Destituzione illegittima per inosservanza termine audizione come da R.O.P.
(Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza 30 agosto 2004 n° 5631)

L'inosservanza del termine di 20 giorni previsto dal Regolamento Organico del Personale annulla il provvedimento di destituzione dal servizio così come l'inosservanza del principio contenuto nell’art. 115 del d.P.R. n. 3 del 1957 (unitarietà del procedimento). (Ludovico Adalberto De Grigiis)
 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE

Sezione Quintaui

 

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

(Sentenza 5631/2004)

sul ricorso n. 8168 del 1996, proposto dal sig. S.G., rappresentato e difeso dall’avv. E.P., elettivamente domiciliato presso  l’avv. S.I. in Roma

contro

il Comune di B., rappresentato e difeso dall’avv. G.V. ed  elettivamente domiciliato presso l’avv. S.F.   in Roma

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sez. V, 24 maggio 1996 n. 287, resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di B.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 21 maggio 2004 il consigliere Marzio Branca,  e udito l’avv. De Tommasi in sostituzione dell’avv. Procaccini

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dal sig. S.G. contro il provvedimento con il quale la Giunta Municipale di B. ha disposto nei suoi confronti la sanzione disciplinare della destituzione, nonché contro tutti gli atti del procedimento disciplinare.

Avverso la sentenza il sig. S. ha proposto appello, assumendone l’erroneità e chiedendone la riforma.

Il Comune di B. si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

Alla pubblica udienza del 21 maggio 2004 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Comune di B. ha proceduto in via disciplinare contro il dipendente S.G. contestandogli di aver esibito all’Amministrazione certificati falsi di conseguita laurea in ingegneria civile e di superamento del relativo esame di Stato.

A conclusione della procedura al dipendente è stata inflitta la sanzione della destituzione dall’impiego, assumendo che dai fatti addebitati dovesse desumersi mancanza di senso dell’onore per comportamenti in grave contrasto con i doveri di fedeltà dell’impiegato e con abuso di fiducia nei confronti dell’Amministrazione.

Il provvedimento è stato impugnato dinanzi la giudice amministrativo di primo grado che ha respinto il ricorso giudicando infondate le censure proposte.

Con il ricorso in appello l’interessato ripropone le censure già avanzate e contesta le conclusioni dei primi giudici.

In particolare si denuncia che l’Amministrazione non abbia rispettato il termine di 20 giorni entro il quale, a norma dell’art. 126 del Regolamento organico del Personale, come modificato dalla deliberazione del Commissario prefettizio 22 settembre 1993, deve essere data comunicazione all’incolpato della data fissata per la trattazione orale dell’addebito contestatogli.

Si espone che la Commissione di disciplina, riunitasi una prima volta il 13 gennaio 1995, aveva rinviato la trattazione a data da destinarsi, per conoscere gli esiti della denuncia presentata all’Autorità giudiziaria in relazione alla allegazione di false certificazioni. La data della nuova seduta, fissata per il 10 marzo 1995, era stata comunicata all’interessato solo il 1° marzo dello stesso mese.

I primi giudici hanno ritenuto infondata la censura osservando che, poiché il termine era stato osservato in occasione della prima riunione della Commissione offrendo così all’incolpato il tempo regolamentare per elaborare le proprie difese, lo stesso termine non avrebbe dovuto essere rispettato per le riunioni successive.

La conclusione non può essere condivisa.

L’art. 126 infatti stabilisce che l’incolpato potrà intervenire, anche con l’assistenza di un rappresentante sindacale o legale, alla riunione della Commissione nella quale l’accusa verrà trattata, per svolgere  oralmente le proprie difese, che è facoltà distinta da quella di produrre scritti o memorie difensive.  Ne consegue che il preavviso di 20 giorni essendo destinato a salvaguardare anche la possibilità dell’incolpato di intervenire alla riunione e di ottenere la disponibilità del soggetto dal quale intende farsi assistere, non può essere omesso ove l’interessato abbia già potuto disporre del tempo necessario per presentare degli scritti difensivi.

Ed è pacifico che, nella specie, l’incolpato non fu ascoltato nella riunione del 13 gennaio 1995 e    che avrebbe potuto presentarsi alla riunione del 10 marzo successivo. Anche la comunicazione per tale riunione quindi   doveva essere effettuata nel rispetto del termine prescritto, esulando dalle attribuzioni   del giudice la potestà di valutare discrezionalmente la “sufficienza” del termine, inferiore di 10 giorni, scelto arbitrariamente  dall’Amministrazione.                 

La rilevata inosservanza di una norma di procedura stabilita a garanzia del diritto di difesa è causa di illegittimità della sanzione applicata,   e sarebbe pertanto sufficiente all’accoglimento dell’appello.

Deve tuttavia affermarsi  la fondatezza anche della censura concernente la modificazione della composizione della Commissione di disciplina.

Emerge dai verbali delle due riunioni che la trattazione orale, svoltasi nella prima seduta sotto la presidenza del sindaco e con il rappresentante del personale titolare, nella seconda riunione ha proseguito i lavori con la presidenza del vice sindaco e con un diverso soggetto in rappresentanza del personale. L’appellante ha denunciato quindi la violazione dell’art. 115 del d.P.R. n. 3 del 1957, che sancisce il principio della unitarietà del procedimento.

Il TAR non ha ravvisato la fondatezza della censura in base all’osservazione che nella prima seduta la Commissione non aveva svolto alcuna attività “di tipo decisionale” e che quindi non ricorreva il presupposto da cui discende il divieto di modificare la composizione del collegio.

La tesi non è convincente.

Il principio stabilito dall’art. 115 del d.P.R. n. 3 del 1957 riguarda l’intera fase della trattazione orale e non soltanto il momento in cui la Commissione assume la decisione. La decisione conclusiva infatti costituisce il prodotto dell’esame degli atti e delle tesi prospettate nelle difese orali dell’incolpato e degli interventi dei commissari, ossia dell’insieme dei contributi da cui scaturisce un determinato convincimento. E’ in funzione  di tale formazione progressiva della decisione che la composizione del collegio non deve mutare.

Tanto premesso, si osserva che nella sua prima seduta la Commissione disciplinare non si è limitata a decidere il rinvio della trattazione ad altra data, ma – secondo quanto risulta testualmente dal verbale - ha iniziato la trattazione esaminando gli atti del procedimento disciplinare, prendendo atto delle memorie difensive prodotte dall’incolpato e decidendo all’unanimità di assumere le opportune iniziative ai fini della verifica dei presupposti di cui all’art. 129 del vigente regolamento organico.

Appare dunque non contestabile che la Commissione sia entrata fin dal principio nel merito dei proprio compito prendendo conoscenza dell’accusa e delle difese, presente l’incolpato e il suo assistente, senza evidentemente esaurire la trattazione dell’affare. Si versava quindi nella situazione disciplinata dall’art. 115 del d.P.R. n. 3 del 1957, dal quale deriva l’obbligo di proseguire l’esame dell’accusa da parte dell’organo nella stessa composizione con la quale la trattazione si è iniziata. L’art. 115 citato, al comma 3, impone esplicitamente la rinnovazione della trattazione in caso di impedimento di uno o più membri della commissione a proseguire nello svolgimento della funzione.

La censura è dunque fondata.

In conclusione l’appello merita accoglimento, ma le  spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,    accoglie l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso di primo grado;

dispone la compensazione delle spese;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella  camera di consiglio del 21 maggio 2004 con l'intervento dei magistrati:

Emidio Frascione                           Presidente

Corrado Allegretta                         Consigliere

Aldo Fera                                     Consigliere

Marzio Branca                              Consigliere est.

Aniello Cerreto                              Consigliere

 

 

L'ESTENSORE                             IL PRESIDENTE

F.to Marzio Branca                      F.to Emidio Frascione

IL SEGRETARIO

F.to Agatina Maria Vilardo

Depositata in segreteria il 30/8/2004