REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.283/2005

Reg.Dec.

N.  10871  Reg.Ric.

ANNO   1999

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 10871 del 1999 proposto da Ministero dell’Interno, della Difesa e del Tesoro, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n.12;

contro

( omissis )  non costituitisi in giudizio;

per l'annullamento e/o la riforma

della sentenza del Tribunale Regionale Amministrativo per il Lazio, Sez. I, n.1820/99 del 27 agosto 1999, resa tra le parti;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Alla pubblica udienza del 12 novembre 2004, relatore il Cons. Domenico Cafini, udito l’avvocato dello Stato De Socio;

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     1. I ricorrenti nel giudizio di primo grado - collocati a riposo in vigenza degli accordi collettivi di lavoro di cui al D.P.R. 27.3.1984 n.69 (riferito al personale di polizia) e alla legge 20.3.1984, n.34 (riferito al personale dell’arma dei carabinieri) e tutti in servizio alla data di decorrenza dei medesimi contratti - lamentavano col gravame proposto davanti al TAR del Lazio (nei confronti dei tre Ministeri suddetti e dell’ENPAS) che, in sede di determinazione della base contributiva, si era tenuto conto, ai fini del calcolo dell’indennità di fine servizio e del trattamento pensionistico,  del solo aumento in vigore al momento del collocamento a riposo e non anche -  come ritenuto dovuto - in misura integrale dei miglioramenti economici scaglionati, previsti dai rispettivi contratti.

     A sostegno del gravame gli istanti deducevano i seguenti motivi di diritto:

     a) violazione di legge (in particolare, dell’art.9 L. n.382/1979 e dell’art.13 L.29.3.1983, n.93); violazione dei principi generali in materia di rinnovi contrattuali; eccesso di potere per disparità di trattamento e per manifesta ingiustizia.

     b) incostituzionalità del D.P.R. 27.3.1984, n.69 e della L. 20.3.1984 n.34, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione

     Rilevavano gli interessati, in sostanza, che la dilazione nel tempo dei benefici previsti dai contratti anzidetti aveva lo scopo di evitare aggravi improvvisi per le finanze pubbliche, ferma, tuttavia, la decorrenza giuridica del nuovo contratto, che coincideva con il termine iniziale del triennio (1.1.1982), sicché, sin dall’inizio, si sarebbe instaurata una nuova situazione giuridica produttiva di effetti anche se il concreto godimento dei vantaggi economici sarebbe stato subordinato alla scadenza dei termini prestabiliti; il che avrebbe determinato, come conseguenza, che i dipendenti collocati a riposo nell’arco di validità giuridica del contratto, prima della integrale corresponsione dei miglioramenti retributivi, avrebbero acquisito comunque il diritto alla loro corresponsione, non potendo essere discriminati rispetto ai lavoratori in servizio nel medesimo periodo di validità del contratto.

     Chiedevano, pertanto, i ricorrenti che fosse riconosciuto il loro diritto, con ogni conseguenza di legge, alla integrale attribuzione dei benefici stipendiali a fini del trattamento di quiescenza e di previdenza.

     Le Amministrazioni intimate, costituitesi in giudizio, eccepivano in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e, nel merito, l’infondatezza del gravame.

     2. Con la sentenza in epigrafe, respinta preliminarmente l’eccezione di difetto di giurisdizione, il ricorso veniva accolto e, per l’effetto, veniva dichiarato il diritto degli interessati al computo degli aumenti retributivi spettanti e, quindi, alla riliquidazione del trattamento pensionistico e della indennità di buonuscita sulla base degli incrementi stipendiali previsti dagli accordi sopra menzionati, salvo verifica da parte dell’ Amministrazione di appartenenza della posizione di fatto e di diritto di ciascun ricorrente.

     3. Contro detta sentenza propongono ora appello i Ministeri sopra menzionati, deducendo i seguenti motivi:

     - erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui è stata riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda relativa ai ricorrenti e in ordine alla domanda riguardante la riliquidazione del trattamento pensionistico per essere tale domanda oggetto di cognizione della Corte dei Conti;

     - erroneità della stessa sentenza nella parte in cui ha accolto, nel merito, la richiesta dei ricorrenti, giacché il momento genetico del miglioramento economico è da individuarsi correttamente nelle scadenze temporali previste, con conseguente esclusione del beneficio per chi non risulti in attività di servizio alle varie date di scaglionamento degli aumenti stipendiali; d’altra parte non si rinvengono nel testo dell’accordo o della legge sopra citate disposizioni che autorizzino la tesi esposta nella sentenza stessa, secondo cui le decorrenze scaglionate dei miglioramenti stipendiali previste dei menzionati accordi non inciderebbero sul momento della nascita della obbligazione, la quale rimarrebbe ancorata unicamente alla data di decorrenza giuridica dell’accordo o della legge, con la conseguenza che andrebbe considerato nell’integralità del beneficio economico anche per quei dipendenti collocati a riposo prima dell’attribuzione dell’ultimo scaglione di aumento.

     In definitiva, secondo le Amministrazioni appellanti, quanto innanzi detto corrisponde a parametri certi e tradizionali in materia, ribaditi da precise disposizioni (artt 3 D.P.R. n.1032/1973 per il TFR e 4 L. n.152/1968 per la pensione) secondo cui le rispettive basi di calcolo vanno riferite alla “retribuzione contributiva”, che è quella goduta in quanto soggetta a contribuzione; infatti gli aumenti che non sono stati mai percepiti costituiscono una retribuzione virtuale, contraddetta dall’intervenuto collocamento a riposo del dipendente, sulla quale non è stata operata alcuna ritenuta contributiva e perciò del tutto estranea alla qualificazione del trattamento previdenziale.

     Nel giudizio non si sono costituiti gli appellati.

     4. Alla odierna udienza il gravame è assunto dal Collegio in decisione.

DIRITTO

     1. Va esaminata preliminarmente l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, riproposta dalle Amministrazioni ricorrenti, con riguardo alla domanda relativa alla riliquidazione del trattamento pensionistico per essere tale domanda oggetto di cognizione della Corte dei Conti.

     L’eccezione è infondata.

     Il Collegio deve rilevare infatti - premesso che nella specie l’oggetto della controversia consiste nello stabilire l’ammontare dello stipendio spettante agli interessati al momento della cessazione dal servizio - che la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia di pensioni, come affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Ad. Plen. 1.12.1995, n.32), deve intendersi limitata soltanto a quel che riguarda, con immediatezza, anche la misura, il sorgere, il modificarsi e l’estinguersi totale e parziale del diritto a pensione in senso stretto, restando esclusa da tale competenza ogni questione connessa con il rapporto di pubblico impiego, quale la determinazione della base pensionabile e dei relativi contributi da versare, sulla quale, al contrario, la giurisdizione appartiene al  giudice amministrativo.

     Di conseguenza, deve ritenersi spettante alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e non a quella della Corte dei Conti, la cognizione delle controversie volte all’accertamento del diritto del dipendente pubblico ad un più favorevole trattamento retributivo di servizio anche se il medesimo accertamento sia diretto a modificare la base di calcolo del trattamento pensionistico (in tal senso, cfr. Cons. St., Ad. Pl. 14.2.1989, n.3).

     Nel caso in esame, quindi, trattandosi di questione concernente la misura delle retribuzione, ancorché volta ad ottenere un trattamento pensionistico più favorevole, si deve ritenere che l’esame della controversia di cui trattasi appartenga alla giurisdizione del  giudice amministrativo.

     2. Nel merito, il punto centrale della controversia è quello che riguarda la natura giuridica dell’obbligazione dei datori di lavoro pubblici di corrispondere gli incrementi retributivi previsti dalle norme contrattuali di cui ai menzionati Accordi del 1984, incrementi la cui corresponsione è stabilita, nell’arco di vigenza contrattuale, in maniera scaglionata, in tre tempi.

     Si tratta di stabilire, cioè, se nel caso in esame vi sia un’obbligazione unica, sorta interamente fin dalla data di decorrenza degli effetti economici del contratto collettivo (salva la dilazione di pagamento in tre momenti successivi) oppure vi siano tre distinte obbligazioni, nate nei tre momenti in cui è previsto il pagamento.

     Ed invero, nel caso in cui si dovesse trattare di un unica obbligazione, sarebbe del tutto legittima l’attribuzione dei miglioramenti economici anche al personale cessato dal servizio durante il periodo di vigenza contrattuale, prima cioè che venissero a scadere le singole rate dei miglioramenti economici; infatti, essendo il diritto a questi ultimi sorto sin dal 1°.1.1983, esso sarebbe entrato nel patrimonio di tutti coloro in servizio a detta data, ancorché cessino dal servizio prima della scadenza delle dilazioni di pagamento.

     Nel caso, invece, si dovesse trattare di una pluralità di distinte obbligazioni, dei miglioramenti economici non può chiaramente beneficiare chi cessa dal servizio prima del nascere delle stesse.

     Ora, nella fattispecie all’esame, deve ritenersi che spetti certamente alle stesse parti contraenti la configurazione del debito riguardante i miglioramenti economici come una obbligazione unica o come una pluralità di obbligazioni, trattandosi di materia retributiva rientrante nella competenza dell’autonomia contrattuale collettiva.

     Se si esaminano gli atti da tale autonomia scaturiti, emerge, invero, con chiarezza che alcuni di essi (specialmente quelli approvati nel 1984) non estendono espressamente i miglioramenti retributivi scaglionati ai dipendenti cessati dal servizio nel periodo della loro vigenza contrattuale, mentre altri, diversamente, estendono detti miglioramenti anche a coloro che cessano dal servizio durante il periodo di vigenza contrattuale (in tal senso, v. ad esempio, D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399, in favore del personale scolastico).

     2.1. La giurisprudenza del Consiglio di Stato, con riguardo ai contratti collettivi che prevedono incrementi retributivi scaglionati e tacciono sulla estensione degli stessi a chi cessa dal servizio nel periodo di vigenza contrattuale, ha ritenuto, invero - con un indirizzo ormai consolidato dal quale il Collegio non intende discostarsi - che in tale ipotesi si configura una pluralità di obbligazioni distinte, che sorgono a far data dalle diverse decorrenze degli incrementi economici (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31.5. 1989, n. 713; 3.6.1991, n. 342; 27.6.1991, n. 380; 5.12.1992, n.1005; 13.5.2002, n.2548; 4.4.2003, n.1760).

     In particolare, si è affermato, con riferimento agli incrementi economici previsti dal D.P.R. n. 347 del 1983, contenente previsioni analoghe a quelle di cui agli Accordi sopra menzionati, che detto D.P.R., nel disporre l'attribuzione ai dipendenti degli enti locali di miglioramenti economici con determinate decorrenze, ha inteso riferirsi non già al pagamento rateale (come modalità di esecuzione di un'unica obbligazione precedentemente sorta), bensì alla costituzione del diritto agli aumenti (come momento genetico della sua nascita) alle date in esso indicate senza che i miglioramenti in tal modo attribuiti potessero, in mancanza di una diversa disposizione normativa, sia pure di carattere transitorio, avere riflessi ai fini della riliquidazione della pensione del dipendente collocato a riposo prima di tali decorrenze (Cons. Stato, sez. VI, 25.3.1994, n. 417; 12.2. 2001, n. 671; 13.5.2002, n.2548; 4.3.2003, n.1760).

     In definitiva, i miglioramenti economici previsti da un contratto collettivo, se scaglionati nel tempo, non possono che riguardare il personale in servizio alla data delle singole cadenze degli aumenti, salvo che non vi siano specifiche disposizioni in senso diverso (cfr., in tal senso, Cons. St., sez. VI, 22.4.1997, n. 651; 13.5.2002, n.2548).

     2.2. Anche la Corte dei Conti, come sottolineato nella decisione di questa Sezione da ultimo citata, ha avuto già occasione di affermare che lo "scaglionamento" degli aumenti economici previsti dai vari accordi nazionali per i rispettivi dipendenti non indica soltanto una modalità di erogazione di somme nel rispetto di esigenze finanziarie e di bilancio degli enti stessi, ma distingue, ai fini pensionistici, la posizione retributiva dei singoli dipendenti in riferimento alla data di cessazione del rapporto di impiego; di conseguenza, ciascun interessato non può pretendere di vedersi computato, nella base retributiva utile in quiescenza, un aumento retributivo del quale, a causa dello "scaglionamento", non sia stato destinatario durante il rapporto di attività perché cessato dall'impiego anteriormente alla decorrenza della sua erogazione (Corte conti, sez. III, 25.1.1991, n. 65543, riferita al D.P.R. n 347/1983).

     La stessa Corte, con riferimento ad altri DD.PP.RR. analoghi a quelli oggetto del presente giudizio, ha peraltro affermato che nei confronti di dipendenti collocati a riposo prima dell’1.1.1985, nel calcolo della pensione si deve tenere conto esclusivamente dei miglioramenti economici relativi ai singoli scaglioni di aumento già maturati alla data di cessazione del servizio e più specificamente che gli incrementi retributivi previsti dai contratti collettivi in maniera scaglionata durante l’arco di vigenza contrattuale, spettano solo al personale in servizio alla data di maturazione degli incrementi medesimi (cfr.Corte conti, sez. giur. reg. Molise, 14 luglio 1999, n. 130, con riferimento al D.P.R. 27 marzo 1984, n. 69; Corte conti, sez. giur. reg. Emilia Romagna, 23 marzo 2000, n. 552, con riferimento al D.P.R. n. 348 del 1983; Corte conti, sez. giur. reg. Piemonte, 29 gennaio 1996, n. 123; id. Trentino Alto Adige, 29 novembre 1999, n. 345, con riferimento al D.P.R relativo ai dipendenti dell’Amministrazione postale).

     3. Per quanto esposto, deve condividersi, in conclusione, la tesi espressa dalle Amministrazioni appellanti nel chiedere l’annullamento della sentenza in epigrafe.

     Il ricorso in appello va, pertanto, accolto, sicché, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto.

     Le spese di lite possono, tuttavia, essere interamente compensate, in relazione al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, così dispone:

     - rigetta l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

     -   accoglie nel merito il ricorso in appello e respinge il ricorso di primo grado.

     -   compensa le spese di giudizio per i due gradi;

     - ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 novembre 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), con l’intervento dei Signori:

Luigi MARUOTTI                                                                Presidente f.f.

Giuseppe ROMEO                                                                Consigliere

Francesco D’OTTAVI                          Consigliere

Rosanna De NICTOLIS                                                        Consigliere

Domenico CAFINI                                                               Consigliere est. 
 

Presidente f.f. 
 

Consigliere       Segretario 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il.....................................

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione 
 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 10871/1999


 

FF