Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 17 gennaio 2007, n. 875
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P.F., con ricorso ex art. 700 c.p.c., chiedeva al tribunale
del lavoro di Catanzaro la sospensione in via cautelare del provvedimento della
E.T.R. s.p.a., concessionaria della riscossione tributi per la provincia di
Catanzaro, col quale veniva disposto il fermo amministrativo ex art. 86 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, di una sua autovettura, per cartelle di
pagamento relative ad omesso versamento di contributi previdenziali.
Con ordinanza del 7 gennaio 2004 il giudice del lavoro, osservato che l'atto era
stato emesso da un concessionario di un pubblico servizio, e che la dedotta
lesione riguardava interessi legittimi e non diritti soggettivi, dichiarava il
difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Instaurato il giudizio di merito la F. proponeva ricorso per regolamento di
giurisdizione, chiedendo che venga dichiarata la giurisdizione del giudice
ordinario e invocando precedenti in tal senso nella giurisprudenza del TAR
Calabria il quale, con decisione dell'8 maggio 2003, aveva negato la propria
giurisdizione, ritenendo che la stessa apparteneva al giudice ordinario, essendo
afferente ad una controversia in materia di contributi previdenziali, devoluta
in via esclusiva alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di
giudice del lavoro.
Nel giudizio di merito la F. aveva dedotto:
a) incostituzionalità della norma che prevede la misura in contestazione per
violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto disposta in assenza di
qualsiasi contraddittorio, con violazione del diritto di difesa; per violazione
del principio di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97
Cost.); per violazione dell'art. 42 Cost., in quanto limitativa del diritto di
proprietà;
b) violazione dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990, in relazione alla chiarezza
e motivazione degli atti amministrativi; dell'art. 7 dello statuto del
contribuente (l. n. 212 del 2000); degli artt. 86 e 50 del d.P.R. n. 602/1973 a
seguito della modifica introdotta dall'art. 1 del d.lgs. n. 193/2001 per mancata
emanazione del decreto attuativo; dell'art. 86, comma secondo, del d.P.R. n.
602/1973 per mancata comunicazione del provvedimento; eccesso di potere per
erronea rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le Sezioni Unite ritengono che debba essere dichiarata la
giurisdizione del giudice ordinario.
Si devono richiamare, in proposito, le ordinanze delle Sezioni Unite 31 gennaio
2006, n. 2053, e 23 giugno 2006, n. 14701, nelle quali è stato affermato che il
provvedimento di fermo è un atto funzionale all'espropriazione forzata e,
quindi, mezzo di realizzazione del credito dell'amministrazione, per cui la
tutela giurisdizionale nei confronti dello stesso si deve realizzare dinanzi al
giudice ordinario con le forme dell'opposizione all'esecuzione e agli atti
esecutivi (art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973). Tale orientamento è condiviso
dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 13
settembre 2005, n. 4689).
Il Collegio condivide le soluzioni accolte dalla precedente giurisprudenza
rilevando, altresì, che la questione di legittimità costituzionale sul predetto
criterio di riparto della giurisdizione in materia di fermo amministrativo,
sollevata dal Consiglio di Stato con ordinanza 13 aprile 2006, n. 2032, sul
presupposto che tale criterio si risolverebbe in una deminutio di tutela
giurisdizionale, è stata dichiarata manifestamente infondata con la già
richiamata ordinanza delle Sezioni Unite n. 14701 del 23 giugno 2006, alla quale
il Collegio aderisce.
L'esistenza di incertezze interpretative al tempo della proposizione del
regolamento giustificano una pronuncia di compensazione delle spese di questo
giudizio per regolamento.
P.Q.M.
La Corte di cassazione a Sezioni Unite dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e compensa le spese.
Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 13 settembre 2005, n. 4689
FATTO E DIRITTO
1. La Sezione I del Tribunale Amministrativo Regionale della
Puglia, con sentenza n. 2331/2004, del 26 maggio 2004, - disattesa l'eccezione
di inammissibilità per difetto di giurisdizione della resistente soc. SESIT
PUGLIA, attuale appellata immediatamente resa, in forma semplificata, a seguito
della camera di consiglio del 19 maggio 2004, fissata per l'esame della domanda
cautelare, ha accolto il ricorso proposto dalla Soc. MAJOR PASTIC avverso la
comunicazione di fermo dell'autoveicolo Martoletti ML 10, effettuata dalla
suddetta soc. SESIT PUGLIA, in qualità di concessionaria della riscossione della
Provincia di Bari, per mancato pagamento di carichi a ruolo scaduti, portati in
due cartelle di pagamento regolarmente notificate, riferiti a precedenti avvisi
di liquidazione notificati a cura dell'Agenzia delle entrate di Brindisi,
impugnati dalla interessata davanti alla competente CTP. Parte resistente è
stata altresì condannata al risarcimento del danno e delle spese giudiziarie in
favore della ricorrente.
Avverso l'anzidetta sentenza si grava la SESIT PUGLIA, la quale deduce in primo
luogo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo chiedendo che la
sentenza appellata venga riformata, con declaratoria di inammissibilità, sul
tale base, del ricorso di primo grado, o, subordinatamente, con reiezione nel
merito, per mancanza di fondamento del suddetto ricorso, in ogni caso, con
vittoria di spese del doppio grado del giudizio.
Si è costituita in giudizio l'appellata che resiste all'appello, chiedendo la
conferma della sentenza impugnata.
La Sezione ha dapprima accordato al tutela cautelare richiesta dall'appellante,
sospendendo, con ordinanza motivata n. 4356/2004 del 24 settembre 2004,
l'efficacia della sentenza appellata. Successivamente la causa è stata chiamata
all'udienza di merito del 22 marzo 2005 e trattenuta in decisione.
2. L'appello è manifestamente fondato nella parte in cui è volto, in via
principale, a denunciare il difetto di giurisdizione.
Come sopra precisato, la controversia investe il fermo amministrativo disposto
da una concessionaria della riscossione di entrate tributarie, a norma dell'art.
86 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, introdotto (nella formulazione anteriore
alla riforma di cui all'art. 1, d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193) dall'art. 16,
d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che ha modificato l'intero titolo II del d.P.R.
n. 602 del 1973.
La sezione I del Tribunale amministrativo Regionale della Puglia, sulla scia di
propri precedenti in termini (ord. n. 216 del 5 marzo 2003 e sent. n. 1567 del 3
aprile 2003) ha ritenuto la giurisdizione amministrativa, sul presupposto della
natura provvedimentale della misura adottata e della relativa comunicazione.
La tesi è erronea e deve essere disattesa.
L'innovazione che il decreto legislativo del 2001 ha introdotto alla disciplina
dell'istituto, quale originariamente previsto dal d.P.R. n. 602 del 1973, con le
modifiche succedutesi fino al 1999, non ha innovato la natura giuridica del
fermo, essendo intervenuta, esclusivamente a svincolare il concessionario dalla
intermediazione della direzione regionale delle entrate e dal previo esperimento
negativo del pignoramento del bene mobile registrato, conferendogli direttamente
la possibilità di disporre il fermo dei beni mobili registrati, sul solo
presupposto della scadenza del termine stabilito dal primo comma dell'art. 50
dello stesso decreto, senza attribuire al concessionario poteri di natura
amministrativo-tributaria, propri dell'Amministrazione, bensì muovendosi nella
logica - propria del diritto comune - della attribuzione (al creditore) di
strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore
idonei a garantire, in sede esecutiva, la soddisfazione del credito, sia pure
con la peculiarità connesse al titolo per il quale si procede alla riscossione
coattiva.
Invero, nella stesura originale del d.P.R. n. 602 (e cioè prima della riforma
del 1999), l'istituto del fermo amministrativo è stato aggiunto, al testo del
d.P.R. del 1973, dall'art. 5, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 (art. 91-bis), per i
veicoli a motore ed alcune categorie di autoscafi, attribuendosene la competenza
a disporlo alla direzione regionale delle imposte sui redditi, allorché il
concessionario avesse dimostrato l'impossibilità di eseguire il pignoramento per
mancato reperimento del bene.
Nel più ordinato assetto della riscossione coattiva, impresso dalla riforma del
1999, il fermo amministrativo si estende alla generalità dei beni mobili
registrati, ma conserva l'originaria connotazione di strumento inteso alla
conservazione del bene alla soddisfazione del credito tributario, affidato alla
determinazione dell'ufficio finanziario regionale, allorché l'esecuzione forzata
non sia stata possibile, per mancato reperimento del bene.
Esso è stato inserito, sistematicamente, negli atti della riscossione (Titolo II)
e, specificamente, al Capo III, espressamente intitolato "Disposizioni
particolari in materia di espropriazione di beni mobili registrati", in
immediata successione al capo intitolato "Espropriazione forzata" (capo II),
nella cui Sezione I sono contenute le disposizioni generali in tema di
riscossione coattiva, , fra cui quelle dettate dall'art. 50 (termine per
l'inizio dell'esecuzione), il cui comma 1 è espressamente richiamato nel comma 1
del vigente testo dell'art. 86.
La precedente disciplina - con l'attribuire la competenza di disporre il fermo
alla direzione regionale delle entrate ed il condizionarne l'esperimento al
mancato reperimento del bene da pignorare - lasciava l'iniziativa del fermo
all'Amministrazione titolare del diritto di credito, ed al concessionario la sua
esecuzione, mediante l'iscrizione nel pubblico registro, dopo di che quest'ultimo
non era esonerato dal perseguire il bene attraverso la procedura di
pignoramento, con le conseguenti responsabilità.
Ciò rallentava ovviamente, in maniera sensibile il procedimento di riscossione
coattiva, accentuando l'aleatorietà del recupero; l'attribuzione diretta, al
concessionario, della potestà di dare corso alla misura conservativa, con il
solo limite del decorso del termine stabilito dall'art. 50 comma 1 e salve, in
ogni caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate, si inserisce
nel quadro delle misure di semplificazione ed accelerazione delle procedure, che
il legislatore nazionale ha, nella più recente produzione normativa, delegato al
Governo, in questa come in altre materie.
Sia prima, sia successivamente alla riforma del 2001, peraltro, il fermo
amministrativo dei beni mobili registrati assolve ad una funzione di
conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista della
espropriazione forzata intesa alla realizzazione del credito tributario, per
molti versi assimilabile (con le peculiarità dovute alla natura del bene) alla
iscrizione ipotecaria sui beni immobili prevista dall'art. 77 dello stesso
decreto.
Come appare evidente, dalla collocazione sistematica e dal testo della norma che
lo prevede (nella formulazione attuale ed in quelle precedenti) lo strumento,
pur non collocandosi ancora nella fase della esecuzione, o degli atti esecutivi,
costituisce un mezzo cautelativo ed anticipatorio degli effetti espropriativi
dell'esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all'uso al quale è destinato
(e da cui potrebbero derivare conseguenze dirette sulla idoneità a soddisfare,
con l'esecuzione, la realizzazione coattiva, totale o parziale, del credito) ed
alla circolazione giuridica in danno del creditore.
In tale contesto, l'enunciato secondo cui, trascorso il termine previsto dal
primo comma dell'art. 50 (sessanta giorni dalla notificazione della cartella di
pagamento) il concessionario "può" disporre il fermo amministrativo del bene
mobile registrato, conferisce, al soggetto responsabile della riscossione, non
già un singolare potere autoritativo e discrezionale in vista degli interessi
pubblici specifici affidati alla cura dell'Amministrazione concedente, bensì una
potestà che si colloca (concettualmente) nel quadro dei diritti potestativi del
creditore (ossia quella di promuovere atti conservativi sul patrimonio del
debitore in vista della esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la
naturale collocazione e nel giudice ordinario quello naturale, in quanto la
soggezione del debitore all'esercizio della potestà ha la sua fonte nel debito
certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla sua estinzione (con i
mezzi ordinari o con l'esecuzione forzata), e nel rapporto obbligatorio la sua
intrinseca giustificazione.
Come correttamente dedotto dall'appellante, la controversia relativa al fermo,
sia nella fase della sua esecuzione che in quella della sua disposizione, della
quale viene dato avviso al debitore, non riguarda né il tributo per il quale si
procede alla riscossione, né la materia del pubblico servizio anche nella più
lata accezione assunta dal testo dell'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80
(come sostituito dalla l. n. 205 del 2000, e prima dell'intervento demolitore
della Corte costituzionale), ma si muove su di un binario del tutto differente,
che ha nel giudice ordinario l'autorità giurisdizionale deputata a conoscere
delle relative controversie (nel limite in cui le stesse non siano sottratte
alla cognizione di alcun giudice) come specificato dall'art. 57 del d.P.R. n.
602 del 1973 (che non ammette le opposizioni di cui all'art. 615 c.p.c., fatta
eccezione per quelle relative alla pignorabilità dei beni).
E' stato osservato (TAR Campania, Sez. I, n. 12025 del 16 settembre 2004) che
l'esecuzione del fermo, affidata ora direttamente al concessionario, non
costituisce altro che l'espressione dello jus eligendi (diritto di scelta)
ordinariamente riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore procedente
tra i diversi mezzi di aggressione del patrimonio dell'esecutato o tra diversi
beni passibili di esecuzione forzata; si tratta, dunque, di una facoltà di
diritto comune destinata ad incidere nella sfera giuridica del debitore (ne non
vi si può sottrarre se non con l'estinzione del debito), accostabili alle
potestà amministrative, soltanto per il tratto comune della soggezione di chi è
destinato a subirle, senza che, per questo, il potere esercitato esca dalla
sfera delle relazioni intersoggettive per essere ricondotto ai rapporti
governati dal diritto pubblico, la cui tutela appartiene alla cognizione del
giudice amministrativo.
Deve dunque concludersi nel senso che il fermo amministrativo è atto funzionale
alla esecuzione, che - pure con le connotazioni particolari derivanti dalla
natura del rapporto obbligatorio in forza del quale il debitore è tenuto al
pagamento e della legislazione speciale che lo prevede, accordando poteri extra
ordinem al creditore ed allo stesso incaricato della riscossione - deve comunque
essere inquadrato (per di più nella sistemazione più corretta derivante dalla
riforma del 2001, che ha opportunamente individuato nello stesso responsabile
della riscossione il soggetto abilitato a disporlo) fra gli strumenti di
conservazione dei cespiti patrimoniali sui quali può essere soddisfatto
coattivamente il credito, che l'ordinamento ordinariamente appresta alla
generalità creditori (in base alla scelta politica, di carattere generale e di
diritto comune, di una tutela più incisiva degli interessi dei creditori, nel
rapporto intersoggettivo debito-credito), così come prodromica all'esecuzione è
la notificazione della cartella esattoriale che assolve, nel procedimento di
riscossione, alla medesima funzione della notificazione del precetto di
pagamento di diritto comune.
In tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relativo si sottrae
alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a quella costitutiva di
legittimità (non essendovi provvedimento amministrativo lesivo di interessi
legittimi del titolare del bene che ne assoggettato) sia a quella esclusiva,
eccezionalmente demandata a tale giudice.
Una certa propensione a ricondurre l'istituto nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, chiarissima in talune non condivisibili pronunce di
primo grado del giudice amministrativo, fra cui quella in esame (Tar Abruzzo,
Pescara, 19 luglio 2004, n. 704; Tar Puglia, Bari, sez. I, 6 maggio 2004, n.
2065, 16 aprile 2003, n. 1764, 8 aprile 2003, n. 1812, 3 aprile 2003, n. 1567;
Tar Puglia, Lecce, sez. I, 7 luglio 2004, n. 4880) e percepibile anche
nell'ordinanza cautelare della Sezione IV del Consiglio di Stato n. 3259 del 13
luglio 2004 (che, invero, non contiene una motivazione espressa sul punto della
giurisdizione) è ormai risolta, in radice, in senso contrario, dal
ridimensionamento delle attribuzioni del giudice amministrativo, conseguente
alla sentenza della Corte costituzionale 5-6 luglio 2004, n. 204, che ha
significativamente modificato il testo dell'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n.
80 (come sostituito dalla l. n. 205 del 2000), dichiarandone, tra l'altro,
l'illegittimità del primo comma, nella parte in cui prevede che sono devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie
in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziché «le controversie in
materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse
quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a
provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un
pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla l. 7
agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico
servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché».
Deve, dunque, darsi atto che è invece, corretto l'orientamento prevalente (oltre
al TAR Campania, sopra citato, TAR Emilia Romagna, n. 2516 del 25 novembre 2003;
TAR Calabria n. 2110 del 20 giugno 2003; TAR Lombardia, n. 1140 del 5 maggio
2003, TAR Veneto, n. 886 del 30 gennaio 2003), che, coerentemente alla
giurisprudenza di merito del giudice ordinario (Tribunale di Novara, 9 maggio
2003) nega, in materia, la giurisdizione amministrativa.
3. L'appello, pertanto, deve essere accolto, e, conseguentemente, la sentenza
impugnata deve essere interamente riformata, con declaratoria di inammissibilità
del ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione, e condanna della
originaria ricorrente (resistente in questo grado), in favore dell'appellante,
alle spese di entrambi i gradi del giudizio, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), definitivamente pronunciando, accoglie l'appello in epigrafe e, per
l'effetto, in riforma totale della sentenza 2331/2004 del Tribunale
Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione I, dichiarata inammissibile, per
difetto di giurisdizione, il ricorso n. 848/04 Reg. Gen. TAR Puglia;
Condanna la soc. MAJOR PASTIC s.r.l. in persona del legale rappresentante in
carica, al pagamento, in favore dell'appellante, delle spese dei due gradi del
giudizio che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 oltre IVA e CPA, come per
legge;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.