L'obbligo non riguarda solo l'adozione delle misure ma anche la loro osservanza | ||
Il datore di lavoro deve vigilare sulla sicurezza |
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(Cassazione 3123/04) | ||
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Il datore di lavoro è obbligato non solo ad adottare tutte le misure di sicurezza necessarie per tutelare l'incolumità dei dipendenti ma anche a vigilare sul rispetto delle stesse. Una sentenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha fornito alcuni chiarimenti in materia di infortuni sul lavoro. La Cassazione, in particolare, ha spiegato che le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro intendono tutelare il lavoratore anche dagli incidenti dovuti ad imperizia, negligenza ed imprudenza; per tali motivi, ha precisato la Suprema Corte, il datore di lavoro deve essere ritenuto responsabile dell'infortunio del lavoratore sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non si accerti che di queste misure sia stato fatto effettivamente uso da parte del dipendente, mentre è esonerato dalla responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia stato del tutto imprevedibile. (17 marzo 2004) | ||
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso al Pretore di Reggio Emilia G. M., premesso di aver subito un infortunio sul lavoro con gravi lesioni, conveniva in giudizio la datrice di lavoro S.p.a. (omissis) (nelle persone del legale rappresentante M. L. e di S. C. responsabile di produzione dello stabilimento) chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito. Costituitosi il contraddittorio tra le parti, esteso alla società assicuratrice (omissis) chiamata in garanzia, il Pretore di Reggio Emilia, affermando il concorso di colpa dell'infortunato nella determinazione dell'evento, condannava le parti convenute e la società chiamata in causa al pagamento di somme a titolo di risarcimento per danno morale e per danno biologico. Su appello del M. e della società (omissis) (succeduta alla S.p.a. omissis) il Tribunale di Reggio Emilia con la sentenza oggi denunciata riformava la decisione impugnata, dichiarando il diritto del M. all'integrale risarcimento del danno da parte della società appellata e del C. (ferma restando la solidarietà di quest'ultimo già statuita dalla sentenza appellata); liquidava il danno da risarcire nella somma di lire 823.541.632, comprensiva di rivalutazione alla data della pronuncia e di interessi sul capitale mensilmente rivalutato, oltre interessi legali su detta somma successivamente maturata; dichiarava la società assicuratrice tenuta a manlevare la società (omissis) nei limiti del massimale di polizza. La medesima società veniva condannata alla rifusione delle spese del giudizio di appello a favore degli appellanti, nella misura del 5096 per il M. Il Tribunale rilevava che il risarcimento del danno dovuto dal responsabile dell'infortunio non poteva essere limitato dal concorso di colpa dell'infortunato, dovendosi escludere l'ipotesi di rischio elettivo riferibile alla condotta dell'infortunato; per la liquidazione del danno biologico riteneva di far riferimento ai criteri di determinazione del "valore punto" di invalidità. Avverso tale sentenza la S.p.a. (omissis) propone ricorso per cassazione con tre motivi, al quale M. resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato ad unico motivo illustrato da memoria. La S.p.a. (omissis) e S. C. non si sono costituiti. MOTIVI DELLA DECISIONE
La sentenza deve essere quindi cassata in relazione a questo motivo,
e la causa va rinviata ad altro giudice che dovrà provvedere al
regolamento delle spese del giudizio di appello, attenendosi al
principio sopra richiamato. Il medesimo giudice provvederà anche sulle
spese del presente giudizio di legittimità.
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2004. |
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Cassazione
Sezione Lavoro
Sentenza 18 febbraio 2004 n. 3213
(Presidente F. Miani Canevari - Relatore F. Miani Canevari)
Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Reggio Emilia G. M., premesso di aver subito un
infortunio sul lavoro con gravi lesioni, conveniva in giudizio la datrice di
lavoro S.p.a. (omissis) (nelle persone del legale rappresentante M. L. e di
S. C. responsabile di produzione dello stabilimento) chiedendone la condanna
al risarcimento del danno subito.
Costituitosi il contraddittorio tra le parti, esteso alla società
assicuratrice (omissis) chiamata in garanzia, il Pretore di Reggio Emilia,
affermando il concorso di colpa dell'infortunato nella determinazione
dell'evento, condannava le parti convenute e la società chiamata in causa al
pagamento di somme a titolo di risarcimento per danno morale e per danno
biologico.
