Viene riconosciuto con carattere di generalità dall'entrata in vigore del dlgs 387/98
Stato, aumenti per mansioni superiori dal 1998 PAGINA PRECEDENTE
(Decisione del Consiglio di Stato 2623/2003)
   
   
Nell’ambito del rapporto d’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di funzioni superiori da parte di pubblici dipendenti deve essere riconosciuto con carattere di generalità solo dalla data di entrata in vigore della normativa dettata dall’art. 15 del DLgs 29 ottobre 1998, n. 387 (ora contenuta nell’art. 52 del DLgs n. 165/2001) e non per il periodo anteriore a tale data. Lo ha affermato la Sezione Quarta del Consiglio di Stato nella decisione 25 febbraio 2003, n. 2623, accogliendo il ricorso presentato in appello dalla Regine Lazio avverso la Sentenza con cui il TAR del Lazio aveva stabilito che a un dipendente regionale di prima qualifica funzionale dirigenziale, il quale nel periodo dal 17 gennaio 1990 al 1° maggio 1991 aveva svolto mansioni superiori, spettasse il trattamento economico corrispondente a tali mansioni con interessi e rivalutazione monetaria. Il Consiglio di Stato, nell’accogliere l’appello proposto dalla Regione Lazio, ha richiamato una serie di decisioni emesse dal giudice amministrativo a conclusione di controversie riguardanti la materia dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego, facendo tra l’altro presente quanto segue. Nella fattispecie non è applicabile l’art. 2041 del codice civile perché le norme imperative che fissano le retribuzioni dei pubblici dipendenti accordano specifiche azioni in presenza dei relativi presupposti, sicché risulta inammissibile l’azione sussidiaria di arricchimento senza causa di cui al citato art. 2041. Inoltre non è invocabile l’art. 2126 del codice civile, perché attiene al diverso fenomeno dello svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile come pubblico dipendente ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato. L’art. 36 della Costituzione, che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità del lavoro prestato, non costituisce fonte diretta di integrazione del rapporto di pubblico impiego né in tale rapporto può trovare incondizionata applicazione. Ciò perché nel pubblico impiego concorrono altri principi di rilevanza costituzionale come quelli affermati negli articoli 98 e 97 della Costituzione. Con riferimento a tali principi concorrenti, i dipendenti pubblici sono al servizio esclusivo della Nazione per cui la valutazione del rapporto di pubblico impiego non può essere ridotta alla pura logica del rapporto di scambio, e l’esercizio delle mansioni superiori rispetto all’esercizio delle mansioni della qualifica rivestita si pone in contrasto sia con il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione sia con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzione e responsabilità proprie dei funzionari. (9 giugno 2003)  


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) Decisione n. 2623/2003

 

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E n. 2623/2003

sul ricorso in appello n. 3495/94, proposto dalla Regione Lazio rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ex lege domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

contro

PRISCO Eugenio rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Ciociola ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio del dott. proc. Giuseppe Cignitti, Via A. Bertoloni n. 35

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 133/94, resa inter partes.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione di Prisco Eugenio;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta, alla pubblica udienza del 25 febbraio 2003, la relazione del Consigliere Bruno Mollica;

Uditi, altresì, l’avv. dello Stato Ferrante per l’appellante e l’avv. Roberto Ciociola per l’appellato;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto:

Fatto

Su ricorso di PRISCO Eugenio, dipendente regionale di prima qualifica dirigenziale, il TAR del Lazio ha denegato il riconoscimento delle superiori mansioni asseritamene svolte dall’interessato ed ha invece accolto la subordinata domanda di attribuzione del corrispondente trattamento economico, con interessi e rivalutazione monetaria, per il periodo 17.1.1990 - 1.5.1991.

L’Amministrazione di appartenenza del Prisco (Regione Lazio) ha proposto appello, sostenendo l’erroneità, in parte qua, della sentenza del giudice di primo grado. L’appellato si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2003, la causa è stata ritenuta in decisione.

Diritto

1. - L’appello è fondato

Ed invero, alla stregua delle acquisizioni giurisprudenziali sul punto, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di funzioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dall’entrata in vigore del DLgs 29 ottobre 1998 n. 387, che con l’art. 15 [1] ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell’art. 56 DLgs 3 febbraio 1993 n. 29, atteso che prima di tale data, nel settore del pubblico impiego, e salvo che un’espressa disposizione di legge non disponesse altrimenti, le mansioni superiori svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti ai fini della progressione di carriera ovvero dell’emanazione di un provvedimento di preposizione ad un ufficio, non essendo sotto tale aspetto il rapporto di pubblico impiego assimilabile a quello privato, sia perché gli interessi pubblici coinvolti hanno natura indisponibile sia perché l’attribuzione delle mansioni e del correlato trattamento economico hanno il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento, non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (cfr., fra le tante, VI Sez., 27.1.2001 n. 177, 7.5.2001 n. 2520, 27.11.2001 n. 5958 e 8.1.2003 n. 17).

Né l’articolo 36 della Costituzione [2], che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità del lavoro prestato, può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’articolo 98 della Costituzione [2] - che nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio - e quelli previsti dall’articolo 97 della Costituzione [2], contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzione e responsabilità propria dei funzionari; la detta norma non costituisce, pertanto, fonte diretta di integrazione del rapporto di pubblico impiego per quanto concerne la determinazione dei compensi da corrispondere ai dipendenti e non può essere invocata al fine di ottenere un trattamento economico differenziato in caso di svolgimento delle funzioni di qualifica superiore (cfr. Ap., 18.11.1999 n. 22; VI Sez., 22.1.2001 n. 177 e 27.11.2001 cit.).

Parimenti, non è nella specie applicabile l’articolo 2041 del Codice civile [3], atteso che le norme imperative che fissano le retribuzioni dei pubblici dipendenti accordano specifiche azioni in presenza dei relativi presupposti, sicché risulta inammissibile l’azione sussidiaria di arricchimento senza causa (cfr., in termini, VI Sez., 27.11.2001 n. 5958 cit.).

Non è inoltre invocabile l’articolo 2126 del Codice civile [3], che attiene al diverso fenomeno dello svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile pubblico dipendente ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato. Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento emanati in conformità di leggi e regolamenti (cfr., in termini, Ap., 18.11.1999 n. 22).

2. - In conclusione, l’appello della Regione Lazio deve essere accolto.

Le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV) Accoglie il ricorso in appello n. 3495/94 proposto dalla Regione Lazio.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 febbraio 2003.

 
 

1] DLgs 3 febbraio 1993 n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

Art. 56. Disciplina delle mansioni (nel testo così modificato dall’articolo 25 del DLgs 31 marzo 1998, n. 80, ndr).

1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.

2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:

a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;

b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.

3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.

4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.

5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto [a differenze retributive o] ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore.

Ndr. Con l’art. 15 del DLgs 29 ottobre 1998, n. 387, sono state soppresse le parole "a differenze retributive o" contenute nel comma 6.

DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 52. Disciplina delle mansioni (Art. 56 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 25 del DLgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 15 del DLgs n. 387 del 1998)

1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.

2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:

a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;

b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.

3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.

4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.

5. Al fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazioni della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore.

 

 

[2] Costituzione della Repubblica Italiana 27 dicembre 1947

Art. 36.

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Art. 97.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione.

Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Art. 98.

I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.

Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero.

 

 

[3] Codice civile

Art. 2041. Azione generale di arricchimento.

Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda.

 

Art. 2126. Prestazione di fatto con violazione di legge.

La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.

Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione.