REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 3486/2009

Reg.Dec.

N. 177 Reg.Ric.

ANNO   2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 177/2007 proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi 12,

contro

il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti -

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, Sezione II, 19 dicembre 2005, n. 1745;

     visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato e la memoria dallo stesso prodotta a sostegno delle proprie difese;

     visti gli atti tutti di causa;

     vista l’ordinanza della Sezione 6 febbraio 2009, n. 695;

     relatore, alla pubblica udienza del 31 marzo 2009, il Consigliere -

     uditi, per le parti, l’avv. dello Stato -

     Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

F A T T O   e   D I R I T T O

     1) - Con la sentenza impugnata il TAR ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento della nota Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale per le Risorse Umane prot. n. 333-G/9813 del 14.5.2002 (notificata l’8.10.2002), e, per quanto possa occorrere, della sconosciuta circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. UCI/40757/27720/0/2 del 24.8.1998, nonché per l’annullamento di ogni atto precedente e presupposto, conseguente e/o connesso; con il ricorso era anche chiesto l’accertamento del diritto del ricorrente a percepire gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme spettantigli a titolo di “autonoma maggiorazione stipendiale” ex art. 2, comma 1, del D.L. n. 341/1996, nonché per l’accertamento del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti e patiendi in conseguenza dei provvedimenti impugnati, con conseguente condanna dell’amministrazione intimata all’integrale rifusione degli stessi.

     In linea di fatto ha precisato, il TAR, che il ricorrente, vice questore aggiunto della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Imperia, agiva per l’accertamento del diritto ad ottenere la liquidazione degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme corrispostegli in ritardo a titolo di “autonoma maggiorazione stipendiale” ex art. 2, comma 1, del decreto legge 29 giugno 1996, n. 341 (convertito in legge 8 agosto 1996, n. 427), nonché per il risarcimento del danno consistente nell’aggravamento della sua condizione finanziaria; che il medesimo esponeva di aver maturato il diritto a percepire l’autonoma maggiorazione stipendiale prevista da detta norma e che tale emolumento, tuttavia, gli sarebbe stato versato con grave ritardo soltanto nel corso dell’anno 2002, a seguito della rideterminazione del trattamento economico effettuata (con D.M. n. 333-G/2622 del ’1 febbraio 2000) in sede di applicazione della norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 14 comma 7 della legge 28 luglio 1999, n. 266.

     Hanno osservato, in particolare, i primi giudici, che detta norma ha previsto l’erogazione, a decorrere dal 1° settembre 1995, di una “autonoma maggiorazione stipendiale” di importo fisso a favore del personale di polizia di determinate qualifiche e che era pacifico e non contestato che il ricorrente avesse diritto a percepire la citata autonoma maggiorazione stipendiale; e che successivamente, l’art. 14, comma 7, della legge 28 luglio 1999, n. 266, ha stabilito, con norma di interpretazione autentica, che l’art. 2, comma 1, del decreto legge n. 341/1996 si interpreta nel senso che l’autonoma maggiorazione stipendiale ivi prevista non assorbe gli scatti aggiuntivi attribuiti ai funzionari di polizia in forza dell’art. 4, comma 2, del D.P.R. 10 aprile 1987, n. 150 (2,5 % della classe di stipendio in godimento).

     In realtà, aggiunge il TAR, anche a prescindere dalla disposizione di interpretazione autentica contenuta nella legge n. 266/1999 - l’ art. 4, comma 2, del D.P.R. 10 aprile 1987, n. 150 (così come l’omologo art. 138, comma 5, della legge 11 luglio 1980, n. 312, concernente il personale militare) stabiliva già chiaramente che gli scatti aggiuntivi del 2,5 % della classe di stipendio in godimento sono riassorbibili “solo in caso di promozione o di nomina a grado o a qualifica che comporta il passaggio ad un livello retributivo superiore”, escludendo implicitamente il riassorbimento ad opera di una autonoma maggiorazione stipendiale attribuita per legge e non legata ad alcuna promozione o nomina a gradi superiori; con la conseguenza che la rideterminazione del trattamento economico del ricorrente effettuata dal Ministero (con D.M. n. 333-G/2622 del  1 febbraio 2000) in sede di applicazione della norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 14, comma 7, della legge n. 266/1999 non rivestiva carattere autoritativo, bensì paritetico; essa, infatti, lungi dal costituire una nuova posizione funzionale e retributiva, era consistita in un’operazione materiale - di carattere meramente contabile – di raffronto tra lo spettante ed il percepito e di conseguente quantificazione degli arretrati di stipendio non corrisposti tempestivamente per via dell’indebito riassorbimento degli scatti aggiuntivi ex art. 4, comma 2, del D.P.R. n. 150/1987ad opera dell’autonoma maggiorazione stipendiale ex art. 2, comma 1, del D.L. n. 341/1996.

     Dunque, hanno concluso i primi giudici, gli importi (£. 5.243.751, pari ad € 2.708,17) di cui al prospetto contabile allegato al D.M. n. 333-G/2622 del 1 febbraio 2000, di ricostruzione della posizione retributiva del ricorrente rappresentavano crediti retributivi che trovavano titolo direttamente nella legge; e per consolidata giurisprudenza, nel caso in cui il credito di retribuzione del pubblico dipendente promani direttamente da una norma di legge o da altro atto generale a contenuto normativo (per esempio: accordo collettivo), il dies a quo degli interessi e della rivalutazione monetaria sui relativi emolumenti tardivamente corrisposti decorre dalla data di entrata in vigore della disposizione normativa attributiva del diritto o dalla diversa data di decorrenza del diritto fissata dalla stessa norma; sicché, all’atto della liquidazione delle differenze retributive ex art. 14, comma 7, della legge n. 266/1999 spettavano al ricorrente, sulle singole somme e dalle date di rispettiva maturazione (come risultanti dalle colonne 1 e 6 del predetto prospetto contabile) anche gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, con la precisazione che, dal 1° gennaio 1995, vige il divieto di cumulo ex artt. 16, comma 6, della legge n. 412/1991 (“l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito”) e 22, comma 36, della legge n. 724/1994.

     2) - Per il Ministero appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto il TAR (contraddicendo, tra l’altro, talune precedenti proprie pronunce in termini, reiettive di analoghi ricorsi) non avrebbe tenuto conto del fatto che, in realtà, l’emolumento di cui si tratta sarebbe stato debitamente e tempestivamente corrisposto, a suo tempo, all’interessato e che solo le differenze rispetto al trattamento stesso derivante dalla disciplina normativa, di carattere, sostanzialmente, innovativo, introdotta dal d.l. n. 266 del 1999 avrebbe indotto il Ministero a integrare le somme già in precedenza liquidate, con un ritardo che non dovrebbe onerare l’amministrazione stessa, chiamata ad esaminare, dopo l’emanazione della legge, un largo numero di posizioni retributive da adeguare alla predetta novella normativa, non costituente, si assume, norma interpretativa in senso proprio e, come tale, non dotata di capacità retroattiva.

     Controdeduce l’appellato che insiste, in memoria, per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

     Con ordinanza n. 695 del 2009 la Sezione ha ritenuto, ai fini della completezza istruttoria, di dover acquisire un’analitica relazione (integrativa di tutta la documentazione già in atti, depositata in giudizio dal patrocinio erariale), atta a chiarire a partire da quale momento e con quale cadenza temporale sarebbero stati versati all’interessato, a partire dall’entrata in vigore del d.l. n. 341 del 29 giugno 1996 (convertito in legge n. 427 dell’8 agosto 1996), gli emolumenti relativi alla specifica voce autonoma maggiorazione stipendiale, ex art. 2, comma 1, del medesimo decreto legge, nonché a precisare l’entità delle differenze retributive al medesimo asseritamente già corrisposte ai sensi dell’art. 14 della legge n. 266 del 28 luglio 1999 e le modalità di concreta determinazione e corresponsione delle stesse; l’incombente è stato posto a carico dell’amministrazione appellante.

     Con nota depositata il 25 marzo 2009 il Ministero ha fornito le seguenti indicazioni: a) - l’art. 14 della legge n. 266 del 1999 prevede l’attribuzione di benefici stipendiali a favore dei tenenti e dei capitani delle Forze armate e dei corrispondenti gradi di Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato, disponendo, in particolare, l’attribuzione, dal 1° gennaio 1992 al 31 agosto 1995, degli scatti aggiuntivi previsti del quinto comma dell’art. 140, legge n. 312/1980, in relazione ai diversi gradi comunque inseriti nel medesimo livello retributivo, anche in deroga al presupposto dell’appartenenza alla carriera stessa; b) – il riassorbimento dei suddetti scatti con l’autonoma maggiorazione stipendiale di cui al d.l. n. 341/1996, convertito in legge n. 427/1996.

     Ciò premesso, nella stessa nota viene ricordato che il comma 7 dell’art. 14 della legge n. 266 del 1999 ha, poi, retroattivamente previsto, in deroga all’art. 140 della legge n. 312/1980, che l’autonoma maggiorazione anzidetta non debba riassorbire gli scatti corrisposti ai sensi del quinto comma dell’art. 138 della legge n. 312/1980; e, al fine di dare applicazione a tale disposizione “innovativa” e di provvedere alla determinazione degli importi dovuti al personale destinatario dei benefici di che trattasi, si è proceduto, da parte della p.a., alla ricostruzione delle posizioni economiche di ogni singolo dipendente che rivestiva le qualifiche interessate a partire dal 1° gennaio 1992; e, nella ricostruzione della posizione dell’odierno appellato, risultava evidente che le somme corrisposte a titolo di autonoma maggiorazione erano state pagate precedentemente alla corresponsione di quelle derivanti dall’applicazione della legge n. 266/1999, e, precisamente, nel mese di marzo 1996, per mezzo di appositi tabulati emessi dal CENAPS.

     Viene anche ricordato che l’art. 14 della legge n. 266/1999 ha consentito non solo l’attribuzione, ora per allora, degli scatti gerarchici ai vice commissari e ai commissari fino al riassorbimento nell’autonoma maggiorazione, ma anche la restituzione ai soli commissari dello scatto gerarchico inizialmente riassorbito; e, al riguardo, viene precisato che i tempi previsti dal d.m. n. 284 del 2 febbraio 1993 sono stati rispettati e che non era dato ravvedere, quindi, gli estremi per il riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, posto che la restituzione dello scatto è avvenuta a seguito di una disposizione legislativa successiva al riassorbimento legittimamente operato, a suo tempo, in applicazione del d.l. n. 341/1996.

     Con ulteriore memoria l’appellato contro deduce a quanto addotto dalla p.a. in sede istruttoria e insiste per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

     3) – L’appello è infondato.

     Pure a seguito della disposta istruttoria non è dato evincere quando e a seguito di quali operazioni contabili sarebbero state erogate all’interessato, fin dal 1996, somme relative alla maggiorazione di cui si tratta; nelle proprie difese l’amministrazione fa riferimento a moduli C.E.N.A.P.S. sottoscritti dall’interessato concernenti le relative erogazioni, ma degli stessi non vi è traccia in atti, né sono stati prodotti in sede di integrazione istruttoria.

     L’allegato 3 alla produzione documentale in primo grado della stessa amministrazione, richiamato nell’appello a supporto delle difese erariali, è il decreto in data 1° febbraio 2000 di riliquidazione di emolumenti a seguito dell’applicazione della legge n. 266/1999 (oltre che della legge n. 85/1997 e dei dd.P.R. nn. 395/1995, 359/1996 e 254/1999); in esso viene fatto riferimento, nella tabella riassuntiva, a somme relative all’autonoma maggiorazione di cui alla legge n. 427/1996, ma non vengono forniti elementi attestanti la sua concreta e materiale corresponsione immediatamente successiva all’entrata in vigore di tale normativa; e neppure forniscono chiarimento al riguardo gli statini allegati alla nota della Questura di Imperia no 1456 del 22 novembre 2001, pure prodotta dall’amministrazione in primo grado.

     In una situazione siffatta, correttamente i primi giudici hanno ritenuto dovuti, all’interessato, interessi e rivalutazione monetaria, nei limiti di legge, sulle somme spettanti a far data dall’entrata in vigore della disciplina normativa del 1996, difettando ogni avversa documentazione attestante la tempestiva erogazione dei correlativi emolumenti; e correttamente lo stesso TAR ha ritenuto che detti interessi dovessero essere computati (sempre a decorrere dalla data di entrata in vigore, nel 1996, della disciplina stessa) avendo riguardo non solo alla disciplina del 1996, ma anche a quella del 1999, la legge n. 266/1999 avendo carattere espressamente interpretativo e valendo, quindi, soltanto a chiarire ciò che era già insito nella disciplina normativa così interpretata; e, cioè, che, nella determinazione degli emolumenti dovuti per l’autonoma maggiorazione di cui al d.l. n. 341/1996, convertito in legge n. 427/1996, non dovesse operarsi il riassorbimento degli scatti corrisposti ai sensi del quinto comma dell’art. 138 della legge n. 312/1980; sicché la relativa differenza retributiva andava computata a far tempo dall’entrata in vigore delle normativa del 1996 e all’interessato competevano, quindi, ex tunc, le relative poste accessorie.

     4) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare infondato e, per l’effetto, deve essere respinto.

     Le spese del grado possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione sesta, respinge l’appello in epigrafe.

     Spese del grado compensate.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 31 marzo 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, con l'intervento dei Signori:

-
 

Presidente

-

Consigliere       Segretario


 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il....08/06/2009

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione


 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 177/2007


 

FF