Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, sentenza n.43868/2005 (Presidente: B. Foscarini; Relatore: A. Amato)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

V SEZIONE PENALE

SENTENZA

MOTIVI DELLA DECISIONE

M. R. è stato sottoposto a custodia cautelare in carcere con ordinanza del GIP del Tribunale di Pisa per il delitto di cui all’art. 600 c.p. modif. l.n. 228/03 [1], avendo ridotto in schiavitù e sfruttamento per l’accattonaggio minorenni e handicappati.

Il giudice del riesame confermava sulla scorta delle risultanze di prova generica.

Ricorre personalmente l’indagato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione: non vi è stata alcuna condotta di approfittamento o di coartazione della volontà.

Il tribunale trascura di considerare che la condotta costitutiva del reato non si configura quando la vittima trae un utile dall’accattonaggio.

Le circostanze di fatto valorizzate sono anodine e di tenore non in equivoco: tanto è a dire, ad esempio, del borsello rinvenuto, contenente le monete, poiché l’appartenenza all’indagato è meramente presunta.

Le censure esposte sono manifestamente infondate o versate in fatto.

La finalità di sfruttamento, che distingue la fattispecie di cui all’art. 600 c.p. da ogni altra forma di inibizione della libertà personale, non è esclusa dall’eventualità (del tutto indimostrata nella specie) che un margine degli introiti dell’accattonaggio vada a beneficio delle persone offese dal reato.

Determinante, invece, è lo stato di soggezione in cui queste ultime versano, essendo sottoposte all’altrui potere di disposizione, che si estrinseca nell’esigere, con violenza fisica o psichica, prestazioni sessuali o lavorative, accattonaggio od altri obblighi di fare.

La contestazione della valenza indiziaria degli elementi pregiati dal giudice di merito e l’offerta di una diversa lettura degli stessi attengono ai contenuti fattuali della decisione, sicché ogni doglianza così configurata non può che essere qualificata come inammissibile.

Il vizio di motivazione, delimitato con maggior rigore rispetto al precedente codice di rito alla manifesta illogicità risultante dal testo del provvedimento impugnato, comprime il potere- dovere di cognizione di questa Corte entro il perimetro della verifica della struttura logica del documento, con esclusione di escursioni verificatorie negli atti del procedimento (Cass., sez. II, 31/1/1997, Bidognetti).

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente alle spese del procedimento, nonché della somma di Euro 500,00 alla cassa delle ammende.

La cancelleria curerà gli adempimenti di legge.

P.T.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché della somma di Euro 500,00 alla cassa delle ammende .

Manda alla cancelleria per la comunicazione ai sensi dell’art. 94 d.att. c.p.p.

Roma, 9/11/05.

 

Depositata in Cancelleria il 1 dicembre 2005.

[1] Il reato di riduzione in schiavitù, previsto e punito dall'art.600 del codice penale come modificato dalla Legge 11 agosto 2003 n.228, consiste nell'esercitare su una persona poteri spettanti al proprietario, in base alla nozione di schiavitù prevista dall'art.1 della Convenzione di Ginevra del 25 ottobre 1926, ratificata con Regio Decreto 26 aprile 1928 n.1723.