segni di correzione non sono necessari per la motivazione
Sufficiente il voto a motivare il giudizio nei concorsi PAGINA PRECEDENTE
(Consiglio di Stato 2881/2004)
   
   
L'obbligo di motivare i giudizi nei concorsi è assolto dalle commissioni esaminatrici con l’attribuzione del punteggio numerico in quanto il voto indica in modo sufficiente e compiuto la valutazione tecnica realizzata, senza che occorra indicare sui compiti eventuali segni di correzione. Il Consiglio di Stato ha così respinto il ricorso di un partecipante all'esame di abilitazione alla professione di avvocato che aveva ritenuto che la commissione non avesse adeguatamente motivato il suo giudizio avendo indicato solo il voto senza apporre sui compiti segni di correzione. I Supremi giudici amministrativi hanno chiarito che il voto è sufficiente da solo a motivare il giudizio in quanto è l'espressione sintetica e nello stesso tempo chiara della valutazione della commissione esaminatrice. Riguardo poi all'assenza di segni di correzione, questi non sono necessari nelle prove di un concorso perché la funzione della commissione è quella di esprimere un giudizio non di indicare ai concorrenti gli errori commessi per evitare che li ripetano, come accade nelle scuole dove si svolge una funzione didattica. (10 giugno 2004)  


Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, sentenza n..2881/2004

 

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello iscritto al N.R.G. 10371 del 2003, proposto dal dott. X., rappresentato e difeso dall’avv. Franco Gagliardi La Gala ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Eugenio Gagliano, in Roma, viale delle Milizie n. 106;

contro

il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l'annullamento e/o la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, n. 2429/2003 dell’11 giugno 2003, depositata il 13 giugno 2003.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero appellato;

Viste le note di udienza prodotte dall’appellante;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 2 marzo 2004 il consigliere Nicola Russo;

Udito l’avv. Franco Gagliardi La Gala.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia il dott. X impugnava: a) i tre giudizi negativi (di cui al verbale del 4 marzo 2003) espressi dalla Commissione degli esami di avvocato presso la Corte di appello di Bari per l’anno 2002 in ordine alle tre prove scritte sostenute dal ricorrente; b) il conseguenziale provvedimento di non ammissione del ricorrente alle prove orali; c) gli atti presupposti e connessi, tra cui segnatamente: c’) in parte qua, il verbale della predetta Commissione con il quale sono stati suddivisi gli elaborati tra la commissione centrale e le sottocommissioni, nonché individuati i "criteri di valutazione"; c") in parte qua, il decreto del Ministero della Giustizia, di estremi ignoti, con il quale sono state formate le sottocommissioni d’esame alla commissione principale.

Il dott. X, autorizzato al patrocinio forense dal 3 gennaio 2002, avverso i provvedimenti suindicati deduceva censure di:

a) "Eccesso di potere per difetto di motivazione, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento; errore nei presupposti", atteso che la più recente giurisprudenza del giudice amministrativo ha dichiarato l’obbligo delle commissioni esaminatrici di concorsi di rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non a mezzo di diffuse esternazioni verbali relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluno degli elementi che concorrono ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento espresso con la mera indicazione numerica; né a tale carenza motivazionale potrebbe ragionevolmente opporsi che i criteri di massima prefissati dalla Commissione indicavano le regole alle quali l’organo collegiale si sarebbe attenuto nella correzione degli elaborati, atteso che le stesse risulterebbero assolutamente generiche, labili e giustificabili solo per prove di esame di ben più basso livello;

b) "Violazione dell’art. 2 R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, e successive modifiche ed integrazioni; eccesso di potere per mancato rispetto del principio che esige che la valutazione venga demandata alla Commissione naturale precostituita ex lege, atteso che il modus procedendi seguito dalla Commissione, costituendo solo 6 sottocommissioni in luogo di 7 e non rispettando la progressione numerica nel riparto e nella distribuzione degli elaborati da correggere, avrebbe avuto l’effetto di privare il ricorrente del suo giudice (rectius, esaminatore) naturale.

