelle sentenze n. 313 del 1996 e n. 309 del 1997).

Rimane nondimeno il dato fondamentale del processo riformatore intrapreso dal legislatore e cioè l'obiettivo di assicurare l'applicazione di una disciplina tendenzialmente omogenea ai lavoratori pubblici ed a quelli privati; così come è agevole osservare che esso è apparso irrealizzabile, senza provvedere contestualmente alla concentrazione della, competenza giurisdizionale presso un unico giudice, il quale, di conseguenza, non poteva che essere il giudice ordinario.

Coerentemente, in tema di giurisdizione, la l. n. 59 del 1997, in sede di determinazione dei criteri di delega, ha imposto l'abbandono della prospettiva originaria della l. n. 421 del 1992, tradottasi nell'elencazione delle controversie devolute al giudice ordinario, prospettiva che aveva comportato l'espressa esclusione dall'ambito della giurisdizione ordinaria delle controversie inerenti alle materie riservate alle fonti pubblicistiche, con l'inevitabile effetto di conservare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per talune questioni pur inerenti al rapporto di lavoro.

Al fine di realizzare il risultato che sia un solo giudice ad occuparsi dell'intera e unitaria controversia che può coinvolgere, insieme, l'atto amministrativo presupposto e l'atto applicativo di organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro, il controllo è stato accentrato presso il giudice ordinario, utilizzando lo strumento processuale della cognizione incidenter tantum [4] , senza effetti di giudicato, dell'atto amministrativo; ed il richiamo dell'istituto della disapplicazione di cui all'art. 5 l. n. 2248 del 1865, All. E, è indizio preciso che non sono state prefigurate forme di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario (di dubbia conformità all'attuale quadro ordinamentale tracciato dalla Costituzione), e che a quest'ultimo si è semplicemente attribuito il compito di tutelare tutti i diritti soggettivi inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, nella consapevolezza che anche nelle materie riservate alla legge e sottratte alla contrattazione le situazioni giuridiche del dipendente hanno, se inerenti al rapporto, la consistenza del diritto soggettivo.

Le linee generali del nuovo sistema processuale sono, dunque, coerenti col fenomeno di un'amministrazione che si procura anche le risorse umane mediante la I stipula di contratti di diritto privato, al pari di altri mezzi e beni (che si procura, per es., con contratti di appalto o fornitura).

Pertanto, soppressa la giurisdizione esclusiva amministrativa sulla materia del lavoro pubblico, il criterio di riparto della giurisdizione è quello, generale, della consistenza della situazione giuridica dedotta in giudizio, che deve riguardare il contratto ed il rapporto che ne è nato per radicare la giurisdizione ordinaria, pur senza rinunciare la legge ad indicare espressamente, al fine di chiarire eventuali dubbi, talune controversie pur sempre di diritto soggettivo, ancorché non tecnicamente inerenti al "rapporto di lavoro".

La separazione tra fonti pubblicistiche di disciplina dell'organizzazione amministrativa e fonti privatistiche di disciplina degli uffici e dell'organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro, rende coerente, nel presupposto della rinunzia a forme di giurisdizione esclusiva, la scelta di devolvere al giudice ordinario le controversie sul rapporto di lavoro.

In effetti, una controversia che non assumesse a suo oggetto il contratto e le fonti che disciplinano il rapporto di lavoro, ma, in via diretta, l'organizzazione amministrativa o il potere provvedimentale (es. contestazione della legittimità dell'atto di indirizzo politico-amministrativo dell'organo di vertice, degli atti che individuano gli uffici dirigenziali ed i modi di conferimento) non sarebbe inerente al rapporto di lavoro.

In questa prospettiva, assume rilievo centrale il disposto dell'art. 5, co. 2, non tanto nella parte in cui precisa che le "misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro" (infatti, è ovvio che nell'esecuzione di un contratto vengano in rilievo atti negoziali), quanto in quella che assegna al diritto privato e al dominio degli atti negoziali anche "le determinazioni per l'organizzazione degli uffici", assunte nel rispetto delle leggi e degli atti amministrativi organizzativi di cui all'art. 2, co. 1.

Emerge chiara la consapevolezza dell'impossibilità di "privatizzare" i rapporti di lavoro senza privatizzare anche, in qualche modo, l'organizzazione entro la quale il lavoro è prestato. In caso contrario, non sarebbero stati concepibili atti di gestione del rapporto di lavoro se non accompagnati, doppiati, da atti amministrativi organizzativi e la controversia di lavoro avrebbe necessariamente implicato sempre questioni di legittimità dell'atto amministrativo, rendendo vano l'intento di parificare i poteri della p.a. a quelli di ogni altro datore di lavoro.

Dalle osservazioni che precedono discende che né l'ampiezza della discrezionalità delle valutazioni spettanti all'amministrazione, né la loro particolare rilevanza sul piano organizzativo, rappresentano elementi che possano indurre a dubitare della sussistenza della giurisdizione ordinaria, rilevando, fondamentalmente, il solo dato dell'inerenza della controversia al rapporto di lavoro.

In emetti, una controversia che non assumesse a suo oggetto il contratto e le fonti che disciplinano il rapporto di lavoro, ma, in via diretta, l'organizzazione amministrativa o il potere provvedimentale (es. contestazione della legittimità dell'atto di indirizzo politico-amministrativo dell'organo di vertice, degli atti che individuano gli uffici dirigenziali ed i modi di conferimento) non sarebbe inerente al rapporto di lavoro.

In questa prospettiva, assume rilievo centrale il disposto dell'art. 5, co. 2, non tanto nella parte in cui precisa che le "misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro" (infatti, è ovvio che nell'esecuzione di un contratto vengano in rilievo atti negoziali), quanto in quella che assegna al diritto privato e al dominio degli atti negoziali anche "le determinazioni per l'organizzazione degli uffici", assunte nel rispetto delle leggi e degli atti amministrativi organizzativi di cui all'art. 2, co. 1.

Emerge chiara la consapevolezza dell'impossibilità di "privatizzare" i rapporti di lavoro senza privatizzare anche, in qualche modo, l'organizzazione entro la quale il lavoro è prestato. In caso contrario, non sarebbero stati concepibili atti di gestione del rapporto di lavoro se non accompagnati, doppiati, da atti amministrativi organizzativi e la controversia di lavoro avrebbe necessariamente implicato sempre questioni di legittimità dell'atto amministrativo, rendendo vano l'intento di parificare i poteri della p.a. [5] a quelli di ogni altro datore di lavoro.

Dalle osservazioni che precedono discende che né l'ampiezza della discrezionalità delle valutazioni spettanti all'amministrazione, né la loro particolare rilevanza sul piano organizzativo, rappresentano elementi che possano indurre a dubitare della sussistenza della giurisdizione ordinaria, rilevando, fondamentalmente, il solo dato dell'inerenza della controversia al rapporto di lavoro.

Avallo di queste conclusioni si ricava dalla sentenza n. 275 del 2001, con la quale la Corte costituzionale ha già giudicato non fondata la questione di legittimità della norma che devolve le controversie sul conferimento degli incarichi dirigenziali al G.O. [6] , prospettata sotto il profilo dell'eccesso di delega, in quanto sarebbe stata creata un'ipotesi di giurisdizione esclusiva ordinaria, estesa, cioè, in via principale e non incidenter tantum, al controllo del corretto esercizio del potere amministrativo e alla tutela di situazioni di interesse legittimo.

Il giudice delle leggi (in linea con i suoi precedenti: ordinanze nn. 140 e 165 del 2001) ha, preliminarmente, osservato che il principio della disapplicazione, ed il relativo limite ai poteri del giudice ordinario di fronte ad un atto amministrativo illegittimo non costituiscono una regola di valore costituzionale, sicché il legislatore può ben esercitare la sua discrezionalità conferendo ad un giudice, sia ordinario, sia amministrativo, il potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti, secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste (art. 113, c. 3°, Cost.), nel perseguimento dell'obiettivo di rafforzare la effettività della tutela giurisdizionale e concentrarla presso un unico giudice in determinate materie.

La legge di delegazione ha inteso modellare tutti i rapporti di lavoro dei dipendenti delle p.a. secondo "il regime di diritto privato del rapporto di lavoro", sicché, sia pure tenendo conto della specialità del rapporto e delle esigenze del perseguimento degli interessi generali ha voluto che "le posizioni soggettive degli anzidetti dipendenti delle pubbliche amministrazioni, compresi i dirigenti di qualsiasi livello, fossero riportate, quanto alla tutela giudiziaria, nell'ampia categoria dei diritti di cui all'art. 2907 cod. civ. [7] come intesa dalla più recente giurisprudenza di legittimità".

