Suprema Corte di Cassazione, Sezione Feriale, sentenza n.33061/2005 (Presidente: A. Margigni; relatore: S. Visconti)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C. S., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 7/7/2004, con la quale era stata confermata la sentenza del 20/1/2004 del Tribunale di Roma, che lo aveva dichiarato colpevole del reato di furto di un cellulare sottraendolo da un’autovettura chiusa a chiave e sulla pubblica via, e, concesse le attenuanti generiche (art. 62 bis c.p.) e quella del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.), ritenute prevalenti sulla contestata aggravante delfatto commesso su cose esposte alla pubblica fede (art. 625 n. 7 c.p.) [1]. lo aveva condannato alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione e Euro 70,00 di multa.

Con il primo motivo di gravame, il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata per erronea applicazione della disposizione di cui all’art. 625 n. 7 c.p., assumendo che il furto di un cellulare lasciato a bordo di un’autovettura non integra la circostanza aggravante citata, trattandosi di apparecchio destinato alla custodia della persona del proprietario, e per sua natura non esposta alla pubblica fede.

Con il secondo motivo di gravame, il ricorrente ha dedotto la illogicità e la carenza della motivazione della sentenza impugnata, basata su una catena di indizi, quali le circostanze: che egli si trovava in compagnia della persona che aveva materialmente sottratto il cellulare dall’autovettura, in evidente funzione di vigilanza ed assistenza; che egli si sia dato alla fuga e sia stato rintracciato poco distante dal luogo del delitto; che il cellulare sia stato ritrovato nei pressi del luogo dove era stato fermato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto.

Questo Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, espresso con la sentenza n. 34409 del 14/8/2003, con la quale è stato ritenuto che la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 7 c.p., che concerne il furto commesso su cose esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, non è integrata con riguardo alla sottrazione di un telefono cellulare lasciato a bordo di un’autovettura che non costituisce normale dotazione del veicolo e d’altra parte facilmente ed usualmente destinato alla custodia sulla persona del proprietario.

Infatti, l’art. 625 n. 7 c.p., per la configurazione della relativa aggravante, richiede non solo la destinazione alla pubblica fede, ma anche tale funzionalità derivi da necessità o consuetudine o destinazione.

Sia la giurisprudenza, anche se non recente, che la dottrina, hanno esaminato le singole situazioni ed hanno ritenuto che la necessità non si può configurare astrattamente, e non può consistere in una condotta di trascuratezza da parte della vittima del reato di furto, come appare essersi verificato nella specie, per mera superficialità.

La consuetudine e la destinazione sono concetti che si distinguono solo per un criterio qualitativo, comportando la destinazione un rapporto di vero e proprio collegamento della cosa sottratta con la esposizione alla pubblica fede, mentre la consuetudine si basa più su un senso comune, ma non di indispensabilità.

In tal senso è stato condivisibilmente ritenuto che la autoradio è un usuale corredo (confort) di un’autovettura, per cui il suo furto comporta la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 c.p. (Cass. 5/5/1995 n. 6523; Cass. 12/10/1966 n. 134).

Diversamente il telefono cellulare non ha alcuna connessione con il mezzo sul quale è stato lasciato incustodito, e solitamente viene tenuto fuori dall’abitazione sulla persona del proprietario, custodito in una delle tasche.

Come già precisato, pertanto, l’esposizione del telefono sul sedile dell’autovettura costituisce un comportamento di trascuratezza della parte offesa, che esclude la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 c.p., in quanto pressoché tutte le cose mobili possono essere esposte alla pubblica fede, ma il legislatore ha inteso applicare l’aggravante solo alle ipotesi di esposizione, per necessità o consuetudine o destinazione (che esulano dalla fattispecie in esame), evitando così una generalizzata individuazione dell’aggravante in caso di furto.

L’esclusione dell’aggravante citata comporta che nella specie il reato ascritto al C. è quello di furto semplice, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 624 c.p., a querela della parte offesa, querela che non risulta proposta, avendo peraltro i Carabinieri della Stazione di Roma, P.za Farnese, precisato nel verbale di rinvenimento dell’11/2/1998, che il cellulare è stato denunciato rubato, senza indicare la proposizione di querela alcuna.

Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela.

Il secondo motivo di ricorso è ovviamente assorbito da tale decisione.

PQM

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 7 c.p.

 

Depositata in Cancelleria il 9 settembre 2005

[1] Art.625 codice penale (circostanze aggravanti (del reato di furto): La pena è della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire duecentomila a due milioni:

1) se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione;

2) se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;

3) se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso;

4) se il fatto è commesso con destrezza, ovvero strappando la cosa di mano o di dosso alla persona;

5) se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio;

6) se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande;

7) se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;

8) se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.

Se concorrono due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire quattrocentomila a tre milioni.