REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.531/2006

Reg.Dec.

N.  8466 Reg.Ric.

ANNO   1999

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da (omissis) rappresentata e difesa dall’avv. Mauro Padroni, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma via G. Cesare n. 128;

contro

MINISTERO DELL’INTERNO rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato per legge presso i suoi uffici in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;  

per l'annullamento

della sentenza  del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, Sezione I ter -  n. 770 del 1999;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero appellato;         

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Alla camera di consiglio del 28 ottobre 2005 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro.

     Uditi gli avv.ti Colacino per delega dell’avv. Padroni e l’avv. dello Stato Ferrante; 

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

     L’appellante, con ricorso di primo grado, faceva presente di essere stata in servizio nell’amministrazione civile dell’Interno, transitando poi nei ruoli della Polizia di Stato.

     Inizialmente era stata inquadrata, con decorrenza 1 novembre 1986, nei ruoli tecnici della Polizia di Stato, nella qualifica di operatore tecnico scelto, con il trattamento stipendiale del IV livello retributivo e con anzianità in detta qualifica dal 16 dicembre 1986.

     Successivamente veniva di nuovo inquadrata, ai sensi della legge n. 312/1980 e delle leggi di settore, nella V qualifica funzionale, profilo professionale di operatore amministrativo, con decorrenza dal 16 dicembre 1981, e, conseguentemente, veniva rettificato il precedente inquadramento nella qualifica di operatore tecnico con anzianità dal 16 dicembre 1981.

     Per effetto del riconoscimento retroattivo dell’anzianità veniva promossa per merito assoluto nella qualifica di collaboratore tecnico capo, con effetti giuridici dal 1 gennaio 1989 ed economici dal 1 luglio 1989, qualifica che, a seguito del riordino delle carriere, diveniva quella di vice revisore tecnico.

     Ella ritiene che, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 24 della legge n. 668 del 1986 e 46 del d.p.r. n. 337 del 1982, ed al fine di evitare numerosi profili di eccesso di potere dell’azione amministrativa avrebbe dovuto essere inquadrata, sin da principio, quanto meno nella qualifica iniziale del ruolo dei revisori tecnici, in quanto corrispondente al livello retributivo e funzionale di provenienza, ed ha chiesto al Tribunale di accertare il diritto alla rettifica dell’iniziale inquadramento con ogni conseguenza giuridica ed economica, impugnando due note ministeriali con le quali, in data 15 aprile 1996 le era stato negato tale beneficio.

     Il Tribunale ha dichiarato l’infondatezza della domanda di annullamento del diniego, giustificato dal fatto che, a suo tempo, l’interessata non aveva presentato alcuna istanza di inquadramento superiore ai sensi dell’art. 46 della normativa citata; sulla domanda di accertamento del diritto all’inquadramento superiore il Tribunale ha dichiarato la stessa inammissibile.

     Appella l’originaria ricorrente.

     Resiste l’amministrazione.

D I R I T T O

     L’appello è infondato.

     In primo luogo va rilevato che il ricorso è stato dichiarato perento con decreto presidenziale del 14/12/2002 che non risulta opposto nei termini.

     Va rilevato che tale decreto è stato pronunciato senza considerare l’istanza di prelievo depositata in data 20 luglio 2001, ma esso avrebbe dovuto impugnarsi nei modi e nei termini previsti dal novellato articolo 26 della legge sui Tar (novellato dalla legge n. 205/2000).

     Tale disposizione prevede che: “la rinuncia al ricorso, la cessazione della materia del contendere, l’estinzione del giudizio e la perenzione sono pronunciate, con decreto, dal Presidente della Sezione competente o da un magistrato da lui delegato. Il decreto è depositato in segreteria che ne dà comunicazione alle parti costituite. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, ciascuna delle parti costituite può proporre opposizione al Collegio, con atto notificato a tutte le altre parti e depositato presso la Segreteria del giudice adito entro dieci giorni dall’ultima notifica. Nei trenta giorni successivi il Collegio decide sull’opposizione in camera di consiglio, sentite le parti che ne facciano richiesta, con ordinanza che, in caso di accoglimento dell’opposizione, dispone la reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario. Nel caso di rigetto, le spese sono poste a carico dell’opponente, e vengono liquidate dal Collegio nella stessa ordinanza, esclusa la possibilità di compensazione , anche parziale. L’ordinanza è depositata in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti costituite. Avverso l’ordinanza che decide sull’opposizione può essere proposto ricorso in appello. Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie, ridotti a metà tutti i termini processuali.”

     Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato prevede all’art. 40 del t.u. (che trova un suo puntuale riferimento nell’art. 25 della legge sui Tar) la regola per cui “ i ricorsi si avranno per abbandonati , se per il corso di due anni non sia fatto alcun atto di procedura”.

     L’art. 45 del r.d. 17 agosto 1907 n. 642 prevede poi che “la perenzione del ricorso opera di diritto e può essere rilevata anche di ufficio.” Ed aggiunge: “Nel caso di perenzione, ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio perento”.

     Occorre chiedersi se il giudizio di opposizione al decreto di perenzione, dettato solo per il giudizio di primo grado e concluso da ordinanza appellabile  sia destinato a disciplinare solo il decreto emesso in primo grado, o se, anche ai sensi dell’art. 28 ult. co. della legge sui Tar - a tenore del quale “in ogni caso, il Consiglio di Stato in sede di appello esercita gli stessi poteri giurisdizionali di cognizione e di decisione del giudice di primo grado” - vi sia una trasposizione in appello anche di tale incidente avverso l’erronea declaratoria della perenzione.

