Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 15 settembre 2005, n. 18266
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il signor U.C., sottoposto a procedimento penale dal 1994,
a seguito di notizia di reato pervenuta il 3 novembre 1994, veniva iscritto nel
registro degli indagati in data 23 ottobre 1995.
Il termine di scadenza delle indagini preliminari veniva prorogato fino al 15
novembre 1996, ma le stesse risultavano ancora in corso il 17 novembre 2002,
data di deposito del ricorso del signor C., che con lo stesso chiedeva la
liquidazione di una somma a titolo di equa riparazione, per superamento del
temine di ragionevole durata del procedimento, ai sensi della l. n. 89 del 2001.
2. La Corte d'appello di Perugia, con l'impugnato decreto, respingeva la
domanda, e poneva a carico del ricorrente il pagamento delle spese processuali,
sulla base della considerazione che «nei confronti del C. non risulta a tutt'oggi
instaurato un processo penale» ma solo «un'attività di indagine di carattere
preliminare, ma non processuale in senso tecnico».
Posto che il processo avrebbe inizio soltanto con l'esercizio dell'azione penale
da parte del pubblico ministero, che si realizza con la formulazione
dell'imputazione o con la richiesta di rinvio a giudizio, nella specie si
sarebbe dovuto parlare solo di procedimento, non di processo penale, in
relazione al quale sarebbe estraneo il diritto alla ragionevole durata,
riferibile solo al secondo in senso tecnico.
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il signor C.,
affidato a tre motivi. Resiste il Ministero della Giustizia, con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale si duole
della violazione dell'art. 360, n. 3, c.p.c., in riferimento agli artt. 4 e 5
della l. n. 89 del 2001, e consequenziale denuncia di incostituzionalità) il
ricorrente deduce che la previsione della condanna alle spese processuali a
carico della parte che lamenta una durata irragionevole del processo costituisce
una violazione dei principi osservati dalla Corte di Strasburgo, che non sarebbe
mai pervenuta ad una tale determinazione.
L'interpretazione adeguata ai detti principi dovrebbe negare siffatto esito,
anche nel caso di soccombenza del ricorrente. In subordine, egli solleva
questione di legittimità costituzionale della l. 89/2001, per contrasto con gli
artt. 24 e 111 Cost., laddove questa «venga interpretata nel senso che, in caso
di rigetto del ricorso proposto in ottemperanza all'art. 3 della stessa legge,
il ricorrente soccombente è condannato al pagamento delle spese sostenute
dall'Avvocatura erariale».
1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale si duole della violazione
dell'art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento agli artt. 4 e ss. della l. n. 89
del 2001 e consequenziale denuncia di incostituzionalità) il ricorrente osserva
che una distinzione tra processo e procedimento non è concepibile nell'ottica
della Convenzione di Strasburgo (CEDU), che investirebbe - a pieno titolo -
anche la fase delle indagini preliminari. Inoltre, anche secondo l'ordinamento
interno, le indagini non potrebbero protrarsi oltre il termine massimo di due
anni, a pena di inutilizzabilità degli atti compiuti successivamente alla
scadenza di esso. E l'art. 4 della l. 89/2001 farebbe espresso riferimento al
«procedimento», non al processo.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale si duole della violazione
dell'art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento agli artt. 4 e 5 della l. n. 89 del
2001 e consequenziale denuncia di incostituzionalità) il ricorrente deduce che
il giudice di merito ha disatteso la sua richiesta di riparazione in ordine a un
procedimento, la cui notitia criminis era pervenuta all'ufficio il 3 novembre
1994, e per il quale avrebbe subito un enorme pregiudizio.
2. L'ordine delle questioni non deve seguire quello dell'esposizione delle
doglianze ma quello della loro stretta precedenza logico-giuridica, che impone
di esaminare dapprima la questione dell'applicabilità della c.d. legge Pinto
anche alla fase delle indagini preliminari. Infatti, l'esame della terza
doglianza dipende dallo scioglimento della seconda e quello della prima,
relativo alle spese, residua all'esito dello scrutinio di tutte le altre.
2.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare (nella sentenza 1405/2003) che
non si può, in via generale ed assoluta, escludere la fase delle indagini
preliminari del processo penale dall'ambito di tutela previsto dall'art. 6,
paragrafo 1, della citata Convenzione europea e, nel nostro ordinamento
nazionale, dalla l. n. 89 del 2001. La nozione di causa, o di processo,
considerata dalla Convenzione dei diritti dell'uomo, cui ha riguardo l'art. 2,
comma 1, della citata legge nazionale, s'identifica, infatti, con qualsiasi
procedimento si svolga dinanzi agli organi pubblici di giustizia per
l'affermazione o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di
soggezione facente capo a chi il processo promuova o subisca. Processo, in tal
senso, è dunque anche la fase delle indagini che precedono il vero e proprio
esercizio dell'azione penale, le quali perciò, ove irragionevolmente si siano
protratte nel tempo, ben possono assumere rilievo, ai fini dell'equa
riparazione.
A tale orientamento, pienamente condiviso da questo Collegio, deve essere data
continuità e qualche specificazione.
2.2. La fase delle indagini preliminari, caratterizzata dalla raccolta degli
elementi necessari al magistrato per determinarsi in ordine all'esercizio
dell'azione penale, deve avere una durata strettamente necessaria al compimento
di una tale determinazione.
Per questo il legislatore ha previsto limiti cronologici al loro svolgimento,
contemperando l'interesse dello Stato alle investigazioni con quello
dell'indagato a restare, in un lasso di tempo determinato (diversificato in
ragione della natura del reato che forma oggetto di quelle), nella condizione di
persona assoggettata alle indagini.
Non è un caso che la facoltà di disporre una proroga dei detti termini spetti
non al PM ma al giudice, il quale dovrà valutare l'esistenza dei presupposti e
delle condizioni per accordarla e, comunque, a vigilare sul rispetto del termine
massimo dei due anni di indagine.
Questi limiti, di per sé, individuano già la ragionevole durata massima di una
siffatta fase ed essi dovranno essere considerati e valutati dai criteri
stabiliti dall'art. 2, comma 2, legge Pinto per valutare l'esistenza della
violazione (complessità del caso, comportamento delle parti e del giudice nonché
di ogni altra autorità chiamata a concorrere o a contribuire alla definizione
del procedimento) .
2.3. Se è vero che il procedimento per le indagini preliminari si caratterizza
per una diffusa riservatezza, onde può darsi (fra le varie figure ipotizzate
dalla dottrina) una situazione fattuale tipica in cui, non essendovi spazio per
il compimento dei c.d. «atti garantiti» (o cioè di atti che prevedono come
obbligatoria la partecipazione del difensore), il procedimento nel suo complesso
rimanga pienamente riservato, così che esso si svolga e si concluda all'insaputa
dell'indagato, è pur vero che, anche in tale ipotesi, può darsi una decisa
"sterzata" verso la sua conoscenza, attraverso l'esercizio del diritto (proprio
dell'interessato) ad essere informato dell'iscrizione nel registro degli
indagati.
Infatti, anche in tale particolare ipotesi (diversa da quella in cui sono
necessari atti «garantiti» o da quell'altra in cui le indagini prendono avvio
con l'adozione di una pre-cautela o con l'applicazione di misura cautelare), lo
status di indagato può essere conosciuto per iniziativa dell'interessato il
quale, se ha notizia, anche informale (ad esempio, a mezzo degli organi di
stampa), dell'avvio di una investigazione, che lo riguarda o può riguardarlo,
può far richiesta che gli venga comunicato se il suo nome risulti nel registro
delle notizie di reato. Ad "esclusione dei casi in cui si procede per uno dei
delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), le iscrizioni previste dai commi
1 e 2 sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla
persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta» (art. 335,
comma 3, c.p.p.), salvo che (comma 3-bis), per specifiche esigenze attinenti
all'attività di indagine, il PM disponga con decreto motivato il segreto sulle
iscrizioni. Ma anche tale ultima ipotesi di compressione del diritto
dell'indagato non può durare oltre i tre mesi.
Così, ai sensi dell'art. 110-bis disp. att. c.p.p., «quando vi è richiesta di
comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato
(...) la segreteria della Procura della Repubblica, se la risposta è positiva e
non sussistono gli impedimenti a rispondere, fornisce le informazioni».
2.4. In ogni caso, la riservatezza delle indagini (o quindi la conoscenza dello
stato di indagato) può durare unicamente il tempo fissato dalla legge per il
loro compimento, non essendo previsto che essa possa protrarsi anche per il
tempo conseguente alla proroga dei termini di durata delle indagini. Infatti «la
richiesta di proroga è notificata, a cura del giudice, alla persona sottoposta
alle indagini nonché alla persona offesa dal reato» (art. 406, comma 3)
attribuendosi all'indagato «la facoltà di presentare memorie entro cinque giorni
dalla notificazione» (salva l'eccezione delle indagini relative a delitti di
criminalità organizzata, suscettibili di essere prorogate all'insaputa
dell'interessato).
2.5. Inoltre, l'indagato ha diritto ad essere informato della conclusione delle
indagini, quando il magistrato del pubblico ministero non si sia già determinato
a richiedere l'archiviazione (art. 415-bis).
3. Tanto premesso, la Corte d'appello di Perugia, con l'impugnato decreto, ha
respinto la domanda di equa riparazione per la non ragionevole durata della fase
delle indagini preliminari riguardanti il ricorrente, sulla base della sola
considerazione che «nei confronti del C. non risulta(va) a tutt'oggi processo
penale» ma solo «un'attività di carattere preliminare, ma non processuale in
senso tecnico».
Tale principio giuridico è, però, del tutto erroneo ed esso deve essere
sostituito da quello sopra enunciato, a termine del quale "la nozione di causa,
o di processo, considerata dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, cui ha riguardo l'art. 2 della l. 24
marzo 2001, n. 89, s'identifica con qualsiasi procedimento si svolga dinanzi
agli organi pubblici di giustizia per l'affermazione o la negazione di posizione
giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chi il processo promuova o
subisca. In tale novero comprendendosi anche quello relativa alla fase delle
indagini preliminari, che precedono il vero e proprio esercizio dell'azione
penale, le quali perciò, ove irragionevolmente si siano protratte nel tempo,
assumono rilievo, ai fini dell'equa riparazione».
Perciò il decreto impugnato, in accoglimento del secondo motivo di ricorso
(assorbiti i restanti, perché solo eventualmente scrutinabili a seguito
dell'applicazione dei principi relativi ad esso, qui accolto), deve essere
cassato e la causa rinviata alla stessa Corte territoriale, in altra
composizione, la quale avrà l'onere anche di regolare le spese di questa fase.
4. Nel caso che ci occupa la parte afferma di essere stata a conoscenza: a)
dell'esistenza delle indagini; b) della data della notitia criminis e della sua
(tardiva) iscrizione nell'apposito registro degli indagati; c) della proroga
concessa dal giudice alle indagini; d) della protrazione delle stesse oltre il
termine massimo previsto dalla legge processuale.
In rapporto ai fatti allegati, spetterà al giudice del rinvio, facendo
applicazione del principio di diritto indicato, e di quelli relativi al diritto
della persona sottoposta alle indagini ad avere conoscenza del procedimento
penale a suo carico, di verificare se la durata delle indagini che hanno
riguardato il ricorrente abbia o meno superato il termine ragionevole e se, in
conseguenza di tale protrarsi oltre il limite ragionevolmente consentito, essa
abbia o meno cagionato un danno all'interessato suscettivo di equa riparazione
ai sensi della c.d. legge Pinto.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione.