Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 27 aprile 2006, n. 9591
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Ascoli
Piceno in funzione di giudice del lavoro - adito da A.G. e dalla s.a.s. Chalet
La Siesta di G.A. & C., in opposizione all'ordinanza ingiunzione del 28
dicembre 1999, con cui la locale Direzione provinciale del lavoro aveva
irrogato loro una sanzione pecuniaria, per la violazione di norme in materia
di tutela del lavoro dipendente - ha accolto il ricorso, rilevando che il
provvedimento era stato emesso, in violazione dell'art. 2, comma 3, della l. 7
agosto 1990, n. 241, «a distanza di oltre trenta giorni dalla presentazione
alla autorità amministrativa di scritti difensivi relativi alle infrazioni
contestate (difese del 20/01/1999, audizione del 29/6/1999)».
La Direzione provinciale del lavoro di Ascoli Piceno ha proposto ricorso per
cassazione, in base a un motivo, poi illustrato anche con memoria. A.G. e la
s.a.s. Chalet La Siesta di G.A. & C. non hanno svolto attività difensive nel
giudizio di legittimità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il motivo addotto a sostegno del ricorso la Direzione
provinciale del lavoro di Ascoli Piceno lamenta che erroneamente il giudice a
quo ha ritenuto che il termine stabilito dall'art. 2, comma 3, l. 7 agosto
1990, n. 241, per la conclusione dei procedimenti amministrativi, si applichi
anche all'emissione delle ordinanze ingiunzioni irrogative di sanzioni
amministrative, e che comunque il suo mancato rispetto comporti l'invalidità
del provvedimento.
In materia, nella giurisprudenza di legittimità, si è verificato un contrasto,
per la cui composizione la causa è stata assegnata alle sezioni unite.
In grande prevalenza questa Corte si è orientata nel senso propugnato dalla
ricorrente, sulla scorta soprattutto di dati di natura testuale, rivelatori
dell'inconciliabilità della norma di cui si tratta con la disciplina delle
sanzioni amministrative, contenuta nella l. 24 novembre 1981, n. 689: v., tra
le più recenti, Cass. 16 aprile 2003, n. 6014, 11 giugno 2003, n. 9357, 17
giugno 2003, n. 9680, 11 luglio 2003, n. 10920, 22 novembre 2003, n. 17779, 22
dicembre 2003, n. 19617, 21 gennaio 2004, n. 874, 30 marzo 2004, n. 6337, 6
aprile 2004, n. 6762, 6 aprile 2004, n. 6769, 10 novembre 2004, n. 21406, 28
dicembre 2004, n. 24053, 26 agosto 2005, n. 17386.
Con alcune altre pronunce è stata però adottata la soluzione opposta, in
considerazione del carattere generale della l. 7 agosto 1990, n. 241, che si
riferisce indistintamente a tutti i procedimenti amministrativi: v. Cass. 15
giugno 1999, n. 5936, 21 marzo 2001, n. 4042, 4 settembre 2001, n. 11390, 23
luglio 2003, n. 11434, 6 marzo 2004, n. 4616.
Ritiene il collegio che debba essere seguito l'indirizzo giurisprudenziale
maggioritario.
Non impedisce di pervenire a questa conclusione la "universalità" della legge
citata, che per la prima volta ha regolamentato in maniera uniforme i
procedimenti amministrativi. Per il principio di specialità, che prescinde
dalla successione cronologica delle norme, quelle posteriori non comportano la
caducazione delle precedenti, che disciplinano diversamente la stessa materia
in un campo particolare. E appunto in questo rapporto si pongono la l. 7
agosto 1990, n. 241 e la l. 24 novembre 1981, n. 689, riguardanti l'una i
procedimenti amministrativi in genere, l'altra in ispecie quelli finalizzati
all'irrogazione delle sanzioni amministrative, caratterizzati da questa loro
funzione del tutto peculiare, che richiede una distinta disciplina.
D'altra parte, le disposizioni della l. 24 novembre 1981, n. 689 costituiscono
un sistema organico e compiuto, nel quale non occorrono inserimenti
dall'esterno: necessità che infatti è stata costantemente esclusa, con
riferimento ad altre norme della legge generale sul procedimento
amministrativo, come quelle relative alla "partecipazione dell'interessato"
(v., tra le altre, Cass. 27 novembre 2003, n. 18114) e al diritto di accesso
ai documenti (v., per tutte, Cass. 15 dicembre 2005, n. 27681).
Un tale innesto non è comunque praticabile, in particolare, relativamente
all'art. 2, comma 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, che stabilisce il termine entro
il quale il procedimento amministrativo deve essere concluso, ove non ne sia
fissato uno diverso per legge o regolamento. Sia quello di novanta giorni, ora
previsto dalla norma come modificata da ultimo dall'art. 36-bis d.l. 14 marzo
2005, n. 35, convertito con l. 14 maggio 2005, n. 80, sia quello di trenta
giorni, indicato nel testo originario, applicabile nella specie ratione
temporis, sono incompatibili con le disposizioni della l. 24 novembre 1981, n.
689, che delineano un procedimento di carattere sostanzialmente contenzioso,
scandito in fasi i cui tempi sono regolati, nell'interesse dell'incolpato, in
modo da non consentire il rispetto di termini tanto brevi da parte
dell'amministrazione: la contestazione, se non è stata effettuata
immediatamente, può avvenire fino a novanta giorni dall'accertamento per i
residenti in Italia e fino a trecentosessanta per i residenti all'estero (art.
14); se ne viene fatta richiesta entro ulteriori quindici giorni, deve poi
provvedersi alla revisione delle analisi eventualmente compiute (art. 15); nei
successivi sessanta giorni è ammesso il pagamento in misura ridotta (art. 16);
se questo non avviene, viene trasmesso il rapporto all'autorità competente
(art. 17); ad essa gli interessati possono far pervenire scritti difensivi e
documenti, nonché prospettare argomenti, dei quali si deve tenere conto nel
provvedere (art. 18).
Né l'ostacolo può essere superato, come si é opinato con la sentenza
impugnata, applicando il termine in questione alle singole fasi in cui il
procedimento è articolato, o comunque a quella conclusiva. In tal modo
verrebbe operata un'arbitraria manipolazione della norma, la quale considera
unitariamente il procedimento amministrativo e dispone che il termine per la
sua conclusione decorre non dall'esaurimento di ognuno dei vari segmenti che
eventualmente lo compongono, bensì «dall'inizio di ufficio del procedimento o
dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte».
Peraltro, nell'ambito in cui la disposizione è operante, l'inosservanza del
termine da essa stabilito, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa
(v. C.d.S., Sezione V, 3 giugno 1999, n. 621, Sezione V, 19 settembre 2000, n.
4844, Sezione VI, 13 maggio 2003, n. 2533, Sezione IV, 10 giugno 2004, n.
3741; contra: C.d.S., Sezione VI, 19 dicembre 1997, n. 1869), non è causa di
invalidità del provvedimento che sia stato emesso tardivamente, poiché anche
dopo la scadenza non viene meno il potere e dovere dell'amministrazione di
attivarsi comunque, per il soddisfacimento degli interessi pubblici affidati
alla sua cura.
Resta naturalmente salva la necessità che la pretesa sanzionatoria venga fatta
valere entro il termine di prescrizione di cinque anni dalla commissione della
violazione, stabilito dall'art. 28 l. 24 novembre 1981, n. 689: termine che
non ha tuttavia natura procedimentale, ma sostanziale, poiché il suo inutile
decorso comporta l'estinzione del diritto alla riscossione.
Rimane altresì fermo che invece, per le violazioni di norme sulla circolazione
stradale, la validità dell'ordinanza ingiunzione è subordinata al rispetto dei
termini stabiliti per la sua emissione dall'art. 204, comma 1, d.lgs. 30
aprile 1992, n. 285: termini che il successivo comma 1-bis, introdotto
dall'art. 4 d.l. 27 giugno 2003, n. 151, convertito con l. 1° agosto 2003, n.
214, definisce espressamente come «perentori», disponendo altresì che il
ricorso al prefetto, in mancanza della tempestiva adozione del provvedimento
sanzionatorio, deve intendersi accolto. In questo senso si è costantemente
pronunciata questa Corte (v., tra le più recenti, Cass. 17 marzo 2005, n.
5813) anche con riferimento al testo originario della norma, in considerazione
della natura a sua volta speciale che la caratterizza, rispetto a quelle
dettate dalla l. 24 novembre 1981, n. 689 per il generale ambito delle
sanzioni amministrative.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, con conseguente cassazione della
sentenza impugnata.
La causa, poiché gli attori avevano fatto valere anche altre ragioni di
opposizione, che il Tribunale di Ascoli Piceno ha considerato assorbite, non
può essere decisa nel merito in questa sede, sicché va rinviata ad altro
giudice, che si designa nel Tribunale di Macerata, cui viene anche rimessa la
pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Il giudice di rinvio, nel riesaminare la questione decisa dal Tribunale di
Ascoli Piceno, si uniformerà al seguente principio di diritto: «Il termine
stabilito dall'art. 2, comma 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, non è applicabile
nei procedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative».
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa al Tribunale di Macerata, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.