Cassazione
Sezione Lavoro
Sentenza 1° agosto 2003 n. 11759
(Presidente G. Ianniruberto - Relatore G. Vidiri)
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 28 stat. lav., depositato in data 4 aprile 1997, la
(omissis) adiva il Pretore di Bergamo esponendo che la (omissis) aveva
immotivatamente impedito ai membri del direttivo provinciale (omissis) di essa
(omissis) di usufruire dei permessi sindacali ex art. 30 stat. lav.
rispettivamente nelle giornate del 29 gennaio 1997 e del 28 marzo 1997 quanto
a R. M., del 13 I, e 14 marzo 1997 quanto a V. B. e del 26 marzo1997 quanto a
G. M., benchè in passato non avesse mai sollevato ostacoli alla fruizione dei
suddetti premessi retribuiti da parte di costoro. Il relativo diritto era
stato negato al M. anche nelle giornate 10,12,14 e 15 marzo 1997 sul
presupposto che lo stesso non fosse membro dell'organo del direttivo
provinciale e, poichè l'assenza al lavoro in dette giornate era stata ritenuta
ingiustificata, allo stesso era stata applicata la sanzione disciplinare della
proroga del termine di decorrenza dell'aumento contrattuale di stipendio.
Tutto ciò premesso ed evidenziato altresì che la società aveva posto in essere
una condotta persecutoria nei confronti dei membri del direttivo provinciale
della (omissis), l'organizzazione sindacale ricorrente chiedeva che venisse
dichiarata l'antisindacalità del comportamento della (omissis) con l'ordine di
cessazione della condotta e l'eliminazione dei relativi effetti nonchè
l'annullamento della sanzione inflitta al M..
Dopo la costituzione del contraddittorio e l'espletamento della fase
cautelare, il Pretore di Bergamo, rigettando l'opposizione al decreto da esso
emesso, ed accogliendo la domanda incidentale dell'organizzazione sindacale,
riteneva illegittima la condotta tenuta dalla (omissis).
A seguito di gravame della società, il Tribunale di Bergamo con sentenza del
20 ottobre 1999 rigettava l'appello e condannava la suddetta società al
pagamento delle spese del giudizio.
Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale premetteva che la materia dei
permessi retribuiti dei dirigenti sindacali per la partecipazione alle
riunioni degli organi direttivi provinciali e nazionali non tollera limiti
diversi da quelli derivanti dal diritto stesso, sicchè il rinvio in materia
alla contrattazione collettiva non può incidere sui presupposti soggettivi ed
oggettivi del diritto stesso, essendo consentito alle parti sociali di
disciplinare soltanto la fissazione dei limiti 300 in relazione all'art. 27
del contratto collettivo di lavoro; carenza di antinsindacalità nel
comportamento di essa società sotto il profilo della osservanza della norma
con i limiti in essa previsti; compatibilità con le esigenze
tecnico-aziendali. In particolare la ricorrente sostiene che la propria
condotta era stata determinata dall'obbligo di osservanza della norma
contrattuale, che recepita dalle parti sociali, aveva inteso conciliare la
libertà sindacale con il servizio pubblico di trasporto. Da qui il
contemperamento delle esigenze di servizio con il diritto ai permessi, che non
potevano che essere eccezionali e sporadici; da qui ancora l'illegittimità
della condotta dell'organizzazione sindacale, che aveva aumentato a dismisura
le proprie richieste di permessi, pretendendone l'adempimento e ponendo in
grave difficoltà il servizio di trasporto che in quel momento non poteva
sopportare alcuna assenza dei lavoratori.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione dell'art. 30 stat. lav.
in relazione all'art. 27 contratto collettivo sotto altro profilo. Deduce al
riguardo che i permessi sindacali per i componenti gli organi delle
associazioni dei lavoratori, così come previsto dalla norma contrattuale,
dovevano e debbono essere motivati esclusivamente in ragione delle riunioni
degli organi di appartenenza di tali associazioni, perchè solo da esse trae
legittimità la richiesta. Detta richiesta va, dunque, motivata in modo da
consentire al datore di lavoro un effettivo controllo, impedito invece
dall'assenza di qualsiasi precisazione sul luogo, sul tempo e sull'organo che
si riunisce. Non poteva, per concludersi, ritenersi antisindacale il
comportamento tenuto da essa società ricorrente diretto a contrastare numerose
domande non fornite di adeguata motivazione ma limitate soltanto ad affermare
unicamente generici motivi di assenza dei dirigenti sindacali.
