Cass. pen. Sez. V, (ud. 16-04-2007) 02-08-2007, n. 31451

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIZZUTI Giuseppe - Presidente

Dott. SCALERA Vito - Consigliere

Dott. SANDRELLI Gian Giacomo - Consigliere

Dott. BRUNO Paolo Antonio - Consigliere

Dott. DIDONE Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto il 24.11.2005 da:

parte civile ...omissismsmvld.....;

avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Monza il 10 ottobre 2005;

nel procedimento a carico di:

...omissismsmvld...., nato a (OMISSIS).

Letto il ricorso e la sentenza impugnata.

Sentita la relazione del Consigliere Dr. Paolo Antonio BRUNO. Udite le conclusioni del Procuratore Generale in sede, in persona del Sostituto Dr. Enrico Delehaye, che ha chiesto l'annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso di parte civile.

Sentito, altresì, l'avv. Luigi Vulcano che, nell'interesse dell'imputato, ha chiesto il rigetto del ricorso della parte civile.

 

Svolgimento del processo

...omissismsmvld.... era chiamato a rispondere, innanzi al Giudice di pace di Desio, del reato di cui all'art. 594 c.p. perchè offendeva l'onore ed il decoro di ...omissismsmvld....., pronunciando nei suoi confronti termini quali "mi fai schifo".

Con sentenza del 21 giugno 2004, il giudicante dichiarava l'imputato responsabile del reato ascrittogli e lo condannava alla pena pecuniaria di Euro 180,00 di multa, oltre al risarcimento del danno nei confronti della C., costituitasi parte civile.

Pronunciando sul gravame proposto dall'imputato, il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, assolveva lo stesso D. con la formula perchè il fatto non sussiste.

Avverso la pronuncia anzidetta, la parte civile ha proposto ricorso per cassazione, deducendo le ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo d'impugnazione, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 192 c.p.p. nonchè manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che le dichiarazioni della persona offesa abbisognassero di elementi di riscontro, per concludere che non era stata raggiunta la prova che l'imputato avesse realmente proferito le parole di cui al capo d'imputazione. Nessuna rilevanza avrebbe potuto assumere la circostanza che, per episodi ben più gravi, il D. non fosse stato condannato, in quanto precedenti gravi situazioni erano state regolarmente denunciate ed il PM aveva ritenuto di non esercitare l'azione penale essendo decorsi i termini per proporre querela. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 594 c.p. e contraddittorietà di motivazione, sul rilievo che il tribunale, nel ritenere che il giudizio negativo espresso dalle parole incriminate era stato formulato nei limiti della continenza intrinseca, aveva indebitamente mutuato criteri di giudizio relativi all'esercizio del diritto di critica, relativamente al diverso reato di diffamazione. L'espressione in oggetto aveva, invece, contenuto intrinsecamente offensivo, essendo irrilevante che esprimesse una mera opinione, in quanto qualsiasi ingiuria esprime una valutazione personale di chi offende. Nè poteva giovare all'imputato il fatto che l'espressione stessa fosse stata mi fai schifo, anzichè altra analoga fai schifo che, secondo il giudicante, avrebbe avuto invece valenza oggettivamente ingiuriosa.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 599 c.p. e art. 192 c.p.p., sul rilievo che, erroneamente, il Tribunale aveva rimproverato al giudice di primo grado di non avere, compiutamente, ricostruito i fatti al fine di accertare se ricorressero i presupposti dell'esimente specifica di cui all'art. 599 c.p.. A parte che non era specificato a quale circostanza l'esimente dovesse riferirsi, se alla reciprocità od alla provocazione, il giudice di merito non era tenuto a ricostruire i rapporti pregressi, ma limitarsi a verificare se, nella fattispecie oggetto di giudizio, ricorressero i presupposti per l'applicazione della stessa esimente. Nel caso di specie, l'imputato aveva addirittura negato di aver proferito espressioni ingiuriose, di talchè era recisamente esclusa la possibilità dell'applicazione dell'esimente.

Chiedeva, pertanto, che questa Corte Suprema volesse annullare l'impugnata sentenza ai fini civilistici, confermando le statuizioni civili della sentenza di primo grado ovvero rinviare ad altro giudice del Tribunale di Desio.

2. - E', certamente, fondata la prima ragione di censura, sussistendo il denunciato errore di giudizio, sul riflesso che il giudice di secondo grado aveva ritenuto necessario che le parole della persona offesa fossero verificate alla stregua di precisi elementi di riscontro, nella specie insussistenti. L'assunto è, infatti, in contrasto con la consolidata regola di giudizio, secondo cui le dichiarazioni accusatorie della persona offesa possono, anche da sole, sostenere un'affermazione di penale responsabilità, ove sottoposte ad un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non v'è ragione di dubitare della loro attendibilità (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3, 27.3.2003, n. 22848, rv. 225232). Il giudice di merito, insomma, è chiamato ad una valutazione di attendibilità in sè dell'assunto accusatorio della persona offesa, nei termini di un apprezzamento squisitamente di merito, che, ove congruamente motivato, si sottrae al controllo di legittimità.

Senz'altro fondata è anche la seconda censura, in quanto è affetto da patente illogicità l'assunto che esclude, in concreto, la valenza offensiva dell'espressione mi fai schifo sul rilievo che l'uso della particella pronominale mi, in luogo della mera espressione fai schifo, manifesterebbe l'espressione di un'opinione soggettiva anzichè il dato oggettivo od obiettivizzante proprio dell'altra locuzione. L'incongruenza logica è palese in quanto ogni espressione ingiuriosa reca, in sè, un riflesso congetturale, esprimendo l'opinione o la valutazione di disprezzo di chi la proferisce.

D'altro canto, ove fosse plausibile l'ordine di idee sostenuto dal giudice di merito, sarebbe sufficiente anteporre a qualsiasi espressione ingiuriosa, anche la più graffiante o spregevole, la particeli pronominale mi per rendere la condotta illecita esente da sanzione penale.

Parte ricorrente, poi, ha motivo di dolersi anche dell'ultima questione, relativa alla sussistenza di eventuale esimente, ai sensi dell'art. 599 c.p., pur prospettata dal giudice di appello in linea gradata, nel senso che, anche ove fosse da ammettere la valenza ingiuriosa della frase, il giudice di primo grado avrebbe dovuto ricostruire i rapporti pregressi tra le parti per valutare l'operatività della previsione normativa. Ed infatti, a parte la mancata specificazione di quale esimente tra quelle previste dalla norma sostanziale avrebbe potuto applicarsi nella fattispecie, si trattava di valutare in concreto, con riferimento al singolo episodio, se sussistessero o meno i presupposti specifici per l'operatività dell'esimente in ipotesi ritenuta applicabile.

3. - Per quanto precede, la sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a mente dell'art. 622 c.p..

P.Q.M.

Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 aprile 2007.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2007