REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.3566/2007

Reg.Dec.

N.  8059  Reg.Ric.

ANNO   2004

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 8059/2004, proposto dal:

-  Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma;

c o n t r o

- ...omissisvld... ...omissisvld..., rappresentato e difeso prima dall’avv. Nicola Marseglia e poi anche dall’avv. Mario Rollo e con gli stessi elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Federico Lucarelli, in via dei Gracchi n. 6, Roma;

per annullamento e/o riforma

della sentenza breve del T.a.r. Calabria, Catanzaro, sezione I, n. 1286/2004, resa inter partes e concernente il denegato trasferimento per assistenza ai genitori ex legge 5 febbraio 1992 n. 104.

      Visto il ricorso in appello con i relativi allegati.

      Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato ...omissisvld....

      Visti gli atti tutti della causa.

     Relatore, alla pubblica udienza del 13 aprile 2007, il Consigliere Aldo SCOLA.

     Uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Spina e l’avv. Mario Rollo.

     Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

F A T T O

     ...omissisvld... ...omissisvld..., concluso il corso per allievi agenti ausiliari nella Polizia di Stato, assegnato alla Questura di ...omissisvld... e poi allo Scalo marittimo ed aereo di ...omissisvld... e, quindi, nuovamente trasferito, a sua domanda,  presso la Questura di ...omissisvld...,  divenuto agente scelto, chiedeva di essere trasferito alla Questura di ...omissisvld..., onde poter assistere il padre portatore di handicap.

     Ricevutone un diniego, l’interessato lo impugnava dinanzi al T.a.r. Calabria, che lo respingeva con sentenza n. 107/2003; con successiva istanza il ...omissisvld... chiedeva di essere trasferito al Commissariato di ...omissisvld... od a quello di ...omissisvld... o di ...omissisvld..., anche in rapporto alle nel frattempo peggiorate condizioni di salute del padre (cui si erano aggiunte quelle sempre più precarie pure della madre con quest’ultimo convivente); ancora una volta la richiesta veniva respinta, per cui il ...omissisvld... impugnava, dinanzi al T.a.r. Calabria, quanto in epigrafe per varie forme di violazione di legge e di eccesso di potere.

     Il Ministero intimato si costituiva i giudizio e resisteva al gravame, che veniva peraltro accolto dai primi giudici con sentenza resa in forma semplificata, recante la seguente specifica motivazione: “ ……. a fronte della allegazione da parte del ricorrente (e della dichiarazione sostitutiva a tal uopo prodotta) circa la persistenza ed attualità del rapporto di assistenza al padre, non incompatibile in astratto con l’adempimento dei doveri d’ufficio, non appare congrua la determinazione amministrativa gravata nella parte in cui evidenzia la asserita assenza di elementi probatori concludenti in tal senso, che invece appaiono conformi all’assetto attuale dei rapporti parentali all’interno della famiglia del ricorrente, in cui egli è il solo a prestare ( pur con l’aiuto del coniuge e di terzi) assistenza al padre; …….. in definitiva, il ricorso merita di essere accolto con la conseguenza che l’Amministrazione intimata dovrà verificare la effettiva possibilità (connessa alla vacanza di posti disponibili per i trasferimenti a domanda) di accordare al ricorrente la preferenza per la sede di ...omissisvld... o altra viciniore, nel concorso di tutte le altre condizioni per il suddetto trasferimento”.

     La p.a. persisteva nel suo atteggiamento, interponendo il presente appello per la riscontrata assenza dell’assistenza in atto continua ed esclusiva (pur senza la convivenza) al momento della richiesta del beneficio (art. 33, comma 5, legge n. 104/1992, modif. artt. 19 e 20, legge n. 53/2000), desumibile dalla frequentazione dei genitori (ammessa dal medesimo appellato) non più che ogni sette-dieci giorni.

     L’appellato si costituiva in giudizio ed eccepiva di essere stato, nel frattempo, trasferito presso il Commissariato di ...omissisvld... (...omissisvld...), a circa venti km. di distanza da ...omissisvld..., sede della sua residenza e di quella del padre disabile.

     All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo che l’appellato ...omissisvld... aveva nominato un ulteriore difensore.

D I R I T T O

     L’appello è infondato e va respinto.

     La corretta interpretazione da dare agli artt. 19 e 20, legge 8 marzo 2000 n. 53, che hanno modificato il disposto dell’art. 33, comma 5, legge 5 febbraio 1992 n. 104 (nella parte in cui prevede il diritto del lavoratore pubblico o privato, che assista continuativamente un parente portatore di handicap, di scegliere la sede più vicina al luogo di assistenza), ha formato oggetto di attento esame da parte della sezione III di questo Consiglio di Stato, nel parere n. 1623/2000, che ne fornisce un’esauriente chiave di lettura, in collegamento con la giurisprudenza prevalente sul punto (cfr. Cass. civ., sez. lav., sent. 25 gennaio 2006 n. 1396: “Il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio - previsto dall'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 - non è assoluto e privo di condizioni, siccome l'inciso "ove possibile", indicato nella stessa norma, richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto ed il recesso del diritto stesso, ove risulti incompatibile con le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi - soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico - potrebbe determinarsi un danno per la collettività”).

     La sezione III, già prima della novella, con parere n. 1813 del 10 dicembre 1996, nel premettere che la normativa trova diretto fondamento in principii di rango costituzionale ed ha carattere derogatorio rispetto all’ordinaria procedura delle assegnazioni di sede e dei trasferimenti, aveva ritenuto che il requisito della convivenza – presupposto per l’operatività della norma – poteva ritenersi soddisfatto anche quando tra il lavoratore ed il soggetto portatore di handicap in condizioni di gravità, verificato l’allontanamento dal nucleo familiare per ragioni di lavoro, fossero rimasti stretti legami di assistenza morale e materiale, in attesa di ripristinare la convivenza, proprio mediante il richiesto trasferimento in una sede di servizio più vicina alla residenza del nucleo familiare.

     In conformità a detto parere, il Ministero ha emanato nel 1997 e nel 1998 circolari applicative della legge, tra l’altro prevedendo la fruibilità del beneficio anche quando il portatore di handicap grave risieda in località diversa dalla sede di lavoro dell’impiegato, ferma la necessità che il soggetto bisognevole di cure conviva stabilmente almeno con la famiglia del lavoratore richiedente.

     Si è peraltro consolidato un più rigoroso indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione; di tal che il beneficio non è stato ritenuto applicabile nel caso in cui la convivenza sia stata interrotta per effetto dell’inizio dell’attività lavorativa presso sede diversa da quella di precedente residenza ed il lavoratore abbia chiesto successivamente il trasferimento ad una sede più vicina al domicilio del familiare handicappato.

     La sezione III, con parere n. 1857 del 21 dicembre 1999, ha preso atto dell’orientamento che delimita la possibilità della richiesta della sede di lavoro più vicina soltanto ove sussista ancora un rapporto di convivenza e quindi al momento dell’assunzione e non quando tale convivenza sia ormai stata interrotta per effetto dell’assegnazione della sede lavorativa.

     Il Ministero, pertanto, si apprestava a modificare le istruzioni date allorché la citata legge n. 53/2000, per l’applicazione del beneficio, ha soppresso all’art. 19 il requisito della convivenza ed ha stabilito all’art. 20 la necessità dell’assistenza continua in via esclusiva.

     Da un lato quindi viene a cadere il requisito della convivenza, dall’altro sorge la necessità di verificare la sussistenza dell’esclusività dell’opera di aiuto.

     A questo punto deve chiarirsi se il requisito di “esclusività” collegato a quello della “continuità” possa essere fatto valere limitatamente all’atto dell’assunzione della sede di assegnazione o possa essere addotto, a sostegno della richiesta, anche in momento successivo all’assunzione in servizio, qualora l’esigenza di prestare assistenza al congiunto sopravvenga successivamente all’instaurarsi del rapporto di lavoro.

