Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 3 ottobre 2005, n. 5243
FATTO
1.- Con la sentenza
appellata il TAR ha accolto il ricorso proposto dall'odierno appellato per
l'annullamento del provvedimento 8 maggio 1996, n. 996, di licenziamento per
giusta causa adottato dal Comune di Dasà nei suoi confronti.
2.- Per il Comune appellante la sentenza sarebbe erronea sotto ogni profilo,
l'operato dell'amministrazione essendo - al contrario di quanto ritenuto dai
primi giudici - del tutto esente da mende.
Resiste l'appellato che insiste, nelle proprie difese, per il rigetto
dell'appello e la conferma della sentenza impugnata.
Con ordinanza 12 gennaio 1999, n. 7, la Sezione ha sospeso l'efficacia della
sentenza appellata.
DIRITTO
1.- Con la sentenza
appellata il TAR ha accolto il ricorso proposto dall'odierno appellato per
l'annullamento del provvedimento 8 maggio 1996, n. 996, di licenziamento per
giusta causa adottato dal Comune di Dasà nei suoi confronti.
2.- Per il Comune appellante la sentenza sarebbe erronea sotto ogni profilo,
l'operato dell'amministrazione essendo - al contrario di quanto ritenuto dai
primi giudici - del tutto esente da mende.
L'appello è fondato.
3.- Il provvedimento impugnato consegue, anzitutto, alla contraffazione
(riconosciuta dallo stesso originario ricorrente) di due documenti operata dal
medesimo - Comandante del Corpo Dei Vigili urbani di Dasà - per tentare di
favorire un conoscente ed evitargli una sanzione per violazione del codice della
strada (documenti contraffatti prodotti in sede di ricorso in via amministrativa
al Prefetto avverso sanzione per contravvenzione alle norme del C.d.S.).
La contraffazione è consistita nella riproduzione - con modificazione della data
- di un ordine del Sindaco, la cui copia è stata autenticata dal medesimo
originario ricorrente - di ricovero urgente, presso l'ospedale generale, di un
cittadino infermo per essere sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio,
nonché nella riproduzione, pure con modificazione della data, di un certificato
medico con il quale lo stesso cittadino era proposto per il detto trattamento
sanitario obbligatorio.
Nell'occasione, il predetto funzionario comunale dichiarava anche al Comandante
del Corpo di Polizia municipale di Vibo Valentia (che aveva accertato la
violazione al C.d.S.) che "l'autore della violazione è stato l'usufruttuario
dell'autovettura suevidenziata, S.F., Responsabile dell'Ufficio Pol/Municipale
del Comune di Dasà che per dovere d'ufficio - art. 51 c.p. - ha commesso la
violazione di cui all'art. 7 c.d.s. in quanto in servizio di scorta
all'autoambulanza dell'U.S.L. n. 8 per il ricovero urgente per il T.S.O. presso
il reparto neuro di Vibo Valentia della persona riportata nell'ordinanza n. 12
del 19.07.1995 e nel certificato sanitario del Dott. S., convalidato dal medico
della struttura pubblica che si allega in fotocopia".
Il procedimento disciplinare era avviato e concluso dal Comune prima che
l'interessato fosse rinviato a giudizio (giudizio penale conclusosi, in primo
grado, con la condanna dell'interessato per il delitto di cui agli articoli 56 e
640, commi 1 e 2, c.p., "per avere, con artifici e raggiri... posto in essere
atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore l'autorità
Prefettizia, procurandosi, altresì, un ingiusto profitto, consistente nel non
dovere estinguere la sanzione irrogatagli..."; il procedimento penale è stato
poi, però, definito dalla Corte di Cassazione con sentenza di assoluzione perché
il fatto non sussiste, la condotta dell'imputato non potendo integrare, ad
avviso della Suprema Corte, il tentativo di truffa aggravata nei confronti di
una pubblica amministrazione).
4.- Per il TAR, anzitutto, il procedimento disciplinare avviato avrebbe dovuto
essere sospeso per pendenza del giudizio penale.
Per il Comune appellante la sentenza, sul punto, sarebbe erronea in quanto il
procedimento sanzionatorio sarebbe stato avviato e concluso prima dell'inizio
del procedimento penale, coincidente con la richiesta di rinvio a giudizio
dell'interessato.
La censura è fondata.
Ai sensi dell'allora vigente c.c.n.l. - art. 25, comma 8 - "il procedimento
disciplinare... deve essere avviato anche nel caso in cui sia connesso con
procedimento penale e rimane sospeso fino alla sentenza definitiva"; sennonché,
con il termine "procedimento penale" deve ritenersi che sia stato fatto
riferimento al procedimento penale iniziato e, dunque, alla fase che segue la
richiesta di rinvio a giudizio; l'obbligo di sospensione del procedimento
disciplinare si determina, infatti, solo quando il dipendente pubblico è
sottoposto per gli stessi fatti ad azione penale e questa ha propriamente
inizio, ai sensi dell'art. 405 c.p.p., con la formulazione dell'imputazione nei
casi previsti dall'art. 444 e ss. c.p.p. o con la richiesta di rinvio a giudizio
(cfr. Sezione IV, Sez. IV, 10 marzo 2004, n. 1108; 7 maggio 1998, n. 780;
Sezione VI, 18 giugno 2002, n. 3323).
Al contrario, tutte le fasi procedimentali antecedenti, sia pure afferenti a
soggetto indagato, non possono ritenersi ricomprese nell'ambito del procedimento
penale in senso proprio; con la conseguenza che, nella specie, essendosi
concluso il procedimento che ha portato al licenziamento in un momento
antecedente rispetto a quello della richiesta del rinvio a giudizio
dell'interessato, deve ritenersi insussistente l'obbligo dell'amministrazione di
sospendere il procedimento sanzionatorio; donde la fondatezza del motivo in
esame.
5.- L'appellante deduce, poi, l'erroneità della sentenza appellata anche nella
parte in cui - nell'accogliere il terzo motivo dell'originario ricorso - ha
messo in evidenza la contraddizione in cui è caduta l'amministrazione nel
ritenere accertati entrambi gli addebiti di contraffazione di documenti e
arbitraria assenza dal servizio; per il TAR, in particolare, l'arbitraria
assenza dal servizio non sarebbe stata affatto documentata, risultando, al
contrario, dai fogli di presenza che l'interessato, nel giorno dell'infrazione,
non si era allontanato dal servizio.
Anche tale censura è fondata.
Nella citata nota inviata al Comando di Polizia municipale di Vibo Valentia
l'appellato affermava espressamente di essersi trovato, il giorno 19 luglio
1995, alla guida del veicolo sanzionato in orario pienamente corrispondente a
quello d'ufficio (ore 10,10).
Vero che, dai fogli di presenza in servizio, risultava, quel giorno, la presenza
in ufficio dell'interessato; ma, trattandosi del Comandante dei locali vigili
urbani e, quindi, di funzionario normalmente in servizio sul territorio e non
necessariamente presso gli uffici comunali, ben aveva, il dipendente, la
possibilità e l'occasione di allontanarsi, inosservato, del Comune presso il
quale prestava servizio; con la conseguenza che le dichiarazioni come sopra rese
- sotto la propria responsabilità - circa la presenza in altro Comune al momento
del rilevamento dell'infrazione stradale ben potevano essere veritiere e, in
difetto di elementi probatori contrari e certi, essere assunte
dall'amministrazione a fondamento delle proprie determinazioni.
Anche il motivo ora esaminato appare, quindi meritevole di accoglimento.
6.- Il TAR ha accolto anche l'ultimo dei motivi di ricorso; è stata applicata,
invero, nella specie, la lettera e) dell'art. 27 del c.c.n.l. che consente il
licenziamento senza preavviso anche "per violazioni intenzionali dei doveri non
ricomprese specificamente nelle lettere precedenti, anche nei confronti di
terzi, di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del
rapporto di lavoro"; sennonché, osservano i primi giudici, trattandosi di
valutazione discrezionale, la determinazione non avrebbe potuto legittimamente
sfuggire all'onere di motivazione, specie in ordine al rapporto proporzione
della sanzione - gravità degli addebiti.
