Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 22 maggio 2007, n. 11879
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Walter S. ha chiesto la condanna di ...omissisvld....
al risarcimento dei danni sofferti per le lesioni riportate il 7 maggio 1983
perché attinto da un proiettile sparato dalla pistola del carabiniere ...omissisvld...,
che, nell'esercizio di un servizio di appostamento, aveva tentato di fermarlo
per identificarlo.
Lo S. ha sostenuto, infatti, che l'azione del militare era del tutto
ingiustificata dato che il proiettile era stato sparato mentre egli stava per
allontanarsi dal militare che, senza dichiararsi, gli si era improvvisamente
parato dinnanzi in un luogo buio ed isolato.
Il ...omissisvld... si è opposto a questa domanda sostenendo che il colpo era
stato esploso accidentalmente durante una colluttazione con lo S. che, alla
intimazione dell'alt, lo aveva aggredito afferrandolo per il collo e
prendendogli il polso del braccio destro.
La domanda, rigettata dal tribunale di Brescia, è stata invece accolta, con
sentenza del 23 ottobre 2002-11 febbraio 2003, dalla Corte di appello,
dinnanzi alla quale la sentenza del giudice di primo grado era stata impugnata
dallo S.
La predetta Corte di merito ha, in particolare, ritenuto che dovesse ritenersi
provato che il colpo è stato sparato dall'arma del carabiniere ad una distanza
di oltre due metri e che ciò esclude la possibilità di supporre che lo sparo
sia stato accidentale, durante la colluttazione, deponendo a favore della
versione dei fatti fornita dalla vittima, per la quale il colpo è stato
sparato mentre essa stava per allontanarsi dal suo antagonista volgendo allo
stesso le spalle.
Tale ricostruzione del fatto, sostanzialmente basata sulla assenza di tracce
di polvere da sparo nel maglione che indossava lo S. durante l'episodio, ed in
prossimità dei fori di entrata e/o di uscita del proiettile, ha indotto la
Corte di merito ad addebitare ad ingiustificata azione dolosa o colposa del
carabiniere la responsabilità dell'evento, data la inapplicabilità della
esimente dell'art. 53 c.p., la quale richiede che l'uso dell'arma sia imposto
dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza e non è
perciò applicabile nel momento in cui la violenza ha esaurito i suoi effetti o
la resistenza è cessata.
...omissisvld.... ha impugnato questa sentenza con ricorso per cassazione.
Walter S. resiste con controricorso.
È stata depositata memoria nell'interesse del controricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia il
vizio di "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione
all'art. 360, n. 5, c.p.c.".
Si addebita alla Corte di merito: a) di avere negato che una colluttazione vi
sia stata tra il ...omissisvld... e lo S. senza darsi carico di valutare la
rilevanza indiziaria delle contusioni traumatiche alla coscia, alla spalla ed
al polso destro e delle escoriazioni in regione cervicale latero-sinistra
accertate dai sanitari dell'Ospedale di Calcinate, ove lo S. è stato
ricoverato dopo la lesione prodotta dal proiettile sparato dal ...omissisvld...
, di per sé indicative, senza possibilità di equivoco, di una pregressa
colluttazione; b) di avere considerato affatto certo che il foro di entrata
del proiettile si trovava nella regione dorsale del corpo della vittima e
quello di uscita, conseguentemente, nella parte anteriore del corpo sulla base
di una supposizione dei sanitari che hanno visitato la predetta vittima del
tutto priva di ogni obbiettiva giustificazione, come del resto chiarito
proprio dal perito del giudice che ha appunto evidenziato come le
caratteristiche dei due fori (quello di entrata e quello di uscita) prodotti
dal proiettile non consentivano un simile accertamento; c) di avere ritenuto
che il ...omissisvld... ha esploso il colpo mentre lo S. si stava
allontanando, volgendo le spalle al suo antagonista, sulla base della
posizione del tronco dello stesso, che era lievemente piegato in avanti, senza
darsi carico delle precise considerazioni al riguardo del perito del giudice,
che, invece, ha specificamente chiarito come quella posizione fosse
perfettamente compatibile sia con la versione dei fatti fornita dal
carabiniere, per il quale il colpo è partito durante la colluttazione, sia con
la versione dei fatti proposta dalla vittima, per la quale il colpo è stato
esploso mentre egli, essendosi divincolato, stava cercando di allontanarsi; d)
di avere assegnato valore decisivo alla circostanza che il colpo è stato
esploso ad una distanza di oltre due metri senza considerare che essa prova
solo che in quell'istante i due corpi non erano avvinghiati e non anche che
non vi fosse tra i due una colluttazione con movimenti che implicavano
l'allontanamento temporaneo dei due contendenti ed il loro successivo
avvicinamento.
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.a. La prima censura del motivo in esame muove da una errata lettura della
sentenza impugnata, nella quale non si nega affatto lo scontro fisico tra il
carabiniere e la vittima seguito alla reazione di quest'ultima contro il
carabiniere che, pistola in pugno, le si era avvicinato ma si afferma solo che
il colpo è stato sparato solo quando lo S. cercava di fuggire.
1.1.b. La seconda censura investe l'apprezzamento delle prove compiuto dal
giudice di merito secondo procedimenti deduttivi logicamente plausibili e
perciò incensurabili posto che il giudice predetto ha utilizzato le
"supposizioni" dei sanitari che per primi hanno visitato lo S. ferito dal
colpo di arma da fuoco solo per trarre da esse una conferma della prova
indiziaria di eguale senso tratta dalla distanza del corpo della vittima dalla
pistola nel momento in cui il colpo è stato esploso.
Né può dirsi che nella ricostruzione del fatto sia mancata del tutto
l'attenzione per le conclusioni del perito se è vero che nello stesso ricorso
si chiarisce come il predetto perito abbia solo evidenziato come i due fori
presenti nel corpo della vittima presentassero caratteristiche che non
consentivano di distinguere quale fosse quello di entrata e quale quello di
uscita del proiettile.
1.1.c. È analoga la sorte che merita la terza censura che, come la precedente,
investe la valutazione di un elemento indiziario compiuta dal giudice di
merito secondo un procedimento logico coerente e perciò incensurabile in
questa sede.
La Corte territoriale non si è servita, infatti, dell'accertamento compiuto
dal perito sulla posizione del corpo della vittima (leggermente reclinato in
avanti) nel momento dello sparo per desumere da questa posizione, e solo da
questa, la prova che la vittima volgeva le spalle al suo antagonista ma si è
servita, ancora una volta, del predetto elemento indiziario per trarre da esso
una conferma della versione dei fatti proposta dallo S., che ha considerato
soprattutto avvalorata, come si è detto, dalla circostanza che quest'ultimo,
nel momento in cui è stato colpito, si trovava ad una distanza di oltre due
metri dall'arma del carabiniere e dalla considerazione che una simile distanza
esclude, secondo la Corte territoriale, la possibilità di supporre che la
colluttazione fosse ancora in corso; argomento, quest'ultimo, affatto
plausibile sul piano logico nell'ottica che considera la posizione del corpo
piegato in avanti agevolmente spiegabile se si suppone che lo S. stava
fuggendo e poco plausibile se si supponesse che era ancora in atto la
colluttazione, la quale presuppone il contatto e comunque una distanza dei
corpi inferiore a quella, di oltre due metri, che, nella specie, separavano il
corpo dello S. dall'arma del carabiniere e dal corpo dello stesso.
1.1.d. Anche l'ultima censura del primo motivo ripete gli errori delle
precedenti sollecitando, essa, una ricostruzione alternativa del fatto che il
giudice di merito ha escluso sulla base di un argomento logico corretto e
perciò incensurabile.
Non vi è dubbio che la colluttazione tra due persone può anche svilupparsi in
momenti in cui i loro corpi si allontanano temporaneamente, ma la Corte
territoriale ha ritenuto che la distanza di oltre due metri sia incompatibile
con una siffatta ipotesi ricostruttiva e questa Corte non riesce davvero a
scorgere la illogicità di questa conclusione che, sostanzialmente, muove
dall'idea, tutt'altro che arbitraria, che il distacco dei corpi durante una
colluttazione non è normalmente superiore ai due metri.
2. Con il secondo motivo si denuncia la "violazione e falsa applicazione degli
artt. 53 e 59 u.c. c.p. e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione
in relazione all'art. 360 c.p.c.".
La Corte, si afferma, ha negato l'esimente prevista dall'art. 53 del codice
penale perché ha ritenuto che questa esimente non possa ricorrere quando
l'aggressione nei confronti del pubblico ufficiale ha esaurito la sua carica
offensiva e sia in atto solo una fuga, che di per sé non esprime alcuna
resistenza, così dimenticando, anzitutto, che lo S. era stato imputato proprio
del reato di cui all'art. 337 c.p. per avere usato violenza al carabiniere
mentre compiva un atto del suo ufficio e che, in ogni caso, il carabiniere
aveva il dovere di portar a termine la sua azione perché "al pubblico
ufficiale che si trovi in una situazione che imponga l'adempimento di un
dovere non è riconosciuta, come nel caso della legittima difesa, una opzione
di rinuncia".
2.1. Anche questo motivo è infondato.
È vero che lo S. aveva tentato di resistere con la forza al carabiniere che
gli intimava l'alt. Ma la Corte territoriale non ha affatto ignorato la
circostanza che, anzi, ha espressamente accertato per negare, però, che essa
potesse giustificare la scriminante dell'art. 53 c.p. dato che l'arma è stata
utilizzata quando ormai era cessata la resistenza attiva dello S.; argomento,
questo, che si ricollega al principio di diritto, più volte ribadito da questa
Corte, che, individuando il fondamento e la giustificazione della disposizione
dell'art. 53 citato nella necessità di consentire al pubblico ufficiale l'uso
delle armi al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, considera
legittimo l'uso dell'arma solo in presenza della necessità di respingere una
violenza o superare una resistenza attiva, le quali richiedono l'impiego della
forza fisica o morale e non sono perciò configurabili nel caso di fuga, che
realizza solo una resistenza passiva (sent. pen. n. 6327/1989 e n. 941/1982),
se non effettuata con modalità che mettano a repentaglio l'incolumità del
terzo (sent. pen. 9961/2000 e 12137/1991).
3. La rilevata infondatezza dei motivi che lo sostengono conduce al rigetto
del ricorso con condanna del ricorrente alle spese del giudizio in cassazione
liquidate in euro 5100, di cui euro 100 per esborsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in cassazione, liquidate in euro 5100 (cinquemilacento) in esse comprese euro 5000 per onorari ed euro 100 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.