REPUBBLICA ITALIANA

     In nome del popolo italiano

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Sezione Prima Ter - ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n.11510/99, proposto da xxXXXXXXXXXXXXXXX  rappresentati e difesi dall’avv. Luca Lentini, presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Roma, Via di Porta Pinciana n. 6;

contro

il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

per il riconoscimento

del diritto a percepire i conguagli retributivi in relazione alle mansioni superiori svolte ed in corso di svolgimento, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle differenze fra quanto percepito dai ricorrenti ed il trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte  ed in corso di svolgimento, con rivalutazione, interessi ed effetti previdenziali;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione;

Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Udito alla pubblica udienza del 12 febbraio 2004 il magistrato relatore   Luigi Tosti e udito altresì il difensore del ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso depositato il 2 settembre 1999 i ricorrenti, tutti appartenenti ai ruoli della polizia di Stato, chiedono il riconoscimento economico delle mansioni svolte quali addetti ad attività di carattere sanitario, proprie dei ruoli tecnici, in virtù del diploma di infermiere professionale posseduto.

            I ricorrenti, in base ad atti di affidamento di mansioni del ruolosanitario

             e  dell’ulteriore documentazione allegata, chiedono che sia accertato                                     

il loro diritto di ottenere la retribuzione spettante alla qualifica di revisore o di vice revisore tecnico, maggiorata di interessi e rivalutazione.

In diritto invocano, a sostegno della loro rivendicazione, il principio di equivalenza della retribuzione al lavoro svolto, contenuto nell’articolo 36 Cost, l’art. 2126 del codice civile nonché l’articolo 56 del D.Lgs. 3 febbraio 1993 n.29 e successive modificazioni. I ricorrenti richiamano altresì favorevoli pronunce della Corte costituzionale.

L’Amministrazione, nella memoria difensiva, ha chiesto il rigetto del ricorso, perché infondato.

I ricorrenti in memoria hanno ribadito le loro richieste, insistendo nella domanda di riconoscimento della pretesa patrimoniale, quanto meno alla data di entrata in vigore dell’art. 15 del D. Lgs. n.397 del 1998.

All’udienza del 12 febbraio 2004 il difensore dei ricorrenti ha illustrato la causa.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

La determinazione e l’individuazione degli istituti retributivi del personale della Polizia di Stato sono affidate, dall’articolo 43 della legge 1° aprile 1981 n.121, alla fonte regolamentare: la legge infatti prevede che il trattamento economico del personale di polizia (esclusi i dirigenti) sia stabilito sulla base di accordi sindacali, approvati con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Ora, nessuno degli accordi così stipulati, vigenti nel periodo che riguarda i ricorrenti (si tratta, in particolare, dei DD.PP.RR. 1995 n. 395, 1996 n.359 e 1999 n.254) prevede, tra le componenti retributive accessorie, un’indennità per mansioni superiori.

Tanto porta a ritenere che lo stesso istituto dell’assegnazione a mansioni superiori sia sconosciuto all’ordinamento della polizia, permeato del principio di gerarchia, e che eventuali situazioni di fatto difformi siano inidonee a produrre alcun effetto, in termini tanto retributivi che di carriera, potendosi anzi configurare precise responsabilità a carico del funzionario che abbia concorso a crearle.

A conforto sovviene la disposizione contenuta nell’articolo 7 del regolamento di servizio approvato con D.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782, che prevede il solo istituto della supplenza nella titolarità di uffici vacanti, come momento organizzativo necessitato, di durata assolutamente temporanea e senza alcun diritto giuridico o economico.

La pretesa patrimoniale avanzata nel presente giudizio è quindi priva di validi supporti normativi, ravvisabili unicamente in leggi specifiche del settore o in previsioni degli accordi di categoria.

Non risulta di conforto alla pretesa dei ricorrenti il diretto richiamo al principio di proporzionalità della retribuzione o alla disciplina dell’articolo 2126 del codice civile, trattandosi, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, di istituti non direttamente applicabili alla disciplina del rapporto di lavoro del pubblico dipendente (Cfr. al riguardo gli orientamenti espressi nelle tre successive decisioni dell’Adunanza plenaria  18 novembre 1999 n.22; 28 gennaio 2000 n.10 e 23 febbraio 2000 n.11, la quale ha ribadito l’inesistenza di diritti del dipendente pubblico di ottenere compensi per l’esercizio, con incarico formale o di fatto, di mansioni della qualifica superiore).

L’Adunanza plenaria, con le citate decisioni, ha altresì escluso che il trattamento deteriore riservato al dipendente pubblico (nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 29 ottobre 1998 n,.387) possa infrangere in qualche modo principi di rilevanza costituzionale.

I ricorrenti in subordine (e particolarmente nella memoria difensiva) invocano in loro favore l'articolo 15 del citato D.Lgs 1998 n. 387 che, ulteriormente modificando l’originaria formulazione dell’articolo 56 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n.29 ha sancito il diritto dei dipendenti pubblici di ottenere, nei limiti e con i presupposti previsti, il compenso differenziale per mansioni superiori anche in assenza di specifica previsione della contrattazione collettiva.

La disposizione in questione non è applicabile ai ricorrenti, riguardando i dipendenti della amministrazioni pubbliche il cui rapporto di lavoro è stato privatizzato per effetto della riforma del 1993: il personale della Polizia di Stato (come le altre categorie indicate nell’articolo 2 quarto comma del D.Lgs. n.29/12993) rimane invece disciplinato dal proprio  ordinamento. D’altra parte, il controverso  problema della valenza dello svolgimento di mansioni superiori da parte dei dipendenti della amministrazioni pubbliche non assurge a livelli di carattere fondamentale della disciplina del rapporto, tali da poter legittimamente ingenerare dubbi di incostituzionalità, sotto l’aspetto della disparità di trattamento, di una disciplina (solo parzialmente) difforme tra dipendenti "privatizzati" e non.

Il ricorso deve essere quindi respinto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti di causa.

P. Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Sezione  Prima Ter- respinge il ricorso proposto da XXXXXXXXXXe dagli altri indicati come in epigrafe.

Compensa interamente le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa

Così deciso a Roma, addì 12 febbraio 2004 in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Magistrati:

Luigi          TOSTI                     Presidente Estensore

Adolfo       METRO                    Consigliere

Franco       DE BERNARDI       Consigliere