REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 3142/06

Reg.Dec.

N. 1089  Reg.Ric.

ANNO  2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dall’INPDAP – Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, rappresentato e difeso dall’avv. Domenico Vicini, ed elettivamente domiciliato in Roma, Piazza delle Muse, n. 7,

contro

il Ministero dell’Interno, il Ministero della Difesa, rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

la Regione Carabinieri di Catanzaro, non costituita,

e nei confronti

di ...OMISSIS.......OMISSIS.... ...OMISSIS...., rappresentato e difeso dall’avv. Pittelli Giancarlo, ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’avv. Sergio D’Alfonso, Piazza Cola di Rienzo, n. 92,

per l'annullamento

della sentenza n. 2259 del 2002 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sez. I di Catanzaro, resa inter partes.

       Visto il ricorso con i relativi allegati;

       Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

       Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

       Visti gli atti tutti della causa;

       Alla pubblica udienza del 7 marzo 2006, relatore il Consigliere Giuseppe Romeo, uditi l’avv. Vicini e l’avvocato dello Stato Vessichelli;  

       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

      1.- Con la sentenza della quale viene chiesta la riforma, il TAR Catanzaro ha accolto il ricorso dell’istante (dipendente dell’Arma dei Carabinieri, collocato a riposo durante la vigenza del contratto collettivo n. 359/1996) per il riconoscimento del diritto al computo dell’indennità di buonuscita con l’inclusione degli incrementi stipendiali previsti dal contratto collettivo approvato con d.p.r. 10 maggio 1996 n. 359, che diluisce tali incrementi secondo le scadenze dallo stesso stabilite, nell’arco di vigenza contrattuale.

      2.- Appella l’INPDAP, il quale sostiene l’erroneità della sentenza impugnata, la quale non avrebbe tenuto conto che il dipendente non ha maturato l’intero incremento stipendiale, essendo stato collocato a riposo nel corso del primo scaglione, per cui lo stesso non potrebbe fruire degli incrementi stipendiali successivi al primo, a motivo del suo collocamento a riposo.

      3.- L’amministrazione, costituitasi in giudizio, reclama invece la sua estromissione per difetto di legittimazione passiva.

      4.- Il ricorso, trattenuto in decisione all’udienza del 7 marzo 2006, è fondato.

      Il Collegio è ben consapevole dell’orientamento, espresso in materia dalla Sezione sia pure con riferimento ad altro contratto collettivo (da ultimo, C. S., sez. VI, n. 1397/1995; n. 4899/2003, che ha confermato la sentenza n. 2280/2002 del medesimo TAR di Catanzaro, alla quale quella impugnata si è uniformata). Al personale dell’Arma dei Carabinieri cessato dal servizio con diritto a pensione, anche se collocato a riposo anteriormente alla data di introduzione del trattamento economico a regime, previsto dal contratto collettivo recepito con d.p.r. 5 giugno 1990 n. 147 (art. 4), è stato riconosciuto il diritto a conseguire un trattamento economico identico a quello dei dipendenti in servizio al termine del periodo di vigenza contrattuale, con ogni conseguenza sulla misura dell’indennità di buonuscita, fermi restando gli scaglionamenti degli incrementi stipendiali (art. 2).

      Questo orientamento merita di essere rivisitato, perché una lettura maggiormente rispettosa del dato letterale della normativa di riferimento convince che il dipendente che non abbia maturato il nuovo trattamento stipendiale nella sua interezza, non ha il diritto all’inclusione nel calcolo dell’indennità di buonuscita degli aumenti stipendiali non maturati e non percepiti, a motivo del suo collocamento a riposo in data antecedente.

      La prima norma che occorre considerare è l’art. 3 del d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, la quale commisura l’indennità di buonuscita alla base contributiva, ragguagliata all’ultimo stipendio, paga o retribuzione “integralmente percepiti”.

      La dizione è inequivocabile, nel senso che commisura l’indennità di buonuscita al trattamento stipendiale “integralmente percepito”.

      Una seconda norma di più immediato riferimento è l’art. 3 del d.p.r. n. 359/1996: “Le nuove misure degli stipendi risultanti dall’applicazione del presente regolamento hanno effetto sulla tredicesima mensilità, sul trattamento ordinario di quiescenza, normale privilegiato, sulla indennità di buonuscita, sull’assegno alimentare previsto dall’art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, o da disposizioni analoghe, sull’equo indennizzo, sulle ritenute previdenziali ed assistenziali e relativi contributi, compresi la ritenuta in conto entrata INPDAP, o altre analoghe, ed i contributi di riscatto. (comma 1).

      Questa disposizione non è determinante ai fini che interessano, giacché definisce ed esplicita l’incidenza immediata che il nuovo trattamento stipendiale ha sulle voci retributive e previdenziali (o altre), senza fornire alcuna indicazione utile sulle modalità di calcolo della indennità di buonuscita nell’ipotesi in cui il nuovo trattamento stipendiale non sia ancora a regime, il che avviene alla data del 1° luglio 1997 e sino al conseguimento di quello successivo. Nel periodo di vigenza contrattuale gli “aumenti stipendiali lordi” sono scaglionati in due periodi: 1° gennaio 1996 – 30 novembre 1996; 1° dicembre 1996 – 30 giugno 1997 (punti 3 e 4 dell’art. 2).

      La questione, sottoposta all’esame della Sezione, è appunto occasionata da questo frazionamento, e deve essere risolta alla stregua della disposizione che se ne occupa: “I benefici economici risultanti dall’applicazione del presente regolamento, riguardante il biennio 1996-1997, sono corrisposti integralmente, alle scadenze e nelle percentuali previste dal medesimo regolamento, al personale comunque cessato dal servizio, con diritto a pensione, nel periodo di vigenza del presente decreto. Agli effetti dell’indennità di buonuscita si considerano solo gli scaglionamenti maturati alla data di cessazione dal servizio” (comma 2 del citato art. 3 d.p.r. n. 359/1996).

      L’orientamento giurisprudenziale di questa Sezione, avanti richiamato, ha ritenuto di individuare in una disposizione di analogo tenore (art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 147/1990), ma priva dell’ultima proposizione, un supporto interpretativo a favore della tesi che vuole l’inclusione, ai fini del calcolo della indennità di buonuscita, dello stipendio comprensivo dell’intero nuovo trattamento stipendiale, sebbene il dipendente sia stato collocato a riposo prima di avere maturato tutti gli scaglioni dell’aumento stipendiale.

      Si è affermato che “rimarrebbe priva di significato la parte della disposizione che sancisce che i benefici economici, e dunque gli aumenti, sono da corrispondere per intero a chi è cessato dal servizio”, qualora il comma 2 dell’art. 4 del d.p.r. n. 147/1990, dovesse essere interpretato nel senso di escludere dal computo dell’indennità di buonuscita il trattamento stipendiale non “integralmente percepito” (C. S., sez. VI, n. 4899/2003).

      Questa interpretazione deve essere rivista alla luce della esplicita previsione di cui al menzionato comma 2 dell’art. 3 del d.p.r. n. 359/1996, che esclude espressamente dal calcolo dell’indennità di buonuscita gli scaglionamenti non maturati alla data di cessazione dal servizio. Questa esplicita previsione, coerente con il citato art. 3 del d.p.r. n. 1032/1973 (l’indennità di buonuscita va commisurata allo stipendio “integralmente percepito” ed assoggettato a contribuzione), esonera il Collegio da ogni ulteriore approfondimento in proposito, risultando per tabulas che “Agli effetti dell’indennità di buonuscita si considerano solo gli scaglionamenti maturati alla data di cessazione dal servizio”.

      Da ultimo, non è ammissibile la richiesta della Avvocatura Generale dello Stato di estromettere, per difetto di legittimazione passiva, le Amministrazioni alle quali l’INPDAP ha notificato il ricorso in epigrafe, dal momento che tale richiesta, già formulata in primo grado, è stata implicitamente respinta con la sentenza impugnata, sicché per contestarne la omessa pronuncia ovvero la erronea implicita statuizione, occorreva che la richiesta fosse formulata con appello incidentale, ritualmente notificato, e non con una memoria non notificata.

      L’appello va, pertanto, accolto, e, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarato infondato l’originario ricorso.     

P.Q.M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in epigrafe, e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara infondato il ricorso di primo grado. Compensa le spese.

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, il 7 marzo 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone   Presidente

Sabino Luce    Consigliere

Giuseppe Romeo     Consigliere Est. 

Lanfranco Balucani   Consigliere

Aldo Scola    Consigliere 
 

Presidente

f.to Claudio Varrone

Consigliere       Segretario

f.to Giuseppe Romeo      f.to Glauco Simonini 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il..................26/05/2006...................

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

f.to Maria Rita Oliva 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 1089/2003


 

FF