LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Guglielmo SCIARELLI - Presidente -
Dott. Giovanni MAZZARELLA - Consigliere -
Dott. Guido VIDIRI - Rel. Consigliere -
Dott. Giuseppe CELLERINO - Consigliere -
Dott. Camilla DI IASI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE SANTO
25, presso lo studio dell'avvocato M.P., che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
TELECOM ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo
studio dell'avvocato M.M., che lo rappresenta e difende,
giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 16056/01 del Tribunale di ROMA, depositata il
05/05/01 - R.G.N. 13697/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21/10/03 dal Consigliere Dott. Guido VIDIRI;
udito l'Avvocato P.;
udito l'Avvocato D. F. per delega M.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Orazio FRAZZINI che ha concluso, in via principale rimessione Sezione
Unite ed in subordine il rigetto del ricorso.
Fatto
Con ricorso ritualmente notificato E.L., già dipendente della Società
Italcalbe, chiedeva la condanna della s.p.a. TeleCom Italia (già Italcalbe)
al pagamento delle somme indicate in ricorso. A sostegno delle sue domande
il ricorrente assumeva che aveva prestato la sua attività secondo turni
avvicendati ultrasettimanali con orari notturni e diurni nonché domenicali,
ricevendo per il lavoro notturno e domenicale compensi maggiorati. Lamentava
ancora che il datore di lavoro non aveva computato, nella base di calcolo
per ferie, 13° mensilità e festività, le suddette maggiorazioni.
Il Pretore di Roma rigettava le domande.
A seguito di gravame, il Tribunale di Roma con sentenza 5 Maggio 2001
rigettava l'appello e compensava le spese del grado.
Il Tribunale, precisato in diritto che nel nostro sistema non vige il
principio dell'onnicomprensività della retribuzione, affermava poi che
spetta alla contrattazione collettiva fissare la retribuzione parametro su
cui computare ciascuno degli istituti della retribuzione indiretta o
differita, salvo i limiti che all'autonomia negoziale privata, sia
collettiva che individuale, derivano da norme imperative di legge o da
contratti collettivi efficaci erga omnes, che impongono, appunto, nozioni
onnicomprensive di retribuzione - parametro.
Ne consegue che nell'ipotesi in cui non si sia in presenza di alcun espresso
divieto deve ritenersi che la legge rimandi, nella determinazione della
retribuzione, alla competenza dell'autonomia collettiva, che pertanto è
abilitata ad escludere determinate voci retributive dalla base sulla quale
va determinato il compenso.
Orbene dalla lettura della contrattazione collettiva - e specificamente da
quella dell'art. 33 (regolante le ferie), dell'art. 16, primo comma, lettera
a) (regolante la tredicesima mensilità) e dell'art. 32 (regolante le
festività lavorate) era dato evincere che, nella formulazione delle norme
contrattuali, non si faceva riferimento alla locuzione di "retribuzione
globale di fatto" (o ad altra equivalente), indice di una nozione di
retribuzione onnicomprensiva. Doveva quindi farsi riferimento al disposto
dell'art. 19 del contratto di categoria che, sia nell'individuare gli
elementi che concorrono a formare la retribuzione (secondo comma) sia
nell'individuare esemplificativamente quegli elementi che non fanno parte di
tale nozione (terzo comma), esclude in maniera inequivoca il compenso per il
lavoro straordinario, notturno, festivo e domenicale. In definitiva la
contrapposizione tra "indennità" continuative, menzionate nel secondo comma,
e gli altri compensi o "trattamenti" elencati nel terzo comma del medesimo
articolo, fa comprendere l'esistenza di una volontà delle parti di escludere
comunque dal concetto della "retribuzione" le prestazioni espressamente
elencate, qualunque carattere abbiano.
Tutto ciò portava ad escludere le maggiorazioni per lavoro notturno e gli
altri emolumenti indicati dai lavoratori nella base di computo della
retribuzione feriale, nella 13§ mensilità e nel compenso per le festività
lavorate.
Più specificamente per andare in contrario avviso per la 13§ non valeva il
richiamo all'accordo Interconfederale 27 ottobre 1946 perché derogato dalla
successiva disciplina contrattuale più favorevole ai lavoratori; né per il
computo delle ferie era conferente il riferimento all'art. 36 Cost., 2109
c.c., e la Convenzione OIL del 24 giugno 1970 (ratificata e resa esecutiva
con legge n. 157/1981), non imponendo detta normativa una nozione
onnicomprensiva della retribuzione, per cui la retribuzione - parametro
anche in questo caso andava ricavata dalla contrattazione collettiva; né
infine per le festività risultava utile il richiamo all'art. 5 della legge
n. 260/1949, distinguendo la norma tra lavoratori retribuiti non in misura
fissa e quelli - come l'attuale ricorrente - retribuiti invece in misura
fissa e rispetto ai quali la retribuzione per le ore lavoratore doveva
basarsi sulla nozione di retribuzione-parametro adottata dalla
contrattazione collettiva.
