Aspettativa accolta in via provvisoria: dipendente pubblico è assente giustificato
( Consiglio di Stato , decisione 30.08.2004 n° 5634 )



 

L’assenza del pubblico impiegato dal servizio va riconosciuta come pienamente giustificata ogniqualvolta l’allontanamento del dipendente trovi un qualificato presupposto autorizzativo nell’intervenuto accoglimento in via provvisoria di un’istanza di aspettativa, non potendo rilevare in contrario la circostanza della sopravvenuta reiezione della domanda da parte dell’organo deputato all’adozione del formale provvedimento conclusivo del procedimento, posto che tale diniego, unicamente proiettato nel futuro, non vale trasformare in una condotta contra jus il periodo di assenza precedentemente fruito.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con la decisione n. 5634 del 30 agosto 2004, ricordando che, sebbene la decadenza dall’impiego per assenza dal servizio di durata superiore a quindici giorni a norma dell’art. 127, lett. c), T.U. n. 3/1957, costituisca di regola un effetto automatico ex lege, nondimeno l’onere di una preventiva diffida del lavoratore pubblico a ritornare in servizio incombe sull’amministrazione di appartenenza ogniqualvolta, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, possa dubitarsi dell’effettiva volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro.

Nel caso di specie è stato dimostrato che il dipendente intendeva far rientro in servizio e perciò gravava sulla P.A. il dovere di attivare tutte le iniziative dirette a rimuovere la riferita situazione di incertezza.

 



 

 

 

N.5634/04 REG.DEC.
N. 9846 REG.RIC.
ANNO 1996

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione

ha pronunciato la seguente

decisione

sul ricorso in appello n. 9846 del 1996 proposto da COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Tarallo ed Edoardo Barone dell’Avvocatura Municipale, con domicilio eletto in Roma, al Lungotevere Michelangelo n. 9 (studio legale Grez);

contro L.G., rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi Napoletano, Leopoldo Di Bonito e Carlo Sarro, con domicilio eletto in Roma, al viale Angelico n. 38;

per l'annullamento della sentenza n.435 in data 9.7.1996-14.9.1996, pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione V;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il cons. Gabriele Carlotti;

Udito alla pubblica udienza del 30 aprile 2004 l’avv. Tarallo per l’ente civico appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Il Comune di Napoli impugna la sentenza con la quale il T.a.r. per la Campania ha accolto il ricorso, proposto dal L., avverso la deliberazione della Giunta Municipale dichiarativa della decadenza del ricorrente dall’impiego, ai sensi dell’art. 127 lett. c) del T.U. imp. civ. st. n. 3/1957.

1.1. Con i motivi di appello, non specificatamente rubricati, si critica la decisione gravata, censurandone il preteso malgoverno dei principi in materia di legittimo affidamento del destinatario di un provvedimento sfavorevole e denunciandone altresì l’erroneità per non aver ritenuto ingiustificata l’assenza dal servizio del L..

1.2. Si è costituito l’appellato, instando per l’integrale reiezione dell’impugnazione.

1.3. All’udienza del 30 aprile 2004 parti e causa sono state assegnate in decisione.

2. Per una corretta disamina delle questioni sottoposte allo scrutinio del Collegio è preliminarmente necessario dar succinto conto della vicenda fattuale dedotta in contenzioso.

2.1. Con istanza del 17.12.1991 l’odierno appellato, all’epoca dei fatti procuratore legale in servizio presso l’Avvocatura comunale napoletana, chiese di poter godere, adducendo motivi familiari e personali, di un periodo di aspettativa non retribuita della durata di sei mesi.

2.2. La suddetta richiesta venne accolta, giusta fonogramma a firma del Direttore del Personale in data 18.12.1991.

In particolare, nella nota in argomento, si dava atto dell’intervenuta concessione del periodo di aspettativa, pur aggiungendosi che la deliberazione della Giunta Municipale, indicata come «in corso di adozione», sarebbe stata successivamente comunicata non appena perfezionatosi il relativo iter procedimentale.

2.3. Riposando sul contenuto di tale assenso il L. fruiva materialmente dell’aspettativa e, con successiva domanda del 29.6.1992, ne chiedeva la proroga (prima della scadenza) per un ulteriore semestre, decorrente dal 1° luglio 1992 al 31 dicembre dello stesso anno.

2.4. Anche questa seconda istanza era positivamente riscontrata dal Direttore del Personale con una nota (del 7.7.1992) dal tenore pressoché identico a quello della precedente.

2.5. Circa due mesi dopo la Giunta Municipale, chiamata a pronunciarsi formalmente sulla prima richiesta dell’interessato, stabiliva di accoglierla subordinatamente all’acquisizione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, a firma del L., in ordine alla mancata prestazione, durante il periodo di assenza, di altra attività lavorativa remunerata.

2.6. La prefata deliberazione non veniva tuttavia celermente comunicata (l’appellato ne avrà legale scienza soltanto in data 19.2.1993); al domicilio del L. perveniva invece la susseguente delibera giuntale, relativa alla seconda istanza di aspettativa, contenente analogo invito a rendere la dichiarazione sostitutiva in parola.

2.7. L’appellato, in luogo di depositare il documento richiesto, rinunciava all’ulteriore fruizione del restante periodo di aspettativa e comunicava la sua intenzione di riprendere il servizio a partire dal 14.10.1992.

2.8. Il L. effettivamente si presentava per riprendere la propria attività lavorativa, ma gli era impedito di proseguire il servizio.

2.9. Da ultimo, in data 23.6.1994, il Comune deliberava, con il provvedimento annullato dal T.a.r., la decadenza dell’appellato dall’impiego.

3. Alla stregua delle riferite circostanze, possono spiegarsi le ragioni giuridiche della ritenuta infondatezza dell’appello comunale.

3.1. Occorre muovere dalla considerazione il L. è stato dichiarato decaduto dal servizio per essere rimasto ingiustificatamente assente per un periodo superiore a quindici giorni.

3.2. Peculiari (e, come si vedrà, erronee) sono le modalità di computo del termine in questione.

Si legge infatti nella motivazione della delibera impugnata in primo grado che la “prova” dell’assenza ingiustificata è stata individuata dal Comune appellante nella circostanza che il L. «non si è premurato di ottemperare all’obbligo impostogli di produrre l’atto di notorietà e la dichiarazione sostitutiva ex art. 4 legge 4.1.1968 n. 15 entro il termine…» (così il “Considerato” della parte motiva).

3.3. Un tale divisare presta il fianco ai molteplici rilievi correttamente individuati dal Tribunale.

3.4. In primo luogo l’assenza ingiustificata del L. non si è protratta oltre il quindicesimo giorno. Deve infatti puntualizzarsi che l’appellato ebbe, per la prima volta, formale conoscenza della necessità di produrre la dichiarazione dal contenuto sopra specificato soltanto in data 7 ottobre 1992.

In seguito il L., pur non ottemperando all’onere di rendere la dichiarazione in questione, comunicò il successivo 14 ottobre 1992 all’amministrazione di appartenenza, la sua intenzione di rinunciare alla fruizione dell’ulteriore periodo di aspettativa e di riprendere immediatamente il servizio.

3.5. A tutto concedere dunque i giorni di effettiva assenza ingiustificata dal servizio del L. ammontano a non più di sei (dal 7.10.1992 al 13.10.1992) e, quindi, la delibera giuntale di decadenza risulta manifestamente adottata in assenza dello specifico presupposto che avrebbe dovuto legittimare la misura.

3.6. L’ente civico appellante ha potuto sostenere il contrario seguendo un ragionamento, non scevro di gravi vizi logici, ma soprattutto platealmente errato sotto il profilo giuridico.

3.7. Opina infatti il Comune, ribadendo il suo pensiero in appello, che il T.a.r. avrebbe dovuto stimare ingiustificata l’assenza del L. fin dal 1°.1.1992 (data di decorrenza del provvedimento di decadenza, coincidente con l’inizio del primo periodo semestrale di aspettativa); si aggiunge inoltre che la dimostrazione di tale indebito allontanamento dal servizio risulterebbe proprio dalla circostanza dell’omessa dichiarazione configurata dal Comune quale condicio sine qua non dell’accoglimento della domanda.

4. Va subito sgombrato il campo da questo secondo argomento. In effetti, la decisione del L. di non rendere la dichiarazione sostitutiva richiesta dal Comune avrebbe potuto rilevare, al più, come indizio (peraltro di dubbio valore giuridico, in ragione del principio garantistico racchiuso nel brocardo nemo se detegere tenetur) di una probabile violazione disciplinare ascrivibile alla condotta dell’appellante durante il periodo di aspettativa (ed ipoteticamente consistita nello svolgimento di attività lavorativa presso terzi, in violazione del dovere di esclusività e di fedeltà in favore dell’ente di appartenenza).

La medesima circostanza appariva, di contro, del tutto inconferente ai fini del computo del termine ultraquindicinale di cui alla lett. c) dell’art. 127, 1° co., T.U. n. 3/1957.

5. Invero il grave errore logico nel quale è incorsa l’amministrazione appellante risiede nell’aver attribuito retroattiva efficacia invalidante al mancato adempimento di un onere (la dichiarazione succitata, appunto) mai prospettato al L. all’epoca in cui questi ebbe a richiedere il primo semestre di aspettativa né in occasione della presentazione della seconda domanda di proroga. Così argomentando, il Comune di Napoli ha illogicamente condotto il giudizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella normativa (siccome descritta dall’art. 127 T.U. cit.), annettendo arbitrariamente valenza preclusiva ad un elemento negativo non menzionato dalla riferita disposizione e, per di più, individuato soltanto ex post, ossia in un’epoca in cui il dipendente aveva già goduto integralmente del primo periodo di aspettativa.

5.1. L’amministrazione comunale napoletana ha inoltre mostrato di obliterare altri fattori indubbiamente favorevoli al L..

A ben vedere, infatti, l’ente civico ha tenuto in non cale sia il notevole ritardo (oltre otto mesi) con la quale la Giunta, in spregio del fondamentale canone di buon andamento, ebbe a pronunciarsi formalmente sulle istanze di aspettativa presentate dall’appellato, sia l’esistenza di ben due atti del Direttore del Personale che, quantunque dotati di efficacia interinale (poiché destinata a cessare con la successiva pronuncia definitiva dell’organo di governo comunale), possedevano l’indiscutibile valenza di titolo autorizzativo provvisorio all’allontanamento dal servizio del L..

Le due circostanze, stimate tamquam non essent dal Comune di Napoli, avrebbero dovuto piuttosto indurre l’Amministrazione a considerare, come pienamente giustificato, l’invocato affidamento riposto dal L. circa la correttezza del proprio comportamento.

5.2. Anche l’argomento per absurdum contribuisce ad invalidare le tesi comunali: invero, qualora gli argomenti dell’amministrazione fossero seguiti fino alle loro estreme conseguenze logiche, si dovrebbe giocoforza pervenire alla conclusione che il L., pur trovandosi alla data del 1°.1.1992 nell’urgente necessità di assentarsi dal lavoro (allegazione mai incontestata), giammai avrebbe potuto intravedere nelle due comunicazioni dell’espresso accoglimento delle istanze (provenienti, si noti bene, dall’organo istituzionalmente deputato alla gestione del personale, ossia il Direttore dell’omologo servizio), un titolo valido e sufficiente a giustificare la propria assenza dal lavoro; di contro, sempre secondo l’implicito divisare del Comune, il L. per avere la certezza di non incorrere nella sanzione espulsiva della decadenza dal servizio, avrebbe dovuto comunque attendere la successiva adozione – nella specie, intervenuta ben oltre lo spirare del primo termine di aspettativa – del formale provvedimento autorizzativo della Giunta.

5.3. L’irragionevolezza delle riferite implicazioni è autoevidente e, come tale, non richiede particolari commenti: manifestamente l’argomentare comunale si risolverebbe infatti nella pratica soppressione dell’istituto laburistico dell’aspettativa posto che nessun dipendente – di fronte all’ipotesi di una libera determinazione ex post da parte della P.A. delle condizioni cui subordinare retroattivamente l’accoglimento delle relative istanze – potrebbe permettersi di affrontare il rischio di una tardiva reiezione e, quindi, della conseguente perdita del posto di lavoro in forza dell’art. 127 sopra menzionato.

5.4. In realtà, l’assenza del pubblico impiegato dal servizio va riconosciuta come pienamente giustificata ogniqualvolta l’allontanamento del dipendente trovi un qualificato presupposto autorizzativo nell’intervenuto accoglimento in via provvisoria di un’istanza di aspettativa, non potendo rilevare in contrario la circostanza della sopravvenuta reiezione della domanda da parte dell’organo deputato all’adozione del formale provvedimento conclusivo del procedimento, posto che tale diniego, unicamente proiettato nel futuro, non vale trasformare in una condotta contra jus il periodo di assenza precedentemente fruito.

6. Un’ulteriore illegittimità della deliberazione gravata dal L. in prime cure risiede poi, siccome condivisibilmente ritenuto dal T.a.r. Campania, nell’omessa comunicazione al ricorrente di una previa diffida a riprendere il servizio.

6.1. Invero, sebbene la decadenza dall’impiego per assenza dal servizio di durata superiore a quindici giorni a norma dell’art. 127, lett. c), T.U. n. 3/1957, costituisca di regola un effetto automatico ex lege dell’ingiustificato allontanamento (ragionevolmente individuato) del pubblico impiegato, nondimeno l’onere di una preventiva diffida del lavoratore pubblico a ritornare in servizio incombe sull’amministrazione di appartenenza ogniqualvolta, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, possa dubitarsi dell’effettiva volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro (Cons. St., sez. V, 3.6.2002, n. 3077; sez. V, 21.7.1999, n. 867; sez. VI, 2.7.1999, n. 894); in tale situazione – ricorrente anche nella fattispecie (v. la comunicazione del L. in data 14.10.1992 dalla quale eloquentemente traspariva l’intenzione di far rientro in servizio) - grava sulla P.A. il dovere di attivare tutte le iniziative dirette a rimuovere la riferita situazione di incertezza (Cons. St., sez. V, 13.10.1994, n. 1158).

7. Alla reiezione dell’appello, segue la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado, ravvisandosi in tal senso giustificati motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe.

Spese compensate.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio del 30 aprile 2004 con l'intervento dei Signori:
Emidio Frascione - Presidente
Raffaele Carboni - Consigliere
Paolo Buonvino - Consigliere
Cesare Lamberti - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere rel. est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Gabriele Carlotti f.to Emidio Frascione

IL SEGRETARIO
f.to Francesco Cutrupi

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 30 AGOSTO 2004
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
p. IL DIRIGENTE
f.to Livia Patroni Giffi