Su appello del M. e della società (omissis) (succeduta alla S.p.a. omissis)
il Tribunale di Reggio Emilia con la sentenza oggi denunciata riformava la
decisione impugnata, dichiarando il diritto del M. all'integrale
risarcimento del danno da parte della società appellata e del C. (ferma
restando la solidarietà di quest'ultimo già statuita dalla sentenza
appellata); liquidava il danno da risarcire nella somma di lire 823.541.632,
comprensiva di rivalutazione alla data della pronuncia e di interessi sul
capitale mensilmente rivalutato, oltre interessi legali su detta somma
successivamente maturata; dichiarava la società assicuratrice tenuta a
manlevare la società (omissis) nei limiti del massimale di polizza.
La medesima società veniva condannata alla rifusione delle spese del
giudizio di appello a favore degli appellanti, nella misura del 5096 per il
M.
Il Tribunale rilevava che il risarcimento del danno dovuto dal responsabile
dell'infortunio non poteva essere limitato dal concorso di colpa
dell'infortunato, dovendosi escludere l'ipotesi di rischio elettivo
riferibile alla condotta dell'infortunato; per la liquidazione del danno
biologico riteneva di far riferimento ai criteri di determinazione del
"valore punto" di invalidità.
Avverso tale sentenza la S.p.a. (omissis) propone ricorso per cassazione con
tre motivi, al quale M. resiste con controricorso e ricorso incidentale
affidato ad unico motivo illustrato da memoria. La S.p.a. (omissis) e S. C.
non si sono costituiti.
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai
sensi dell'art.335 cod.proc.civ.
2. Con il primo motivo del ricorso principale si denunciano, ai sensi
dell'art. 360 nn.3 e 5 cod.proc.civ, i vizi di violazione degli artt. 113 e
41 c.p. e degli artt.1127 e 2056 cod.civ., nonché omessa o insufficiente
motivazione. La parte critica la decisione che afferma l'integrale
responsabilità risarcitoria del datore di lavoro in caso di violazione delle
norme poste a tutela della integrità fisica del lavoratore, senza la
possibilità di invocare il concorso di colpa di quest'ultimo, una volta
accertato il nesso di causalità rilevante per l'attribuzione del fatto al
datore di lavoro:. deduce che nella specie la sentenza impugnata non ha
svolto alcuna osservazione sul comportamento del dipendente, qualificato dal
primo giudice "prossimo all'abnormità" (rilevando sotto questo profilo anche
un vizio di motivazione) e non ha considerato la rilevanza causale di tale
condotta.
Si sostiene che devono trovare applicazione le norme sul concorso di cause
di cui agli artt.113 e 41 c.p., con riflessi sul concorso di colpa sul piano
civile, in relazione al principio di cui all'art.i227 cod.civ. ; il giudice
dell'appello ha richiamato un orientamento giurisprudenziale che vale ad
individuare i casi di esclusione della responsabilità datoriale per negare
erroneamente ogni rilevanza alla condotta del lavoratore nella causazione
dell'evento lesivo.
Per il comportamento di quest'ultimo non vi può essere dubbio sulla
sussistenza di colpa e sulla efficienza causale nella produzione dell'evento
lesivo; conseguentemente, il risarcimento spettante al M. doveva essere
ridotto "in dimensione coerente al suo concorso di colpa".
3. Il motivo è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, le norme dettate in tema
di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di
situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli
incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili
ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso: ne consegue che il
datore. di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al
lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia
quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente
uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente
per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per
violazione delle relative prescrizioni l'eventuale concorso di colpa del
lavoratore; con l'ulteriore conseguenza che l'imprenditore è esonerato da
responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i
caratteri dell'abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità
ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. (v. per
tutte Cass. 19 agosto 1996 n. 7636, 22 luglio 2002 n. 10706, 21 maggio 2002
n. 7454). Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a
tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile
dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di
colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di
quest'ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; ne consegue che, in
tutte le ipotesi in cui la condotta del lavoratore dipendente finisca per
configurarsi nell'eziologia dell'evento dannoso come una mera modalità
dell'iter produttivo del danno, tale condotta, proprio perché "imposta" in
ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, va
addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, concretizzantesi
invece nella violazione di specifiche norme antinfortunistiche (o di regole
di comune prudenza) e nell'ordine di eseguire incombenze lavorative
pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso
(Cass. 8 aprile 2002 n.5024).
In conformità a questo principio di diritto la sentenza impugnata ha
correttamente negato la rilevanza del dedotto concorso di colpa del
lavoratore nella produzione dell'evento, avendo accertato che la condotta
del M. non poteva essere considerata come causa esclusiva dell'evento
stesso. Il giudice dell'appello ha anzi rilevato che questo punto non era in
contestazione tra le parti, non essendo posta in discussione la valutazione
del primo giudice secondo cui non poteva essere prospettata nella specie
un'ipotesi di condotta abnorme, atipica ed eccezionale del dipendente, tale
da interrompere il nesso di causalità.
