La Sezione – rigettando l’appello dell’Amministrazione fondato sulla tesi del divieto di cumulo introdotto dall’art. 3, comma 63, della legge n. 537 del 1993 (finanziaria 1994) - conferma la decisione di primo grado in ordine al riconoscimento della cumulabilità delle indennità ex art. 8 della legge n. 455 del 1985 (indennità cd. “di Presidenza”), prevista in favore del personale civile e militare in servizio presso la Presidenza, e dell’indennità mensile pensionabile di Istituto (cosiddetta di P.S.) corrisposta ai sensi dell’art. 43 della legge n. 121 del 1981 agli appartenenti alla Polizia di Stato. La tesi del Consiglio di Stato è motivata in ordine al presupposto che l’indennità di P.S. non rientra nel novero nè delle indennità, nè dei compensi o trattamenti retributivi accessori cui si riferisce il citato art. 3, comma 63, della legge n. 537 del 1993.

In particolare, la Sezione rammenta che la questione non può essere risolta con il criterio meramente formale del nomen iuris dell'emolumento (cfr. IV Sez. 19.10.1993 n. 893) in quanto non è sufficiente la denominazione di « indennità » per escluderne la cumulabilità con quella di cui all'art. 8 citato ed è, pertanto, necessario esaminarne la natura giuridica; in proposito, si devono ritenere cumulabili con l’indennità di Presidenza gli emolumenti – comunque denominati – aventi natura retributiva. (cfr., IV Sez. 5.11.1991 n. 907 e 28.2.1992 n. 238).

Con specifico riferimento all’indennità di cui all’art. 43 della legge 1.4.1981 n. 121 (che si caratterizza per essere correlata alla naturale gravosità della prestazione lavorativa ed ai rischi oggettivamente e comunque connessi al servizio di polizia, senza essere condizionata dalla dimensione temporale delle prestazioni rese) la Sezione: a) nega la natura indennitaria o accessoria, riconoscibile nel caso di trattamenti, comunque denominati, i quali, pur derivando dal rapporto di servizio, si basano su specifico titolo o assolvono ad una funzione diversa da quella stipendiale vera e propria; b) riconosce la natura propriamente retributiva. (cfr. A.P. 17.9.1996n. 19 )

 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.8190/2003

Reg. Dec.

N. 3837 Reg. Ric.

Anno 2003

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

         Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 3837/2003 proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma Via dei Portoghesi n. 12;

contro

MAGGI PAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Stefania Masini, presso il cui studio domicilia in Roma Via E.Q. Visconti n. 20;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, I Sezione, n. 8589/2002;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione dell’appellato;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla Udienza dell’11 luglio 2003 il Consigliere Anna Leoni;

Uditi l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe e l’avvocato Maria Stefania Masini;

Ritenuto e considerato quanto segue in

FATTO

L’odierno appellato, appartenente alla Polizia di Stato, è assegnato ai sensi dell’art. 33 della legge n. 400 del 1988 a prestare servizio di istituto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

In applicazione dell’art. 8 della legge n. 455 del 1985 ha percepito, sino all’anno 1993, l’indennità (cosiddetta “di Presidenza”) ivi prevista in favore del personale civile e militare in servizio presso la Presidenza stessa, cumulandola con l’indennità mensile pensionabile di Istituto (cosiddetta di P.S.) corrisposta ai sensi dell’art. 43 della legge n. 121 del 1981 agli appartenenti alla Polizia di Stato.

Dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 comma 63 della legge n. 537 del 1993 – che vieta per il personale in servizio presso Amministrazioni diverse da quella di appartenenza il cumulo di indennità o trattamenti aggiuntivi – l’Amministrazione ha cessato di corrispondere agli appartenenti alle Forze di Polizia l’indennità di Presidenza.

Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale, adito dall’interessato, ha in sostanza accertato la cumulabilità delle indennità in questione, condannando altresì l’Amministrazione a corrispondere i relativi arretrati, maggiorati come per legge a titolo di interessi e rivalutazione monetaria.

La sentenza è qui impugnata dall’Amministrazione, la quale ne chiede l’integrale riforma sostenendo che, in virtù del divieto imposto dalla legge n. 537 del 1993, l’indennità di Pubblica Sicurezza costituisce trattamento economico accessorio non più cumulabile con alcuna altra indennità aggiuntiva.

Si è costituito l’appellato, insistendo per il rigetto dell’appello.

All’udienza dell’11 luglio 2003 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello non è fondato e quanto statuito dal Tribunale va perciò confermato, sia pure alla luce delle integrazioni motivazionali che nel prosieguo si esporranno.

Con un unico e articolato motivo l’Amministrazione torna a dedurre che, in virtù dell’espresso e generalizzato divieto di cumulo introdotto dall’art. 3 comma 63 della legge n. 537 del 1993, gli appartenenti alla Polizia di Stato in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri non hanno titolo a percepire la speciale indennità (c.d. di Presidenza) prevista dalla legge n. 455 del 1985 in quanto già beneficiano di altro trattamento analogo, costituito dall’indennità di istituto prevista dall’art. 43 della legge n. 121 del 1981.

Il mezzo non è fondato.

Al fine di ricostruire il quadro normativo e fattuale sotteso alla controversia in esame, giova rammentare che con l’art. 8 della L. 8.8.1985 n. 455 è stata istituita una indennità non pensionabile in favore del personale civile e  militare comunque in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ai sensi dei commi 2 e 3 del citato art. 8 l'indennità in questione era destinata a sostituire ogni altra indennità o compenso dovuti in relazione all'espletamento delle effettive prestazioni ordinarie di servizio o comunque connessi all'espletamento di compiti di istituto, fatta salva per gli interessati la facoltà di opzione per le indennità o compensi spettanti presso l'amministrazione di appartenenza.

Successivamente, l’art. 32 della legge 23.8.1988 n. 400, dopo aver esteso al personale nei ruoli della Presidenza l’indennità di cui si tratta (comma 1), ha confermato l’attribuzione ai dipendenti di altre Amministrazioni in servizio presso la Presidenza stessa di una indennità mensile a fini perequativi (comma 2) comunque disciplinata – sotto il profilo della cumulabilità - con rinvio integrale alle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 della legge n. 455 del 1985, sopra richiamate.

In punto di fatto è incontestato fra le parti, e deve dunque ritenersi pacifico, che sino all’anno 1993 l’indennità di Presidenza sia stata regolarmente erogata in favore del personale appartenente alla Polizia di Stato ed in servizio presso la Presidenza stessa.

Ne risulta pertanto che, prima dell’entrata in vigore del generalizzato divieto di cumulo introdotto dalla legge n. 537 del 1993, la stessa indennità di Presidenza è stata dall’Amministrazione ritenuta cumulabile con l’altra indennità di cui appunto gode il personale della Polizia di Stato ai sensi dell’art. 43 della L. 1.4.1981 n. 121.

Nel prosieguo, è però entrata in vigore la legge 23.12.1993 n. 537 (finanziaria 1994) la quale, nel contesto di stringenti misure tutte volte al risanamento della finanza pubblica, così ha disposto all'art. 3 comma 63: “I pubblici dipendenti in posizione di comando, di fuori ruolo o in altre analoghe posizioni non possono cumulare indennità, compensi o emolumenti, comunque denominati, anche se pensionabili, corrisposti dall'amministrazione di appartenenza con altri analoghi trattamenti economici accessori previsti da specifiche disposizioni di legge a favore del personale dell'amministrazione presso la quale i predetti pubblici dipendenti prestano servizio.”

Come si è detto, a giudizio dell’Amministrazione la norma ora trascritta sancisce un generalizzato divieto di cumulo di trattamenti indennitari, accessori o aggiuntivi rispetto allo stipendio tabellare, per l’effetto precludendo la corresponsione dell’indennità prevista dalla legge n. 455 del 1985 in favore di personale che, pur in servizio presso la Presidenza, già però percepisce l’indennità di P.S..

Il Collegio, come premesso, non condivide la tesi dell’Amministrazione, ritenendola nel caso in esame fondata sul presupposto erroneo che l’indennità di P.S. rientri fra gli emolumenti contemplati dalla normativa anti – cumulo del 1993.

Al riguardo, si ricorda come – nel vigore dello specifico divieto di cumulo comminato dal comma 2 dell’art. 8 della legge n. 455 del 1985 tra l’indennità di Presidenza e « ogni altra indennità o compenso dovuti in relazione all'espletamento delle effettive prestazioni ordinarie di servizio o comunque connessi all'espletamento di compiti di istituto »– la Sezione avesse già chiarito che, avendo la norma riguardo alla natura di determinati emolumenti, la questione non può essere risolta con il criterio meramente formale del nomen iuris di quell'emolumento. (cfr. IV Sez. 19.10.1993 n. 893).

In tal senso, come è stato precisato, non è sufficiente che un emolumento sia denominato « indennità » per escluderne la cumulabilità con quello di cui all'art. 8 della legge n. 455 del 1985, ma è necessario esaminarne la natura giuridica, dovendosi in sostanza ritenere cumulabili con l’indennità di Presidenza gli emolumenti – comunque denominati – aventi natura in realtà retributiva. (cfr., oltre alla decisione ora citata, IV Sez. 5.11.1991 n. 907 e 28.2.1992 n. 238 nonchè I Sez. par. 15.6.1988 n. 1519/87).

A giudizio del Collegio, l’approccio ermeneutico valorizzato dalle citate decisioni mantiene la sua validità, e merita pertanto di essere mantenuto fermo, pure in rapporto alle sopravvenute disposizioni introdotte dall’art. 3 comma 63 della legge n. 537 del 1993.

Peraltro il Collegio, nel mentre ribadisce l’adesione al criterio metodologico non nominalistico, evidenzia però la necessità di tenere presenti gli oggettivi elementi di novità contenuti nelle disposizioni del 1993 le quali – a ben vedere e per quanto qui interessa – da un lato ribadiscono il divieto di cumulo tra indennità già previsto dalla vecchia norma, dall’altro però vi aggiungono il divieto di cumulo di compensi accessori comunque denominati e dunque di tutti gli emolumenti (anche aventi natura retributiva) che siano però aggiuntivi e cioè estrinseci rispetto all’ordinario trattamento stipendiale goduto dal personale interessato.

In altri termini, mentre la normativa pregressa si limitava a precludere la duplicazione delle indennità (e cioè dei compensi non retributivi) la nuova disposizione vieta anche il cumulo di quegli emolumenti i quali, pur partecipando della natura retributiva, per la loro configurazione e per il regime cui in concreto sono sottoposti hanno natura obiettivamente accessoria rispetto al trattamento stipendiale di base.

In tal senso, devono ritenersi aggiuntivi o accessori rispetto a tale trattamento quegli emolumenti – pur aventi natura retributiva – i quali siano erogati accidentalmente, e cioè in relazione alle modalità obiettive della prestazione lavorativa ovvero alla peculiare tipologia dell’ufficio in favore del quale la prestazione stessa è resa; viceversa hanno natura intrinsecamente stipendiale quegli emolumenti i quali, entrando a far parte naturalmente dello stipendio, caratterizzano uno status del dipendente pubblico diversificato e che non ammette analogia.

Con il che, la controversia in esame si risolve nel decidere se in primo luogo la specifica indennità di P.S. abbia natura veracemente retributiva o sia corrisposta in funzione indennitaria e in secondo luogo se la stessa costituisca o meno una componente intrinseca – nel senso ora chiarito -  del trattamento stipendiale di base spettante agli appartenenti alla Polizia di Stato.

Al riguardo, si ricorda che, ai sensi dell’art. 43 della legge 1.4.1981 n. 121 (recante Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) il trattamento economico del personale che espleta funzioni di polizia è costituito dallo stipendio base e da “una indennità pensionabile, determinata in base alle funzioni attribuite, ai contenuti di professionalità richiesti, nonché alla responsabilità e al rischio connessi al servizio.”

Storicamente, tale indennità (oltre ad assorbire l’assegno personale di funzione introdotto dall’art. 143 della legge n. 312 del 1980, le cui caratteristiche saranno esaminate nel prosieguo) veniva a sostituire l’indennità mensile di istituto (L. 23.12.1970 n. 1054), ed altre specifiche indennità erogate al personale del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza impiegato in particolari mansioni (ad es: indennità di servizio speciale, attribuita dalla legge 22.12.1969 n. 967 agli addetti a mansioni di ordine pubblico, come individuate con decreto prefettizio).

Da tali precedenti indennità, quella di cui si discute si differenzia radicalmente non soltanto per la riconosciuta integrale pensionabilità (indice questo peraltro irrilevante ai fini in esame) ma per il fatto di non essere rapportata a specifiche condizioni di impiego del personale interessato, avendo quindi quella natura retributiva che è propria di ogni emolumento sinallagmaticamente dovuto in relazione all'espletamento delle ordinarie prestazioni di servizio o dei compiti di istituto.

Di tale emolumento va invece negata la natura indennitaria o accessoria, riconoscibile nel caso di trattamenti, comunque denominati, i quali, pur derivando dal rapporto di servizio, si basano su specifico titolo o assolvono ad una funzione diversa da quella stipendiale vera e propria, essendo – sia detto in estrema sintesi - preordinati a ristorare il dipendente, nella misura in cui ne ricorrano le condizioni, di particolari disagi incontrati o oneri affrontati nell’ambito della prestazione lavorativa.

Pervenendo a tale conclusione, il Collegio per un verso ritiene di non poter condividere il diverso orientamento espresso dalla Sezione con la decisione 30.9.1995 n. 777, relativa alla consimile indennità percepita ex art. 7 L. n. 569 del 1982 dal personale della carriera prefettizia fuori ruolo in servizio presso la Presidenza; per l’altro, si richiama al costante indirizzo della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato la quale, anche nelle sue più autorevoli espressioni, ha sempre riconosciuto all’indennità in questione natura propriamente retributiva. (cfr. in tal senso ed espressamente, oltre alle decisioni sopra richiamate, Ap.17.9.1996 n. 19, che pure ne esclude la computabilità ai fini della buonuscita).

Come si è detto, la qualità retributiva dell’emolumento costituisce però presupposto necessario ma (diversamente da come ritenuto dal TAR) non sufficiente ai fini del divieto di cumulo, occorrendo poi verificare se l’emolumento stesso abbia o meno natura accessoria o aggiuntiva rispetto allo stipendio di base o tabellare.

Procedendo in tal senso all’indagine, va intanto rimarcato che – come sopra si è detto - l’indennità di P.S. assorbe (ai sensi dell’art. 43 comma quarto della stessa legge istitutiva della Polizia di Stato) l’assegno personale di funzione già introdotto dall’art. 143 della legge 11.7.1980 n. 312 in favore del personale allora appartenente al Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza.

Riguardo a tale assegno, va rilevato che il Legislatore, nel momento stesso in cui ha equiparato – attraverso un meccanismo di concordanze tra i gradi dell’ordinamento di settore e le qualifiche funzionali dell’ordinamento generale – il trattamento stipendiale degli appartenenti alle Forze di Polizia a quello del restante impiego civile statale, ha ritenuto di dover introdurre però, per gli appartenenti all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, un emolumento distintivo costituito appunto dall’assegno stesso: e ciò al fine di coniugare l’esigenza di omogeneizzazione stipendiale all’interno dell’universo del pubblico impiego con quella di salvaguardia della specificità di un settore connotato sul piano operativo da caratteristiche distintive del tutto peculiari.

Come sia di ciò, sta di fatto che – ai sensi del comma secondo del ridetto art. 143 L. n. 312 del 1980 – l’assegno personale risultava pensionabile nonchè “assoggettato, ad ogni effetto, alla medesima disciplina dello stipendio” subendone “in pari misura la progressione, la sospensione, la riduzione e il ritardo.”

Come si vede, per espressa previsione di legge, l’emolumento di cui si discute aveva natura intrinsecamente stipendiale: di qui un primo indizio concludente nel senso che l’indennità di istituto, assorbendo sul piano strutturale tale emolumento, partecipa dello stesso regime giuridico sostanziale per esso in precedenza dettato.

Ad analoga conclusione si perviene nell’ottica di una analisi funzionale.

L’indennità di P.S., infatti, si caratterizza per essere ontologicamente correlata alla naturale gravosità della prestazione lavorativa ed ai rischi oggettivamente e comunque connessi al servizio di polizia, senza essere condizionata dalla dimensione temporale delle prestazioni rese (cf. Ap. n. 19 del 1996 citata) - risultando essa significativamente corrisposta in modo fisso e continuativo e anche nei periodi di congedo ordinario o aspettativa retribuita, a differenza di altre indennità che pure partecipano della natura retributiva – e soprattutto senza essere rapportata a specifiche condizioni di impiego del personale interessato.

Le convergenti considerazioni sin qui svolte inducono il Collegio a ritenere che l’indennità prevista dall’art. 43 della legge n. 121 del 1981 costituisce emolumento naturalmente erogato al personale della Polizia in funzione del relativo status e che essa, nell’ottica imposta dalla controversia all’esame, deve essere considerata come facente parte integrante dello stipendio tabellare in relazione a ciascuna qualifica o grado e da questo distinta solo per il diverso nomen in origine attribuito.

Ne deriva che alla suddetta indennità di P.S., in quanto non rientrante nel novero nè delle indennità nè dei compensi o trattamenti retributivi accessori cui si riferisce l’art. 3 comma 63 della legge n. 537 del 1993, non si applica il divieto di cumulo divisato dalla norma in questione, con la conseguenza che l’appellato, in costanza di servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha effettivamente diritto a percepire l’indennità ivi prevista per il personale esterno.

L’appello dell’Amministrazione va perciò respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, l’11 luglio 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

Paolo SALVATORE                               Presidente

Livia BARBERIO CORSETTI                 Consigliere

Antonino ANASTASI                                      Consigliere 

Anna LEONI                                         Consigliere, est.

Nicola RUSSO                                               Consigliere

L’ESTENSORE                                 IL PRESIDENTE

 

IL SEGRETARIO