Per l'appellante la decisione appellata sarebbe erronea anche sotto tale
profilo, dovendosi ritenere corretto l'operato dell'amministrazione, stante
l'assoluta gravità di quanto commesso dall'originario ricorrente.
La censura è fondata.
L'amministrazione - nel richiamarsi alla contestazione degli addebiti, al
provvedimento di sospensione cautelare dal servizio e al mancato accoglimento
delle giustificazioni fornite dall'interessato - ha applicato il disposto di cui
all'art. 25 dell'allora vigente c.c.n.l., a mente del quale (comma 7) la
sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica (lettera e)
per le "violazioni intenzionali dei doveri non ricomprese specificamente nelle
lettere precedenti, anche nei confronti di terzi, di gravità tale, in relazione
ai criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione neppure
provvisoria del rapporto di lavoro".
E, in virtù del citato comma 1, il tipo e l'entità delle sanzioni sono
determinati in base, tra gli altri, ai seguenti criteri generali: intenzionalità
del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate;
rilevanza degli obblighi violati; responsabilità connesse alla posizione di
lavoro occupata dal dipendente; grado di danno o di pericolo causato
all'amministrazione, agli utenti o a terzi ovvero al disservizio determinatosi;
sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare riferimento
al comportamento del lavoratore.
Ebbene, l'amministrazione ha contestato all'interessato una serie di fatti
(quelli dianzi ricordati) che integrano una condotta di particolare gravità -
così come ritenuta dall'amministrazione stessa - specie nella considerazione
della qualifica del dipendente, responsabile del servizio di polizia municipale;
condotta di gravità tale da far apparire proporzionata la sanzione
correlativamente comminata all'interessato.
Il medesimo, in particolare, per motivi del tutto personalistici, ha alterato
atti in suo possesso e, tra questi, un'ordinanza a firma del Sindaco, per
tentare di sottrarre un conoscente ad un modesto onere sanzionatorio; e ciò ha
fatto anche apponendo sugli atti stessi la falsa attestazione di copia
autentica.
Si tratta di comportamenti, invero, particolarmente gravi, come ritenuto
dall'amministrazione, che non necessitano neppure di puntuale approfondimento
sul piano della motivazione per ciò che attiene al venir meno del rapporto
fiduciario e alla conseguente risoluzione del rapporto di servizio.
Detti comportamenti appaiono, infatti, il frutto di una condotta intenzionale
dell'incolpato, correlata alla violazione dei più elementari obblighi di fedeltà
e correttezza propri del rapporto di lavoro pubblicistico, specie se connotati -
come nella specie - dalle particolari responsabilità connesse alla posizione di
lavoro occupata dal dipendente e, in particolare, al rapporto fiduciario che
lega alla P.A. i funzionari muniti, come l'interessato, della qualifica di
agente di P.S.
Di comportamenti, in special modo, produttivi di un significativo pregiudizio
per l'immagine dell'amministrazione comunale stessa, dal momento che, di fronte
all'opinione pubblica, appare manifestamente disdicevole e patentemente lesivo
della trasparenza e credibilità dell'azione amministrativa, il fatto che un
agente comunale di P.S., chiamato a svolgere attività sanzionatoria, tra
l'altro, proprio nell'ambito della repressione delle infrazioni stradali, abbia
inteso favorire un conoscente proprio per sottrarlo - con le dette alterazioni
documentali e false attestazioni - agli oneri di una sanzione per violazione del
Codice della Strada.
Il provvedimento in parola appare, quindi, supportato da motivazione sufficiente
anche per quanto attiene alla proporzionalità della scelta operata dalla P.A.
7.- Per tali motivi l'appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per
l'effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo
grado.
Le spese dei due gradi di giudizio possono essere integralmente compensate tra
le parti.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato,
Sezione quinta, accoglie l'appello in epigrafe e, per l'effetto, in riforma
della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa