Suprema Corte di Cassazione
Sezioni Unite Civili
Sentenza 4 maggio 2004 n. 8438
Pres. Giustiniani- Rel. Miani Canevari
S.B. c. Istituto Agrario di S. Michele all’Adige e Provincia Autonoma di Trento.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
S. B. conveniva dinanzi al Tribunale di Trento l'(omissis) e la (omissis)
esponendo di aver lavorato alle dipendenze di detto Istituto dal 1981, e di
essere stato collocato in ruolo come fattore dell'(omissis), con l'attribuzione
di mansioni di direzione tecnica e amministrativa. Il ricorrente aveva
presentato degli esposti in ordine ad illeciti rilevati a carico del direttore
generale dell'Istituto, del Direttore amministrativo e dei consiglieri di
amministrazione dell'ente; successivamente, a partire dal 1987, era stato
oggetto di comportamenti vessatori posti in essere dai membri del Consiglio di
Amministrazione, ed era stato quindi privato delle funzioni gia’ svolte, essendo
prima inquadrato come assistente agronomo e poi come collaboratore agronomo,
assegnato dal 1989 a compiti meramente esecutivi, collocato in locali angusti e
disagevoli, e costretto nel 1993 a lasciare l'alloggio concessogli gratuitamente
dall'ente datore di lavoro. Il B. denunciava poi ulteriori comportamenti
vessatori posti in essere in relazione al godimento dei periodi di congedo
ordinario, affermando che in conseguenza di tale situazione era stato colpito da
disturbi psicofisici, accusando una sindrome psiconeurosica ansioso depressiva.
Il sig. B. deduceva di essere stato quindi vittima di un'attivita’ di mobbing,
concretatasi nella violazione degli artt. 2087 e 2103 cod. civ., da cui era
seguita una menomazione psicofisica, con conseguente responsabilita’ del datore
di lavoro per danno alla capacita’ lavorativa, danno biologico, danno morale ed
esistenziale. Chiedeva il risarcimento di tali danni e la condanna dell'ente
alla reintegrazione nei posto di lavoro spettante, con l'inquadramento
nell'ottava qualifica funzionale.
Con decisione non definitiva il Tribunale adito dichiarava la propria
giurisdizione e il difetto di legittimazione passiva della Provincia Autonoma di
Trento. A seguito di gravame proposto dall'ente convenuto in primo grado, con la
sentenza oggi denunciata la Corte di Appello di Trento rilevava l'inammissibilita’
dell'appello incidentale della Provincia Autonoma di Trento e dichiarava il
proprio difetto di giurisdizione. Ad avviso del giudice dell'appello, con la
domanda azionata erano stati fatti valere diritti derivanti da responsabilita’
contrattuale del datore di lavoro, nell'ambito di un rapporto di lavoro alle
dipendenze di pubblica amministrazione, per fatti lesivi riferibili a periodo
antecedente al 30 giugno 1998. La controversia era pertanto devoluta alla
giurisdizione esclusiva dei giudice amministrativo.
Avverso questa sentenza S. B. propone ricorso per cassazione affidato ad unico
complesso motivo, illustrato da memoria. L'(omissis) resiste con controricorso e
ricorso incidentale condizionato con due motivi.
La Provincia Autonoma di Trento non si e’ costituita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai
sensi dell'art.335 cod.proc.civ.
2. 1. La difesa del B. eccepisce preliminarmente l'inammissibilita’ dei
controricorso e ricorso incidentale, rilevando che l'atto e’ stato tardivamente
notificato il 3 febbraio 2003, dopo il decorso del termine di cui all'art.370
cod.proc.civ., che scadeva il 2 febbraio 2003; che la procura speciale apposta
sull'atto e’ stata sottoscritta dall'avv. (omissis), non ammesso al patrocinio
dinanzi alla Corte di Cassazione, il quale ha anche autenticato la firma della
parte.
2. 2. Le eccezioni sono infondate. Per la prima, si deve rilevare che il 2
febbraio 2003 (giorno di scadenza come rilevato dalla parte del termine per la
notifica del controricorso e ricorso incidentale) cadeva di domenica; la
scadenza era quindi prorogata, ai sensi dell'art.i55 cod.proc.civ., al primo
giorno seguente non festivo, nel quale e’ stata compiuta 1a notifica dell'atto.
2. 3. Per la seconda, si osserva che l'(omissis) ha conferito la procura
speciale alle liti, apposta a margine al controricorso e ricorso incidentale,
agli avvocati (omissis) e (omissis), i quali hanno entrambi sottoscritto l'atto.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la certificazione da parte di
avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla Suprema Corte
dell'autografia della sottoscrizione della parte apposta sulla procura speciale
ad litem rilasciata in calce o a margine del ricorso o del controricorso per
cassazione, che sia stato firmato anche da altro avvocato (quest'ultimo iscritto
nell'albo speciale e indicato come condifensore in procura), costituisce mera
irregolarita’, inidonea a incidere sui requisiti indispensabili per lo scopo
dell'atto (v. tra le piu’ recenti decisioni Cass. 10 ottobre 2000 n.13468, 1I
ottobre 2001 n.12411, 6 giugno 2003 n.9078, 8 luglio 2003 n.10372).
3. L'unico complesso motivo del ricorso principale reca il titolo "violazione e
falsa applicazione dell'art.360 cod.proc.civ. punto i per motivi attinenti alla
giurisdizione (giurisdizione dell'A.G.O. in luogo della affermata giurisdizione
amministrativa); punto 3 per violazione e falsa applicazione di norme di diritto
con riguardo all'art.69 punto 7 del dlgs 165/2001, trattandosi di domanda di
nullita’ del procedimento di appello e percepito mancato deposito da parte
dell'Amministrazione appellante dei fascicolo di primo grado; punto s per
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia".
4. Nell'ordine logico va esaminata anzitutto la denuncia di nullita’ della
sentenza di appello, che si pone con carattere di pregiudizialita’ rispetto alla
questione di giurisdizione, e che la parte ricollega al mancato deposito del
fascicolo di primo grado dell'appellante Istituto Agrario. La censura non ha
fondamento, in relazione al principio di tassativita’ di cui all'am 156 I° comma
cod.proc.civ. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 353 del 1990,
il nuovo testo dell'art.348 cod.proc.civ. non prevede piu’ la declaratoria di
improcedibilita’ dell'appello in conseguenza della mancata presentazione del
proprio fascicolo da parte dell'appellante (sanzione che era invece comminata
dal secondo comma dello stesso articolo prima delle modifiche introdotte dalla
legge n. 353 del 1990) ancorche’ il deposito del fascicolo e della sentenza
impugnata siano comunque prescritti dal combinato disposto degli artt. 165, 359
e 347 C.P.C. (Cass. 18 maggio 2001 n.6805, 2 luglio 2003 n.10404).
5. 1. La difesa del ricorrente principale sostiene di aver fatto valere, in
relazione ai comportamenti denunciati, una responsabilita’ sia contrattuale che
extracontrattuale dell'ente datore di lavoro. La Corte di Appello ha fondato la
propria decisione in ordine alla qualificazione dell'azione proposta sull'ordine
di servizio emanato dall'ente nel 1989, senza considerare che la parte non aveva
chiesto in proposito alcun accertamento sulla legittimita’ dell'atto. La Corte
territoriale ha erroneamente affermato, con una motivazione "contraddittoria e
travisata proprio su un punto decisivo", che l'attore in primo grado ha
prospettato una responsabilita’ esclusivamente contrattuale della controparte,
senza considerare che la richiesta di risarcimento di danno alla salute non
poteva costituire oggetto della cognizione del giudice amministrativo, dinanzi
al quale la pretesa risarcitoria non trova alcuna tutela.
La parte rileva (punto f del ricorso) che con l'atto introduttivo sono state
prospettate condotte illecite poste in essere dai datore di lavoro "non con
riguardo allo svolgimento del rapporto contrattuale di lavoro .... ma riguardo a
condizioni relazionali e di vita che nell'ambiente di lavoro sono state
appesantite da un accanimento e da atteggiamenti e condotte, anche omissive, che
rappresentano vere e proprie violazioni del principio aquiliano del neminem
laedere". La ricostruzione compiuta dalla Corte territoriale, che tende a far
rientrare nel rapporto contrattuale ogni vicenda vessatoria subita dal
dipendente, comporta che il fenomeno del mobbing "non puo’ di necessita’
verificarsi in alcun ambiente di lavoro e nei confronti di alcun dipendente,
poiche’ in simile contesto ogni condotta ricadrebbe automaticamente nel rapporto
che lega il datore di lavoro con il dipendente e quindi gli eventuali danni alla
salute nonche’ alla integrita’ psico fisica del lavoratore non troverebbero
tutela". Nell'ipotesi del mobbing, "il rapporto di lavoro diviene solamente lo
scenario di fondo (la occasione) di innumerevoli attivita’ e condotte anche
omissive che mirano all'isolamento del soggetto mobbizzato fino a provocare in
lui un senso di smarrimento, di impotenza, di frustrazione psicologica ed anche
fisica, di svilimento alla liberta’ e alla dignita’ della persona tale da
provocare danni cronici alla salute".
5. 2. La censura e’ infondata Si osserva preliminarmente che in ordine alle
questioni di giurisdizione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono anche
giudice del fatto e pertanto possono (e devono) procedere direttamente
all'apprezzamento dei fatti, allegati dalle parti ed emergenti dalle risultanze
istruttorie, traendone conseguenze in piena autonomia e indipendenza sia dalle
deduzioni delle parti che dalle valutazioni del giudice a quo, risultando quindi
inammissibile sotto questo profilo la denuncia di vizi di motivazione della
sentenza impugnata (giurisprudenza costante: v. per tutte Cass. Sez.Un. 10
agosto 2000 n.560, 27 giugno 2002 n. 9338, 22 luglio 2002 n.10696, 10 gennaio
2003 n. 261). Posto che la giurisdizione si determina sulla base della domanda
e, " ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e amministrativo, rileva non
gia’ la prospettazione delle parti, bensi’ il cosiddetto petitum sostanziale, il
quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta
statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della
causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta
in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al
rapporto giuridico del quale essi sono manifestazione, va qui richiamato il
consolidato orientamento di questa Corte in tema di azione per il risarcimento
dei danno subito in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato alle
dipendenze di una pubblica amministrazione.
Secondo questo indirizzo, il riparto di giurisdizione e’ strettamente
subordinato all'accertamento della natura giuridica dell'azione di
responsabilita’ in concreto proposta, in quanto, se si tratta di azione
contrattuale, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo (allorche’ la controversia abbia per oggetto una
questione relativa ad un periodo dei rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno
1998); se si tratta invece di azione extracontrattuale, la giurisdizione
appartiene al giudice ordinario. Al fine di tale accertamento, si deve ritenere
proposta la seconda tutte le volte che non emerga una precisa scelta del
danneggiato in favore dell'azione contrattuale, e quindi allorche’, per esempio,
il danneggiato invochi la responsabilita’ aquiliana ovvero chieda genericamente
il risarcimento dei danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale,
e dovendosi, invece, ritenere proposta l'azione di responsabilita’ contrattuale
quando la domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull'inosservanza,
da parte del datore di lavoro, degli obblighi inerenti al rapporto di impiego
(Cass. Sez.Un. 4 novembre 1996 n.9522, 28 luglio 1998 n.7394, 14 dicembre 1999 n.900,
12 marzo 2001 n.99, 11 luglio 2001 n.9385, 29 gennaio 2002 n.1147, 25 luglio
2002 n.10956, 5 agosto 2002 n.11756, 23 gennaio 2004 n.1248).
5. 3. Nella specie, con il ricorso introduttivo dei giudizio e’ stato chiesto
l'accertamento di "condotte antigiuridiche, configuranti la fattispecie del
mobbing, imputabili a fatto e colpa dell'(omissis) ... derivanti da
responsabilita’ contrattuale ed extracontrattuale" e la condanna dell'Istituto
convenuto al risarcimento del danno, oltre che all'inquadramento del B.
nell'ottava qualifica funzionale e alla reintegrazione nella precedente
posizione di lavoro.
I comportamenti illeciti denunciati consistono, secondo l'esposizione della
parte
nel mutamento, dopo il "reinquadramento" nella qualifica di assistente agronomo,
delle mansioni gia’ svolte,. con il trasferimento, nell'aprile del 1989, ad
altra unita’ con compiti puramente esecutivi di inserimento di dati in un
computer,
nella successiva attribuzione, dal luglio 1990, della qualifica di collaboratore
agronomo VII livello funzionale, destinato all'Ufficio Contabilita’ Agraria con
mansioni esecutive, mantenute per tutto il periodo successivo;
nell'assegnazione, nella stessa epoca e fino al 1998, di un posto di lavoro in
locale angusto, scarsamente illuminato e insalubre;
nella privazione, nel 1993, dell'alloggio prima concessogli a titolo gratuito
nell'ambito della struttura dell'Istituto;
nell'ingiusto comportamento che aveva impedito al B. di godere di periodi di
riposo, ed anche di accedere alla relativa documentazione personale.
Le altre allegazioni della parte riguardano, oltre che comportamenti vessatori
posti in essere nei confronti della moglie dei B., dipendente dello stesso
Istituto, le circostanze relative all'insorgere di fenomeni patologici, ed in
particolare di una "sindrome psiconeurosica ansioso depressiva" diagnosticata
nell'anno 2000.
5. 4. In relazione alla situazione soggettiva dedotta in giudizio la domanda va
riferita indipendentemente dalla prospettazione della parte ad un'azione di
responsabilita’ contrattuale. Infatti, se il termine mobbing (utilizzato dalla
parte per descrivere il caso in esame) puo’ essere generalmente riferito ad ogni
ipotesi di pratiche vessatorie, poste in essere da uno o piu’ soggetti diversi
per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro,
nella fattispecie vengono in rilievo, con riguardo ai fatti indicati sub 5.3.,
violazioni di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego.
Questo non rappresenta dunque un mero presupposto estrinseco ed occasionale
della tutela invocata, in quanto la stessa attiene a diritti soggettivi
derivanti direttamente dal medesimo rapporto, lesi da comportamenti che
rappresentano l'esercizio di tipici poteri datoriali, in violazione non solo del
principio di protezione delle condizioni di lavoro, ma anche della tutela della
professionalita’ prevista dall'art.2103 cod. civ. (in relazione alla quale si
chiede il ripristino della precedente posizione di lavoro e della corrispondente
qualifica).
Si tratta pertanto di atti di gestione dei rapporto di lavoro che,
indipendentemente da una concreta correlazione con un disegno di persecuzione
reiterata, trovano un diretto referente normativo nella disciplina della
regolamentazione del rapporto e ricevono da questa la loro sanzione di
illiceita’. La fattispecie di responsabilita’ va cosi’ ricondotta alla
violazione degli obblighi contrattuali stabiliti da tali norme,
indipendentemente dalla natura dei danni subiti dei quali si chiede il ristoro e
dai riflessi su situazioni soggettive (quale il diritto alla salute) che trovano
la loro tutela specifica nell' ambito dei rapporto obbligatorio.
E' poi del tutto infondata l'affermazione secondo cui la tutela risarcitoria (in
tutte le sue componenti) fondata sulla responsabilita’ contrattuale dell'ente
datore di lavoro non potrebbe essere fatta valere dinanzi al giudice del
rapporto, al quale spetta la cognizione della controversia.
6. 1. il ricorrente principale deduce poi che la questione non attiene soltanto
ad un periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998 (in relazione
al disposto dell'art. comma 17 del d.lgs. n.80/1998, ed ora dell'art.69 settimo
comma del d.lgs. n.165 del 2001), perche’ la fattispecie dedotta attiene ad un
comportamento illecito permanente, per la quale il momento di realizzazione del
fatto dannoso si identifica con quello di cessazione della permanenza;
cessazione non avvenuta, perdurando tuttora la condotta lesiva con la
dequalificazione e l'isolamento del dipendente. Inoltre, il danno psicofisico e
biologico e’ stato rilevato solo con gli accertamenti medici effettuati
nell'anno 2000 (punto g del ricorso).
6. 2. L'assunto e’ infondato. Questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare
che il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa,
fissato dall'art.45 comma 17 prima parte del dIg.s. 31 marzo 1998 n. 80 (ora
art. 69, comma settimo, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) con riferimento al
dato storico costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze
poste a base della pretesa avanzata, comporta che, se la lesione del diritto del
lavoratore e prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi
riferimento all'epoca della sua emanazione, mentre laddove la pretesa abbia
origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve
avere riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e quindi al
momento di cessazione della permanenza (Cass. Sez.Un. 24 febbraio 2000 n.41, 18
ottobre 2002 n.14835).
Nel caso in esame viene in rilievo, per quanto si e’ gia’ osservato, una serie
di specifici atti di gestione del rapporto di lavoro, con i quali si e’
realizzata compiutamente una fattispecie di inadempimento contrattuale, lesiva
delle posizioni soggettive tutelate, ancorche’ l'esistenza dell'evento dannoso
si sia protratta autonomamente. Si prospetta quindi, in relazione ai fatti
dedotti, un'ipotesi di illeciti istantanei con effetti permanenti, dovendosi far
riferimento a tal fine (come e’ stato precisato dalla giurisprudenza in tema di
illecito extracontrattuale: v. Cass. I febbraio 1995 n. I i 56, 20 dicembre 2000
n.16009) non al danno ma al rapporto eziologico tra questo e il comportamento
contra ius dell'agente.
Nella vicenda descritta i singoli atti lesivi dei diritti del dipendente
risultano tutti riferiti ad epoca antecedente al 30 giugno 1998: la controversia
riguarda quindi questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore
alla data fissata come discrimine temporale dalla richiamata norma transitoria,
interpretata secondo un criterio ermeneutico inteso ad evitare frazionamenti
della tutela processuale fra giurisdizioni diverse. D'altro canto non assume
alcuna rilevanza, a tal fine, l'epoca della manifestazione delle patologie
denunciate dal ricorrente.
7. Sotto un altro profilo, si deduce che la Corte territoriale non ha
considerato che le controversie di cui all'art.63 del dAgs. n.I65/2001 (gia’
art. 68 del d.lgs. n.29 del 1993 e successive modificazioni) relative a
questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno
1998 restano attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo solo
qualora le domande siano state proposte entro il 15 settembre 2000. Si sostiene
che questo termine rappresenta una decadenza ai soli fini processuali, ma non
una decadenza sui generis dal diritto soggettivo vantato, con conseguente
devoluzione al giudice ordinario delle controversie "non impugnate entro il 15
settembre 2000" .
Anche questa censura e’ infondata. Il superamento della data del 15 settembre
2000, indicata dall'art.45 comma 17 dei d.lgs. n.80/1998 (ed oggi dall'art.69
settimo comma del d.lgs. n.165 del 2001) non rileva ai fini della decisione
sulla giurisdizione: secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v. tra
molte Cass. Sez.Un. 27 marzo 2001 n.139, 30 gennaio 2003 n.1511) detto termine
e’ fissato non quale limite alla persistenza (relativamente alle questioni
caratterizzate dagli indicati requisiti temporali) della giurisdizione del
giudice amministrativo, ma quale termine di decadenza sostanziale per
proponibilita’ della domanda giudiziale, con conseguente attinenza di ogni
questione ai limiti interni della giurisdizione.
8. Il ricorso principale deve essere quindi respinto, e va dichiarata la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Resta conseguentemente assorbito l'esame dei due motivi del ricorso incidentale
proposto in via condizionata dall'(omissis), con i quali si ripropongono le
questioni, ritenute assorbite in appello, della giurisdizione del giudice
amministrativo per alcune delle pretese risarcitorie azionate e della decadenza
dell'attore dall'impugnazione dell'ordine di servizio del 4 aprile 1989, in
relazione alla prospettata assegnazione di mansioni inferiori.
Si ravvisano giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese dei
presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Dichiara assorbito il
ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Cassazione - Sezioni Unite Civili
Sentenza 4 maggio 2004 8438/2004 |
|
|
|