Pubblico impiego
Corte d'appello
dell'Aquila Sezione Lavoro 20.03.2003
Ai dipendenti
pubblici adibiti a mansioni superiori, sia legittimamente ai sensi dell’art.52,
comma 2 del D.lgs. n. 165/2001, sia nei casi in cui non lo sia, non spetta
mai il definitivo inquadramento nella qualifica superiore, mentre spettano
sempre le differenze di trattamento economico.
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
Con ricorso depositato il 17/4/02, il Ministero della Giustizia proponeva
appello contro la sentenza non definitiva del Tribunale di Sulmona n. 78/02
con la quale era stato dichiarato il diritto del dipendente M. F. al
trattamento economico proprio del livello B3 a decorrere dalla data di
entrata in vigore del d.lgs. n. 387/98. Eccepiva l'improcedibilità del
ricorso avversario per nullità della richiesta di attivazione del
procedimento di conciliazione ex artt.69 e 69-bis d.lgs. n. 29/93 e deduceva
l'infondatezza della pretesa dell'impiegato alle differenze retributive sia
in virtù del disposto dell'art.56, c. 6, d.lgs. n. 29/93, sia perché la
controparte non aveva fornito alcuna prova dello svolgimento delle mansioni
superiori.
M.F. si costituiva e contestava la fondatezza dell'appello del quale
chiedeva il rigetto.
Con successivo ricorso depositato il 23.9.02 il Ministero proponeva appello
anche contro la sentenza definitiva n. 198/02 resa dal Tribunale di Sulmona
nella medesima controversia. L'Amministrazione riproponeva gli stessi motivi
di gravame dedotti nell'atto di impugnazione proposto contro la sentenza non
definitiva.
Il M. si costituiva e contestava la fondatezza anche di tale secondo
appello, chiedendone il rigetto.
All'odierna udienza le cause venivano riunite e, dopo la discussione, la
Corte le decideva e dava lettura del dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'eccezione di improcedibilità riproposta dal Ministero in grado di appello
è infondata.
In effetti il M. ha correttamente assolto all'onere impostagli dall'attuale
art.65 d.lgs. n. 165/01, avendo provveduto ad inviare sia alla Direzione
provinciale del lavoro di L'Aquila, sia all'Amministrazione di appartenenza
la raccomandata datata 9.12.00 nella quale ha dedotto di aver espletato, sin
dall'epoca della nomina ad operatore giudiziario, le mansioni della
qualifica superiore a quella rivestita e che, avendo interesse a vedersi
riconosciuta quella superiore qualifica, aveva inutilmente avanzato istanza
al Ministero della Giustizia.
Ritiene la Corte che una richiesta di tentativo di conciliazione così
formulata risponda alle prescrizioni richieste dall'art.66, c. 3, d.lgs. n.
165/01.
Infatti il lavoratore ha specificato (oltre all'Amministrazione di
appartenenza, alla sede di servizio ed al luogo dove avrebbero dovuto
essergli inviate le comunicazioni relative alla procedura) l'oggetto della
propria pretesa (il riconoscimento della superiore qualifica) e i fatti sui
quali quella pretesa si fondava (l'aver svolto, a partire da una certa data
- quella della nomina ad operatore giudiziario - le funzioni proprie della
qualifica superiore).
L'appellante eccepisce che si tratterebbe di indicazioni troppo generiche.
Al riguardo occorre premettere che, configurando il tentativo stragiudiziale
di conciliazione di cui qui si tratta un caso di c.d. "giurisdizione
condizionata" (infatti il suo esperimento è necessario al fine della
procedibilità dell'azione giudiziale dell'impiegato), le disposizioni
legislative che lo disciplinano debbono essere interpretate alla luce dei
principi elaborati dalla Corte costituzionale in materia. In particolare i
giudici delle leggi in più occasioni hanno avuto modo di stabilire che
simili oneri posti dal legislatore a carico di chi intenda far valere in
giudizio un proprio diritto debbono, tra l'altro, essere tali da non
costituire un ostacolo eccessivamente oneroso per il cittadino, pena - in
caso contrario - la violazione del precetto enunciato dall'art.24, c. 1,
Cost.
Nella fattispecie occorre considerare, in primo luogo, che l'onere in
questione è posto a carico di qualsiasi impiegato pubblico e pertanto deve
essere inteso in maniera tale da poter essere adeguatamente soddisfatto da
un qualsiasi cittadino, sia pure non fornito di preparazione giuridica
specifica. In secondo luogo, scopo dell'istanza in questione non è quella di
instaurare un processo, ma solamente quello di dare l'impulso ad un
procedimento che ha quale obiettivo quello di permettere che le parti di una
controversia si incontrino al fine di verificare concretamente la
possibilità di risolvere transattivamente la vertenza.
