In caso di esclusione illegittima il lavoratore può chiedere i danni
Il datore di lavoro deve motivare la scelta del personale PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 4462/2004)
   
   
Il datore di lavoro ha l'obbligo di indicare chiaramente i criteri di scelta del personale e di motivare adeguatamente eventuali esclusioni di lavoratori, perché altrimenti può essere chiamato a risarcire i danni derivanti dall'inadempimento contrattuale. Questo il principio stabilito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di un dipendente delle Ferrovie dello Stato che era stato escluso dall'avanzamento in carriera nonostante avesse conseguito il punteggio più alto in graduatoria e senza che le Ferrovie fornissero alcuna motivazione. La Suprema Corte ha chiarito che il rapporto tra dipendente e datore di lavoro è un rapporto contrattuale, al quale si applicano i doveri di correttezza e di esatto adempimento della prestazione, con la conseguenza che, in caso di illegittima esclusione di un lavoratore dalla selezione ed in mancanza di motivazione, l'imprenditore - datore di lavoro può essere considerato inadempiente e condannato a risarcire i danni causati al lavoratore dalla mancata progressione in carriera. (12 maggio 2004)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.4462/2004

 

 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 17 novembre 1995 al Pretore di Venezia, O. T, dipendente della s.p.a. Ferrovie dello Stato con la qualifica di impiegato-capo settore, esponeva di aver partecipato ad una selezione del personale decisa dalla società con ordine di servizio del 28 agosto precedente e finalizzata ad una "selezione del personale per l'avviamento al percorso di professionalizzazione di capo settore gestioni". Egli aveva riportato il maggior punteggio nella graduatoria provvisoria, formata attraverso i titoli, ma nella graduatoria definitiva era stato collocato all'ultimo posto, senza alcuna motivazione e con conseguente esclusione dalla selezione e danno per la progressione in carriera.

Il ricorrente chiedeva pertanto l'accertamento della illiceità di detta esclusione, l'annullamento della graduatoria definitiva e la condanna della datrice di lavoro a riformularla nonché a risarcire il danno.

Costituitasi la convenuta, il Pretore, ritenendo che il difetto di motivazione fosse sufficiente a dimostrare la pretestuosità della valutazione sfavorevole, accoglieva le domande con decisione del 3 dicembre 1999, riformata però con sentenza del 3 novembre 2000 dal Tribunale, il quale riteneva priva di fondamento qualsiasi pretesa del T..

Esso sosteneva non avere il lavoratore prospettato alcun obbligo gravante sulla datrice di lavoro e da essa violato, e qualificava come atto negoziale la denunciata graduatoria, non affetta da alcun vizio che potesse giustificare l'annullamento.

In ogni caso non rientrava nei poteri del giudice di sostituirsi alla detta datrice nell'esercizio di poteri discrezionali e così di inserire l'appellato in una nuova graduatoria.

Negava infine il Tribunale che l'assenza di motivazione nell'esclusione del candidato dalla graduatoria definitiva fosse prova dell'illiceità della condotta della società, giacché non sussisteva alcun obbligo di motivare, né di detta illiceità aveva fornito alcuna prova il lavoratore, attore in giudizio.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione il T. mentre la s.p.a. Rete ferroviaria italiana resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione in ordine alla negazione, da parte del Tribunale, di alcun obbligo, gravante sulla datrice di lavoro e derivante dall'ordine di servizio dispositivo di una selezione del personale, utile per la progressione in carriera.

Sostanzialmente la medesima censura è contenuta nel secondo motivo di ricorso, col quale il ricorrente, denunziando la violazione degli artt. 1218 c.c. e 24 Cost. [1], sostiene essere derivato dal detto ordine di servizio l'obbligo della datrice di lavoro di selezionare i dipendenti secondo i criteri indicati nello stesso ordine e secondo il principio della buona fede nell'esecuzione delle obbligazioni (art. 1375 c.c.).

Col terzo motivo la ricorrente sostiene che l'esercizio del potere discrezionale nella selezione comportava altresì, a carico della datrice di lavoro, l'obbligo di motivare, ai sensi dell'art. 3 l. 241/1990.

