Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, sentenza n.4036/2006 (Presidente: B. Foscarini; Relatore: G. Ferrua)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza 3/4/02 il Tribunale di Monza dichiarava P. G. responsabile di ingiuria (per aver offeso l’onore ed il decoro di S.G.P. apostrofandolo con la seguente espressione: sei un bastardo ed un pirla) e di minaccia (per aver rivolto a S.G.P. la testuale espressone: adesso che non hai la divisa vieni con me qua dietro che ti faccio vedere io); con la continuazione e le attenuanti generiche lo condannava a pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore della parte civile.

La decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Milano con pronuncia 28/4/05 avverso la quale ha ora proposto ricorso per cassazione l’imputato nei termini infradescritti.

Violazione di legge per aver il Tribunale acquisito al fascicolo del dibattimento la querela dello S. dopo la chiusura del dibattimento, quando già si era ritirato in camera di consiglio.

La doglianza è manifestamente infondata.

Invero la querela, per la sua funzione tipica di impulso processuale, deve essere inserita nel fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 431 c.p.p. e nessuna disponibilità in proposito può essere riconosciuta alle parti: pertanto ritualmente ne viene disposta l’acquisizione anche d’ufficio, in qualsiasi momento (ex plurimis si veda: Cass. 27/9/99 n. 10964 rv. 214452; Cass. 27/9/99n. 10964 rv. 214452; Cass. 21/7/04 n. 31741 rv. 229278).

Ne nella fattispecie vale il rilevo che con l’acquisizione effettuata dopo la chiusura del dibattimento si sarebbe violato il diritto al contraddittorio poiché la difesa ebbe in effetti modo di esaminare l’atto de quo, quantomeno sin dal momento del deposito effettuato dal PM alla conclusione delle indagini preliminari.

Tanto puntualizzato, posto che non si è dedotto l’utilizzazione del contenuto della querela a fini diversi dalla verifica sulla procedibilità dell’azione penale ed in particolare non si è denunciata la sua valutazione ai fini del giudizio sulla responsabilità, è evidente altresì l’inconferenza del suddetto motivo.

Vizio di motivazione in punto diniego dell’applicabilità della scriminante della provocazione; violazione dell’art. 599 c.p. per quanto concernente il reato di ingiuria.

Vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta responsabilità per il reato di minaccia.

Le censure si risolvono nell’invocare una lettura delle emergenze diversa da quella di cui al provvedimento impugnato, senza individuare in quest’ultima alcun vizio intrinseco di logicità, ma limitandosi il ricorrente ad affermazioni di fatto.

Con precipuo riferimento alla minaccia basti osservare che correttamente la frase pronunciata è stata ritenuta integrare il reato previsto dall’art. 612c.p. [1].

All’uopo va affermato che ai fini della sussistenza di siffatta ipotesi criminosa è sufficiente che venga operata un’intimidazione prospettando ad altri, anche allusivamente ed in termini generici, un male ingiusto, ossia un qualcosa di pregiudizievole, non incidendo la circostanza della minore prestanza fisica del soggetto attivo salvo che sussista un’incapacità di nuocere dell’agente immediatamente percepibile ed assoluta, il che, alla luce del contesto evidenziato nelle sentenze di primo e di secondo grado (destinate ad integrarsi tra di loro), esula dal presente caso.

Per le svolte argomentative si impone declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna dell’impugnante al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, valutata la vicenda processuale, si stima equo fissare in 500,00 euro.

P.Q.M

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 500,00.

 

Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2006

 

1] Art.612 codice penale (Minaccia): Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire centomila.

Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d'ufficio.