Il T.A.R., chiamato a pronunciarsi sulla domanda incidentale di sospensione degli effetti dei provvedimenti impugnati, decideva di definire immediatamente il giudizio nel merito, ai sensi dell’art. 26 L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo sostituito dall’art. 9 L. 21 luglio 2000, n. 205, dandone comunicazione ai difensori delle parti costituite e, con la sentenza n. 2429/2003, meglio indicata in epigrafe, rilevava la palese inconsistenza di tutte le censure dedotte, ritenendole infondate nel merito.

In particolare, il Tribunale riteneva:

a) quanto al primo motivo di doglianza, di dover confermare la persistente validità del principio giurisprudenziale per il quale, anche dopo l’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990 n. 241, l’obbligo di motivazione del giudizio reso dalla commissione giudicatrice di un concorso o di una prova idoneativa in ordine alle prove scritte ed orali sostenute dai candidati è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico, configurandosi quest’ultimo come una formula sintetica ma eloquente, che esterna compiutamente la valutazione tecnica eseguita, non ritenendo di dover mutare orientamento a seguito della recente decisione della VI Sez. del Consiglio di Stato, che ha prospettato una soluzione "intermedia".

In ogni caso, ad avviso dei giudici di prime cure, il richiamo alla suddetta decisione non sarebbe in grado di assicurare alcun risultato vantaggioso al ricorrente, atteso che in essa si dichiara che il punteggio numerico è da considerarsi sufficiente "ove i criteri siano predeterminati rigidamente", mentre, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, questa sarebbe proprio la situazione che ricorrerebbe nel caso in esame, atteso che la Commissione, nel procedere alla individuazione dei criteri di valutazione, ha indicato le regole alle quali si sarebbe rigorosamente attenuta nella correzione degli elaborati scritti.

b) Quanto al secondo motivo di doglianza, ad avviso dei primi giudici, esso risulterebbe di ancora maggiore inconsistenza in tutti i profili nei quali si articolava, non esistendo alcuna norma che riconosca al candidato all’esame di avvocato il diritto ad essere esaminato da una sottocommissione anziché da un’altra, né norma alcuna che stabilisca l’ordine che deve essere seguito nella distribuzione degli elaborati scritti fra la commissione centrale e le diverse sottocommissioni.

D’altra parte, osservava il Tribunale, non riuscirebbe agevole comprendere quale sia il risultato vantaggioso che il ricorrente si ripromette di raggiungere proponendo questioni di cui sarebbe palese la pretestuosità o, quanto meno, la non pertinenza al fine del decidere, in una controversia nella quale la materia del contendere consisterebbe solo nel giudizio d’inidoneità all’esercizio della professione di avvocato espresso dall’organo tecnico nei suoi confronti, <<essendo ragionevole ritenere che - in assenza di indebite operazioni di soccorso - l’assegnazione dei suoi elaborati ad altra sottocommissione non sarebbe stata in grado di garantirgli quel giudizio di sufficienza che il collegio giudicante gli ha negato>>.

Il ricorso, pertanto, veniva respinto e le spese di giudizio venivano integralmente compensate fra le parti in causa.

Con ricorso notificato il 4 novembre 2003 e depositato il 14 novembre successivo il dott. X ha proposto appello avverso tale decisione di rigetto, notificata il 21 luglio 2003, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia sia nella parte in cui non avrebbe rilevato "l’evanescenza" dei criteri di valutazione, affermando che una espressione verbale non sarebbe in grado di offrire all’esaminato maggiori garanzie del "linguaggio numerico", sia nella parte in cui afferma che i criteri adottati dalla Commissione sarebbero stati rigidi.

Precisa l’appellante, che solo nella misura in cui i criteri siano pertinenti ed analitici il voto numerico potrebbe sostituire la motivazione, mentre laddove, come nel caso di specie, tali criteri siano del tutto "epidermici", la motivazione deve sussistere e non deve essere affatto generica o apodittica.

Si è costituito il Ministero della Giustizia, tramite il patrocinio dell’Avvocatura Generale dlelo Stato, insistendo per il rigetto dell’appello.

Con note di udienza depositate prima della camera di consiglio del 13 gennaio 2004 l’appellante ha chiesto il deferimento all’Adunanza Plenaria della questione circa la sufficienza del punteggio numerico per gli elaborati relativi alle prove scritte dell’esame di avvocato, ravvisando un contrasto all’interno delle Sezioni giurisdizionali di questo Consiglio in merito alla soluzione di tale questione di massima.

Con istanza in data 18 novembre 2003 tale deferimento era stato dall’appellante richiesto al Presidente del Consiglio di Stato, ma, con decreto in data 19 novembre 2003, depositato in data 28 novembre 2003, il Presidente ha disposto che tale istanza fosse trasmessa a questa Sezione per le valutazioni del caso.

Alla pubblica udienza del 2 marzo 2004, sentito il difensore dell’appellante, l’appello è stato spedito in decisione.

DIRITTO

Deve, anzitutto, rilevarsi ex officio il giudicato interno con riferimento alla mancata impugnazione del capo o parte di sentenza con cui sono state rigettate le censure di cui al punto b), attinenti all’asserita violazione dell’art. 2 R.D. n.1578/33 e all’eccesso di potere per mancato rispetto del principio che esige che la valutazione venga demandata alla Commissione precostituita per legge, affermandosi che nella specie il modus procedendi della Commissione esaminatrice avrebbe comportato l’effetto di privare il ricorrente del <<suo giudice (rectius, esaminatore) naturale>> (sulla rilevabilità d’ufficio da parte del giudice e anche nel giudizio di Cassazione per la pima volta del giudicato interno, ossia quello formatosi nello stesso processo - su un capo di domanda, su una questione pregiudiziale, ecc. - v. Cass. civ, 11 maggio 1981, n. 3116; id., 26 marzo 1980, n. 2013; id., 29 settembre 1978, n. 4350).

L’appello in questione, infatti, è interamente incentrato sulla doglianza che la Commissione di esame si è limitata ad attribuire un voto numerico alle prove espletate senza alcuna motivazione e pur in presenza di generici criteri di massima.

E, invece, in applicazione dell’istituto dell’acquiescenza di cui all’art.329 c.p.c., l’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate, istituto questo applicabile anche al processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, V Sez., 8 giugno 1994, n.626).

Ciò premesso, l’appello è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

Con recenti decisioni (cfr. Cons. Stato, IV Sez., 27 maggio 2002, n.2926; ma v. pure: id., 29 ottobre 2001, n.5635; id. 12 marzo 2001, n.1366; id. 1 febbraio 2001, n.367), rese in controversie del tutto analoghe a quella oggetto del presente giudizio, la Sezione ha ribadito che nei concorsi ed esami pubblici non è necessario un sia pur sintetico giudizio di merito, ma è sufficiente, in ordine alla motivazione della valutazione, il semplice punteggio numerico, configurandosi quest’ultimo come formula sintetica ma eloquente di esternazione il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove scritte o orali di un concorso pubblico o di un esame di abilitazione esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, così come del resto già affermato da un consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale anche successivamente all’entrata in vigore della L. n. 241 del 1990 (ex multis, cfr. Cons. Stato, V Sez., 13 febbraio 1998, n.163; Cons. Stato, IV Sez., 4 aprile 1998, n. 543; Cons. Stato, V Sez., 25 settembre 2000, n. 5073).

E’ stato precisato, infatti, che la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità dell’attività amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza sulle valutazioni di merito compiute dalla commissione e sul potere amministrativo da quest’ultima espletato (Cons. Stato, V Sez., 8 aprile 1999, n. 391).

Non può non rilevarsi, inoltre, che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 466 del 3 novembre 2000, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 in relazione agli artt.3, 24, 97 e 113 della Costituzione, proprio con riferimento al sollevato dubbio circa l’obbligo della valutazione delle prove in modo diverso dall’attribuzione del punteggio numerico.

Né, a ben vedere, quanto alla ritenuta mancanza di motivazione, vale invocare – al fine di affermare un asserito revirement in materia da parte del Consiglio di Stato e di ottenere il chiesto deferimento della questione all’Adunanza Plenaria – la recente sentenza della VI Sezione n. 2331 del 30 aprile 2003, emessa in materia di concorso pubblico e non di esame di abilitazione alla professione forense.

