La Sezione
Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n.7859 del 24 aprile 2004 ha
stabilito che gli enti previdenziali rispondono dei danni causati agli
assistiti per avere certificato dati inesatti relativi alla loro situazione
pensionistica. Tale responsabilita', chiariscono i Giudici della Corte, non
puo' essere esclusa per il fatto che il certificato emesso dall'ente
previdenziale fosse suscettibile di corretta interpretazione sulla base di
calcoli matematici o successive integrazioni da parte dell'emittente.
Sentenza n. 7859 del 24 aprile 2004
RESPONSABILITA' RISARCITORIA DELL'ENTE PREVIDENZIALE PER ERRATA CERTIFICAZIONE
(Sezione Lavoro - Presidente S. Senese - Relatore A. Spanò)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Cori ricorso in data 15 dicembre 1997 C. R. conveniva in giudizio dinanzi al
Pretore di Prato in funzione di Giudice del Lavoro l'I.N.P.S., Istituto
Nazionale per la Previdenza Sociale, al fine di ottenere il risarcimento dei
danni conseguenti all'errata certificazione da parte dell'Istituto di una
posizione contributiva tale da consentire l'accesso alla pensione di
anzianità.
Resisteva l'Istituto ed assumeva che l'estratto conto assicurativo prodotto
dall'interessato non poteva valere come certificazione e in ogni caso dalla
stessa risultavano gli elementi per un calcolo esatto dei contributi
accreditati.
Con sentenza n. 58/2000 in data 22 marzo 2000 il Tribunale di Prato, divenuto
Giudice Unico di primo grado in materia di lavoro, respingeva la domanda.
Interponeva appello il C. e in esito il gravame veniva rigettato con sentenza
n. 337/2001, emessa in data 19 aprile - 11 maggio 2001 dalla Corte d'Appello
di Firenze.
La decisione veniva così motivata.
Osservava la Corte territoriale che l'estratto contributivo è una "informativa
fornita dall'INPS con espressa riserva di ulteriore verifica da parte dello
stesso assicurato nell'intento di realizzare in via generale una corretta
definizione della posizione contributiva degli assicurati e senza alcuna
finalità o valenza certificativa".
Doveva quindi escludersi "ogni possibile configurazione di condotta colposa
dell'Istituto nell'ambito di un procedimento amministrativo ovvero in sede di
atti dovuti (di ufficio o su richiesta dell'interessato) .."
Osservava ancora che la convinzione dell'assicurato di possedere un numero
sufficiente di contributi era frutto di "un'errata interpretazione degli
stessi dati a lui comunicati".
Avverso la sentenza, che dalla copia autentica versata in atti da parte
ricorrente risulta notificata in data 17 settembre 2001, propone ricorso per
cassazione C. R. con atto notificato in data 14 novembre 2001, sulla base di
un unico complesso motivo.
L'INPS si è costituito col solo deposito di procura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico complesso motivo si denuncia, con riferimento al n. 3 dell'art.
350 cpc, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1175, 1176, 1218,
1227, 2043 cc, 51 e 78 RD 28 agosto 1924 n. 1442, 38 legge 30 aprile 1969 n.
153, 1 dl 16 luglio 1978 n. 352, 54 legge 9 marzo 1989 n. 88, 5 DPR 27 aprile
1968 n. 488 e DM 5 febbraio 1969. Si denuncia altresì, con riferimento al n. 5
dell'art. 360 cpc, il vizio di motivazione.
Si osserva che l'Istituto deve fornire i dati relativi al la posizione
contributiva in adempimento di uno specifico obbligo di legge ed è pertanto
responsabile delle inesattezze contenute nelle comunicazioni fornite al
riguardo.
Si rileva ancora che l'assicurato aveva sostenuto fin dall'inizio che dal
documento risultavano 1821 settimane di contribuzione e invitato l'Istituto a
specificare le ragioni di una differente lettura, instando in ogni caso per
l'espletamento di una consulenza tecnica al riguardo. Si fa notare che la
motivazione offerta dalla Corte territoriale si riduce alla immotivata
affermazione della circostanza.
Le censure appaiono fondate.
Invero secondo l'art. 54 legge 9 marzo 1989, n. 88, "è fatto obbligo agli
agenti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell'interessato o
di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di
legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e
pensionistica. La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo
della situazione in essa descritta". Del tutto ingiustificata è quindi
l'affermazione che l'estratto contributivo non avrebbe alcuna finalità o
valenza certificativa. E il richiamo ad una espressa riserva di ulteriore
verifica da parte dell'assicurato, che sembra essere stata contenuta nel
documento, secondo quanto si afferma nella denunciata sentenza, è privo di
qualsiasi rilevanza poiché di fronte ad un preciso obbligo di fornire una
certificazione relativa alla posizione previdenziale e pensionistica,
l'Istituto non può certo fornire dati non controllati o comunque incerti e
sfuggire a responsabilità per erronee comunicazioni col mero invito
all'assicurato ad effettuare verifiche. Tale riserva, ove non possa valere
quale invito a dare la prova di ulteriori elementi a favore dell'assicurato,
eventualmente non risultanti agli atti dell'Istituto, rappresenta una mera
clausola di stile, priva di alcun effetto, siccome contraria al preciso
disposto di legge.
Il Collegio di merito afferma ancora che il documento, se rettamente
interpretato, forniva comunque dati esatti. È agevole rilevare al riguardo che
tale valutazione non può essere formulata col mero richiamo ai chiarimenti
offerti dall'Istituto, posto che l'obbligo di fornire una certificazione
implica quello di consegnare un documento comprensibile con 1a normale
diligenza da persona che abbia il livello culturale minimo compatibile con lo
svolgimento di una attività lavorativa, non certo un prospetto che consente
l'acquisizione dei dati esatti solo a seguito di chiarimenti dell'Ente che lo
rilascia e di calcoli matematici.
Si impone quindi la cassazione dell'impugnata sentenza con rinvio per nuovo
esame ad altro giudice in grado di appello che si designa come in dispositivo.
Detto Giudice dovrà valutare il documento che l'interessato ha prodotto nel
corso del giudizio di primo grado, a lui rilasciato dall'Istituto, ed
accertare se lo stesso, in base ad una lettura che risulti agevole a persona
dotata delle cognizioni minime compatibili con lo svolgimento di un'attività
lavorativa consentiva, alla data del rilascio, di escludere il requisito
contributivo per l'accesso alla pensione d'anzianità.
Appare opportuno demandare a detto giudice anche la pronuncia sulle spese del
giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
Accoglie il ricorso.
Cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia anche per
le spese alla Corte d'Appello di Bologna