La stessa sentenza ha inoltre sottolineato che si tratta di tutela "piena", stanti i poteri attribuiti al G.O., né operano limiti relativamente all'oggetto della cognizione (che investe tutti i vizi dell'atto derivanti dalla violazione delle garanzie formali e sostanziali poste dalla legge o dal contratto), mentre l'esistenza di un atto amministrativo presupposto, non può costituire limitazione alla competenza del g.o. potendo questi conoscerlo in via incidentale, ai fini della disapplicazione

Ha, quindi, concluso, nel senso che la tutela giurisdizionale del rapporto di lavoro pubblico privatizzato, fatti salvi i casi normativamente previsti di giurisdizione amministrativa , non può che spettare al G.O per effetto del riconoscimento di posizioni di diritto soggettivo, quali sono quelle che derivano dallo strumento paritario costituito dal contratto.

Finalizzando le superiori osservazioni alla soluzione della questione di giurisdizione posta dal presente regolamento è, ormai, agevole osservare che quante volte la domanda introduttiva del giudizio esibisca un petitum sostanziale che si identifichi col rapporto di lavoro, tante volte sussiste, alla stregua dell'esposta disciplina, la giurisdizione del giudice ordinario, non rilevando in contrario che la prospettazione della parte si esprima in senso impugnatorio di atti prodromici, come è reso evidente dalla circostanza che il primo comma del citato art. 68 espressamente prevede che la giurisdizione ordinaria non è impedita dall'eventualità che "vengano in questione atti amministrativi presupposti". Né è dato configurare, nell'ipotesi di petitum sostanziale esteso, ad un tempo, sia all'impugnativa di atti presupposti, sia ai conseguenti atti di gestione del singolo rapporto di lavoro, una sorta di vis attractiva della giurisdizione amministrativa, a cagione di questo nesso di presupposizione.

Al riguardo, è appena il caso di ricordare che, salve deroghe normative espresse (non rinvenibili nella disciplina del trasferimento al giudice ordinario della giurisdizione sulle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato), vige nell'ordinamento processuale il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione, potendosi, poi, risolvere i problemi di coordinamento posti dalla concomitante operatività della giurisdizione amministrativa e di quella ordinaria su rapporti diversi, ma interdipendenti, secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato (v. Cass., sez. un., 1° marzo 1989, n. 1108).

Orbene, nel caso in esame, come discende dai fatti esposti in parte narrativa, la ricorrente propone una domanda il cui petitum sostanziale si compendia nel diritto alla continuazione del rapporto di lavoro in atto con l'amministrazione provinciale, diritto che si assume leso da una contraria determinazione di quest'ultima: il che, giusta le superiori osservazioni, costituisce l'indubbio momento di collegamento della controversia con la giurisdizione ordinaria.

La circostanza che la cognizione in ordine a tale domanda comporti una valutazione della legittimità o meno del D.M. del 1999 e, prima ancora, della sussistenza o meno, in base alla natura dell'atto, del potere di disapplicazione ad opera del detto giudice non rileva ai fini della giurisdizione, ma comporta esclusivamente questioni di limiti interni alla giurisdizione del giudice ordinario, le cui statuizioni sono invocate e devono ricadere esclusivamente sul singolo atto di gestione del rapporto (rigetto dell'istanza di opzione per la continuazione del rapporto col l'Amministrazione provinciale), del quale non può negarsi la riferibilità alla normale capacità di diritto privato dell'Amministrazione stessa.

In conclusione deve essere dichiarata la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria.

In relazione alla peculiarità della questione, implicante l'esame di questioni che, in relazione alla data recente delle norme di previsione non hanno ancora ricevuto una elaborazione giurisprudenziale consistente e delle conseguenti incertezze circa le possibili previsioni, rese palese dal fatto che lo stesso Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni difformi da quelle cui sono pervenute le Sezioni Unite, si ritengono sussistenti giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio di regolamento.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dichiara la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria e compensa le spese del giudizio di regolamento.