In caso di riforma della sentenza di reintegro viene meno il motivo delle somme percepite
Il lavoratore che perde in appello deve restituire il risarcimento PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 3509/2004)
   
   
Il lavoratore licenziato che ha vinto la causa in primo grado ottenendo somme di denaro come risarcimento è tenuto a restituirle nel caso in cui la causa sia vinta in appello dal datore di lavoro. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha spiegato che il lavoratore che ha ottenuto dal Tribunale la reintegra nel posto di lavoro ha certamente diritto ad un risarcimento, sul presupposto che il licenziamento fosse illegittimo; tuttavia, se tale presupposto viene meno a seguito della sentenza di appello, nel senso che la sentenza di secondo grado stabilisca invece che il dipendente non aveva diritto alla reintegra, viene meno di conseguenza anche il diritto a percepire le somme risarcitorie, che pertanto dovranno essere restituite. (29 marzo 2004)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.3509/2004

 

 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Pretore di Roma, accogliendo parzialmente l'opposizione proposta dall'ATAC avverso il decreto col quale gli era stato ingiunto di pagare la somma di £.17.230512 in favore del sig. A. S. a titolo di retribuzioni maturate nei mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio 1991, dichiarava che il lavoratore aveva diritto alla minor somma di £. 11.874.940.

Avverso la decisione di primo grado l'ATAC proponeva appello al Tribunale di Roma che lo accoglieva condannando l'appellato a restituire l'importo già percepito di £.11.874.940. Il giudice del gravame rilevava che con sentenza passata in giudicato il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda dello stesso lavoratore (originariamente proposta in sede di procedimento ex art. 700 [1] la cui ordinanza che era stata alla base delle richieste azionate con il decreto ingiuntivo opposto disponeva la sospensione del provvedimento adottato dall'ATAC di esonero dal servizio alla data del 30 settembre 1990) sicché il ricorrente non aveva alcun diritto alla prosecuzione del rapporto dopo il 30 settembre 1990 e di conseguenza la richiesta di retribuzioni relative a periodo successivo al settembre 1990, proposte in sede monitoria e nel giudizio in corso, erano prive di fondamento. Il Tribunale, rilevato che il lavoratore aveva nel frattempo percepito la somma richiesta, condannava lo Statuto a restituire l'importo di £ 11.874.940 già ingiustamente percepito.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale il sig. S. propone ricorso fondandolo su un unico articolato motivo.

L'ATAC s.p.a. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico articolato motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101, 112, 113, 116 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., nonché degli articoli 345, 434, 437 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 336 c.p.c., nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, il ricorrente anzitutto censura la sentenza impugnata per avere il Tribunale accolto la domanda dell'appellante di restituzione della somma di £11.874.940 proposta per la prima volta in sede di gravame, violando 1'art.345 c.p.c. che non consente l'introduzione di domande nuove in appello. Il ricorrente deduce che il Tribunale non aveva indicato gli elementi di fatto e di diritto a sostegno della nuova domanda.

Col secondo profilo di censura il ricorrente sostiene che le retribuzioni riscosse o maturate del lavoratore a seguito di sentenza di reintegra pronunciata in primo grado ( a cui è equiparabile il provvedimento di reintegra ex art.700), sono irripetibili, a nulla rilevando che la prestazione lavorativa sia stata effettivamente svolta o soltanto offerta.

La prima censura è infondata.

Costituisce principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio di appello la richiesta di restituzione delle somme pagate dalla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado non configura domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata (Cass. 21 dicembre 2001 n l6170; 3 maggio 2000 n.5549; 16 giugno 1998 n.6002; 9 aprile 1998 n.3695), e pertanto può essere proposta in appello senza che a ciò sia di ostacolo, in una controversia soggetta al rito del lavoro, la preclusione fissata dall'art. 437 c.p.c. ( Cass. n.5549/2000; 6002/98) .

