Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 22216/2006
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminata la questione dell’ammissibilità del ricorso
straordinario per cassazione contro il provvedimento camerale del
tribunale per i minorenni, che ha formato oggetto di decisioni
contrastanti.
Il contrasto di giurisprudenza trae origine da una recente pronuncia
(Cass. 4 mar. 2005, n. 4798) la quale, pur dando atto di una prevalente
giurisprudenza contraria la quale si limiterebbe ad ammettere
implicitamente il ricorso straordinario per cassazione contro i
provvedimenti del tribunale per i minorenni in materia di autorizzazione
all’ingresso e alla permanenza in Italia del familiare di un minore per un
periodo di tempo determinato ai sensi dell’art. 31, co. 3, del d.lgs. 25
lug. 1998, n. 286 [1], ha escluso che nella specie potessero ravvisarsi i
requisiti della decisorietà e della definitività del provvedimento in
contestazione.
Tali considerazioni, che hanno indotto la corte a ritenere inammissibile
il ricorso straordinario per cassazione, si fondano, rispettivamente, sul
rilievo che provvedimento autorizzatorio sarebbe finalizzato
esclusivamente a governare gli interessi dei minori, com’era confermato
dal rilievo che sarebbe impossibile l’identificazione di un soggetto
portatore di un contrapposto diritto o interessasse sulla cui attribuzione
sorga controversia nonché dal concorrente rilievo che il provvedimento non
è definitivo essendo possibile la sua revoca prima della scadenza del
termine quando vengano meno i gravi motivi che ne abbiano giustificato il
rilascio.
L’affermazione secondo cui il contrario orientamento dominante avrebbe
sempre ammesso solo per implicito il ricorso straordinario per cassazione
non corrisponde, peraltro, al reale stato della giurisprudenza la quale,
tra le tante pronunce che hanno pronunciato in materia senza affrontare la
questione dell’ammissibilità del ricorso (Cass. 17 set. 2001, n 11624; 14
mar. 2002, n. 3701; 19 mar. 2002, n. 3991; 21 giu. 2002, n. 9088; 22 mag.
2003, n. 8033; 8 ago. 2003, n. 11951; 14 nov. 2003, n. 17194; 3 mar. 2004,
n. 4301) annovera due sentenze emesse in pari data (Cass. 14 giu. 2002, nn.
8510 e 8511) le quali hanno ribadito, con ampiezza di argomentazioni la
tesi prevalente dell’ammissibilità del ricorso straordinario per
cassazione.
Tali argomentazioni hanno trovato ulteriore sviluppo in una recentissima
sentenza redatta dal medesimo estensore (Cass. 11 gen. 2006, n. 396), la
quale, replicando con diffusa motivazione alle argomentazioni poste a
fondamento della sentenza n. 4788 del 2005, ribadisce la validità
dell’orientamento prevalente attraverso le seguenti considerazioni: che il
provvedimento emesso ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 ha
carattere decisorio in quanto esso non ha per oggetto esclusivo
l’interesse del minore ma prende in considerazione un delicato e complesso
equilibrio di posizioni giuridiche diverse facenti capo, da una parte, al
minore il quale, avendo il diritto a restare in Italia, ha anche il
diritto ad esservi assistito da un familiare ancorché privo del permesso
di soggiorno, e, dall’altra, al familiare che ha il diritto di assistere
il minore in Italia; che tali diritti sono tutti funzionali al rispetto
del diritto all’unità familiare e alla reciproca assistenza tra i suoi
membri, cui si intitola il titolo quarto del citato decreto legislativo,
che comprende gli artt. Da 28 a 33, e che si rivela particolarmente
significativo allorquando del nucleo familiare facciano parte i minori,
com’è confermato dal rilievo che i provvedimenti giurisdizionali ed
amministrativi finalizzati ad attuare tale diritto debbono considerare con
carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo (art. 28, co.
3); che il provvedimento è diretto a comporre una controversia per
l’attribuzione di un bene della vita consistente nell’eccezionale
concessione al minore di essere assistito in Italia da un suo familiare e
nella concessione al familiare del diritto di entrare in Italia senza
permesso di soggiorno e di rimanervi per un periodo determinato e a
precise condizioni; che il provvedimento definitivo, in quanto
suscettibile di revoca solo in ipotesi verificabili dopo la sua pronuncia,
e cioè per venir meno dei gravi motivi che ne giustificarono il rilascio o
per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con
la sua permanenza in Italia, ed è quindi idoneo a passare in giudicato
rebus sic stantibus; che il provvedimento di rigetto lederebbe
irreversibilmente l’interesse protetto dalla norma.
