REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.2199/09

Reg.Dec.

N. 5403 Reg.Ric.

ANNO   2008

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5403 del 2008 proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso ...

contro

-  il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. III, n. 360 del 20 febbraio 2008, resa inter partes;

     Visto l’atto di appello con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;

     Viste le memorie difensive;

     Visti gli atti tutti della causa;

    Alla pubblica udienza del 3 febbraio 2009, relatore il Consigliere ...

     ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     Il sig. @@@@@@@ riferisce di essere Sovrintendente di P.S. e di prestare servizio presso la Questura di @@@@@@@.

     Risulta agli atti che con atto in data 3 novembre 2005 il Superiore gerarchico dell’odierno appellante ebbe a segnalare al Questore quanto avvenuto il precedente 3 ottobre, allorquando il sig. @@@@@@@ ebbe a dichiarare all’Agente @@@@@@@ (a tanto preposto per ordine superiore) che non avrebbe sottoscritto una nota avente ad oggetto ‘Dichiarazione di completezza SDI per i mesi di giugno, luglio, agosto 2005’ (con la sottoscrizione della nota in questione, ciascun operatore dichiarava di avere – o non avere – ottemperato a quanto di propria competenza in ordine agli inserimenti informatici nel Sistema di Indagine Interforze di Polizia / SDI).

     Invitato per iscritto dal proprio superiore gerarchico ad ottemperare a quanto sopra, l’odierno appellante confermava che non vi avrebbe provveduto in quanto non avrebbe avuto alcuna competenza in materia ed in quanto, nella sua qualità di pattugliante non capoturno, non avrebbe avuto alcun obbligo di inserimento (e non sarebbe stato comunque in grado di provvedervi, non avendo ricevuto alcuna formazione al riguardo).

     Pertanto, il superiore gerarchico del Sov. @@@@@@@ segnalava l’accaduto al Questore, osservando che “l’atteggiamento assunto dal Sovrintendente @@@@@@@ [sembra assumere] rilevanza disciplinare, diversa dal richiamo orale, potendosi riscontrare estremi di insubordinazione o negligenza, contrari ai comportamenti propri di un dipendente della Polizia di Stato e in particolare di un suo ufficiale di P.G.”.

     Con atto in data 3 gennaio 2006, il competente funzionario istruttore provvedeva a contestare gli addebiti a carico dell’odierno appellante, ai sensi dell’art. 14, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (in tema di Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti).

     L’iter del procedimento disciplinare proseguiva con la relazione finale del funzionario istruttore (atto in data 21 febbraio 2006), il quale rilevava:

- che l’odierno appellante non avesse adempiuto con diligenza agli obblighi di inserimento nello S.D.I. su lui incombenti (in virtù della qualifica di ufficiale di P.G. ricoperta ed in base al possesso dell’abilitazione al ‘profilo 245’ nel sistema S.D.I. da lui conseguita);

      - che lo stesso appellante avesse ammesso di non aver più effettuato inserimenti nel sistema S.D.I. a partire dall’ottobre del 2002;

- che la condotta rilevata sembrava caratterizzata da “profili di omissione, ritardo ovvero manifesta trascuratezza nell’adempimento delle mansioni affidate, che configurano la fattispecie della grave negligenza in servizio (…)”;

- che la condotta medesima si aggiungesse ad un nutrito novero di precedenti sanzioni disciplinari irrogate nei suoi confronti nel corso degli anni, “configurandosi così il presupposto della reiterazione per l’integrazione della violazione contestata”.

     A seguito dell’audizione orale dell’incolpato (avvenuta innanzi al Consiglio Provinciale di Disciplina in data 22 marzo 2006), il medesimo Consiglio giudicava l’odierno appellante responsabile di un’infrazione disciplinare punibile con la sanzione della deplorazione ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 737 del 1981,  cit.

     In particolare, il C.P.D. proponeva di irrogare la richiamata sanzione con la motivazione che segue: “quale Vice Responsabile di Turno Volanti, su specifica richiesta del Dirigente dell’Ufficio, si rifiutava di sottoscrivere la dichiarazione di completezza relativa agli inserimenti nella banca dati S.D.I. per il trimestre giugno-agosto 2005, sostenendo di non averne obbligo, dimostrando grave negligenza nell’adempimento dei compiti affidati e le non conoscenza delle proprie attribuzioni”.

     Conseguentemente, con il decreto in data 16 maggio 2006 (fatto oggetto dell’impugnativa in primo grado) il Ministero dell’Interno – D.G. della Pubblica Sicurezza irrogava all’odierno appellante la sanzione della deplorazione, facendo rinvio e prestando integrale adesione alle valutazioni espresse dal C.P.D.

     Il provvedimento in questione veniva impugnato dal sig. @@@@@@@ innanzi al competente T.A.R. della Lombardia il quale, con la sentenza oggetto del presente gravame, respingeva il ricorso.

     La sentenza in questione veniva gravata in appello dal sig. @@@@@@@ il quale ne deduceva l’erroneità sotto numerosi profili, con particolare riguardo:

  1. al termine di durata del procedimento;
  2. all’incompetenza del superiore gerarchico;
  3. alle valutazioni della Commissione di disciplina;
  4. all’esercizio in concreto della discrezionalità da parte dell’Amministrazione procedente;
  5. allo svolgimento del procedimento disciplinare;
  6. alla violazione dell’art. 5, d.P.R. 737 del 1981;
  7. alla necessaria corrispondenza fra contestazione e provvedimento.

     Si costituiva in giudizio l’Avvocatura Centrale dello Stato, la quale concludeva nel senso dell’inammissibilità ovvero dell’infondatezza del gravame.

     All’udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2009 i Procuratori delle Parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in decisione.

     MOTIVI DELLA DECISIONE

     1. Con il ricorso in epigrafe il sig. @@@@@@@ (Sovrintendente di P.S. in servizio presso la Questura di @@@@@@@) propone appello avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato respinto il suo ricorso avverso il decreto del Capo della Polizia con cui gli è stata inflitta la sanzione della deplorazione (art. 6, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 – diciannovesima sanzione disciplinare della carriera -) poiché “quale Vice Responsabile di Turno Volanti, su specifica richiesta del Dirigente dell’Ufficio, si rifiutava di sottoscrivere la dichiarazione di completezza relativa agli inserimenti nella banca dati S.D.I. per il trimestre giugno-agosto 2005, sostenendo di non averne obbligo, dimostrando grave negligenza nell’adempimento dei compiti affidati e le non conoscenza delle proprie attribuzioni”.

     2. Con il primo motivo di appello (reiterativo di analogo argomento già esaminato e disatteso dal T.A.R.), il sig. @@@@@@@ osserva che il procedimento disciplinare conclusosi con il provvedimento sanzionatorio impugnato in prime cure risulterebbe illegittimo per il superamento del termine massimo di 120 giorni dall’inizio del procedimento stesso, e comunque, per il superamento del termine residuale di cui all’art 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241.

     Il T.A.R. ha respinto l’argomento in questione osservando che nessuna delle disposizioni addotte dall’appellante a sostegno delle proprie tesi (art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; art. 9, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737) possa essere intesa nel senso di individuare in 120 giorni il termine massimo di durata del procedimento disciplinare.

     Ed infatti:

- l’art. 120 del d.P.R. 3 del 1957 non stabilisce un termine di durata massima del procedimento disciplinare in se, ma prevede piuttosto che il procedimento medesimo di estingua laddove entro il richiamato termine di centoventi (rectius: novanta) giorni non venga compiuto alcun atto della procedura;

- l’art. 9, sesto comma, del d.P.R. 737 del 1981 non fissa a propria volta un termine di durata massima del procedimento disciplinare, ma prevede piuttosto che il procedimento medesimo debba essere avviato entro il richiamato termine di centoventi giorni dal momento in cui è intervenuta una sentenza penale di condanna per fatti che assumere rilevanza anche ai fini disciplinari.

     Il sig. @@@@@@@ lamenta che il T.A.R. abbia omesso di considerare che, anche a prescindere dal contenuto prescrittivo delle disposizioni da ultimo richiamate (ed in assenza di disposizioni puntuali circa il termine di durata massima del procedimento disciplinare), il termine in questione dovrebbe essere individuato in quello residuale di cui all’art. 2 della l. 241 del 1990, che nella specie risulterebbe superato.

     2.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

     In primo luogo il Collegio osserva che, quand’anche la vicenda per cui è causa fosse regolata puntualmente della previsioni di cui alla l. 241 del 1990, il termine procedimentale applicabile non sarebbe quello di trenta giorni invocato dall’appellante, bensì quello di novanta giorni di cui al comma 3 dell’art. 2 della medesima legge, come sostituito dall’art. 3, comma 6-bis del d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (conv. dalla l. 14 maggio 2005, n. 80).

     Si deve osservare, comunque, che la procedura per l'irrogazione di una sanzione disciplinare al personale della Polizia di Stato non soggiace, per quanto attiene ai termini, alla disciplina dettata dalla l. 7 agosto 1990 n. 241, atteso che le sue scansioni temporali sono fissate dalle disposizioni speciali di cui al più volte richiamato d.P.R. 737 del 1981 nonché – in quanto compatibili – dalla disposizioni parimenti speciali in tema di procedimenti disciplinari dettate dal d.P.R. n. 3 de 1957 (in tal senso, l’art. 31 del d.P.R. 737, cit.).

     Per quanto concerne, poi, il rispetto in concreto dei termini procedimentali di cui all’art. 120 del d.P.R. n. 3 del 1957 e di cui all’art. 9 del d.P.R. 737 del 1981, la sentenza appare altresì condivisibile laddove ha ritenuto che le richiamate previsioni non appaiano conferenti ai fini della risoluzione della vicenda di causa (e che, comunque, esse non risultino nella specie violate).

     Ed infatti:

- quanto alla prima di tali previsioni, non risulta in atti che nel corso del procedimento disciplinare siano stati superati i termini di cui all’art. 90 del d.P.R. 3 del 1957 (il quale sanziona il mancato compimento di atti della procedura per un certo lasso di tempo)

- quanto, poi, alla seconda di tali previsioni, essa risulta inapplicabile alla vicenda di causa, atteso che il procedimento disciplinare a carico dell’odierno appellante non era stato avviato in conseguenza di una sentenza penale di condanna.

     3. Con il secondo motivo di appello (con il quale, del pari, si reitera analogo motivo già esaminato e disatteso dal T.A.R.) il sig. @@@@@@@ torna a contestare la correttezza dell’atto di contestazione degli addebiti per la parte in cui ha affermato che il fatto contestato “assum[e] rilevanza disciplinare, diversa dal richiamo orale (…)”.

     In tal modo operando, il superiore gerarchico avrebbe violato il principio generale valevole in materia di procedimenti disciplinari che vieta al soggetto che redige il rapporto disciplinare, di formulare proposte relative alla specie e all’entità della sanzione.

     3.1. Il motivo non può essere condiviso.

     Al riguardo il Collegio osserva che la sentenza gravata appaia condivisibile laddove ha ritenuto che la formulazione dell’atto di avvio del procedimento disciplinare non contenesse una puntuale proposta in ordine alla specie e all’entità della sanzione da irrogare (il che, avrebbe determinato una violazione del principio di cui al richiamato art. 12, d.P.R. 737 del 1981).

     Al contrario, l’atto del superiore gerarchico si limitava ad individuare il comportamento censurato come passibile di una sanzione superiore a quella del richiamo orale, all’evidente fine (limitato ai profili procedurali ed avulso dalla finalità di influenzare la definizione nel merito della questione) di individuare ex ante il diverso iter che il procedimento sanzionatorio avrebbe dovuto nella specie seguire (si tratta di un approccio che trova conferma sistematica nella previsione di cui al primo comma dell’art. 107, d.P.R. 3 del 1957 in tema di trasmissione degli atti alla Commissione di disciplina a fronte di condotte che, verosimilmente, saranno passibili di una sanzione più grave della censura).

     4. Con il terzo motivo di appello si torna a censurare l’operato della Commissione di disciplina (sostanzialmente fatto salvo dalla sentenza impugnata) per la parte in cui avrebbe concretato una disparità di trattamento fra l’odierno ricorrente ed altri dipendenti al pari di lui assoggettati a giudizio disciplinare per fatti analoghi.

     In particolare, la Commissione avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione l’esigenza di assicurare al sig. @@@@@@@ volta un trattamento analogo rispetto:

- all’Ispettore Capo Serra (il quale, incolpato di una violazione disciplinare identica a quella del sig. @@@@@@@, era stato assoggettato alla sola sanzione del richiamo scritto);

- all’Ispettore Capo Reiteri (il quale, pur avendo dichiarato in sede di compilazione del modulo di cui sopra di NON avere completato gli inserimenti nello S.D.I., non era stato assoggettato ad alcuna sanzione – rectius: ad alcun procedimento disciplinare -)

     Con il quarto motivo il sig. @@@@@@@ lamenta che, nell’irrogare a proprio carico la sanzione della deplorazione, l’Amministrazione non abbia tenuto in adeguata considerazione il consolidato orientamento giurisprudenziale che impone all’Amministrazione di valutare la veridicità dei fatti contestati al dipendente, nonché l’adeguatezza della sanzione irrogata alla luce dei principi di specialità e proporzionalità.

     Con il quinto motivo (per molti versi analogo al terzo), il sig. @@@@@@@ lamenta che, nell’irrogare a proprio carico la grave sanzione della deplorazione, l’Amministrazione non abbia fatto corretta applicazione del principio di gradualità sanzionatoria, anche in considerazione del difforme (e più favorevole) trattamento riservato – per condotte assimilabili – all’Ispettore Capo Serra ed all’Ispettore Capo Reiteri.

     Con il settimo motivo, poi, l’appellante lamenta che il difforme trattamento a lui riservato (in relazione a quanto operato nei confronti dei predetti Colleghi) abbia concretato una violazione dei principi di trasparenza e lealtà che necessariamente devono ispirare l’Amministrazione nell’adozione delle proprie determinazioni nella materia disciplinare.

     4.1. I motivi in questione, che possono essere esaminati congiuntamente, non possono essere condivisi.

     Al riguardo giova premettere che, conformemente a generali principi valevoli anche nella materia che ne occupa, l’eccesso di potere per disparità di trattamento è individuabile solo a fronte di effettiva identità fra i termini della comparazione, non potendo tale disparità essere apprezzata a fronte di complessive posizioni soggettive ed oggettive caratterizzate da indubbie peculiarità.

     Per tali ragioni, occorre sin da ora escludere la lamentata disparità di trattamento con quanto disposto nei confronti dell’Ispettore Capo Reiteri, attesa l’obiettiva diversità delle condotte ascritte (nel caso dell’odierno appellante la contestazione riguardava il rifiuto di compilare e sottoscrivere il modulo, in quanto asseritamente – ed erroneamente – non rientrante nelle proprie competenze, mentre nel caso del Collega Reiteri la contestazione riguardava le modalità ed il contenuto della compilazione, comunque ritualmente avvenuta).

     Ma la disparità di trattamento non può essere invocata neppure nei confronti dell’Ispettore Capo Serra in quanto (pure a fronte di fatti materiali obiettivamente assimilabili), l’illegittimità della valutazione espressa dall’Amministrazione circa la specifica gravità dei fatti contestati può essere affermata solo laddove si accerti anche una violazione del principio di gradualità sanzionatoria (principio richiamato al secondo comma dell’art. 1, d.P.R. 737, cit.).

     Ebbene, riconducendo il principio in questione alle peculiarità del caso di specie, si ritiene che la conformità della sanzione irrogata al generale principio di gradualità debba essere scrutinata non solo in relazione a quanto disposto nei confronti di altri dipendenti, ma anche in reazione alla specifica gravità del fatto commesso dall’appellante come emergente dagli atti dell’istruttoria, nonché in relazione ai precedenti disciplinari a carico dell’incolpato.

     Al riguardo, il Collegio osserva che, dall’esame degli atti del procedimento disciplinare (nonché del giudizio di primo grado), emerge che la condotta ascritta all’odierno appellante rientrasse certamente nel novero delle “abituali o gravi negligenze nell’adempimento dei propri doveri”, sanzionata con la misura della deplorazione ai sensi del primo comma, n. 1) dell’art. 5, d.P.R. 737, cit.

     Ai limitati fini che qui rilevano (e richiamando per il resto a quanto indicato nella sentenza appellata, che qui viene puntualmente condivisa), appare determinante osservare che la complessiva vicenda avesse palesato la sussistenza in capo all’odierno appellante della grave negligenza nell’adempimento dei compiti affidati e la non conoscenza delle proprie attribuzioni contestate dal Consiglio Provinciale di Disciplina.

     Basti osservare al riguardo che, pur essendo provato che il sig. @@@@@@@ era titolare di un profilo di utenza per l’utilizzo della banca dati S.D.I. e che avesse sottoscritto la scheda informativa relativa ai principi regolatori all’accesso a tale banca dati, egli avesse omesso per un lungo lasso di tempo (ottobre 2002-ottobre 2005) di provvedere agli adempimenti di competenza.

     Ancora, richiamato dal superiore gerarchico all’adempimento di tali doveri, egli aveva opposto un duplice ordine di eccezioni (la prima relativa alla mancata sussistenza del proprio obbligo, la seconda relativa alla mancata conoscenza delle modalità concrete dell’inserimento) le quali deponevano a propria volta nel senso della “grave negligenza nell’adempimento dei compiti affidati e [della] non conoscenza delle proprie attribuzioni” condivisibilmente rilevata dal C.P.D. e fatta propria dal Capo della Polizia con il provvedimento impugnato in prime cure.

     Da quanto sopra emerge che la sanzione in concreto irrogata nei confronti dell’odierno appellante non appaia viziata dai lamentati profili di eccesso di potere e che la stessa risulti complessivamente conforme con il più volte principio di gradualità sanzionatoria (da intendersi riferita alle complessive peculiarità della singola condotta e non unicamente in senso relazionale, nei confronti di quanto posto in essere da altri soggetti), anche in considerazione del fatto che la sanzione qui impugnata risulta essere la diciannovesima nella carriera del dipendente.

     5. Con il quinto motivo di appello, poi, il sig. @@@@@@@ lamenta nuovamente che la sanzione disciplinare sia stata irrogata per non avere egli compilato i moduli relativi all’avvenuta ottemperanza agli obblighi di inserimento nello S.D.I. nonostante il mancato accertamento in concreto circa il se l’appellante avesse o meno inserimenti arretrati da effettuare.

     5.1. Il motivo non può trovare accoglimento per la semplice ragione che la sanzione disciplinare è stata adottata per il solo fatto che il sig. @@@@@@@ abbia negato di conoscere gli adempimenti di propria competenza e di intendere provvedervi per il futuro, il che assume rilevanza ai fini disciplinari a prescindere dalla verifica circa il quantum degli adempimenti concreti che egli abbia effettivamente omesso in conseguenza della propria negligente condotta.

     6. Per i motivi esposti, l’appello in epigrafe deve essere respinto.

     Sussistono giusti motivi onde disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 3 febbraio 2009, con l’intervento dei Sigg.ri:

Claudio Varrone Presidente

Paolo Buonvino Consigliere

Aldo Fera Consigliere

Roberto Garofoli Consigliere

Claudio Contessa Consigliere, est. 
 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere       Segretario

CLAUDIO CONTESSA    GIOVANNI CECI 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 9/04/2009

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 5403/2008


 

FF