Col quarto motivo egli aggiunge, invocando gli artt. 1218, 1223 e 2043 c.c., che la violazione degli obblighi suddetti comportava a carico dell'inadempiente la condanna al risarcimento del danno, costituito dalla perdita della possibilità (chance) di progressione in carriera.

I quattro motivi, da esaminare insieme perché connessi, sono fondati.

Da tempo questa Corte ha enunciato i seguenti principi in materia di concorsi indetti dalle imprese di diritto privato all'interno della loro organizzazione, onde selezionare il personale ai fini della progressione in carriera.
  1. Attraverso il bando di concorso, eventualmente contenuto (come nella fattispecie concreta qui in esame) in un ordine di servizio, l'impresa formula una offerta al pubblico, valida come proposta contrattuale (art. 1336, primo comma, c.c.), con la quale essa assume l'obbligo di procedere alla selezione secondo i criteri indicati nello stesso bando e comunque secondo il principio di correttezza e di buona fede canonizzati negli artt. 1175 e 1375 c.c., che si specificano nei doveri di imparzialità e di trasparenza dell'azione (cfr. Cassazione S.U. 6031/1993).
     
  2. Il contenuto dell'obbligo ossia la prestazione dovuta dall'imprenditore-datore di lavoro, consiste in un'attività discrezionale e più precisamente nella valutazione comparativa dei titoli e della capacità professionale dei candidati-prestatori di lavoro; discrezionalità controllabile ossia non equivalente a mero arbitrio, con la conseguente configurazione, in capo a ciascun candidato, di una posizione soggettiva, oltreché di credito, di interesse legittimo di diritto privato, e non di soggezione (Cassazione 8132/2000, con ulteriori richiami; 10514/2001, 13922/2001, 13952/2002, 1382/2003). Non è infatti raro che, all'interno del rapporto obbligatorio, il compimento della prestazione dovuta comporti l'esercizio di scelte da parte del debitore (si pensi all'obbligazione alternativa di cui agli artt. 1285 ss. c.c. e si veda Cassazione S.U. 295/2000).
     
  3. Quando il creditore abbia provato la sussistenza dell'obbligazione, l'onere di provare l'adempimento incombe sul debitore (Cassazione 12921/1991, 5686/1985, 7553/1999, 2204/1994).

    Spetta perciò all'imprenditore-debitore di provare di avere eseguito le operazioni di valutazione concorsuale attenendosi al suddetto dovere di imparzialità, il cui difetto ben può essere ritenuto dal giudice di merito sulla base dell'assenza di motivazione delle scelte discrezionali. L'art. 3 l. 241/1990 è richiamato impropriamente dal ricorrente poiché riguarda l'azione della pubblica amministrazione e non dei soggetti privati, e tuttavia esso rileva qui indirettamente, quale dimostrazione della impossibilità di controllare, anche in sede giudiziale, la discrezionalità se non attraverso la motivazione degli atti d'esercizio del potere, pubblico o privato.
     
  4. In caso di inadempimento dei detti obblighi da parte dell'imprenditore, il prestatore di lavoro-creditore ben può esercitare l'azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione delle operazioni concorsuali e della valutazione, nonché l'azione di risarcimento del danno (art. 1218 c.c.). Questo può consistere nella perdita non già del vantaggio che il lavoratore avrebbe ottenuto in caso di esito favorevole della valutazione, ma soltanto nella perdita della possibilità (chance) di tale esito, ed il relativo ammontare potrà essere determinato dal giudice di merito in via equitativa (art. 1226 c.c.) (Cassazione supra cit.).

    Questi principi sono stati completamente disattesi dalla sentenza impugnata, che anzi ha trascurato la relativa problematica e che perciò dev'essere cassata. La causa va rinviata ad altro collegio di merito, che si designa nella Corte di appello di Trieste e che si pronuncerà sull'appello proposto dalla società contro la decisione pretoriale, uniformandosi ai principi di diritto testé enunciati, e provvederò anche in ordine alle spese processuali.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Trieste, anche per le spese.

Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2004.