L’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro i
provvedimenti in questione deve essere ribadita con le precisazioni che
seguono.
La decisorietà dei provvedimenti camerali, tra i quali rientra quello in
esame, viene ravvisata non solo nelle ipotesi in cui il giudice decisa
sull’attribuzione di un diritto o di uno status risolvendo un conflitto di
interessi tra due soggetti contrapposti, uno dei quali potrebbe essere la
pubblica amministrazione, con una pronuncia suscettibile di dar luogo a un
giudicato ma anche quando incida su determinate situazioni di diritto o su
status come avviene nei casi in cui la tutela giurisdizionale è diretta
alla composizione di un conflitto la cui soluzione no comporta la
prevalenza di una delle due contrapposte posizioni giuridiche ma è
funzionale alla tutela dell’unico interesse coinvolto, come avviene nel
caso dei provvedimenti di revisione delle condizioni inerenti
all’affidamento dei figli di genitori separati ed ai rapporti patrimoniali
tra i coniugi per il mantenimento della prole a norma dell’art. 9 della
legge 1 dic. 1970, n. 898, con i quali il giudice è chiamato a realizzare
unicamente il miglior interesse della prole.
Nella specie, non può negarsi la decisorietà del provvedimento il quale
incide sul diritto del minore ad essere assistito da un familiare nel
concorso delle condizioni richieste dalla legge e, contemporaneamente, su
quello del familiare a far ingresso in Italia e a trattenervisi per
prestare la dovuta assistenza: esso ha, infatti, ad oggetto non già un
interesse generico del minore, ma un interessasse specifico e pressante
che va tutelato, se esistente, anche in deroga delle disposizioni in
materia di immigrazione, ancorché per un periodo determinato.
E, poiché sia l’espulsione che il ricongiungimento familiare coinvolgono
direttamente diritti soggettivi, il provvedimento del giudice che decide
sulla deroga ai divieti che precluderebbero l’ingresso e la permanenza del
familiare non può non decidere su vero e propri diritti,, paralleli e
concorrenti seppur non contrapposti, del minore e del familiare e non su
un mero interesse del solo minore.
Inoltre il regime della revocabilità del provvedimento, che si concreta
sempre in una decisione su diritti, non può che essere unitario, nel senso
che l’espressa previsione di stabilità del provvedimento positivo, che è
revocabile solo per fatti sopravvenuti, opera anche nei confronti del
provvedimento negativo che può essere impugnato per cassazione per essere
ridiscusso rebus sic stantibus, mentre la richiesta di ingresso del
familiare sfornito di permesso di soggiorno può essere riproposta solo
prospettando una diversa necessità di assistenza del minore.
Ne, infine la natura contenziosa del procedimento potrebbe incontrare
ostacolo nel rilievo che la domanda di autorizzazione all’ingresso del
familiare per motivi di assistenza al minore bisognoso di cure va rivolta
direttamente al tribunale per i minorenni e non proposta nei confronti di
una controparte in quanto nel procedimento camerale che ne consegue il PM
e parte necessaria non già a garanzia dell’interesse generale
dell’ordinamento ma, in considerazione degli interessi coinvolti nel
giudizio, a tutela cioè della corretta applicazione delle disposizioni
dettate per disciplinare il fenomeno dell’immigrazione nell’interesse
dell’amministrazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono il conflitto di
giurisprudenza in esame dev’essere perciò risolto nel senso
dell’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro i
provvedimenti di ingresso e permanenza in Italia del familiare di un
minore straniero per i gravi motivi di cui all’art. 31, co. 3, del d.lgs.
25 lug. 1998, n. 286.
Risolta la questione dell’ammissibilità dell’impugnazione per cassazione,
sollevata d’ufficio, può passarsi all’esame del ricorso proposto da H. R.,
in quanto, per la natura degli interessi in discussione, appare opportuno
l’esame diretto da parte di queste sezioni unite delle censure articolate
dal ricorrente, senza rimessione degli atti alla sezione originariamente
investita del ricorso.
