N.5634/04 REG.DEC.
N. 9846 REG.RIC.
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n. 9846 del 1996 proposto da COMUNE DI NAPOLI, in
persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Tarallo
ed Edoardo Barone dell’Avvocatura Municipale, con domicilio eletto in Roma, al
Lungotevere Michelangelo n. 9 (studio legale Grez);
contro L.G., rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi Napoletano, Leopoldo Di
Bonito e Carlo Sarro, con domicilio eletto in Roma, al viale Angelico n. 38;
per l'annullamento della sentenza n.435 in data 9.7.1996-14.9.1996, pronunciata
tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione V;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il cons. Gabriele Carlotti;
Udito alla pubblica udienza del 30 aprile 2004 l’avv. Tarallo per l’ente civico
appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Il Comune di Napoli impugna la sentenza con la quale il T.a.r. per la
Campania ha accolto il ricorso, proposto dal L., avverso la deliberazione della
Giunta Municipale dichiarativa della decadenza del ricorrente dall’impiego, ai
sensi dell’art. 127 lett. c) del T.U. imp. civ. st. n. 3/1957.
1.1. Con i motivi di appello, non specificatamente rubricati, si critica la
decisione gravata, censurandone il preteso malgoverno dei principi in materia di
legittimo affidamento del destinatario di un provvedimento sfavorevole e
denunciandone altresì l’erroneità per non aver ritenuto ingiustificata l’assenza
dal servizio del L..
1.2. Si è costituito l’appellato, instando per l’integrale reiezione
dell’impugnazione.
1.3. All’udienza del 30 aprile 2004 parti e causa sono state assegnate in
decisione.
2. Per una corretta disamina delle questioni sottoposte allo scrutinio del
Collegio è preliminarmente necessario dar succinto conto della vicenda fattuale
dedotta in contenzioso.
2.1. Con istanza del 17.12.1991 l’odierno appellato, all’epoca dei fatti
procuratore legale in servizio presso l’Avvocatura comunale napoletana, chiese
di poter godere, adducendo motivi familiari e personali, di un periodo di
aspettativa non retribuita della durata di sei mesi.
2.2. La suddetta richiesta venne accolta, giusta fonogramma a firma del
Direttore del Personale in data 18.12.1991.
In particolare, nella nota in argomento, si dava atto dell’intervenuta
concessione del periodo di aspettativa, pur aggiungendosi che la deliberazione
della Giunta Municipale, indicata come «in corso di adozione», sarebbe stata
successivamente comunicata non appena perfezionatosi il relativo iter
procedimentale.
2.3. Riposando sul contenuto di tale assenso il L. fruiva materialmente
dell’aspettativa e, con successiva domanda del 29.6.1992, ne chiedeva la proroga
(prima della scadenza) per un ulteriore semestre, decorrente dal 1° luglio 1992
al 31 dicembre dello stesso anno.
2.4. Anche questa seconda istanza era positivamente riscontrata dal Direttore
del Personale con una nota (del 7.7.1992) dal tenore pressoché identico a quello
della precedente.
2.5. Circa due mesi dopo la Giunta Municipale, chiamata a pronunciarsi
formalmente sulla prima richiesta dell’interessato, stabiliva di accoglierla
subordinatamente all’acquisizione di una dichiarazione sostitutiva di atto
notorio, a firma del L., in ordine alla mancata prestazione, durante il periodo
di assenza, di altra attività lavorativa remunerata.
2.6. La prefata deliberazione non veniva tuttavia celermente comunicata
(l’appellato ne avrà legale scienza soltanto in data 19.2.1993); al domicilio
del L. perveniva invece la susseguente delibera giuntale, relativa alla seconda
istanza di aspettativa, contenente analogo invito a rendere la dichiarazione
sostitutiva in parola.
2.7. L’appellato, in luogo di depositare il documento richiesto, rinunciava
all’ulteriore fruizione del restante periodo di aspettativa e comunicava la sua
intenzione di riprendere il servizio a partire dal 14.10.1992.
2.8. Il L. effettivamente si presentava per riprendere la propria attività
lavorativa, ma gli era impedito di proseguire il servizio.
2.9. Da ultimo, in data 23.6.1994, il Comune deliberava, con il provvedimento
annullato dal T.a.r., la decadenza dell’appellato dall’impiego.
3. Alla stregua delle riferite circostanze, possono spiegarsi le ragioni
giuridiche della ritenuta infondatezza dell’appello comunale.
3.1. Occorre muovere dalla considerazione il L. è stato dichiarato decaduto dal
servizio per essere rimasto ingiustificatamente assente per un periodo superiore
a quindici giorni.
3.2. Peculiari (e, come si vedrà, erronee) sono le modalità di computo del
termine in questione.
Si legge infatti nella motivazione della delibera impugnata in primo grado che
la “prova” dell’assenza ingiustificata è stata individuata dal Comune appellante
nella circostanza che il L. «non si è premurato di ottemperare all’obbligo
impostogli di produrre l’atto di notorietà e la dichiarazione sostitutiva ex
art. 4 legge 4.1.1968 n. 15 entro il termine…» (così il “Considerato” della
parte motiva).
3.3. Un tale divisare presta il fianco ai molteplici rilievi correttamente
individuati dal Tribunale.
3.4. In primo luogo l’assenza ingiustificata del L. non si è protratta oltre il
quindicesimo giorno. Deve infatti puntualizzarsi che l’appellato ebbe, per la
prima volta, formale conoscenza della necessità di produrre la dichiarazione dal
contenuto sopra specificato soltanto in data 7 ottobre 1992.
In seguito il L., pur non ottemperando all’onere di rendere la dichiarazione in
questione, comunicò il successivo 14 ottobre 1992 all’amministrazione di
appartenenza, la sua intenzione di rinunciare alla fruizione dell’ulteriore
periodo di aspettativa e di riprendere immediatamente il servizio.
3.5. A tutto concedere dunque i giorni di effettiva assenza ingiustificata dal
servizio del L. ammontano a non più di sei (dal 7.10.1992 al 13.10.1992) e,
quindi, la delibera giuntale di decadenza risulta manifestamente adottata in
assenza dello specifico presupposto che avrebbe dovuto legittimare la misura.
3.6. L’ente civico appellante ha potuto sostenere il contrario seguendo un
ragionamento, non scevro di gravi vizi logici, ma soprattutto platealmente
errato sotto il profilo giuridico.
3.7. Opina infatti il Comune, ribadendo il suo pensiero in appello, che il
T.a.r. avrebbe dovuto stimare ingiustificata l’assenza del L. fin dal 1°.1.1992
(data di decorrenza del provvedimento di decadenza, coincidente con l’inizio del
primo periodo semestrale di aspettativa); si aggiunge inoltre che la
dimostrazione di tale indebito allontanamento dal servizio risulterebbe proprio
dalla circostanza dell’omessa dichiarazione configurata dal Comune quale
condicio sine qua non dell’accoglimento della domanda.
4. Va subito sgombrato il campo da questo secondo argomento. In effetti, la
decisione del L. di non rendere la dichiarazione sostitutiva richiesta dal
Comune avrebbe potuto rilevare, al più, come indizio (peraltro di dubbio valore
giuridico, in ragione del principio garantistico racchiuso nel brocardo nemo se
detegere tenetur) di una probabile violazione disciplinare ascrivibile alla
condotta dell’appellante durante il periodo di aspettativa (ed ipoteticamente
consistita nello svolgimento di attività lavorativa presso terzi, in violazione
del dovere di esclusività e di fedeltà in favore dell’ente di appartenenza).
La medesima circostanza appariva, di contro, del tutto inconferente ai fini del
computo del termine ultraquindicinale di cui alla lett. c) dell’art. 127, 1° co.,
T.U. n. 3/1957.
5. Invero il grave errore logico nel quale è incorsa l’amministrazione
appellante risiede nell’aver attribuito retroattiva efficacia invalidante al
mancato adempimento di un onere (la dichiarazione succitata, appunto) mai
prospettato al L. all’epoca in cui questi ebbe a richiedere il primo semestre di
aspettativa né in occasione della presentazione della seconda domanda di
proroga. Così argomentando, il Comune di Napoli ha illogicamente condotto il
giudizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella normativa (siccome
descritta dall’art. 127 T.U. cit.), annettendo arbitrariamente valenza
preclusiva ad un elemento negativo non menzionato dalla riferita disposizione e,
per di più, individuato soltanto ex post, ossia in un’epoca in cui il dipendente
aveva già goduto integralmente del primo periodo di aspettativa.
5.1. L’amministrazione comunale napoletana ha inoltre mostrato di obliterare
altri fattori indubbiamente favorevoli al L..
A ben vedere, infatti, l’ente civico ha tenuto in non cale sia il notevole
ritardo (oltre otto mesi) con la quale la Giunta, in spregio del fondamentale
canone di buon andamento, ebbe a pronunciarsi formalmente sulle istanze di
aspettativa presentate dall’appellato, sia l’esistenza di ben due atti del
Direttore del Personale che, quantunque dotati di efficacia interinale (poiché
destinata a cessare con la successiva pronuncia definitiva dell’organo di
governo comunale), possedevano l’indiscutibile valenza di titolo autorizzativo
provvisorio all’allontanamento dal servizio del L..
Le due circostanze, stimate tamquam non essent dal Comune di Napoli, avrebbero
dovuto piuttosto indurre l’Amministrazione a considerare, come pienamente
giustificato, l’invocato affidamento riposto dal L. circa la correttezza del
proprio comportamento.
5.2. Anche l’argomento per absurdum contribuisce ad invalidare le tesi comunali:
invero, qualora gli argomenti dell’amministrazione fossero seguiti fino alle
loro estreme conseguenze logiche, si dovrebbe giocoforza pervenire alla
conclusione che il L., pur trovandosi alla data del 1°.1.1992 nell’urgente
necessità di assentarsi dal lavoro (allegazione mai incontestata), giammai
avrebbe potuto intravedere nelle due comunicazioni dell’espresso accoglimento
delle istanze (provenienti, si noti bene, dall’organo istituzionalmente deputato
alla gestione del personale, ossia il Direttore dell’omologo servizio), un
titolo valido e sufficiente a giustificare la propria assenza dal lavoro; di
contro, sempre secondo l’implicito divisare del Comune, il L. per avere la
certezza di non incorrere nella sanzione espulsiva della decadenza dal servizio,
avrebbe dovuto comunque attendere la successiva adozione – nella specie,
intervenuta ben oltre lo spirare del primo termine di aspettativa – del formale
provvedimento autorizzativo della Giunta.
5.3. L’irragionevolezza delle riferite implicazioni è autoevidente e, come tale,
non richiede particolari commenti: manifestamente l’argomentare comunale si
risolverebbe infatti nella pratica soppressione dell’istituto laburistico
dell’aspettativa posto che nessun dipendente – di fronte all’ipotesi di una
libera determinazione ex post da parte della P.A. delle condizioni cui
subordinare retroattivamente l’accoglimento delle relative istanze – potrebbe
permettersi di affrontare il rischio di una tardiva reiezione e, quindi, della
conseguente perdita del posto di lavoro in forza dell’art. 127 sopra menzionato.
5.4. In realtà, l’assenza del pubblico impiegato dal servizio va riconosciuta
come pienamente giustificata ogniqualvolta l’allontanamento del dipendente trovi
un qualificato presupposto autorizzativo nell’intervenuto accoglimento in via
provvisoria di un’istanza di aspettativa, non potendo rilevare in contrario la
circostanza della sopravvenuta reiezione della domanda da parte dell’organo
deputato all’adozione del formale provvedimento conclusivo del procedimento,
posto che tale diniego, unicamente proiettato nel futuro, non vale trasformare
in una condotta contra jus il periodo di assenza precedentemente fruito.
6. Un’ulteriore illegittimità della deliberazione gravata dal L. in prime cure
risiede poi, siccome condivisibilmente ritenuto dal T.a.r. Campania, nell’omessa
comunicazione al ricorrente di una previa diffida a riprendere il servizio.
6.1. Invero, sebbene la decadenza dall’impiego per assenza dal servizio di
durata superiore a quindici giorni a norma dell’art. 127, lett. c), T.U. n.
3/1957, costituisca di regola un effetto automatico ex lege dell’ingiustificato
allontanamento (ragionevolmente individuato) del pubblico impiegato, nondimeno
l’onere di una preventiva diffida del lavoratore pubblico a ritornare in
servizio incombe sull’amministrazione di appartenenza ogniqualvolta, alla luce
di tutte le circostanze del caso concreto, possa dubitarsi dell’effettiva
volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro (Cons. St., sez. V,
3.6.2002, n. 3077; sez. V, 21.7.1999, n. 867; sez. VI, 2.7.1999, n. 894); in
tale situazione – ricorrente anche nella fattispecie (v. la comunicazione del L.
in data 14.10.1992 dalla quale eloquentemente traspariva l’intenzione di far
rientro in servizio) - grava sulla P.A. il dovere di attivare tutte le
iniziative dirette a rimuovere la riferita situazione di incertezza (Cons. St.,
sez. V, 13.10.1994, n. 1158).
7. Alla reiezione dell’appello, segue la compensazione delle spese del giudizio
di secondo grado, ravvisandosi in tal senso giustificati motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,
respinge l’appello in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, nella camera di consiglio del 30 aprile 2004 con l'intervento dei
Signori:
Emidio Frascione - Presidente
Raffaele Carboni - Consigliere
Paolo Buonvino - Consigliere
Cesare Lamberti - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere rel. est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Gabriele Carlotti f.to Emidio Frascione
IL SEGRETARIO
f.to Francesco Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 30 AGOSTO 2004
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
p. IL DIRIGENTE
f.to Livia Patroni Giffi
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con la decisione n. 5634 del 30 agosto 2004, ricordando che, sebbene la decadenza dall’impiego per assenza dal servizio di durata superiore a quindici giorni a norma dell’art. 127, lett. c), T.U. n. 3/1957, costituisca di regola un effetto automatico ex lege, nondimeno l’onere di una preventiva diffida del lavoratore pubblico a ritornare in servizio incombe sull’amministrazione di appartenenza ogniqualvolta, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, possa dubitarsi dell’effettiva volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro.
Nel caso di specie è stato dimostrato che il dipendente intendeva far rientro in servizio e perciò gravava sulla P.A. il dovere di attivare tutte le iniziative dirette a rimuovere la riferita situazione di incertezza.