Rischia la condanna anche chi abbia chiesto cifre modeste
Reato penale per il posteggiatore abusivo PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 41462/2004)
   
   
I posteggiatori abusivi che chiedono soldi in cambio della custodia dell'automobile commettono reato, e rischiano una condanna penale anche se abbiano chiesto agli automobilisti pochi euro. Lo ha stabilito una sentenza della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, giudicando "penalmente rilevante" il comportamento di coloro che fingono di essere autorizzati rilasciando finte ricevute a tutti quelli che parcheggiano l'automobile negli spazi da loro abusivamente gestiti. La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna contro una sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato non punibile un posteggiatore che si era fatto dare 5 euro da un automobilista per "la modesta entità del fatto": anche se la somma pretesa come pagamento non è eccessivamente alta, l'abuso resta e quindi il reato sussiste. (24 novembre 2004)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, sentenza n.41462/2004

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 10/7/2003 il tribunale di Bologna dichiarava C. C. non punibile in ordine all’imputazione di truffa, contestata per avere egli, con artifici e raggiri consistiti nel presentarsi come parcheggiatore autorizzato e nel rilasciare ricevuta di avvenuto pagamento, indotto in errore la persona offesa che si determinava a corrispondergli il compenso di £ diecimila.

Osservava il Tribunale che, sulla base della giurisprudenza costituzionale, il principio di no offensività deve ispirare l’interpretazione della norma incriminatrice, sicché il giudice di merito ha il dovere di apprezzare se la condotta dell’agente sia priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati; rilevava, quindi, che la condotta contestata appariva, nel concreto, di modesta entità, tale da indurre a ritenerla, secondo il precetto dell’art. 49, secondo comma, c.p. [1], fuori dall’area del penalmente rilevante.

Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale il quale denuncia violazione dell’art. 49 c.p.

Il ricorso è fondato.

Rileva il collegio, inanzi tutto, come erri il giudice di merito a richiamare il principio di non offensività, potendosi eventualmente argomentare, nel caso di specie, solo intorno a quello, diverso, di irrilevanza del fatto; ed invero, come ha esattamente sottolineato il procuratore impugnante, è lo stesso giudicante ad ammettere che, nella vicenda in esame, una lesione del bene giuridico tutelato dalla norma si sia verificata, ancorché di modesta entità.

A prescindere dunque dalla considerazione, peraltro dirimente, che nel nostro ordinamento il principio della necessaria offensività del fatto, cui il tribunale si è ispirato, non è ancora vigente (tanto che la relativa introduzione è stata prevista nello schema di legge- delega Magliaro, nel progetto di riforma del codice penale redatto dalla Commissione Grosso e nel progetto di revisione della seconda parte della Costituzione licenziato il 4/1/1997 dalla Commissione bicamerale), si deve osservare come del tutto infondato si mostri comunque il richiamo effettuato in sentenza all’art. 49, secondo comma, c.p., atteso che l’evento dannoso del reato (la deminutio patrimoni) si è nella specie pacificamente verificato.

Solo di particolare tenuità del fatto dunque si ha da parlare, senza che tuttavia se ne possa trarre conseguenza giuridica diversa dalla valutazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p.; ed invero la possibilità di dichiarare improcedibili o non punibili situazioni in cui elementi di marginalità potrebbero indurre a non considerare una condotta penalmente rilevante nonostante la sua corrispondenza al modello tipico di reato appartiene, allo stato della legislazione (ma si veda in proposito de iure condendo l’art. 107 del citato progetto Grosso, nel teso finale come licenziato dalla Commissione redigente il 26/5/2001), esclusivamente al processo minorile (art. 27/1/2001), esclusivamente al processo minorile (art. 27.1 d.p.r. n. 448 del 1988) ed a quello dinanzi al giudice di pace (art. 34 D. Lgs. n. 274 del 2000), senza alcuna possibilità di estensione analogica della norma eccezionale.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio, secondo il precetto dell’art. 569.4 c.p.p., alla Corte di appello di Bologna che si atterrà ai principi suesposti.

PQM

Annulla la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio.

Roma, 6/10/2004.

 

Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2004.

 
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