Avverso tale sentenza E.L. propone ricorso per cassazione affidato a cinque
motivi, illustrati anche con memoria difensiva.
Resiste con controricorso la s.p.a. Telecom Italia (già costituitasi in
appello in quanto incorporante della Italcalbe).
Diritto
1. Con il primo motivo di ricorso il lavoratore denunzia violazione e falsa
applicazione di norme di legge (art. 1362, 1363, 1364 e 1365 c.c., 2094 e
2099 c.c.), nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).
Lamenta in particolare che il Tribunale ha dato una interpretazione errata
dell'art. 18 del contratto collettivo di categoria, perché ha frainteso il
termine "perciò" che correla il terzo al secondo comma della disposizione;
perché ha omesso di spiegare la ragione per la quale le fonti collettive non
hanno previsto come ordinaria la prestazione di lavoro straordinario,
notturno e festivo; perché ha errato nel concludere che il termine
"indennità" di cui al comma 2 del citato art. 12 si riferisce soltanto alle
voci elencate negli artt. 13 e 17 del contratto collettivo, laddove esso
invece denota l'emolumento destinato a compensare particolari modalità di
esecuzione della prestazione lavorativa (come è dato constatare per il
compenso per lavoro notturno); perché, infine, non ha tenuto conto del
comportamento complessivo delle parti, che hanno incluso il compenso per
lavoro notturno nella base di calcolo del t.f.r., la cui determinazione è
rimessa alla volontà delle parti stesse.
1.1. Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato.
E' giurisprudenza costante di questa Corte che l'interpretazione delle
disposizioni collettive di diritto comune, compiuta dal giudice di merito, è
censurabile in sede di legittimità, solo per violazione delle regole legali
di ermeneutica contrattuale e per vizi della motivazione (cfr. tra le tante:
Cass. 23 novembre 1999 n. 13026; Cass. 22 luglio 1992 n. 8821). La parte che
censuri, in sede di legittimità, l'interpretazione di un contratto da parte
del giudice di merito, non può poi limitarsi a richiamare genericamente le
regole di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., ma deve invece specificare i
canoni in concreto violati nonché il punto della motivazione interessato ed
il modo in cui i suddetti canoni siano stati violati atteso che, altrimenti,
la censura si risolverebbe nella inammissibile esposizione di una
interpretazione diversa da quella contestata (cfr. Cass. 21 marzo 2002 n.
4090; Cass. 2 febbraio 1996 n. 914).
1.2. Orbene, la sentenza impugnata, con una motivazione congrua e corretta
sul piano logico - giuridico - e pertanto non censurabile in questa sede di
legittimità - ha evidenziato le ragioni per le quali la contrattazione di
categoria non prevede una nozione onnicomprensiva della retribuzione ai fini
della base di calcolo per ferie, festività e 13§ mensilità. E, sulla base
delle esposte ragioni, la suddetta sentenza ha escluso che le maggiorazioni
per lavoro notturno e domenicale e gli altri emolumenti indicati dal
lavoratore potessero essere computati ai fini della determinazione del
compenso per gli istituti indiretti.
A fronte di una motivazione della sentenza del Tribunale di Roma esente da
vizi, nel ricorso non si rinvengono specifiche censure volte ad individuare
i canoni ermeneutici violati, ma si risconta soltanto una inammissibile
ricostruzione della volontà delle parti sociali in termini diversi da quella
seguita dal giudice d'appello.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa
applicazione di norme di legge, dell'art. 416, comma 3, dell'art. 437, comma
2, c.p.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c., dell'art. 2697 c.c., dell'art. 7
della legge 741/1959, dell'art. 17 dell'A.I. 27 ottobre 1946, reso valido
erga omnes con d.p.r. 1070/1960(art. 360 n. 3 c.p.c.).
Il Tribunale, in particolare, ha errato nel non considerare nuova, perché
basata su circostanze mai prima espresse, la eccezione della società che,
dopo avere dedotto in primo grado che le maggiorazioni notturne e domenicali
non rientravano nella nozione di "retribuzione globale di fatto" di cui
all'art. 17 dell'A.I. 27 ottobre 1945, in quanto non aventi natura
retributiva, in secondo grado ha poi dedotto che l'accoglimento della
domanda era precluso, ex art. 7 legge 741/59, dalla previsione nel c.c.n.l.