Con il primo motivo viene denunziata la violazione e la falsa applicazione
dell’art. 31, co. 3, del d.lgs. 25 lug. 1998, n. 286, in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e si sostiene che erroneamente il
decreto impugnato avrebbe affermato che il provvedimento revocato sarebbe
stato emesso senza alcuna indicazione della sussistenza dei gravi motivi
e, quindi, in assenza dei requisiti richiesti dalla legge, e avrebbe
operato una deroga inammissibile alla disciplina del ricongiungimento
familiare o della regolarizzazione ovvero della sanatoria dell’ingresso e
della permanenza del familiare del minore bisognoso di cura, poiché il
giudice di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che il provvedimento
revocato è stato emanato all’esito di una consulenza tecnica di ufficio
dalla quale risulta che la separazione da una delle figure genitoriale nel
momento evolutivo attraversato dalla minore la avrebbe sottoposta ad un
trauma psichico di tale rilevanza che ne avrebbe compromesso
irrimediabilmente la crescita.
La censura merita accoglimento in quanto, contrariamente a quanto mostra
di ritenere il giudice di appello, l’autorizzazione alla permanenza del
ricorrente in territorio italiano non è stata fondata sulla mera
constatazione della presenza in Italia di una figura in tenera età, bensì
sull’accertamento concreto del grave pregiudizio che alla minire sarebbe
derivato dalla perdita improvvisa della figura paterna per effetto della
sua espulsione.
Va premesso al riguardo che la norma in esame prevede una duplice
fattispecie,. E cioè quella dell’autorizzazione all’ingresso e quella
dell’autorizzazione alla permanenza del familiare sul territorio nazionale
in deroga alle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
nel concorso di gravi motivi connessi con lo sviluppo psico- fisico del
minore, tenuto conto della sua età delle sue condizioni di salute; che la
presenza di gravi motivi richiede l’accertamento di situazioni di
emergenza di natura eccezionale e contingente, di situazioni, cioè, che
non siano quelle normali e stabilmente ricorrenti nella crescita di un
minore (Cass. 17 set. 2001, n. 11624; 19 mar. 2002, n. 3991; 21 giu. 2002,
n. 9088; 14 nov. 2003, n. 17194).
È tuttavia, la presenza dei gravi motivi deve essere puntualmente dedotta
dal ricorrente e accertata dal tribunale per i minorenni come emergenza
attuale solo nell’ipotesi di richiesta di autorizzazione all’ingresso del
familiare nel territorio nazionale in deroga alla disciplina generale
dell’immigrazione; ciò non vale sempre,, invece, nell’ipotesi in cui, come
nella specie, venga richiesta l’autorizzazione alla permanenza del
familiare che diversamente dovrebbe essere espulso, poiché la situazione
eccezionale nella quale vanno ravvisati i gravi motivi può essere attuale,
ma può essere anche dedotta quale conseguenza dell’allontanamento
improvviso del familiare sin allora presente e cioè di una situazione
futura ed eventuale rimessa dall’accertamento del giudice minorile.
Nella specie, quindi, deve ritenersi irrilevante che nel ricorso rivolto
al tribunale per i minorenni non siano stati indicati i gravi motivi
richiesti dalla legge in quanto il giudice adito ne ha ritenuto certo l’avveramento
sulla base delle conclusioni della consulenza tecnica, e pertanto il
provvedimento revocato dal giudice d’appello non ha autorizzato la
permanenza del ricorrente in Italia per il solo fatto della presenza di
una figlia in tenera età, ma ha accolto la domanda del genitore dopo aver
accertato il grave pregiudizio che sarebbe derivato alla minore dalla
perdita improvvisa della figura genitoriale.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento dell’esame del
secondo motivo con il quale viene denunciato il vizio di omessa pronuncia
sulla domanda subordinata rivolta al giudice di appello e diretta ad
ottenere l’autorizzazione alla permanenza sul territorio nazionale sino al
definitivo completamento della pratica di ricongiungimento familiare
avviata dall’appellato.
In conclusione, perciò il ricorso merita accoglimento e, conseguentemente
il decreto impugnato dev’essere cassato, senza che al suo annullamento
possa seguire alcuna pronuncia sulle spese giudiziali a carico del PM; non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto deve disporsi, con
pronuncia nel merito, il rigetto dell’appello del PM.
P.Q.M.
La corte, decidendo a sezioni unite, accoglie il primo motivo del ricorso,
dichiara assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e, pronunciando
nel merito, rigetta l’appello del PM contro il decreto del tribunale per i
minorenni presso la corte d’appello di Ancona.
Roma, 28 set. 2006.
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2006.
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