REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.178/2006             Reg.Dec.

N. 2807    Reg.Ric.

ANNO 2000      

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da (.......) con i quali sono elettivamente domiciliati in Roma, Via Nocera Umbra, n. 166, presso il dr. Santolo Guadagno.

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato preso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12.

e nei confronti

di Chelo Giorgio, non costituitosi in giudizio.

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, Sezione prima, n. 82 del 18 febbraio 1999;    

       Visto il ricorso con i relativi allegati;

       Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero appellato      

       Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

       Visti gli atti tutti della causa;

       Alla pubblica udienza del 18 ottobre 2005 relatore il Consigliere Guido Salemi. Uditi l’avv. Tafuri, per delega dell’avv. Marino, e l’avvocato dello Stato De Felice.

       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con atto notificato in data 8 novembre 1995, gli appellanti indicati in epigrafi, appartenenti al ruolo degli ispettori della Polizia di Stato, adivano il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, chiedendo l’annullamento del decreto del Capo della Polizia del 1° settembre 1995, con cui era stato disposto il loro inquadramento nelle qualifiche di ispettore capo e ispettore superiore del nuovo ruolo degli ispettori ai sensi dell’art. 13, comma I, lettere a) e b), del D.L.vo 12 maggio 1995, n. 197, attuativo dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato.

Deducevano a tal fine l’illegittimità derivata del decreto impugnato, essendo stato il medesimo adottato in esecuzione del predetto D.Lgs. n. 197/1995 ritenuto costituzionalmente illegittimo, di cui, pertanto, chiedevano, in via pregiudiziale, la rimessione alla Corte Costituzionale per il relativo giudizio di legittimità costituzionale.

Con sentenza n. 82 del 18 febbraio 1999, il T.A.R. adito respingeva il ricorso.

Detto giudice osservava che, nelle more del giudizio, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 63 del 17 marzo 1998, aveva dichiarato non fondate le analoghe questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 13, 14 e 15 del D.Lgs. n. 197 del 1995, rimesse al suo esame dal T.A.R. del Lazio e dal T.R.G.A. di Bolzano.

Né, ad avviso dello stesso giudice, poteva giungersi ad una diversa conclusione, con riguardo a quanto dedotto in memoria dai ricorrenti in vista dell’udienza di discussione del gravame.

Infatti, anche ad accedere alla tesi secondo cui la Corte si sarebbe occupata di profili diversi da quelli prospettati in ricorso, non poteva superarsi il rilievo che le censure esposte nella summenzionata memoria attenevano a scelte che rientravano nell’ampio margine della discrezionalità con cui il Legislatore aveva realizzato un nuovo assetto organizzativo, ispirato ad un diverso equilibrio funzionale e retributivo tra le qualifiche delle varie forze di polizia, secondo apprezzamenti appartenenti alla sua competenza esclusiva.

Con ricorso notificato il 17 marzo 2000, è stato proposto appello contro la summenzionata sentenza.

Gli appellanti sostengono che la riforma ha collocato gli ispettori di cui alla riforma del 1981 al livello dei sovrintendenti, i quali, dal canto loro sono diventati ispettori.

In particolare, il nuovo ispettore svolge, ai sensi dell’art. 3 D. L.vo 197/1995, che sostituisce l’art. 25 D.P.R. n. 335/1982, compiti d’istituto (attività d’ufficio e di ordine pubblico, oltre che investigative), obbedendo alle direttive superiori, mentre, prima della riforma, era destinato allo svolgimento di funzioni investigative nell’ambito di direttive generali.

Nella sentenza impugnata non si è tenuto conto della circostanza che i ricorrenti avevano superato un concorso pubblico per il cui accesso era prevista la titolarità del diploma superiore di secondo grado, oltre una preparazione di tipo universitario in materie specifiche.

L’assimilazione a soggetti non in possesso di tali titoli si colloca ancora una volta in contrasto con gli artt. 2, 3, 35 Cost., poiché stravolge il criterio direttivo dell’elevazione professionale, e con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché capovolge l’ordine meritocratico.    

Nella specie non v’è stata considerazione alcuna dei requisiti pregressi, ma soltanto una caotica redistribuzione delle qualifiche, attuata attraverso il generalizzato raggiungimento o addirittura lo scavalco di soggetti qualificati dal possesso di un titolo di studio (i sovrintendenti e i vice sovrintendenti accedono sic et simpliciter al ruolo di ispettore, mentre i sovrintendenti principali e capo accedono ai gradi apicali di tale ruolo).

La riforma del 1995 ha sancito (cfr. art. 27 D.Lv. 197/95 per la Polizia di Stato; art. 15 D.Lv. 198/1995 per la Guardia di Finanza; art. 36 D.Lv. 199/95 per l’Arma dei Carabinieri) che d’ora in poi, Ispettori – in tutte le Forze – si diventa mediante concorso pubblico, riservato a chi è in possesso del titolo di studio di secondo grado. Peraltro, il Legislatore ha parallelamente attribuito in modo indiscriminato, il ruolo di ispettore attraverso un avanzamento sancito per legge ad una “marea” di sottufficiali (sovrintendenti, brigadieri, oltreché marescialli), senza alcun  riguardo al possesso del titolo di studio e senza salvaguardare la posizione di chi, ante-riforma, aveva già acquisito la qualifica in virtù di quel titolo di cui è stata sancita la natura essenziale

Ad avviso degli appellanti, l’unica soluzione coerente col diritto è di ripristinare per essi una condizione differenziata, analogamente a quanto previsto dal legislatore in altre ipotesi nelle quali l’accesso al ruolo inferiore a quello dei funzionari è stato condizionato al titolo di studio.

Nei due casi che constano, da un lato alle ex- assistenti di Polizia femminile è stato consentito l’accesso al ruolo dei funzionari per mezzo di concorso interno per titoli di servizio e colloquio; agli ispettori della polizia penitenziaria in possesso del diploma di scuola media superiore è stato consentito di accedere alla carriera direttiva mediante concorso nel limite di 1/3 dei posti disponibili.

La mancata previsione dell’accesso alla qualifica direttiva (ruolo funzionari) costituisce, quindi una irragionevole disparità di trattamento con palese violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione (l’accesso al ruolo ufficiali è consentito agli ispettori dell’Arma dei Carabinieri, purché muniti di diploma di istruzione secondaria di 2° grado, unitamente ai laureati, ovvero per meriti straordinari o particolari benemerenze).

Gli appellanti hanno concluso, chiedendo l’annullamento dei provvedimenti relativi al loro inquadramento, previa remissione alla Corte Costituzionale delle questioni di costituzionalità sotto vari profili degli artt. 3, 13 e 55 del D.L.vo n. 197 del 1995 per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 35, 36 e 97 della Costituzione.

Resiste al ricorso il Ministero dell’Interno.

Alla pubblica udienza del 18 ottobre 2005, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

1.- Forma oggetto del ricorso in appello la sentenza n. 82 del 18 febbraio 1999, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, Sezione prima, ha respinto il ricorso proposto dagli appellanti indicati in epigrafe per l’annullamento del decreto del Capo della Polizia del 1° settembre 1995, con cui è stato disposto – tra gli altri – il loro inquadramento nei nuovi ruoli della Polizia di Stato di cui al D.Lgs.12 maggio 1995, n. 197, attuativo dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n.  216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato.

2.- L’appello è infondato.

3.- Gli appellanti sostengono, in primo luogo, che la riforma, attuata dal D.L.gs 12 maggio 1995, n. 197, concernente attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato, ha sospinto gli Ispettori di cui alla riforma del 1981 nel livello dei Sovrintendenti (divenuti, dal canto loro, ispettori), determinando la sostanziale scomparsa degli ispettori come categoria caratterizzata da una propria specificità.

In particolare, il nuovo ispettore svolge, ai sensi dell’art. 3 del D.L.gs. n. 197/1995, che sostituisce l’art. del D.P.R. n. 335/1982, compiti d’istituto (attività di ufficio e di ordine pubblico, oltre che investigative, mentre agli appellanti era destinato l’esercizio di funzioni investigative, nell’ambito di direttive superiori.

In base al principio per cui il lavoratore, anche pubblico, deve essere adibito alle mansioni proprie della qualifica di appartenenza (art. 56 del D.L.vo 3/2/1993, n. 29 e art. 31 T.U. degli impiegati civili dello Stato), l’ispettore del ruolo ex lege n. 121/1981 aveva diritto a non essere rimosso dalle funzioni relative e il “depauperamento” di siffatte funzioni non poteva essere attuato dal legislatore senza violare gli artt. 2, 3, 4, e 35 della Costituzione. 

Il motivo di appello è infondato alla stregua delle considerazioni esposte dalla Corte costituzionale nella sentenza 17 marzo 1998, n. 63 ( ribadite nella successiva ordinanza 30 aprile 1999, n. 151) che, in questa sede, si richiamano.

Occupandosi, in particolare della censura di eccesso di delega sotto il profilo che non si sarebbero dovuti modificare il ruolo degli ispettori né le nuove funzioni di investigazione, la Corte Costituzionale ha osservato che la delega di cui all’art. 3 della legge n. 216/1992 prevedeva tutte le necessarie modifiche degli ordinamenti per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, si noti, con riguardo ad una vasta gamma di ordinamenti comprendenti Forze di Polizia e Forze armate. Di conseguenza, non può rinvenirsi nella delega l’affermazione della intangibilità della posizione del ruolo degli ispettori. Nè ciò può dedursi dalle altre limitazioni contenute nell’art. 3, in quanto i compiti istituzionali sono quelli previsti per i singoli corpi, mentre gli artt. 3 e 4 del D.L.vo di cui si tratta non coinvolgono norme fondamentali di Stato, né “attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza” (con chiaro riferimento alla prima parte del Capo I della l. 1° aprile 1981 n. 121).

Neppure – come prosegue la Corte - si ravvisa la lesione dell’art. 97 della Costituzione, ad opera delle norme denunciate del D.L.vo n. 197, in quanto le variazioni dell’assetto organizzativo della Pubblica amministrazione rientrano nelle scelte del legislatore, e non sono di per sé indice di un peggioramento dell’andamento dell’amministrazione, anche se diminuiscono o non accrescono le posizioni di singoli o di gruppi di dipendenti. Ciò in quanto si inseriscono in un disegno dichiarato di politica normativa tendente alla razionalizzazione e alla omogeneizzazione di situazioni di ordinamenti, quali quelli delle Forze di Polizia o delle Forze armate, che in una valutazione politica dello stesso legislatore (certamente non palesemente arbitraria o manifestamente irragionevole) doveva essere ricondotte ad effettivo equilibrio di trattamenti normativi ed economici, (v., per riferimenti, sent. n. 65 del 1997), evitando alterazioni settoriali e rincorse di rivendicazioni.

Sul piano costituzionale le norme denunciate sono il risultato di una scelta del legislatore che può essere anche discutibile in comparazione ad altre possibili soluzioni più o meno convenienti per particolari interessi di categorie o di settori di personale (certamente degni di apprezzamento nella sede opportuna di iniziativa); ma ciò costituisce merito di politica legislativa non sindacabile in questa sede al di fuori dei ricordati limiti di non palese arbitrarietà o di non manifesta irragionevolezza.

Né le modifiche ordinamentali e di trattamento intervenute con riferimento ai sovrintendenti ed agli ispettori erano precluse dalla delega legislativa e dai relativi criteri e principi direttivi, che espressamente prevedevano “la revisione dei ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra, anche mediante la soppressione di qualifiche, gradi, ovvero mediante la istituzione di nuovi ruoli, qualifiche e gradi”, con “le occorrenti disposizioni transitorie”. Come si vede la delega era di tale ampiezza da consentire certamente modificazioni dell’ordinamento del personale e dei ruoli ai fini di una migliore organizzazione. Di conseguenza, il mutatamento del precedente assetto per dette categorie e ruoli non può essere riproposto neppure sotto un indiretto profilo di violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Del resto, il predetto principio costituzionale resta estraneo alla tutela delle posizioni acquisite o dei precedenti assetti normativi derivanti da una legge, quale quella n. 121 del 1981, che costituisce solo un inizio di omogeneizzazione dei trattamenti del settore, e, si può aggiungere, non un modello assolutamente ottimale, e, quindi, non immodificabile, in relazione anche ad esigenze man mano sopravvenute di notevole rilievo, secondo l’apprezzamento dello stesso legislatore, come quelle di equilibrio di interi settori di Polizia e di Forze armate.

Neppure può essere condivisa la censura, contenuta nel motivo di appello in esame e riproposta anche nel quinto motivo, secondo il quale gli ispettori sarebbero stati “accomunati” ai sovrintendenti.

Come pure osservato dalla Corte Costituzionale nella summenzionata sentenza del 1998, il ruolo dei sovrintendenti è rimasto distinto da quello degli ispettori, e solo in via transitoria si è operato un inquadramento degli attuali sovrintendenti e vice sovrintendenti nella qualifica di vice ispettore, mentre i sovrintendenti capo e i sovrintendenti principali inquadrati nella qualifica di ispettore capo del ruolo ad esaurimento rimangano funzionalmente subordinati agli ispettori capo del ruolo degli ispettori, ridimensionandosi così taluni effetti dell’inquadramento (art. 15, comma 3).

4.- Per considerazioni analoghe a quelle sopra esposte vanno respinti il secondo, il terzo motivo di appello con i quali i ricorrenti contestano la mancata salvaguardia della qualifica di ispettore, in precedenza acquisita per concorso pubblico, e il mancato rispetto del valore del titolo di studio.

5.- Parimenti infondati sono il quarto, il quinto ed il sesto motivo di appello con i quali i ricorrenti denunciano il diverso trattamento accordato dal legislatore a categorie di dipendenti ai quali è stato consentito di transitare  per concorsi interni nei ruoli della carriera direttiva dei funzionari (v. assistenti del disciolto Corpo di polizia femminile  e ispettori di polizia penitenziaria) ovvero nel ruolo degli ufficiali (marescialli dell’Arma dei carabinieri).

Secondo un costante principio giurisprudenziale, la diversità tra ordinamenti che riguardano le varie categorie di dipendenti pubblici ne giustifica una disciplina differenziata, anche in relazione ad istituti o ad aspetti comuni, quando la regola prevista risulti coerente con le altre norme che disciplinano la categoria considerata e non sia in contrasto, sotto altri profili, con il principio di ragionevolezza (cfr. Corte Cost., 7 aprile 1988, n. 409).

Inoltre, va riconosciuta al legislatore un’ampia discrezionalità nella scelta dei sistemi e delle procedure di progressioni in carriera dei dipendenti pubblici, con il limite, derivante dall’art. 97 della Costituzionale, che tale scelta sia compatibile con il buon andamento della pubblica Amministrazione (Corte Cost., sentt. n. 187 del 1990; n. 331 del 1988; nn. 232 e 188 del 1974).

Nelle fattispecie sopra menzionate non sembra che sia stato superato il suddetto limite, essendovi situazioni organizzative o di stato giuridico particolari che hanno giustificato la scelta legislativa (cfr., per quanto concerne l’ammissione al concorso per l’accesso alla qualifica di commissario di polizia delle dipendenti appartenenti alla ex carriera di concetto del Corpo di polizia femminile, Corte cost. 5 maggio 1993, n. 219).

6.- Alla stregua delle suesposte considerazioni vanno ritenute manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L.vo n. 197 del 1995 sollevate dagli appellanti.

L’appello deve, pertanto, essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Circa le spese e gli altri oneri processuali, si ravvisano giusti motivi per compensarli tra le parti anche in questo grado di giudizio.

P. Q. M.

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

       Compensa tra le parti le spese di giudizio.

       Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

       Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA     Presidente

Sabino LUCE                                                                        Consigliere

Luigi MARUOTTI          Consigliere

Carmine VOLPE             Consigliere

Guido SALEMI               Consigliere, est. 
 

Presidente

MARIO EGIDIO SCHINAIA

      Consigliere Estensore                                              Segretario

GUIDO SALEMI     ANNAMARIA RICCI 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il.....23/01/2006..

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì.........................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 
 

                                                                        Il Direttore della Segreteria 
 
 
 

 
 

Reg.ric.n. 2807/2000


 

A.L.