Italcable di una quattordicesima mensilità avente funzione integrativa della
tredicesima, onde il trattamento che ne risultava era complessivamente più
favorevole di quello legale. Per di più l'accertamento di un trattamento più
favorevole non poteva avvenire che sulla base delle allegazioni rimesse alla
disponibilità delle parti, e risultava comunque soggetto ai limiti derivanti
dagli artt. 416 e 437 c.p.c.
2.1. Anche questo motivo non merita accoglimento.
Nel caso di specie il Tribunale di Roma si è limitato ad applicare corretti
principi giuridici a circostanze di fatto acquisite al giudizio, sicché non
si riscontrano i vizi denunziati in ricorso atteso che il giudice ha il
dovere di controllare la corretta applicazione delle norme legali e
contrattuali invocate anche in difetto di tempestiva contestazione sul punto
(cfr. al riguardo: Cass. 23 gennaio 2003 n. 1014).
Il Tribunale di Roma nella controversia in oggetto si è limitato a
ricostruire, alla luce di una disposizione di legge (quella appunto
scaturente da un accordo collettivo avente efficacia erga omnes), gli
elementi fattuali acquisiti ritualmente al processo, facendone con coerenza
logica scaturire gli effetti conseguenziale.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa
applicazione di norme di legge art. 2697 c.c., art. 7 legge 741/59, art. 17
dell'A.I. 27 ottobre 1946, reso valido erga omnes con d.p.r. 1070/60, art.
1362, comma 2, c.c. nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.). In particolare
deduco ancora una volta che l'inapplicabilità dell'accordo interconfederale
presuppone che la successiva contrattazione collettiva abbia assicurato un
trattamento migliorativo per i lavoratori. Nel caso di specie non poteva
escludersi che la tredicesima mensilità fosse computata così come prescritto
dall'accordo interconfederale. A tal fine bisognava accertare se la
quattordicesima mensilità, riconosciuta dai contratti collettivi successivi,
avesse la stessa funzione della tredicesima e, quindi, configurasse quel
trattamento migliorativo indispensabile, come detto, per la disapplicazione
dell'accordo.
Accertamento però che non era stato effettuato dal giudice di appello. Del
resto l'esame delle due indennità attestava che la tredicesima e
quattordicesima differivano per la determinazione della base di computo, per
la diversità di date e modalità di pagamento e per la natura dell'istituto.
3.1. Il motivo risulta privo di fondamento.
Questa Corte ha ripetutamente ribadito proprio in controversie simili a
quella in esame che il criterio di computo della tredicesima mensilità
dettato dall'accordo interconfederale per l'industria 27 ottobre 1946,
esteso erga omnes con d.p.r. n. 1070 del 1960, ed in particolare il
riferimento alla retribuzione globale di fatto, e cioè ad una nozione
onnicomprensiva di retribuzione, è derogabile - per effetto dell'art. 7,
ultimo comma, della legge n. 741 del 1959 - da successivi contratti
collettivi di diritto comune che assicurino un trattamento di migliore
favore relativamente allo specifico istituto; tale maggiore favore va
valutato "in base ad una interpretazione delle sopravvenute disposizioni
contrattuali effettuate nell'ambito dei singoli istituti" (cfr. Cass. 8
luglio 2002 n. 9871; Cass. 13 giugno 2002 n. 8501; Cass. 17 ottobre 2001 n.
12683).
Principio questo enunciato, come si è detto, in controversie analoghe a
quelle in oggetto, ed in cui si è ritenuto che la contrattazione collettiva
di settore, di natura privatistica, doveva considerarsi - per prevedere non
solo la tredicesima mensilità ma anche la quattordicesima mensilità - più
favorevole di quella fissata dall'Accordo Interconfederale del 27 ottobre
1946, che riconosceva, come detto, una sola mensilità aggiuntiva ai
dipendenti (13§ mensilità), anche se ai fini della quantificazione di detta
mensilità adottava una nozione onnicomprensiva della retribuzione (cfr. al
riguardo: Cass. 8 luglio 2002 n. 9871 cit. Cass. 13 giugno 2002 cit.; Cass.
17 ottobre 2001 n. 12683).