     Occorre distinguere, in proposito, due ordini di questioni: alcune relative alla stretta interpretazione delle norme di legge su richiamate; altre concernenti alle disposizioni attuative emesse anche a seguito di consultazione con le OO.SS.

     Ciò che la legge n. 104 del 1992, all’art. 33, comma 5, ha inteso tutelare è, come chiarito anche dalla Corte costituzionale, la continuità dell’assistenza prestata al soggetto bisognevole dal pubblico o privato dipendente.

     Il comma 5 citato richiedeva, almeno nell’interpretazione giurisprudenziale divenuta ampiamente predominante, la convivenza nel medesimo domicilio tra lavoratore e soggetto handicappato.

     Anche per superare le gravi difficoltà determinatesi a seguito dell’orientamento giurisprudenziale in molte famiglie tra quelle interessate, la legge n. 53/2000 è intervenuta in due sensi: ha eliminato il requisito, prima richiesto come necessario, della convivenza ed ha inserito la previsione dell’esclusività dell’assistenza da salvaguardare.

     In tal modo operando, il legislatore ha ampliato il numero dei casi nei quali il diritto all’avvicinamento di sede può essere, nei limiti del possibile, esercitato: in particolare, può esserlo ogni qualvolta l’assunzione in un posto di lavoro comporti o abbia comportato l’allontanamento del lavoratore dalla sede ove prestava la propria assistenza con continuità.

     D’altro canto, il legislatore ha ristretto, per altro verso, la categoria dei beneficiari, posto che il beneficio può essere richiesto solo dal dipendente, unico parente o affine entro il terzo grado, disponibile a prestare l’assistenza necessaria.

     Si tratta di un’innovazione particolarmente rigorosa, ma che ben si coniuga con la precedente nel perseguimento del meritevole fine di garantire la continuità della tutela dell’assistenza quando effettivamente prestata, senza peraltro far gravare l’onere sul solo mondo del lavoro, pubblico e privato, ove l’onere stesso possa essere più equamente ripartito.

     Ulteriori innovazioni non sono state apportate dalla normativa sopravvenuta, per cui nulla è cambiato rispetto alla precedente disciplina per quanto riguarda le esigenze di assistenza manifestatesi successivamente all’assunzione in servizio da parte del lavoratore.    

     Ferma restando la necessità di esaminare caso per caso le singole fattispecie, il criterio ispiratore della decisione di accordare o meno il beneficio resta quello, già espresso dalla Corte costituzionale, di tutelare le situazioni di assistenza già esistenti, la cui interruzione crei pregiudizio allo stato di fatto favorevole al portatore di handicap, che già godeva dell’aiuto del familiare prima che quest’ultimo si dovesse allontanare per lavoro.

     Ne deriva che, in linea di massima, le esigenze successivamente determinatesi esulano dalla previsione legislativa.

     Nulla è innovato anche rispetto ai casi di richieste di trasferimento presso sedi poste all’interno della circoscrizione territoriale, per la quale sia stato bandito un eventuale concorso, e per casi in cui il concorso riguardi indiscriminatamente l’intero territorio nazionale.

     La disciplina in esame trova diretto fondamento in principii di solidarietà sociale di rango costituzionale (in materia di salute, famiglia, istruzione e lavoro) e non può che avere carattere derogatorio rispetto all’ordinaria regolamentazione delle assegnazioni delle sedi di servizio ai dipendenti, sia in via di prima assegnazione che di successivo trasferimento.

     Infatti, la disciplina della materia in questione risponde all’esigenza di un ordinato assetto dell’organizzazione amministrativa, che è esigenza di rango sottordinato rispetto alla necessità di ripristinare, per quanto possibile, condizioni di uguaglianza nei confronti dei soggetti portatori di handicap, tenuto conto della rilevanza costituzionale di tale finalità.