Le due censure, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di
questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettate perchè prive di
fondamento.
Alla stregua dell'art. 30 stat. lav. i componenti degli organi direttivi
provinciali e nazionali dei sindacati maggiormente rappresentativi a norma
dell'art. 19, hanno diritto ai permessi retribuiti per la partecipazione alle
riunioni degli organi stessi. La norma rinvia alla contrattazione collettiva
facendo sorgere delicate problematiche che sono state oggetto di ampia
disamina da parte della dottrina giuslavoristica e dalla giurisprudenza.
Per i giudici di legittimità non è consentito, attraverso la contrattazione
collettiva, rendere facoltativa la concessione dei suddetti permessi ovvero
condizionare il riconoscimento del diritto all'assenza di impedimenti di
ordine tecnico-aziendale, devoluti alla discrezionale valutazione del datore
di lavoro, risultando in tal modo pregiudicato, l'interesse,
costituzionalmente garantito, sotteso all'art. 30 dello statuto(cfr. ex
plurimis: Cass. 18 gennaio 1991 n. 435; Cass. 20 luglio 1989 n. 3430, che ha
ritenuto consentito prevedere contrattualmente la quantificazione dei
permessi, l'indicazione al datore di lavoro dei dipendenti legittimati a
fruirne e la comunicazione preventiva dei permessi da utilizzare in concreto,
al fine di rendere possibile al datore di lavoro eventuali sostituzioni; Cass.
5 agosto 1988 ,i n. 5029, che ha ribadito a sua volta la legittimità della
regolamentazione dei permessi ad opera di accordi individuali, oppure secondo
i principi generali di cui all'art. 1374 c.c. da parte del giudice, in
conformità agli usi o all'equità nel rispetto dell'obbligo reciproco di
correttezza delle parti, rapportato alle finalità della norma e con eventuale
riguardo a discipline contrattuali collettive non regolanti il caso specifico
ma concernenti situazioni analoghe).
In questo quadro ricostruttivo la Corte di Cassazione ha anche avuto modo di
precisare che il giudice nel quantificare - in assenza di specifiche
disposizioni contrattuali - i permessi può fare riferimento, in via analogica,
alla disciplina degli artt. 22 e 23 stat. lav. (cfr. Cass. 12 dicembre 1989 n.
5520; Cass. 20 luglio 1989 n. 3430).
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso la sentenza impugnata risulta
pienamente rispettosa degli enunciati principi avendo il Tribunale di Bergamo
correttamente negato che la (omissis) potesse di fatto disconoscere ai
dirigenti sindacali provinciali (di cui ha ritenuto provata la carica
rivendicata) i permessi attraverso il richiamo alle esigenze aziendali e/o a
ragioni di regolarità del servizio di trasporto, tra l'altro non acclarate.
Del resto a attestare l'infondatezza dell'assunto della ricorrente è agevole
osservare come il datore di lavoro, al fine di assicurare il pieno esercizio
dell'attività sindacale debba modellare la propria organizzazione e
disciplinare la forza lavoro in modo da rendere effettivo il godimento del
diritto ai permessi, non potendo - come già detto - appellarsi all'esigenza
del regolare svolgimento dell'attività dell'impresa per negare il suddetto
diritto o per limitarne il contenuto.
Ma il ricorso della società risulta destituito di fondamento anche nella parte
in cui disconosce il diritto ai permessi sul presupposto della mancanza di
qualsiasi motivazione della domanda avanzata dai dirigenti sindacali,
adducendo al riguardo che tale carenza impediva al datore di lavoro qualsiasi
controllo sulla partecipazione alle riunioni degli organi sindacali in ragione
delle quali l'art. 30 stat. lav. riconosce i permessi in questione.
L'esame di tale assunto comporta la necessità di una preliminare
considerazione teorica.
I permessi di cui agli artt. 23 e 24 si differenziano da quelli ex art. 30
stat. lav. per spettare i primi a coloro che possono definirsi, seppure con
qualche approssimazione, "sindacalisti endo-aziendali", cioè a coloro che sono
deputati a svolgere la propria attività all'interno dell'impresa, e per essere
invece i secondi riconosciuti a quanti possono qualificarsi "sindacalisti
extra-aziendali" cui, appunto, i benefici in questione vengono attribuiti
quantitativi dei permessi - il cal. monte ore - nonchè le modalità di
esercizio, e cioè individuare i soggetti legittimati ad usufruire di detti
permessi ed i termini del preavviso da notiziare al datore di lavoro. Nel caso
di specie doveva, pertanto, ritenersi nullo il disposto dell'art. 27 del
contratto nazionale di categoria del 1976, nella parte in cui subordinava la
fruizione dei permessi sindacali ex art. 30 stat. lav. alla compatibilità con
le esigenze aziendali, in quanto con il citato art. 30 il legislatore non ha
inteso subordinare la libertà sindacale a quella della iniziativa economica
privata ma ha invece voluto j contemperare gli opposti interessi attraverso la
previsione di limiti intrinseci quantitativi la eccezionalità e sporadicità) e
la cautela di ordine temporale e di modalità informative. In mancanza di
qualsiasi disciplina collettiva in materia devono poi supplire gli accordi
individuali e deve intervenire il giudice alla stregua dei principi generali
di integrazione del contratto secondo gli usi e l'equità ex art. 1384 c.c. nel
rispetto dell'obbligo reciproco di correttezza e buona fede ex art. 1375 c.c.
In tale ottica il Tribunale osservava che doveva considerarsi parametro
adeguato di riferimento sia pure nei limiti minimali la determinazione di otto
ore mensili per ogni dirigente delle rappresentanze sindacali aziendali,
stabilite dall'art. 23 stat. lav. con riferimento alle aziende che occupano da
duecento a tremila dipendenti, per la diversa fattispecie di permessi
retribuiti finalizzati allo espletamento dell'attività sindacale endoaziendale.
Ed invero, tale riferimento inteso come limite minimo in relazione ai
"dirigenti interni" lo è ancora di più con riferimento a quelli "esterni"
attesa la maggiore rilevanza della carica sindacale di questi ultimi. Nel caso
di specie tale limite quantitativo era stato però ampiamente superato ma, come
aveva correttamente rilevato il primo giudice, i permessi retribuiti erano
stati negati al M. ed al M. non perché la (omissis) aveva "sforato" il limite
quantitativo intrinseco al diritto in oggetto, ma perchè i suddetti
rappresentanti sindacali non risultavano legittimati ad usufruirne per non
essere, a parere della società, membri dell'organo direttivo provinciale.
L'assunto della (omissis) però era stato smentito dalle risultanze
istruttorie, che avevano invece comprovato la piena legittimazione del M. e
del M.. Su tale punto la decisione del primo giudice non era stata oggetto di
specifica censura.
Anche con riferimento ai permessi richiesti dal B. il diniego era stato
giustificato non con il superamento del limite quantitativo, ma sulla base
dell'impossibilità di sostituzione del dipendente, circostanza pure questa
esclusa dalle risultanze processuali, giusta la decisione di primo grado, che
anche su tale punto non era stata oggetto di specifica impugnativa.
Aggiungeva, infine, il Tribunale che, pur non essendo necessario per la
configurabilità della condotta antisindacale, l'elemento soggettivo, nella
fattispecie in oggetto era emerso dalla prova per testi che la condotta
datoriale era stata determinata da intento ritorsivo, avendo la società mutato
il suo precedente atteggiamento collaborativo dopo che la Cisl aveva
sostenuto, diversamente dalle restanti organizzazioni sindacali, il diritto
agli assegni ad personam dei dipendenti dell'ex società Busti, che erano stati
trasferiti alla (omissis)
Contro tale sentenza la (omissis) propone ricorso per cassazione, affidato ad
un duplice motivo illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso la (omissis) di Bergamo.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente deduce violazione dell'art. 30 della
legge 20 maggio 1970 n. in ragione soprattutto del necessario coordinamento
tra singole unità produttive e centri decisionali a carattere territoriale
delle organizzazioni sindacali, ed in considerazione altresì dell' esigenza
che rivendicazioni lavorative locali e settoriali vengano filtrate ed
armonizzate nel più ampio quadro delle politiche generali delle suddette
organizzazioni.
Nella indicata differenziazione trova fondamento, pertanto, la statuizione
secondo cui i permessi sindacali previsti dall'art. 30 stat. lav. per i
dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono
essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi
direttivi, come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i
dirigenti interni, collegati genericamente all'esigenza di espletamento del
loro mandato e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di
fruire dell'aspettativa sindacale sicchè l'utilizzazione per finalità diverse
dei permessi giustifica la cessazione dell'obbligo retributivo da parte del
datore di lavoro che è abilitato ad accertare la effettiva sussistenza dei
presupposti del diritto (cfr. in tali sensi: Cass. 24 marzo 2001 n. 4302 anche
per l'affermazione che i permessi sindacali in esame costituiscono oggetto di
un diritto potestativo del dirigente sindacale, dal cui esercizio discende una
situazione di soggezione del datore di lavoro cui adde, sempre per la
configurazione del diritto ai permessi come diritto potestativo, Cass. 12
dicembre 1989 n. 5521).
Le argomentazioni sinora svolte inducono così ritenere che al datore di
lavoro, a fronte dello stato in cui versa che lo costringe a concedere i
permessi, spetta il diritto al controllo volto ad accertare l'effettiva
partecipazione dei sindacalisti, destinatari di tali permessi, alle riunioni
degli organi direttivi (nazionali o provinciali).
Tale diritto non può però accompagnarsi a formalismi o adempimenti capaci, per
le loro modalità, di limitare l'attività sindacale e di impedire ai dirigenti
di svolgere , in piena libertà ed autonomia, i propri compiti. In altri
termini,il controllo non può concretizzarsi in condotte volte ad accertare in
via preventiva se la richiesta dei permessi sia o meno indirizzata alla
partecipazione alle riunioni. Non è cioè consentito fare dipendere - come si
fosse in presenza di qualche atto autorizzativo - la concessione dei permessi
ad un preliminare esame della relativa domanda e da una positiva valutazione
del suo contenuto.
Nulla osta di contro che le parti sociali di comune accordo e nella loro
autonomia privatistica stabiliscano regole comportamentali che, pur agevolando
il controllo, non incidano però in maniera sostanziale sul diritto, rendendone
gravoso o limitandone incisivamente l'esercizio.
Ai sensi delle argomentazioni svolte appare del tutto rispettosa degli
indicati principi giuridici e sorretta da congrua e corretta motivazione - e,
conseguentemente, non suscettibile di alcuna censura in questa sede di
legittimità - la decisione impugnata che, sul presupposto della validità di
una clausola contrattuale destinata a corredare la domanda dei permessi ex
art. 30 stat. lav. di adeguate ragioni giustificative (art. 27 del contratto
collettivo di categoria applicato dalla società ricorrente), ha concluso per
la piena legittimità di una domanda che, nel rispetto di detta clausola,
faceva riferimento ad "un impegno sindacale" dei dirigenti provinciali "ai
sensi ed agli effetti contrattuali e di leggi in vigore". Dizione quest'ultima
che - come ha puntualmente osservato il Tribunale di Bergamo - altro non
poteva significare che "la riunione del comitato direttivo provinciale della
federazione richiedente indetta per il giorno indicato nella richiesta".
Per concludere, nella fattispecie in esame si era in presenza di una clausola
pattizia da considerarsi nulla in relazione alla prevista esigenza di
conciliare il diritto ai permessi con le esigenze aziendali ed, invece,
legittima nella parte con la quale nel disciplinare la forma della domanda di
permessi, non rendeva con il prescriverne la motivazione il diritto al
controllo gravoso nè ne limitava in alcun modo la particolare funzione e la
specifica operatività.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del
presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il
ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio di
cassazione.