La predetta decisione, dopo aver richiamato, da un lato, l’orientamento seguito da alcuni giudici amministrativi di primo grado – secondo i quali è necessaria una apposita motivazione per la valutazione negativa delle prove di concorso – e, dall’altro, l’orientamento prevalentemente seguito dai giudici amministrativi di seconda istanza – in forza del quale l’onere di motivazione nella materia de qua è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico – ha ritenuto di aderire all’orientamento intermedio secondo il quale, per valutare l’idoneità del punteggio numerico a soddisfare il requisito della motivazione, occorre aver riguardo "alla tipologia dei criteri di massima fissati dalla commissione, risultando suffciente il punteggio soltanto ove i criteri siano predeterminati rigidamente e insufficiente nel caso in cui si risolvano in espressioni generiche".

In proposito, va sottolineato, infatti, che, per gli esami di abilitazione alla professione di avvocato, nessuna norma impone alla Commissione di predeterminare i criteri di massima per la valutazione degli elaborati e, quindi, a maggior ragione, nessuna disposizione di legge prevede che, qualora la Commissione si determini autonomamente a fissare detti criteri, come accaduto nel caso di specie, gli stessi debbano essere specifici e dettagliati.

L’art. 12 L. n. 487/94 – in base al quale <<Le Commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove>> - è, infatti, inapplicabile al caso in esame, riferendosi esclusivamente all’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e alle modalità di svolgimento dei concorsi e non anche agli esami di abilitazione professionale, che soggiacciono, com’è evidente, a diversi criteri selettivi, non presupponendo una valutazione comparativa tra i candidati in relazione al ristretto numero di posti messo a concorso.

La richiamata decisione di questo Consiglio di Stato n. 2331/03, infatti, afferma di aderire all’orientamento "intermedio" <<anche in considerazione della peculiarità della procedura selettiva cui si riferisce la presente vicenda processuale, connotata dalla evidente necessità di far luogo al raffronto tra le posizioni dei diversi candidati cui va, quindi, assicurata, quanto meno in forma sintetica, l’esternazione delle ragioni sottese alle valutazioni della Commissione>>.

Nessun raffronto presuppone, invece, l’idoneità all’esame di avvocato che, in quanto esame di abilitazione, prescinde dall’esigenza di dover selezionare i migliori candidati in relazione al numero limitato di posti messi a concorso.

L’espressione del giudizio con la semplice attribuzione del voto è da ritenere, pertanto, ampiamente sufficiente nel caso di specie, considerando che non si è in presenza di una scelta comparativa ma di un semplice esame di idoneità professionale.

Il consolidato orientamento di questo Consiglio in ordine alla sufficienza del voto numerico, rispetto al quale la richiamata pronuncia assume finora carattere isolato, si fonda, del resto, in primo luogo, sulla necessità che il sindacato del giudice amministrativo sull’operato tecnico-discrezionale dell’amministrazione si svolga ab externo e non ab interno, sovrapponendo la propria valutazione a quella espressa dalla commissione; in secondo luogo, sulla considerazione che, qualora i concorsi o gli esami non dovessero vertere su materie giuridiche, il giudice amministrativo difetterebbe della competenza tecnica necessaria per poter apprezzare la congruenza della valutazione analitica effettuata dall’organo tecnico.

A conforto dell’inidoneità della citata pronuncia a scalfire il consolidato orientamento contrario di questo Consiglio, sempre confermato, anche successivamente, in sede cautelare (v. per tutte IV Sez., ord. n. 3721 del 28 agosto 2003), basti citare le più recenti decisioni di questa Sezione n. 1162 dell’1 marzo 2003 e n. 4084 dell’8 luglio 2003, emesse in forma semplificata, secondo cui il giudizio espresso con l’attribuzione di un punteggio numerico non necessita di altra motivazione, trattandosi di una forma sintetica, ma eloquente, che esterna in pieno la valutazione compiuta dalla commissione di esame.

E’ stato, infatti, ancora una volta chiarito che l’art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990 [1] collega la sufficienza della motivazione alle risultanze dell’istruttoria e, quindi, fa riferimento all’attività amministrativa più propriamente provvedimentale che non all’attività di giudizio conseguente a valutazione qual è, appunto, quella relativa all’attribuzione di un punteggio sulla preparazione culturale o tecnica del candidato ed è stato, quindi, ribadito, anche in sede di merito, il costante orientamento della Sezione secondo cui la valutazione tecnica compiuta dalla Commissione è sufficientemente esternata con l’attribuzione di un punteggio alfanumerico essendo "priva di valenza schiettamente provvedimentale", senza che sia necessario che la Commissione lasci segni grafici o glosse di commento a margine dell’elaborato corretto di ogni candidato.

Non si può, pertanto, contrariamente all’avviso dell’appellante, ravvisare un vizio, sotto il profilo del difetto di motivazione, nella circostanza che sugli elaborati non siano apposti "segni di correzione".

Segni del genere vengono solitamente apposti nelle scuole, ed hanno una evidente funzione didattica. In un concorso o in un esame di abilitazione, invece, la commissione ha solo la funzione di esprimere un giudizio, non di aiutare il candidato (che non è un suo allievo) ad apprendere come emendarsi per il futuro.

D’altronde, come sottolineato efficacemente dalla decisione n. 1323/95 di questo Consiglio, i principi così enunciati "denotano lo sforzo della giurisprudenza di far coesistere esigenze di effettività della tutela individuale con le necessità pratiche di speditezza ed economicità dell’azione amministrativa, in un quadro ove occorre costantemente bilanciare l’immanenza di interessi generali e la concorrente espansibilità dei costi determinati dalla tutela individuale".

Quanto alle asserzioni dell’appellante secondo cui nella specie i compiti sarebbero ben argomentati, privi di errori e motivati nelle conclusioni con richiamo di pertinente giurisprudenza, non sfugge al Collegio che doglianze del genere, piuttosto che denunziare la presenza, nell’operato della Commissione, di puntuali profili di illogicità manifesta o di travisamento, mirano allo scopo sostanziale di ottenere dal giudice una valutazione praticamente diretta della bontà dei temi, con l’evidente quanto inammissibile effetto di promuovere una sostituzione dell’autorità giurisdizionale all’organo amministrativo appositamente competente.

Secondo l’orientamento ormai consolidato delle giurisprudenza amministrativa, infatti, il giudizio tecnico-discrezionale di una commissione esaminatrice circa la valutazione dei candidati costituisce espressione di un giudizio di puro merito e come tale non sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti macroscoicamente viziato – ictu oculi – da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento di fatto (cfr. Cons. Stato, IV Sez., n. 1157/01; Cons. Stato, V Sez., 13 febbraio 1999, n. 163), ipotesi queste non sussistenti nel caso di specie.

Il giudice adito, quindi, non può essere chiamato a valutare in modo diretto la bontà delle prove di esame.

In ordine all’asserita genericità dei criteri per la correzione delle prove di esame, nel ribadire che, per gli esami di abilitazione alla professione di avvocato, nessuna norma impone alla Commissione di predeterminare i criteri di massima per la valutazione degli elaborati, non può non evidenziarsi che, come affermato dalla giurisprudenza, in sede di giudizio di legittimità non sono sindacabili i criteri stabiliti dall’amministrazione ai fini dell’attribuzione dei punteggi in un concorso o in un esame e certamente non lo sono sotto il profilo della specificità o concretezza, dovendosi riconoscere alla Commissione un ampio ambito di discrezionalità (cfr. Cons. Stato, VI Sez., 8 febbraio 2000, n. 679), salvo il caso di manifesta illogicità ed irrazionalità (cfr. Cons. Stato, IV Sez., 30 ottobre 2001, n. 5862; id., 1 febbraio 2001, n. 367; VI Sez., 3 aprile 2001, n. 1959; id., 3 aprile 2001, n. 1985; id., 11 luglio 2000, n. 3885), non ricorrenti nel caso in esame.

L’appello in esame deve, pertanto, essere respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 marzo 2004, con l'intervento dei signori:

Gaetano TROTTA - Presidente

Livia BARBERIO CORSETTI - Consigliere

Aldo SCOLA - Consigliere

Carlo DEODATO - Consigliere

Nicola RUSSO - Consigliere rel. est.

L’estensore IL Presidente

Nicola Russo Gaetano Trotta

Il Segretario

Maria Cecilia Vitolla

 

Depositata in Segreteria il 7 maggio 2004