ARMA DEI CARABINIERI E NESSO DI OCCASIONALITA’

 

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, 12.08.2000, n. 10803

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Francesco SOMMELLA - Presidente -

Dott. Ernesto LUPO - Consigliere -

Dott. Roberto PREDEN - Consigliere -

Dott. Antonio SEGRETO - Rel. Consigliere -

Dott. Alfonso AMATUCCI - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- ricorrente -

contro

INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso la sede legale dell'Istituto, difesi dagli avvocati GIULIO DE RITIS, VINCENZO TRIOLO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

nonché contro

xxxxxxxx

- intimati -

e sul 2^ ricorso n^ 09451/98 proposto da:

xxxxxxxxx elettivamente domiciliato in ROMA VIA G G BELLI 36, presso lo studio dell'avvocato LEOPOLDO FACCIOTTI, che lo difende anche disgiuntamente all'avvocato PIERO BAROLO, giusta delega in atti;

- controricorrente - e ricorrente incidentale -

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli uffici dell'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente al ricorso incidentale -

nonché contro

xxxxxxx, INPS

- intimati -

avverso la sentenza n,. 589/97 della Corte d'Appello di VENEZIA, emessa l'11/12196 e depositata il 21/04/97 (R.G. 1984/91);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/00 dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO;

udito l'Avvocato Luigi CRISCUOLO;

udito l'Avvocato Mario POTI;

udito l'Avvocato Leopoldo FACCIOTTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto RUSSO che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 6.9.1984, xxxxxxxx, sulla premessa che il 22.11.1982, mentre prestava servizio militare nell'Arma dei Carabinieri presso il battaglione Friuli, di stanza a Gorizia, e si trovava comandato in Firenze per ragioni di ordine pubblico, era stato colpito al capo da un colpo di pistola sparato dall'arma in dotazione al commilitone xxxxxxx evocava in giudizio dinanzi al tribunale di Venezia il xxxxx ed il Ministero della Difesa, per sentirli condannare in via solidale al risarcimento del danno sofferto, quantificato in L. 85.534.391.

Si costituiva il xxxxxx, contestando la propria responsabilità e sostenendo che l'arma si era scaricata senza alcuna sua attività, richiedendo la declaratoria del caso fortuito.

Interveniva in giudizio l'INPS, quale delegatario della regione Veneto, invocando il ristoro delle spese determinate in L. 2.280.000, per il ricovero del xxxxxxxx in Ospedale.

Resisteva il Ministero della difesa, assumendo che non vi era alcuna prova delle riferibilità del fatto alla pubblica amministrazione, mancando il nesso della necessaria occasionalità tra la condotta posta in essere e l'esercizio delle funzioni da lui attribuite al dipendente, poiché il xxxxxx stava illustrando ai colleghi l'uso della pistola e ciò esulava dai suoi compiti.

Il Tribunale di Venezia, con sentenza depositata il 29.5.1991 accertava la responsabilità del xxxxxxx e quella solidale del Ministero della difesa e liquidava in favore del xxxxxx la somma di L 77.024.800 ed accoglieva la domanda dell'INPS

Avverso detta sentenza proponeva appello il Ministero della difesa, assumendo la sua non responsabilità ed, in via gradata, che fosse computato l'equo indennizzo corrisposto al danneggiato.

Proponevano appelli incidentali il xxxxxx che chiedeva che venisse riconosciuto il caso fortuito o l'esclusiva responsabilità del Ministero ed il xxxxxx, che chiedeva che gli venisse riconosciuto anche il danno da lucro cessante.

La corte di appello di Venezia, con sentenza depositata il 21.4.1997, detratto l'equo indennizzo corrisposto, condannava il Ministero ed il xxxxxxin solido al pagamento della somma di L. 57.460.205 da rivalutarsi secondo gli indici ISTAT, con gli interessi, come fissati dal Tribunale. La corte di merito, richiamati i principi in tema di occasionalità necessaria fissati dalla giurisprudenza in merito alla responsabilità ex art. 2049 c.c. e, considerato che gli stessi andassero applicati anche nel caso di responsabilità della p.a. per illecito di propri dipendenti, riteneva che detto nesso di occasionalità nella fattispecie sussistesse tra il comportamento del xxxxxxx ed i fini istituzionali del suo servizio e che fosse sufficiente per imputare anche alla p.a. il fatto illecito del carabiniere. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il xxxxxxx

Resistono con controricorso l'INPS ed il xxxxxxx che ha proposto anche ricorso incidentale. Contro detto ricorso incidentale resiste con controricorso il Ministero, che ha anche presentato memoria e note di udienza.

 

Motivi della decisione

1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.

Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente principale lamenta la violazione dell'art. 28 Cost. e dell'art. 2043 c.c.; nonché falsa applicazione dell'art. 2049 c.c..; violazione dei principi generali; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..

Assume il Ministero ricorrente che erroneamente la corte di appello ha ritenuto sussistente il nesso di occasionalità necessaria tra l'attività dannosa del dipendente xxxx e le incombenze affidategli. Infatti il xxxxxxxx era un carabiniere ausiliario e l'evento dannoso si verificò allorché egli era in libera uscita, e quindi fuori servizio, con altri due commilitoni; che lo stesso aveva estratto la pistola dalla fondina non per motivi di ordine pubblico o per motivi di difesa personale, ma perché "stava maneggiando stolidamente l'arma affidatagli", per cui detta attività non era corrispondente ai fini istituzionali della pubblica amministrazione.

Secondo il ricorrente non è neppure esatto che il xxxxxxx stesse istruendo gli altri due commilitoni (come adombra la sentenza impugnata), perché detta istruzione non può essere affidata ad un carabiniere ausiliario e, per giunta, in libera uscita; né il semplice possesso dell'arma e sufficiente a rendere operante il nesso di occasionalità necessario.

2.1. Il motivo va accolto per quanto di ragione.

Va, anzitutto, rilevato che la fattispecie in questione è disciplinata dall'art. 2043 (responsabilità soggettiva diretta) c.c. e non dall'art. 2049 c.c.(responsabilità obbiettiva indiretta).

Lo Stato e gli altri enti pubblici non possono agire che a mezzo dei propri organi, il cui operato non è di soggetti distinti, ma degli enti stessi in cui essi s'immedesimano: ed è in virtù di tale rapporto organico che la responsabilità derivante dalla loro attività risale appunto alle persone giuridiche pubbliche delle quali sono espressione.

La pubblica amministrazione risponde quindi immediatamente e direttamente (e non indirettamente, per rapporto institorio) per i fatti illeciti dei suoi funzionari e dipendenti - secondo un'accezione onnicomprensiva - quali che siano le mansioni espletate (di concetto o d'ordine, intellettuali o materiali).

L'art. 28 della Costituzione, invero, non ha inteso immutare la natura della responsabilità diretta dell'amministrazione e sanzionare il principio della responsabilità indiretta, non riferibile istituzionalmente alla p.a., ma ha solo voluto sancire accanto ad essa quella propria degli autori dei fatti lesivi delle situazioni giuridiche altrui.

Perché ricorra tale responsabilità della p.a. non basta, ovviamente, il semplice comportamento lesivo del dipendente; deve sussistere, infatti, oltre al nesso di causalità fra il comportamento e l'evento dannoso, la riferibilità all'amministrazione del comportamento stesso.

A tale riguardo, l'attività può essere riferita all'Ente se sia e si manifesti come esplicazione dell'attività di quest'ultimo, cioé tenda (pur con abuso di potere) al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui esso dipendente è addetto; e questo riferimento all'ente può venire meno solo quando il dipendente agisca come un semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, che si rilevi assolutamente estraneo all'amministrazione - o addirittura contrario ai fini che essa persegue - ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente (così, sostanzialmente, Cass. 17 settembre 1997, n. 9260; 6 dicembre 1996 n. 10896; Cass. 13 dicembre 1995 n. 12786, Cass. 7 ottobre 1993 n. 9935, Cass. 3 dicembre 1991 n. 12960).

2.2. Alla stregua di quanto precede, è evidente che il giudice d'appello non ha commesso alcuna violazione di legge inquadrando la responsabilità della p.a. nello schema dell'art. 2043 c.c..

Il richiamo che la sentenza di appello effettua all'art. 2049 c.c., é operato non al fine di ricondurre detta responsabilità della p.a. per fatto del proprio dipendente nella responsabilità obbiettiva indiretta, ma solo per enucleare il concetto di "occasionalità necessaria" fissato dalla giurisprudenza per questa fattispecie, riportandolo poi nella responsabilità diretta della p.a. per fatto illecito dei propri dipendenti.

Sennonché detta operazione interpretativa è ultronea, in quanto, se pure i due concetti di "occasionalità necessaria" nella responsabilità ex art. 2049 c.c. ed in quella della p.a. per fatto del proprio dipendente erano stati ritenuti in passato come aventi caratteristiche differenti (più rigorose nella seconda ipotesi), per effetto dell'evoluzione giurisprudenziale attualmente, in buona sostanza, coincidono (salvo ovviamente le differenze strutturali attinenti ai soggetti ed al rapporto che li lega).

Invero, quanto alla "occasionalità necessaria" presupposto della responsabilità ex art. 2049 c.c , la recente giurisprudenza afferma che essa sussiste allorché le mansioni o le incombenze affidate al dipendente o al commesso abbiano reso possibile, o comunque agevolato, il comportamento produttivo del danno, a nulla rilevando che tale comportamento si sia posto in modo autonomo nell'ambito dell'incarico o abbia addirittura ecceduto i limiti di esso, magari in trasgressione degli ordini ricevuti, sempreché il commesso abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe (Cass. 17.3.1990, n. 2226) o che siano del tutto estranee al rapporto di lavoro (Cass. 9.6.1995, n. 6502).

Quanto alla "occasionalità necessaria", presupposto della responsabilità diretta della p.a. per fatto del proprio dipendente, essa sussiste tutte le volte in cui la condotta del dipendente sia strumentalmente connessa con l'attività d'ufficio.

La riferibilità dell'atto o del comportamento del dipendente alla p.a. va esclusa solo relativamente a quelle attività strettamente personali del dipendente in relazione alle finalità istituzionali o non legate neppure da un nesso di occasionalità con i compiti affidatigli (Cass. 13.12.1995, n. n. 12786; Cass. 6.12.1996, n. 10896). In questa evoluzione giurisprudenziale del concetto di "occasionalità necessaria", superando il tradizionale orientamento, é stato peraltro sottolineato da numerose decisioni che il fatto doloso del funzionario non è necessariamente non riferibile alla pubblica amministrazione, dovendo ritenersene al contrario la riferibilità allorché sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il comportamento dell'impiegato e le incombenze allo stesso affidate: nesso che va accertato - ed è questo il punto di decisiva divergenza rispetto all'orientamento tradizionale - considerando non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente abuso, ma il complesso dell'attività nella quale esso si riferisce. Allorché, infatti, il comportamento si innesta nel meccanismo di una attività complessivamente, ed avuto riguardo alla sua finalità terminale, non estranea rispetto agli interessi e alle esigenze pubblicistiche dell'amministrazione, quel collegamento non può non essere ritenuto.

In tal senso va ravvisata la connessione con le finalità istituzionali della pubblica amministrazione, che può essere anche anomala, in presenza di un'attività riconducibile a prassi di comportamenti distorte, ma pur sempre riconducibili ad uno specifico interesse dell'amministrazione (Cass. 14.5.1997, n. 4232).

Una siffatta puntualizzazione è dato riscontrare anche in qualche decisione che sembrerebbe dare adesione alla teoria tradizionale (Cass. 12960/91; cfr. anche Cass. 7631/86), laddove si precisa che per accertare il nesso tra il comportamento del dipendente e le finalità istituzionali proprie dell'ente per il quale egli opera deve aversi riguardo allo scopo ultimo che il dipendente deve raggiungere, per cui "l'abuso di potere commesso nel corso delle operazioni tendenti a quel fine non esclude il collegamento di necessaria occasionalità con le attribuzioni istituzionali del dipendente quando, quale che sia il motivo che lo ha determinato, risulti strumentale rispetto alla attività d'ufficio o di servizio".

Ne consegue che nella fattispecie, avendo la sentenza impugnata esattamente individuato le caratteristiche dell'occasionalità necessaria, quale presupposto della responsabilità della p.a. per illecito di un suo dipendente, non sussistono le lamentate violazioni di norme di diritto.

3. Sussiste invece il lamentato vizio motivazionale della sentenza, ed in questi termini va accolto il ricorso. Infatti la sentenza impugnata, dopo aver accertato in punto di fatto che il xxxxxx, al momento dell'illecito era in libera uscita, ritiene che, allorché il colpo partì dalla pistola, egli "non stava svolgendo un'egoistica attività fuori servizio, ma stava maneggiando stolidamente l'arma affidatagli" e ritiene che tale fatto non sia del tutto indipendente dal suo servizio "tanto più che pare che egli malaccortamente stesse spiegando ai commilitari come si maneggiava la pistola" (p.l2).

La motivazione della sentenza è evidentemente contraddittoria ed incongrua.

Essa infatti per escludere la finalità personale nell'uso della pistola da parte del carabiniere ausiliario in libera uscita, sostiene che essa "fu stolidamente maneggiata", come se ciò costituisse la finalità dei compiti affidati al xxxxxxxx e la finalità istituzionale della p.a., cui apparteneva.

La sentenza adombra anche la possibilità che egli "malaccortamente" stesse svolgendo attività di istruttore dei commilitoni. Sennonché l'ipotesi, oltre che solo adombrata, non risulta motivata; in particolare non risulta motivato il presupposto implicito di tale ritenuta occasionalità necessaria e cioé che rientrasse tra gli incarichi del xxxxxxx quello di effettuare istruzioni ai commilitoni, in libera uscita, e tra le finalità istituzionali della p.a. che dette "istruzioni sul maneggio delle armi" fossero effettuate da carabinieri ausiliari, in libera uscita.

Il semplice possesso dell'arma, ancorché esso trovi titolo nella qualità dell'agente di appartenente al Corpo dei carabinieri, non è sufficiente, di per sé, a rendere operante il nesso di occasionalità necessaria, da intendersi nei termini sopra esposti, poiché esso va valutato non in relazione al solo possesso dell'arma, ma in relazione al comportamento tenuto con quell'arma.

4. Con l'unico motivo del ricorso incidentale il controricorrente denunzia la violazione dell'art. 50 del d.p.r. n. 686/1957 e vizio di motivazione per omissione, insufficienza e contraddittorietà, laddove il giudice di appello, nel procedere alla determinazione del danno subito dal xxxxxxxx ha ritenuto di poter detrarre dal totale riconoscibile la somma di L. 19.460.205, percepita in precedenza dal danneggiato a titolo di indennizzo dal Ministero della Difesa Secondo il ricorrente non potrebbe nella specie darsi corso ad una compensatio lucri cum damno in considerazione della diversità dei presupposti che, per l'indennizzo sono costituiti dall'apposita previsione legislativa, mentre per il risarcimento del danno si rintracciano nel principio del neminem laedere.

Ritiene questa Corte che l'accoglimento del ricorso principale, comporti l'assorbimento del ricorso incidentale, essendo ancora sub iudice la responsabilità del Ministero e divenendo rilevante la prospettata questione solo all'esito dell'accertamento di questa.

5. Pertanto va accolto per quanto di ragione il ricorso principale e va dichiarato assorbito il ricorso incidentale. Va cassata l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della corte di appello di Venezia, che si uniformerà ai suddetti principi di diritto.

 

P. Q. M.

 

Riunisce i ricorsi. Accoglie, per quanto di ragione, il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa in relazione l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, lì 4 maggio 2000.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 12 AGO. 2000.