Riguardo al secondo profilo di censura, in ipotesi di riforma in appello della sentenza di primo grado che abbia ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro, alcune sentenze ( Cass. 10 dicembre 1999 n.13854; 14 maggio 1998 n. 4881), hanno ritenuto ripetibili le somme ricevute dal lavoratore a titolo di risarcimento del danno per il periodo dal licenziamento all'ordine di reintegra, affermando invece la non ripetibilità di quelle ricevute dalla sentenza di reintegra alla sentenza di riforma; veniva infatti attribuita alle prime natura risarcitoria ed alle seconde natura retributiva, ritenendosi che l'indennità corrisposta per il periodo successivo alla sentenza non avesse titolo nella illegittimità del licenziamento, ma nell'inottemperanza all'ordine di reintegrazione che, non essendo coercibile, implicava la scelta del datore di non utilizzare le prestazioni lavorative nonostante l'intervenuta ricostituzione del rapporto.

La più recente giurisprudenza, tuttavia, è decisivamente orientata su una diversa lettura dell'art.18 della legge 20 maggio 1970, nel nuovo testo introdotto dalla legge 11 maggio 1990 n.108, più aderente alla formulazione della norma, lettura in base alla quale tutti gli importi erogati dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore licenziato, anche per il periodo successivo alla data di questa decisione, costituiscono risarcimento del danno derivante dall'illegittimo licenziamento e come tali sono interamente ripetibili a seguito della sentenza di riforma in appello che esclude con effetto immediato l'illecito e l'obbligo di risarcimento ( Cass. l aprile 2003 n.4943; 17 giugno 2000 n. 8263; 27 giugno 2000 n. 8745). Quest'ultimo indirizzo giurisprudenziale è basato sulla considerazione che l'art. 18 L. n. 300/70 (nuovo testo) riconosce all'indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, natura esclusivamente risarcitoria del danno subito dal lavoratore per l'illegittimo licenziamento: sicché, in caso di riforma della sentenza che aveva dichiarato l'illegittimità del recesso, venendo a cadere l'illecito civile ascritto al datore di lavoro e non sussistendo più obbligo di risarcimento a suo carico, le somme percepite dal lavoratore perdono il loro titolo legittimante e debbono essere conseguentemente restituite fin dal momento della riforma.

Il Collegio ritiene di condividere questo secondo indirizzo, non ravvisando nell'attuale formulazione dell'art.18, 4° comma, legge 300/1970 in base alla quale il giudice condanna il datore di lavoro "al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione", alcun supporto normativo alla tesi della irripetibilità delle somme in questione. Posto che la modificazione introdotta elimina sia ogni distinzione tra il periodo antecedente all'ordine di reintegrazione e quello successivo, sia ogni riferimento, riguardo a quest'ultimo periodo, all'inottemperanza all'ordine di reintegrazione, e che la commisurazione del danno alla somma equivalente alle retribuzioni globali di fatto non percepite funge da mero parametro di liquidazione del danno da risarcire, non appare più possibile assegnare alle attribuzioni patrimoniali per il periodo successivo alla sentenza di primo grado una natura diversa rispetto a quella dell'indennità risarcitoria, in ragione di una specifica finalità sanzionatoria e compulsiva propria della nonna, collegata all'inottemperanza dell'ordine di reintegrazione, alla quale manca ogni riferimento nel nuovo testo dell'art.18 e che invece era riconoscibile nella vecchia formulazione della norma.

Sebbene la giurisprudenza sopra richiamata riguardi la situazione che si produce per effetto della sentenza di primo grado che abbia disposto la reitegrazione e che sia stata poi riformata, la questione non è diversa da quella che si produce quando la condanna alla restituzione riguarda somme ottenute originariamente con decreto ingiuntivo basato su ordine di reintegrazione per effetto di provvedimento ex art.700 c.p.c., successivamente travolto in sede di merito, dove, in appello la domanda del ricorrente viene rigettata; il provvedimento d'urgenza, infatti, ha la sola funzione di assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza di merito del quale non può avere maggiore incisività.

Il ricorso deve essere, dunque, rigettato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2004.