Ne consegue che è sicuramente fuori luogo richiamare, a proposito della
richiesta del tentativo di conciliazione, i principi enunciati alla
giurisprudenza in ordine ai requisiti di specificità che deve presentare il
ricorso introduttivo della controversia di lavoro di cui all'art.414 c.p.c..
Lo stesso terzo comma dell'art.66 d.lgs. n. 165/01 chiarisce che
l'esposizione dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa
deve essere "sommaria". E nell'interpretazione di un simile aggettivo
occorre tener presente il richiamato scopo di tutta la procedura. Allora,
deve ritenersi sufficiente che l'istanza del lavoratore contenga indicazioni
tali da consentire alla controparte pubblica di percepire con sicurezza
l'oggetto della pretesa e le ragioni della stessa, in maniera tale che la
Pubblica Amministrazione sia in grado di predisporre le proprie osservazioni
scritte (art.66, c. 4) e di valutare la possibilità di formulare un'offerta
transattiva e di stabilire i termini della medesima. In un caso come quello
oggetto della presente causa (svolgimento di mansioni superiori),
l'indicazione fornita dal lavoratore circa l'oggetto della propria pretesa
(riconoscimento della qualifica superiore), seppure caratterizzata da una
certa genericità, era comunque tale da porre la controparte pubblica in
condizione di sapere quale fossero i diritti che il dipendente intendeva
tutelare. L'appellato ha, poi, indicato anche quali mansioni aveva svolto
(appunto, quelle della qualifica superiore a quella rivestita) e in quale
periodo (a decorrere dall'epoca di nomina ad operatore giudiziario) in
maniera tale da non consentire incertezze circa i due elementi di fatto
decisivi per l'individuazione dell'oggetto della controversia.
Passando al merito della causa, conviene ricordare che il Tribunale ha
riconosciuto solamente il diritto dell'impiegato alle differenze retributive
rispetto al livello di inquadramento (B3) immediatamente superiore alla
qualifica (B2) rivestita e solamente a decorrere dal 22.11.98, data di
entrata in vigore del d.lgs. n. 387/98 che ha modificato l'allora art.56 d.
lgs. n. 29/93 (attuale art.52 d.lgs. n. 165/01).
Tanto precisato, osserva il Collegio che l'appellante ha formulato due
ordini di censure: da un lato l'Amministrazione sostiene che, in virtù del
disposto dell'ultimo comma dell'art.52 d.lgs. n. 165/01, il diritto dei
dipendenti pubblici alla percezione delle differenze retributive in ragione
dello svolgimento di mansioni superiori non può essere affermato a partire
dalla decorrenza stabilita dal Giudice di primo grado, bensì solamente a
decorrere dalla attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti
professionali prevista dai contratti collettivi e, dall'altro, che il M. non
avrebbe fornito la prova dell'espletamento di funzioni corrispondenti alla
qualifica superiore.
Iniziando dal primo aspetto, si deve considerare che il citato art.52, dopo
aver stabilito al 1° comma, che "l'esercizio di fatto di mansioni non
corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini
dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di
direzione", nel 2° comma individua analiticamente le sole ipotesi in cui è
consentito lo svolgimento delle mansioni superiori (vacanza di posto in
organico e assenza di altro dipendente con diritto alla conservazione del
posto, in entrambi i casi solamente per mansioni della qualifica
immediatamente superiore e per limitati periodi di tempo); nel 4° comma
statuisce che, in quei casi, il lavoratore ha diritto al trattamento
previsto per la qualifica superiore per tutto il periodo di effettiva
prestazioni delle superiori mansioni. Nel 5° comma, poi, è detto che, "al di
fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore
a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è
corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica
superiore".
La prima conclusione che si trae inevitabilmente da simili disposizioni è
che, sia nel caso in cui l'addizione a mansioni superiori sia legittima ai
sensi del 2° comma, sia nei casi in cui non lo sia, ai lavoratori non spetta
mai il definitivo inquadramento nella qualifica superiore (c. 1, ultima
parte), mentre spettano sempre le differenze di trattamento economico (4° e
5° comma).
Un elemento di complicazione è però introdotto dal 6° comma dello stesso art.52
il quale, nella versione introdotta dall'art.25 del d.lgs. 80/98
(modificativo dell'art.56 d.lgs. n. 29/93, attuale art.52 d.lgs. n. 165),
così recitava: "le disposizioni del presente articolo si applicano in sede
di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali
prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I
medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di
cui ai cc. 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di
mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il
diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici
nell'inquadramento professionale del lavoratore. L'art.15 del d.lgs. n.
387/98 ha modificato questo comma eliminando le parole "a differenze
retributive o" dalla sua ultima parte. Pertanto, a partire dalla data di
entrata in vigore del d.lgs. n. 387 (vale a dire dal 22.11.98, essendo il
decreto stato pubblicato nella G.U. del 7.11.98 e non contemplando esso
alcuna particolare disposizione transitoria in materia), fermo restando il
tenore delle prime due parti del c. 6, la terza parte così recita: "fino a
tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla
qualifica di appartenenza può comportare il diritto ad avanzamenti
automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore".
Pertanto, in tema di rivendicazione delle differenze retributive,
conclusione sfavorevole ai lavoratori deve essere affermata per il periodo
precedente al 22.11.98 proprio perché l'originario tenore del 6° comma, come
si è visto, escludeva espressamente ed in maniera perentoria ("in nessun
caso, ecc."), anche il diritto a quelle differenze.
Diversa deve essere la decisione rispetto al periodo successivo al 22.11.98.
Invero, la soppressione, operata con il d.lgs. n. 387, dell'inciso relativo
alle differenze retributive si spiega solamente con la volontà del
legislatore di riconoscere fin dal momento dell'entrata in vigore di quel
d.lgs. il diritto al trattamento economico corrispondente alle mansioni
effettivamente espletate, svincolando quel diritto dall'attuazione della
nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti
collettivi e dalla decorrenza dagli stessi stabilita.
Né è possibile pervenire ad una diversa conclusione facendo leva sul
disposto della prima parte del 6° comma a norma del quale le disposizioni
dell'intero art.52 (e quindi anche quelle del 4° e del 5° comma relative al
diritto al trattamento economico proprio della qualifica corrispondente alle
mansioni effettivamente svolte) si applicherebbero solamente "in sede di
attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista
dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi
In effetti, ritenere che già la prima parte del 6° comma escluda il diritto
alle differenze retributive, significherebbe, in primo luogo, rendere del
tutto inutile l'ultima parte dello stesso comma nella versione
originariamente introdotta dal d.lgs. n. 80/98: che senso avrebbe avuto
specificare che fino alla data fissata dai contratti collettivi
disciplinanti i nuovi ordinamenti professionali lo svolgimento di mansioni
superiori non avrebbe comportato il diritto alle corrispondenti differenze
retributive, se già la prima parte del 6° comma escludeva quel diritto
mediante il rinvio alla stessa data dell'entrata in vigore dei commi
contemplanti il diritto alle differenze.
In realtà la coesistenza della prima e dell'ultima parte del 6° comma si
spiega agevolmente se si pone mente al complesso sistema delle fonti di
disciplina del rapporto di impiego pubblico privatizzato delineato dal
d.lgs. n. 165.
Al riguardo la norma cardine è rappresentata dall'art.2, c. 2, in virtù del
quale il rapporto in questione è disciplinato innanzi tutto dalle
disposizioni del capo I, titolo II del libro V del codice civile. Tra queste
disposizioni rientra l'art.2103, a norma del quale il dipendente che svolga
mansioni superiori ha diritto a percepire il trattamento economico proprio
della superiore qualifica e, a certe condizioni, anche al definitivo
inquadramento in quella. Sulla base del rinvio operato dall'art.2, pertanto,
questa sarebbe anche la disciplina valevole per il lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche. Tuttavia il legislatore ha inteso
introdurre una deroga ad alcune delle disposizioni contenute nell'art.2103 e
lo ha fatto nell'art.52; però l'entrata in vigore di quest'ultimo articolo è
stata posticipata (appunto fino alla data prevista dalla contrattazione
collettiva in sede di ridisciplina degli ordinamenti professionali: prima
parte del c. 6); ed allora, la combinazione tra l'art.2, c. 2, e l'art.52,
c. 6, prima parte, avrebbe comportato la conseguenza della immediata
(seppure provvisoria) applicazione al rapporto di impiego pubblico di tutte
le disposizioni contenute nella norma codicistica fino alla data fissata
dalla contrattazione collettiva contemplante i nuovi ordinamenti
professionali. Ecco che, con l'ultima parte del c. 6 dell'attuale art.52
d.lgs. n. 165, il d. lgs. n. 80/98 ha voluto appunto evitare che nella fase
transitoria (quella intercorrente tra la sua entrata in vigore e quella
della nuova disciplina degli ordinamenti professionali) potessero avere
applicazione i precetti dell'art.2103 in tema di retribuzione e di
inquadramento spettante a chi svolga mansioni superiori.
Poi, con la soppressione dell'inciso riguardante le differenze retributive
operato successivamente dall'art.15 del d.lgs. n. 387/98, il legislatore ha
inteso appunto restringere il novero delle disposizioni dell'art.2103 non
immediatamente applicabili limitandole a quelle che regolano gli avanzamenti
automatici nell'inquadramento professionale; ne consegue che invece il
precetto in tema di diritto alle differenze retributive scaturente
dall'espletamento di mansioni superiori è ormai (precisamente dal 22.11.98,
data di entrata in vigore del d.lgs. n. 387) immediatamente applicabile ai
rapporti di lavoro privatizzati.
Tanto precisato in punto di diritto, reputa il Collegio che, in punto di
fatto, l'appellato abbia fornito piena prova dello svolgimento da parte sua
di mansioni proprie della qualifica B3.
In particolare, risulta dalle deposizioni testimoniali e dai documenti
versati in atti che il M. si occupava in autonomia della cancelleria della
Volontaria Giurisdizione ed aveva l'incarico di referente per l'informatica.
Iniziando da questo secondo aspetto, si rileva, in primo luogo, che risulta
agli atti il provvedimento del 2.10.00 con il quale il Presidente del
Tribunale di Sulmona ha respinto l'istanza del M. di essere sollevato
dall'incarico di referente per il settore informatico (all. n. 9 fasc. 1°
grado M.).
Inoltre i testi hanno riferito che l'appellato installava i programmi ed
aiutava i colleghi nell'utilizzo dei medesimi (deposizione Di F.); inoltre
curava anche gli approvvigionamenti di apparecchiature elettroniche
(deposizioni C. e B.).
Trattasi, all'evidenza, di funzioni eccedenti la qualifica B2, tant'è vero
che nella nuova classificazione del personale corrispondono pienamente a
quelle dell'esperto informatico B3, categoria alla quale appartengono i
"lavoratori che installano e configurano i sistemi o i pacchetti software
standard rispettando le specifiche dettate dall'Amministrazione", che
"supportano gli utenti nella risoluzione delle problematiche connesse all'
applicazione della procedure di sicurezza previste verificando l'integrità
del sistema", che "operano una attività di prima valutazione dei
malfunzionamenti lamentati interfacciandosi con i fornitori esterni", che
"provvedono alla tenuta e all'organizzazione della documentazione hardware e
software curandone l'aggiornamento" (a quest'ultimo riguardo si veda la nota
del 6.12.00 inviata dal Procuratore della Repubblica e dal Presidente del
Tribunale di Sulmona al Presidio CISIA preso la Corte di Appello nella quale
si indicava il M. come referente per le operazioni relative
all'installazione della apparecchiatura hardware, e software concernente il
rilevamento automatico delle presenze del personale del locale Palazzo di
Giustizia: all. n. 7 fasc. I grado M.).
Quanto alla attività svolta presso la cancelleria della Volontaria
Giurisdizione è senz'altro vero (né poteva essere altrimenti che la
responsabilità dell'attività di quella cancelleria gravava su altro
impiegato rivestente qualifica di cancelliere C 2. E' anche vero, però, che
di fatto il M. si occupava in autonomia di tutta l' attività facente capo a
quella cancelleria e che era lui a risolvere anche le questioni che
appartenevano alla responsabilità del cancelliere (v. deposizione Di F.,
dirigente della Cancelleria civile, che ha dichiarato che l'appellato
"riesce a gestire autonomamente la Cancelleria della Volontaria
Giurisdizione nel senso che è in grado di interagire autonomamente con
l'utenza; laddove l'utente infatti chieda informazioni non gira le
problematiche al sottoscritto ma le risolve da solo nel rispetto delle
responsabilità di ciascuno. Infatti se sorgessero problemi anche nei
confronti dell'utenza o in sede ispettiva ne risponderebbe il
sottoscritto").
Si aggiunga che i testimoni hanno altresì confermato che il M. svolgeva
attività proprie del cancelliere, come la raccolta di testamenti o del
giuramento di guardie giurate.
In conclusione la complessiva attività espletata dall'appellato (sia come
referente per l'informatica, sia come addetto alla cancelleria della
Volontaria Giurisdizione) è sicuramente superiore a quella di carattere
esecutivo propria dell'operatore amministrativo, essendo invece
qualitativamente equivalente a quella dell'ex assistente giudiziario,
attuale B3, risolvendosi in compiti di concetto e di immediata
collaborazione con il magistrato.
Gli appelli propositi dal Ministero della Giustizia debbono pertanto essere
respinti.
La particolare complessità della questione di diritto presentata dalla
controversia consiglia la compensazione delle spese del grado.
P. Q. M.
La Corte di Appello di L'Aquila, Sezione lavoro, definitivamente
pronunciando sull'appello proposto avverso le sentenze del Tribunale di
Sulmona in funzione di giudice del lavoro, pronunciate in data
22.2.02-1.3.02 e 14.6.02-17.7.02, così decide nel contraddittorio delle
parti:
1) rigetta gli appelli;
2) compensa tra le parti le spese processuali