Orbene, questa Corte ritiene di aderire all'indirizzo ora indicato, che si
fonda su valide ragioni logico - giuridiche, perché, contrariamente a quanto
sostenuto in ricorso, non può disconoscersi la identità dei tratti
caratterizzanti le due mensilità aggiuntive, che come mostra la loro genesi
(nell'ordinamento statale e nell'assetto delle relazioni industriali) sono
state viste in funzione di un accrescimento e di un miglioramento delle
generali condizioni economiche dei lavoratori, capace di consentire loro di
usufruire di maggiori entrate con riferimento a specifici e determinati
periodi dell'anno (festività di fine anno e periodi feriali) e che, per tale
motivo, presentano il tratto comune di non essere collegate con stretto
legame di sinallagmaticità con il concreto svolgimento dell'attività
lavorativa o con specifiche modalità di esecuzione di detta attività.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione di norme di legge art. 2109 c.c. e 36 Cost., dell'art. 7 della
Convenzione OIL n. 132 del 24 giugno 1990, ratificata dall'Italia con la
legge 10 aprile 1091 n. 157 (art. 360 n. 3 c.p.c.).
Sostiene in particolare che l'istituto delle ferie ha una tutela
costituzionale e ciò induce a preferire quell'opinione secondo la quale deve
accogliersi per tale istituto una nozione di retribuzione globale,
suscettibile pertanto di includere, nella base di computo, anche quelle
maggiorazioni assicurate al lavoratore per la maggiore penosità della sua
attività svolta per il lavoro notturno prestato normalmente in turni
periodici predeterminati.
Se, di contro, come ritenuto dal Tribunale di Roma, fosse consentito alla
contrattazione collettiva di determinare la base di computo per le ferie ciò
potrebbe determinare - in caso di una accentuata differenza tra retribuzione
mensile e retribuzione per ferie - una elusione del dettato costituzionale
inducendo il lavoratore a non usufruire del riposo annuale. Per di più la
Convenzione OIL doveva essere interpretata - in modo diverso da quanto
ritenuto da Cass., Sez. Un., nella sentenza 3888/1993 - nel senso che la
contrattazione collettiva dello stato nazionale, al quale era demandato il
compito di determinare il corrispettivo per ferie, non poteva fissare detto
corrispettivo in misura minore alla retribuzione normale o media percepita
dal lavoratore stesso.
4.1. Anche questa censura risulta destituita di giuridico fondamento.
E' stato più volte affermato dai giudici di legittimità che, ancorché nel
nostro ordinamento la retribuzione durante il periodo feriale sia garantita
da norma costituzionale (art. 36 Cost., comma 3, Cost.) oltre che da norma
codicistica (art. 2109), queste fonti legali non contengono alcuna
previsione sulla determinazione e sui criteri di computo della retribuzione
stessa; tale determinazione deve essere rimessa alla contrattazione
collettiva - e, nel rispetto di questa, al patto individuale - perché ad
essa compete l'individuazione, tra quelle di natura retributiva, delle
singole voci che concorrono a formarla.
Tale conclusione non contrasta con la Convenzione OIL n. 132 del 24 giugno
1970 (ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981 n. 157) la quale,
nel garantire al lavoratore in ferie "almeno la normale e media
retribuzione", non ne impone una nozione onnicomprensiva (o, comunque,
inderogabile), ma rinvia, per la determinazione della retribuzione
garantita, agli ordinamenti nazionali (cfr. in tali sensi: Cass. 22 novembre
2002 n. 16510; Cass. 13 giugno 2002 n. 8501 cit; Cass. 17 ottobre 2001 n.
12683 cit.; Cass. 17 aprile 1985 n. 2549 relativa al rapporto di lavoro tra
Italcable e un suo dipendente).
4.2. Questa Corte ritiene di condividere il suddetto indirizzo, accolto da
numerose pronunzie, in luogo dell'opposto (e minoritario) orientamento.
Secondo quest'ultimo orientamento, la retribuzione dovuta al lavoratore
subordinato, durante il periodo di ferie annuali, deve essere calcolata
tenendo conto di tutto ciò che viene normalmente corrisposto al lavoratore
stesso (e, quindi, anche della maggiorazione contrattualmente prevista per
il lavoro prestato di notte sulla base di turni periodici predeterminati),
conformemente - si aggiunge - alla ratio della disposizione di cui all'art.
36, terzo comma, della Costituzione e, tenendo conto che, ove fosse
riconosciuta alle parti la facoltà di determinare liberamente la
retribuzione dovuta per le ferie, sarebbe a queste consentito, mediante la
fissazione di una retribuzione pressoché irrisoria, una osservanza solo
apparente del precetto costituzionale e, quindi, la sua sostanziale elusione
(così Cass. 13 luglio 1996 n. 6372).
4.3. Contro tale assunto va però obiettato, da un lato, che la Costituzione,
con riferimento alle ferie ed ai riposi settimanali, pone con l'art. 36,
terzo comma, la regola della loro irrinunciabilità a tutela della salute del
lavoratore, dopo avere nel primo comma accolto una nozione di retribuzione -
non in senso «onnicomprensivo», da valere quindi per tutti gli istituti
indiretti - ma rispondente al criterio della «sufficienza», da valutarsi
sulla base del trattamento economico globale assicurato al lavoratore (cfr.
per il riconoscimento, alla stregua di tali ragioni, della legittimità di
una retribuzione per l'orario straordinario in misura non superiore a quella
riconosciuta per l'orario normale, Corte Cost. 22 novembre 2002 n. 470, cui
adde in generale - per il principio secondo cui l'art. 36 Cost. «nel
proclamare il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata al suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare una esistenza libera e
dignitosa, non può essere riferito alle singole voci della retribuzione del
lavoratore, ma alla sua globalità» - cfr. Corte Cost. 19 gennaio 1995 n. 15;
Corte Cost. 28 aprile 1994 n. 164; Corte Cost. 22 dicembre 1982 n. 227).
4.4. Né in contrario vale addurre che una diversa interpretazione potrebbe
comportare il pericolo di legittimare retribuzioni irrisorie per il congedo
per ferie. Tale obiezione trascura di considerare il principio della
irrinunciabilità delle ferie, che trova la sua ragione, come è stato detto,
nella tutela delle salute del lavoratore disposta dall'art. 36 Cost. Norma
la cui indisponibilità emerge, in maniera chiara, anche nell'art. 10, comma
2, del recente d. lgs. 8 aprile 2003 n. 66, che statuisce che il periodo
minimo di quattro settimane di ferie «non può essere sostituito dalla
relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del
rapporto di lavoro». A tale riguardo va anche evidenziato che il silenzio
della norma costituzionale sulla struttura della retribuzione e delle
singole voci che la compongono va letto, non nel senso della sua
onnicomprensività, ma nel diverso senso che è rimessa alla contrattazione
collettiva la determinazione degli elementi che concorrono a formare il
trattamento economico dei lavoratori; contrattazione suscettibile di
garantire costoro dalla eventualità di retribuzioni insufficienti e
irrisorie, e la cui congruità rispetto ai parametri costituzionali, potrà,
in ogni caso, essere verificata dal giudice (cfr. Corte Cost. 22 novembre
2002 n. 470 cit.; Corte Cost. 19 gennaio 1995 n. 15 cit.).
5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa
applicazione di norme di legge:art. 2099 c.c., 1362, 1363, 1364 e 1365, art.
1 della legge 1029/1960 nonché omessa e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia(art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). In particolare
lamenta che il Tribunale - nel ritenere che l'art. 32 della contrattazione
collettiva si riferisse per le festività alla "normale retribuzione" - ha
proceduto ad una erronea interpretazione della contrattazione collettiva, ed
è incorso nella violazione dell'art. 2109 c.c., a tenore del quale la
retribuzione è rimessa in primo luogo alla contrattazione collettiva.
5.1. La censura ancora una volta si palesa priva di fondamento.
Va ribadito che il Tribunale di Roma ha dato, come si è già evidenziato, una
corretta interpretazione della contrattazione collettiva a fronte della
quale nel ricorso non sono indicati i precisi canoni ermeneutici che si
assumono violati. Va rimarcato, infine, che il giudice d'appello sul punto
ha fatto una corretta applicazione dei principi più volte enunciati da
questa Corte secondo cui il criterio della onnicomprensività della
retribuzione adottato in tema di festività infrasettimanali dall'art. 5
della legge 27 maggio 1949 n. 260, modificato dall'art. 1 della legge 31
marzo 1954 n. 90, si riferisce al compenso stabilito per il solo fatto della
ricorrenza della festività (primo comma del citato art. 5) e non riguarda il
compenso spettante (ai sensi del secondo comma dello stesso articolo 5) "per
le ore effettivamente prestate", il quale essendo istituto contrattuale
rimesso all'autonomia delle parti, salvo il limite dell'art. 36 Cost., va
determinato alla stregua della disciplina collettiva, cui perciò occorre
fare riferimento anche per accertare se determinati emolumenti siano
computabili ai fini della maggiorazione per il lavoro festivo (cfr. tra le
altre Cass. 16 luglio 2002 n. 10309; Cass. 11 luglio 2000 n. 9206).
6. Per concludere il ricorso va rigettato.
7. Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese
del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 21 ottobre 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 02 FEB. 2004.