Sotto questo profilo, appare dunque inammissibile la censura di vizio di
motivazione, che non investe questo accertamento con l'indicazione di
specifici elementi di cui sia stato omesso l'esame.
4. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'art.345 cod. proc.
civ., nonché degli artt.2056 e 1223 cod. civ., in relazione all'art. 360 n.3
cod. proc. civ. La censura investe il criterio seguito dal giudice
dell'appello per la liquidazione del danno biologico, con riferimento alle
tabelle elaborate dalla. commissione di studio del gruppo di ricerca C.N.R.
presso l'Università di Pisa; con riforma, quindi, della statuizione sul
punto del primo giudice, che ha aveva invece applicato il criterio del
triplo della pensione sociale.
La parte sostiene che il criterio (cal. del valore punto) seguito dal
Tribunale non poteva trovare applicazione perché invocato per la prima volta
solo in appello, in quanto nel giudizio pretorile lo stesso M. aveva chiesto
la liquidazione in base al parametro della pensione sociale, parametro che
appariva del resto conforme al criterio equitativo di valutazione del danno.
5. Il motivo è infondato.
L'adozione di validi parametri di quantificazione ai fini della liquidazione
del danno alla salute, in quanto affidata ad un criterio equitativo, non è
condizionata dalle indicazioni della parte, le cui deduzioni in materia non
valgono ad introdurre nel giudizio di appello un nuovo tema di discussione,
soggetto a preclusioni. D'altro canto, il sistema utilizzato dal giudice
dell'appello corrisponde alle indicazioni di un orientamento
giurisprudenziale consolidato che ritiene valido criterio di liquidazione
equitativa quello che assume a parametro il cosiddetto punto di invalidità
(v. da ultimo Cass. 24 marzo 2003 n.4342).
6. Con l'ultimo motivo si denuncia la violazione dell'art.16 sesto comma
della legge n. 412/1991, affermandosi che la controversia ha natura
previdenziale, con la conseguenza, dell'applicazione della regola, stabilita
da tale norma, della non cumulabilità tra rivalutazione e interessi sul
credito.
7. Anche questa censura è infondata.
Nella specie, la pretesa azionata non si fonda sul rapporto assicurativo
configurato dalla normativa in materia di assicurazioni obbligatorie contro
gli infortuni sul lavoro, ma si ricollega direttamente al rapporto di
lavoro, in relazione al quale viene invocata la tutela risarcitoria
derivante dalla violazione dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087
cod. civ. La domanda attiene quindi ad una controversia di lavoro (cfr.
Cass. 20 agosto 2003 n. 8828, 2 settembre 1995 n. 9282, 20 febbraio 2001 n.
2450) e ad un credito regolato dalla disciplina dell'art. 429 cod.proc.civ.,
non operando il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per
i crediti previdenziali dall'art. 16 6° comma della legge 30 dicembre 1991
n. 412 .
8. L'unico motivo del ricorso incidentale investe, con la denuncia di
violazione dell'art. 91 cod.proc.civ. la statuizione in ordine alle spese
del giudizio di appello, liquidate a favore del M. nella misura del 5096; si
rileva che tale decisione non è sorretta da alcuna motivazione, in relazione
all'accoglimento integrale dell'appello proposto.
La censura merita accoglimento.
Il potere di compensazione delle spese processuali può ritenersi
legittimamente esercitato da parte del giudice in quanto risulti affermata e
giustificata, in sentenza, la sussistenza dei presupposti cui esso è
subordinato, sicché, come il mancato esercizio di tale potere non richiede
alcuna motivazione, così il suo esercizio, per non risolversi in mero
arbitrio, deve essere necessariamente motivato, nel senso che le ragioni in
base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei
presupposti di legge devono emergere, se non da una motivazione
esplicitamente "specifica", quantomeno da quella complessivamente adottata a
fondamento dell'intera pronuncia, cui la decisione di compensazione accede
(Cass. 5 maggio 1999 n. 4455). Nella specie, si deve rilevare la totale
assenza di motivazione, anche implicita, sul punto, atteso che la sentenza
impugnata non enuncia neppure l'esistenza di presupposti per la pronuncia di
compensazione delle spese, desumibili dalle vicende processuali e dalle
ragioni poste a base della pronuncia.
La sentenza deve essere quindi cassata in relazione a questo motivo, e la
causa va rinviata ad altro giudice che dovrà provvedere al regolamento delle
spese del giudizio di appello, attenendosi al principio sopra richiamato. Il
medesimo giudice provvederà anche sulle spese del presente giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale ed accoglie
l'incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso
accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Bologna.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3213 del 18 febbraio 2004, precisando che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni l'eventuale concorso di colpa del lavoratore.
Da tale assunto discende che l'imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento.