REPUBBLICA ITALIANA    N.3048/06          REG.DEC.

         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO    N. 3582 REG.RIC.

Il Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale, Quinta  Sezione           ANNO  2001

ha pronunciato la seguente

decisione

sul ricorso in appello n. 3582 del 2001 proposto dalla REGIONE ABRUZZO, costituitasi in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, legalmente domiciliata in Roma in via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il COMUNE DI PESCARA, costituitosi in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Tommaso Marchese, elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli, n. 180, presso lo studio dell’avv. Mario Sanino;

e nei confronti

della CGIL – FUNZIONE PUBBLICA e del signor (omissis),

non costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza n. 181 del 9-24.3.2000, pronunciata dal Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo, sede di Pescara;

visto il ricorso con i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pescara;

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visti gli atti tutti della causa;

designato relatore il consigliere Gabriele Carlotti;

uditi alla pubblica udienza del 20.12.2005 l’avv. St. M. Giannuzzi per la Regione e l’avv. T. Marchese per l’ente civico intimato;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. È impugnata dalla Regione Abruzzo la sentenza con cui il T.a.r. territoriale, in accoglimento del ricorso proposto dal Comune di Pescara, ha annullato la decisione assunta dalla locale sezione provinciale del Co.re.co. nella seduta del 9.6.1999. Nell’occasione, il Comitato regionale aveva, a sua volta, annullato in parte la deliberazione del Consiglio comunale di Pescara del 12.4.1999, con cui erano state apportate alcune modifiche al regolamento comunale del Corpo di polizia urbana.

      I rilievi del Co.re.co. si diressero, per un verso, contro la norma, contenuta nell’art. 26-bis, recante l’inserimento della figura professionale di Vice Comandante nonché la previsione del riconoscimento automatico del nuovo profilo in capo al Funzionario di Vigilanza con la maggiore anzianità di servizio; per altro verso, venne stigmatizzata dall’Organo regionale di controllo la collocazione della figura nell’ambito dell’VIII q.f., dopo quella di Comandante e, tuttavia, in posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto al Funzionario di Vigilanza.

      Più in particolare, il Comitato opinò che le modifiche regolamentari mirassero surrettiziamente alla creazione di un nuovo posto in organico in violazione della regola procedurale - sancita dal C.C.N.L. del comparto Regione - Autonomie locali 1998/2001 (artt. 4, 1° co. e 16, 2° co., lett. a)) - della previa concertazione sindacale in materia di fissazione dei criteri generali per lo svolgimento delle selezioni per i passaggi tra qualifiche e che, pur a voler configurare l’attribuzione dei compiti del Vice Comandante alla stregua di un incarico a tempo determinato, fosse comunque censurabile la previsione di un meccanismo di assegnazione automatica, contrastante con il criterio del “merito comparativo” tra i potenziali candidati, imposto dall’art. 9, 2° co., della medesima disciplina contrattuale.

2. Il tribunale abruzzese giudicò illegittimo il provvedimento di controllo sulla base di un duplice ordine di considerazioni.

      Innanzitutto il T.a.r. ritenne che l’atto impugnato non recasse – come prescritto dall’art. 17, comma 41, della L. n. 127/1997 – l’indicazione specifica delle norme violate; inoltre, muovendo dalla premessa teorica della natura esclusivamente privatistica dei contratti collettivi nazionali di lavoro, il primo giudice pervenne alla conclusione dell’inidoneità delle relative disposizioni a valere, in sede di controllo, come parametro interposto di legittimità degli atti esaminati.

3. Avverso le riferite statuizioni della pronuncia è insorta in appello la Regione Abruzzo, affidandosi al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.

4. Nel grado di giudizio così instaurato si è costituita, per resistere all’impugnazione, l’amministrazione civica intimata, contestando tutte le deduzioni avversarie e concludendo per l’integrale conferma della sentenza appellata, previa reiezione del gravame.

5. All’udienza del 20.12.2005 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

6. L’appello è fondato e merita integrale accoglimento.

7. Ai fini della migliore esposizione delle ragioni del decidere occorre preliminarmente riportare il testo della norma attorno alla cui interpretazione si addensano tutte le questioni devolute alla cognizione del Collegio.

      L’art. 17 della L. 15.5.1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), al comma 41, nella parte d’interesse, recitava (il comma è stato, difatti, abrogato dall’art. 274 del D.Lgs. n. 267/2000): «Il controllo di legittimità comporta la verifica della conformità dell’atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie specificamente indicate nel provvedimento di annullamento, per quanto riguarda la competenza, la forma e la procedura, e rimanendo esclusa ogni diversa valutazione dell’interesse pubblico perseguito» (il corsivo è stato aggiunto).

8. Ad avviso del Collegio, a torto il T.a.r. dell’Abruzzo ha escluso dal novero delle “norme vigenti”, cui si riferisce la disposizione, le previsioni dei C.C.N.L.. Ed invero l’errore concettuale che inficia alla radice l’intero impianto argomentativo su cui poggia la sentenza impugnata s’annida proprio nell’approccio riduzionistico alla nozione di norma che, nell’angusta visione del primo giudice, risulta confinata entro il circoscritto ambito dell’emanazione da una fonte positiva.

      In realtà, sebbene i contratti collettivi non siano in senso stretto “fonti del diritto”, è altrettanto indiscutibile che essi contengano anche norme, né è contestabile che la disciplina da essi dettata si articoli in plurime fattispecie astratte entro cui sussumere la valutazione giuridica delle condotte umane.   

      È, dunque, fuorviante l’argomento incentrato sulla natura privatistica dei C.C.N.L.: il rilievo – giova ribadirlo – può al più corroborare il giudizio di estraneità dei contratti collettivi dall’area semantica occupata dal concetto di fonte del diritto, ma certo non impedisce di considerare le regole da essi poste alla stregua di idonei parametri di controllo della legittimità.

      Di quest’ultima affermazione è, d’altronde, prova eloquente la circostanza che, fin dal 1998 (v. l’art. 68-bis del D.Lgs. n. 29/1993, siccome modificato dall’art. 19 del D.Lgs. n. 387/1998), il Legislatore ha previsto che la funzione nomofilattica del Supremo Collegio si eserciti anche in ordine all’applicazione delle disposizioni dei C.C.N.L., sottoscritti dall’A.R.A.N..

9. La sentenza impugnata nemmeno resiste alla seconda critica formulata con l’appello.

      È, difatti, censurabile l’eccessivo formalismo con cui il primo giudice ha interpretato il requisito della specificità dell’indicazione delle disposizioni violate: ai sensi del succitato comma 41 non era  necessario che l’accertamento dell’inosservanza di una norma fosse accompagnato dall’enunciazione degli esatti estremi identificativi, bastando invece che, in base al complessivo tenore dell’atto di annullamento, fosse individuabile in maniera chiara la previsione tenuta presente dall’Organo di controllo.

      Orbene, una volta calato il principio alla fattispecie, deve recisamente escludersi che il Co.re.co. di Pescara abbia omesso siffatta indicazione: da un lato, va infatti osservato che il provvedimento in contestazione riporta la precisa numerazione dei surrichiamati articoli del “C.C.N.L. 1998/2001” e che, dall’altro lato, non si ravvisa alcuna decettività insita in questa formula, giacché l’oggetto della delibera comunale non aveva alcuna attinenza con le materie regolamentate dall’altro, coevo, contratto collettivo citato dal T.a.r., ancorché relativo al medesimo comparto.

10. In conclusione, la sentenza appellata non resiste all’urto delle censure contro di essa rivolte e, pertanto, merita riforma nei limiti del devoluto.

      Sussistono giustificati motivi per compensare le spese processuali del doppio grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di I grado.

Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 20.12.2005, con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Iannotta     - Presidente

Giuseppe Farina     - Consigliere

Aldo Fera      - Consigliere

Marzio Branca     - Consigliere

Gabriele Carlotti     - Consigliere estensore

L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

f.to Gabriele Carlotti   f.to Raffaele Iannotta 
 

IL SEGRETARIO

F.to Gaetano Navarra 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23 maggio 2006

(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)

PER IL  DIRIGENTE

                                             f.to Livia Patroni Griffi

e

 
 

  N°. RIC. 3582-01