     Ritiene il Collegio che l’art. 26 ult. co. della legge sui Tar, disciplini una forma di giudizio in opposizione avverso i decreti che definiscono il giudizio in via breve, per le cause ivi previste, destinata ad operare anche in grado di appello, con l’unica differenza di non dare luogo, in tal caso alla pronuncia di un’ordinanza appellabile, ma ad un provvedimento decisorio inappellabile.

     La circostanza per cui l’art. 9 della legge n. 205/2000 (che ha novellato l’art. 26 della legge sui Tar) non preveda espressamente al suo ult. comma il riferimento ai decreti pronunciati dal Consiglio di Stato, mentre tale riferimento è testualmente previsto al terzo comma dello stesso articolo 26 per le sentenze succintamente motivate potrebbe far propendere per la tesi negativa, che porti a ritenere inapplicabile l’opposizione al giudizio in appello innanzi al Consiglio di Stato.

     Però tale argomentazione meramente testuale si rivela debole, alla luce dell’inopportunità di prevedere discipline differenziate a seconda del grado di giudizio in cui pende il processo con rischi di regimi asistematici e fuorvianti.

     Nella specie, il procedimento è stato reiscritto sul ruolo, superando il decreto presidenziale, con provvedimento presidenziale successivo, evidentemente sul presupposto dell’inapplicabilità del giudizio di opposizione in grado di appello innanzi al Consiglio di Stato.

     Tale linea interpretativa è stata seguita dalla giurisprudenza che con C. Stato, sez. IV, 27-12-2001, n. 6428 ha ritenuto che l’art. 26, ultimo comma, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 (modificato dall’art. 9 l. 21 luglio 2000 n. 205) non si applica nel giudizio innanzi al consiglio di stato; per tale ragione, e in virtù dell’art. 27 n. 1 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, la perenzione deve essere dichiarata dal consiglio di stato in sede collegiale.

     Analogo orientamento ha manifestato C. Stato, sez. IV, 27-12-2001, n. 6425 secondo cui la pronuncia di cessazione della materia del contendere nel giudizio innanzi al consiglio di stato, è ancora riservata al collegio, non potendosi fare applicazione della norma sancita dall’art. 26, ultimo comma, legge Tar - novellato dall’art. 9 l. n. 205 del 2000 - che riserva al presidente della sezione competente o ad un magistrato da lui delegato, il compito di dichiarare la rinunzia al ricorso, la cessazione della materia del contendere, l’estinzione del giudizio e la perenzione; ciò perché tale norma tace accuratamente sulla possibilità che la speciale procedura trovi applicazione innanzi al Consiglio di Stato.

     Tuttavia tale orientamento, se volto a valorizzare la collegialità normalmente operante innanzi al Consiglio di Stato, oblitera la ratio della riforma che ha previsto svariate occasioni di interventi individuali del giudice amministrativo, affidandogli il compito di adottare pronunce di mero rito allo scopo di alleggerire il pesante fardello dell’arretrato nei ruoli giudiziari.

     L’orientamento predetto è stato superato dal Consiglio di Stato Ad. plen. 23 marzo 2004 n. 6 che ha ritenuto applicabile l’art. 9, ivi compreso il giudizio in opposizione, anche al grado d’appello, sulla base della decisiva considerazione che l’art. 9 della legge n. 205/2000, ove interpretato escludendone l’applicazione al giudizio di appello comporterebbe un aggravamento del procedimento .

     Il Collegio, sulla scorta di tale insegnamento, ritenuta necessaria l’opposizione a decreto, d’ufficio rileva che il procedimento è stato dichiarato perento con provvedimento non opposto e non rimosso.

     Nel merito, tuttavia, va rilevato che, in ogni caso, il ricorso di primo grado è inammissibile.

     Esso è incentrato su una domanda di accertamento del diritto alla qualifica superiore, in presenza di numerosi atti non impugnati (atto del 23 novembre 1989, con il quale si rigetta la domanda volta a sostenere la prova pratica per l’accesso al ruolo superiore “in quanto dall’esame degli atti formali non è risultato che ella avesse svolto per almeno due anni alla data di entrata in vigore della legge citata mansioni proprie di un profilo professionale del ruolo dei revisori; nonché atto del 10 luglio 1990 di inquadramento nel ruolo tecnico degli operatori).

     Va ricordato il pacifico insegnamento (C. Stato, sez. V, 22-05-2001, n. 2819; C. Stato, sez. V, 24-10-2001, n. 5597; C. Stato, sez. V, 01-08-2001, n. 4186) secondo il quale poiché l’atto d’inquadramento dei pubblici dipendenti ha natura autoritativa, ancorché vincolata, l’interessato ha l’onere d’impugnarlo entro il termine di decadenza, la quale non può essere elusa attraverso un’azione d’accertamento del preteso diritto ad una determinata posizione di lavoro.

     Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio. 

P. Q. M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

     Compensa tra le parti le spese di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Claudio VARRONE   Presidente

Sabino LUCE    Consigliere

Luigi MARUOTTI   Consigliere

Giuseppe ROMEO   Consigliere

Giancarlo MONTEDORO  Consigliere Est. 
 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere       Segretario

GIANCARLO MONTEDORO    GIOVANNI CECI 
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il..10/02/2006

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 8466/1999


 

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