R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.2917/2009

Reg. Dec.

N. 11789 Reg. Ric.

Anno 2000

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sul ricorso in appello iscritto al NRG 11789 dell’anno 2000 proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

     @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avv. ti -

per l’annullamento

     della sentenza del TAR per il LAZIO, Sezione I, 5 agosto 2000, n. 6603;

     visto  il ricorso  in appello, con i relativi allegati,

     visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

     visti gli atti tutti della causa;

     relatore, alla pubblica udienza del 13 gennaio 2009, il consigliere -

     Udito l’avvocato dello Stato -

     ritenuto in fatto e considerato diritto quanto segue:

F A T T O

     Il sig. @@@@@@@ @@@@@@@ presentava istanza di partecipazione a concorso per agente di polizia penitenziaria, ricevendo tuttavia un provvedimento di esclusione dalla procedura, in ragione della mancanza dei requisiti di moralità e condotta previsti dall’art. 124 del R.D. n. 12/1941, sull’ordinamento giudiziario (ove si prescrive il requisito di appartenenza a famiglia di indiscussa estimazione morale),  esteso, dalla legge n. 53/1989,  alla  disciplina del concorso per agente di  polizia penitenziaria.

     Avverso detto provvedimento l’interessato adiva il TAR del Lazio, deducendo la violazione e la falsa applicazione delle leggi sopra indicate, specialmente in relazione alla pronunzia della Corte costituzionale (n.108/1994) intervenuta in merito a detta estensione legislativa.

     Con la epigrafata sentenza il Tribunale ha accolto il ricorso.

     Il Ministero ha impugnato la sentenza del TAR, chiedendone l’integrale riforma.

     Si è costituito nel giudizio il sig. @@@@@@@, resistendo al gravame ed esponendo le proprie argomentazioni difensive.

     Alla pubblica udienza del 13 gennaio 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

     L’appello è infondato.

     La sentenza di primo grado ha annullato l’esclusione del concorrente @@@@@@@ dal concorso ad agente di polizia penitenziaria, deducendo la carenza del summenzionato requisito imposto dalla legge da fatti costituiti dall’ arresto del padre dell’appellato per reati in materia di sostanze stupefacenti, dai precedenti penali della madre e dall’essere la sorella coniugata con pluripregiudicato appartenente ad associazione camorristica.

     Il TAR ha accolto il ricorso argomentando che, sulla base della citata sentenza della Corte costituzionale (n. 108/94, che ha espunto l’art. 124 del R.D. n. 12/1941 che richiedeva l’appartenenza a famiglia di indiscussa moralità), il provvedimento di esclusione dal concorso si deve basare su fatti specifici, trasfusi nel provvedimento, che dimostrino l’incompatibile frequentazione, da parte del candidato, dei congiunti di condotta non estimabile.

     Nel caso di specie, secondo il TAR, la motivazione del provvedimento è invece da ritenersi generica, poggiando sul solo convincimento, mai dimostrato, che detta frequentazione abbia negativamente influenzato la formazione dell’aspirante.

     In contrario l’appellante Ministero assume, con unico ordine di considerazioni, che dopo la cennata sentenza della Corte la legge ha meglio specificato i requisiti richiesti, aggiungendo alla incensurabilità della condotta dell’interessato, per i parenti (entro il primo grado in linea diretta ed entro il secondo grado in linea collaterale), l’assenza di condanne per i reati ivi menzionati. Correttamente, pertanto, l’Amministrazione ha compiuto un doveroso raffronto che ha messo in luce l’incompatibilità della situazione familiare del ricorrente con i compiti demandati al Corpo di polizia penitenziaria.

     La tesi non può essere accolta.

     Sulla questione questa Sezione ha avuto già occasione di pronunziarsi (Sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3452) su un caso del tutto analogo ed esprimendo un orientamento dal quale non sussistono motivi per discostarsi.

     Detta decisione ha preliminarmente compiuto un esame della sentenza n. 108/1994 della Corte costituzionale, evidenziando che la stessa, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 26 della L. n. 53/1989 per violazione degli artt. 3 e 51 Cost., ha affermato i seguenti principi:

     a) la determinazione del requisiti attitudinali, che l’art. 51 Cost. demanda al legislatore ordinario, riguarda capacità, attitudini e condotte riferibili ad un determinato soggetto e non anche valutazioni concernenti comportamenti dell’ambiente familiare, che non possono, in base ad una arbitraria presunzione, essere riferiti automaticamente al soggetto stesso; è, pertanto, incostituzionale l’art. 26 cit. nella parte in cui, rinviando, per l’accesso ai ruoli della polizia di Stato, al possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l’ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, prevede che siano esclusi dall’arruolamento coloro che, per le informazioni raccolte, non risultino, secondo l’apprezzamento insindacabile del ministro, appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa;

b) il legislatore può prevedere che la P.A. possa disporre l’esclusione da concorsi a pubblici impieghi, in base a valutazioni obiettive aventi ad oggetto fatti specifici ed obiettivamente verificabili, ma non può conferire alla P.A. il potere di disporre l’esclusione da pubblici concorsi, in base ad apprezzamenti di estrema latitudine o indeterminati, non suscettibili di sindacato da parte del giudice; pertanto, l’art. 26 cit. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che possano essere esclusi dall’accesso ai ruoli della Polizia di Stato coloro che, in base ad apprezzamento insindacabile del Ministro, non risultino di moralità e condotta incensurabili.

     Il ragionamento seguito dalla Corte costituzionale ha tenuto conto, da un lato, che la norma denunciata rifletteva una situazione storica della società italiana ormai risalente, quando la famiglia era, di norma, l’ambito di socializzazione pressoché esclusivo dei giovani, laddove oggi, a seguito dell’allargamento del livello di istruzione e dell’evoluzione dei rapporti sociali generali, non si può negare l’eventualità che singoli soggetti maturino in se’ stessi la credenza in valori antitetici o diversi rispetto a quelli diffusi nelle proprie famiglie di origine ed ispirino le proprie condotte a modelli di convivenza sociale diversi o contrari rispetto a quelli seguiti dai genitori o da altri componenti del proprio nucleo familiare.

     Dall’altro, che costituiva una irragionevole limitazione alla posizione costituzionalmente garantita ad ogni cittadino dall’art. 51, primo comma, della Costituzione tanto la previsione che a base del provvedimento diretto a negare l’accesso nei ruoli del personale della Polizia di Stato siano genericamente poste “informazioni raccolte” da apparati amministrativi o da uffici di pubblica sicurezza, quanto la previsione che il provvedimento stesso consista in un “apprezzamento insindacabile del Ministro”, essendo necessario, in base ai richiamati parametri costituzionali, che il provvedimento di esclusione si basi su valutazioni imparziali aventi ad oggetto fatti specifici e obiettivamente verificabili, che devono essere rese note attraverso la motivazione del provvedimento medesimo, al fine di renderlo giustiziabile avanti agli organi giurisdizionali.

     Alla luce di tali rilievi, pertanto, correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto illegittimo un provvedimento di esclusione fondato  genericamente su informazioni di polizia raccolte sulla oggettiva frequentazione familiare, anzicchè in base a fatti specifici e obiettivamente verificabili, che devono poi essere resi noti attraverso la motivazione del provvedimento .

     In tale quadro il raffronto operato dal censurato provvedimento di esclusione non corrisponde ai principi sopra richiamati e non è pertanto idoneo a sopportare il provvedimento di esclusione,  in effetti non  sostenuto da alcuna concreta ragione concernente capacità, attitudine e condotte del singolo soggetto, bensì da mere ipotesi di influenza negativa che le frequentazioni familiari avrebbero potuto determinare.

     Conclusivamente, e per le suesposte ragioni, l’appello deve essere respinto.

     Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza e vanno perciò poste a carico del Ministero appellante. Esse sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito all’appello in epigrafe, lo respinge.

     Condanna il Ministero al pagamento delle le spese, in favore dell’appellato delle spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in . 3.000,00 (Euro tremila), oltre accessori di legge, se dovuti.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dallautorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei signori:

 

IL SEGRETARIO

                                                  

- - 

N.R.G. 11789/2000


 

RL