     Tale assetto di valori, nella gerarchia dettata dai principii costituzionali, trova d’altronde conferma nelle deroghe a favore degli invalidi previste in materia di assunzioni e di avviamento al lavoro, nonché relativamente alle provvidenze economiche e sociali dettate a favore dei predetti soggetti.

     Deve peraltro considerarsi che, oltre alla concreta possibilità dell’assegnazione richiesta, come espressamente previsto dall’art. 33 della citata legge n. 104/92, è necessaria l’esistenza di un posto vacante nella sede di destinazione desiderata, nessun’altra condizione legittimante potendo a tale proposito essere prevista, altrimenti venendosi in pratica a vanificare la posizione soggettiva dell’interessato.

     In particolare, non potrebbe essere richiesto l’obbligo di permanenza nella prima sede di servizio per un determinato numero di anni, atteso che tale obbligo non può che valere per i soggetti non contemplati dalla legge n. 104/1992.

     Quindi anche a prescindere dalla circostanza che obblighi legislativi di permanenza in sede non sono più previsti per la generalità dei pubblici concorsi, richiamando le considerazioni in precedenza esposte, il subordinare la possibilità di avvicinamento del portatore di handicap (o del soggetto comunque tutelato) all’obbligo di permanenza per alcuni anni nella prima sede di servizio significherebbe subordinare l’esigenza di tutela del soggetto debole alle necessità organizzative della p.a., in violazione della scala dei valori dettata dai principi costituzionali sopra richiamati (diversa sarebbe l’ipotesi che il concorso sia stato bandito per una determinata circoscrizione territoriale: in quel caso il posto presso diversa circoscrizione non potrebbe considerarsi disponibile per i vincitori del concorso e quindi, di massima, non potrebbe essere correttamente utilizzato per le esigenze di tutela in esame.

     Infine, come si è già accennato, alla formula “in via esclusiva” deve essere riconosciuto il significato dell’indisponibilità (e non dell’inesistenza) oggettiva o soggettiva di altre persone in grado di sopperire alle esigenze, circostanza da provare con ogni mezzo consentito dall’ordinamento, salvo l’onere di verifica da parte della p.a., poiché una più rigorosa interpretazione significherebbe vanificare la tutela offerta dal legislatore ai soggetti portatori di handicap, già assistiti dal lavoratore richiedente, tanto più che la tutela dell’assistenza a soggetti bisognosi può essere naturalmente favorita nell’ambito dell’autonomia organizzativa di ciascuna amministrazione entro i limiti del rispetto dei principii di buon andamento e di imparzialità, sempre che la p.a. stessa riconosca un interesse pubblico specifico da perseguire coniugabile con quello di tutela dell’assistenza al soggetto portatore di handicap.

     Al che deve solo aggiungersi come, di fatto, il ...omissisvld... risulti ormai da lungo tempo aver ottenuto il discusso trasferimento (sia pure in attuazione della pronuncia di primo grado), per cui deve ritenersi che, anche e soprattutto per il rispetto dovuto ai principii costituzionali sopra richiamati, l’impugnata sentenza sfugga alle censure dedotte dalla p.a. appellante.

     L’appello va, dunque, respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese del secondo grado di giudizio possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti in causa, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e delle peculiarità della vertenza.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta,

     - respinge  l’appello;

     - compensa spese ed onorari del giudizio di secondo grado.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 13 aprile 2007, con l'intervento dei signori magistrati:

Gaetano  TROTTA    Presidente

Giuseppe  ROMEO    Consigliere

Aldo   SCOLA    Consigliere rel. est.

Francesco CARINGELLA    Consigliere

Bruno Rosario POLITO    Consigliere 
 

Presidente

GAETANO TROTTA

Consigliere       Segretario

ALDO SCOLA      VITTORIO ZOFFOLI 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il....25/06/2007

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 8059/2004


 

FF