Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Regionale Puglia, Giud.Un.., Raeli , 29 dicembre 2003 n. 1172 – XX ( avv.ti Guerra ) contro Ministero dell’Economia ( c. ) e delle Finanze e I.N.P.D.A.P. ( c. )

( Omissis )

Ritenuto in

DIRITTO

1. Oggetto dei giudizi che vengono all’esame della Sezione è la controversa questione del cumulo della indennità integrativa speciale e della 13^ mensilità in ipotesi di doppia pensione e di corresponsione di pensione durante il periodo della contestuale prestazione lavorativa alle dipendenze di terzi privati e della P.A.

Sussistono, quindi, ragioni di connessione che consentono la trattazione e la decisione con unica sentenza dei ricorsi introdotti con separati giudizi, ai sensi dell’art. 274 c.p.c. reso applicabile dall’art. 26 R.D., 1038/1933 ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei conti.

2. Tanto la L. 324 del 1959 ( art. 2, commi, 5°, 6° e 7° ) e il successivo D.P.R. 1092 del 1973 ( art. 99, commi 2° e 5° ) prevedevano che l’indennità integrativa speciale potesse essere percepita una volta sola, e ciò sia per i pensionati che svolgono un’altra attività, sia per i percettori di due o più pensioni. L’art. 17 della legge 21.12.1978 n.843 dispone che l’indennità integrativa speciale non è cumulabile con la retribuzione percepita in costanza di lavoro alle dipendenze di terzi, fatto salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

3. La Corte costituzionale si è pronunziata più volte su entrambe le ipotesi di divieto di cumulo di indennità integrative speciali, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale sia di norme della legislazione statale ( e regionale ) che stabiliscono il divieto di cumulo di più indennità integrative speciali nel caso di titolarità di più pensioni, sia di altre norme che statuiscono la sospensione dell’indennità integrativa speciale nei confronti del titolare di pensione o assegno vitalizio che presti opera retribuita

3.1. La Corte costituzionale è intervenuta, inizialmente, sul divieto di cumulo tra due indennità integrative speciali su pensione e retribuzione , con la sentenza n. 566 del 13 dicembre 1989, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 99, co. 5°, D.P.R. 1092/1973, “ in quanto non ha stabilito il limite dell’emolumento per le attività alle quali si riferisce, dovendosi ritenere ammissibile, al di sotto di tale limite, il cumulo integrale tra trattamento pensionistico e retribuzione, senza che sia sospesa la corresponsione dell’indennità integrativa “.

3.2.1. Il divieto di cumulo di indennità integrative speciali in ipotesi di plurime pensioni è stato dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 172 del 1991 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1° della L. 21 dicembre 1978 n. 843 e dell’art. 15 del D.L. 30 dicembre 1979 n.663, con riferimento al trattamento di pensione erogato dalla C.p.d.e.l., “ nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l’esclusione e il congelamento dell’indennità integrativa speciale “ e, inoltre, con la sentenza n. 494 del 29 dicembre 1993, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.. 99, comma 2°, D.P.R. 1092/1973 “ nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti “.

3.2.2. La sentenza n. 307 del 1993 ha adottato identica soluzione con riferimento al sistema normativo delle pensioni erogate dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei geometri, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della L. 773 del 1982.

3.2.3. E analogo dispositivo è stato pronunciato con riferimento all’art. 4 della legge della Regione Sicilia 24 luglio 1978 n. 17 “ nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di più pensioni o assegni vitalizi, ferma restando la spettanza ad un solo titolo dell’indennità di contingenza e di ogni altra maggiorazione dipendente dall’adeguamento del costo della vita, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti” ( sentenza n.376/1994 )

Con la stessa pronuncia, la Corte costituzionale ha altresì censurato la norma anche “ nella parte in cui, riguardo al pensionato che presta attività retribuita, non determina la misura della retribuzione complessiva oltre la quale diventi operante il divieto di cumulo dell’indennità di contingenza relativa al trattamento pensionistico con le indennità dirette all’adeguamento al costo della vita del trattamento di attività “ .

3.3. Dalla evoluzione della giurisprudenza costituzionale intervenuta in subjecta materia, si evince che un divieto generalizzato di cumulo, cioè senza che sia fissato un limite minimo o trattamento complessivo per le attività alle quali si riferisce, al di sotto del quale il divieto debba essere necessariamente escluso, sia illegittimo ( cfr., da ultimo, Corte cost. 21 novembre 2000 n.516, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della tabella 0, lett. B), terzo comma. L.R.Sicilia 29 ottobre 1985 n.41 ) e che un divieto di cumulo ormai caducato non può rivivere, sotto forma di interpretazione, senza un intervento del legislatore, cui deve restare la discrezionalità della scelta tra le diverse soluzioni ( cfr. Corte cost. 21 novembre 2000, n. 517 ).

Né ha pregio distinguere tra pensioni c.d. tabellari e pensioni ordinarie, come inferisce l’Amministrazione del Tesoro, per trarre come conseguenza l’inapplicabilità del divieto di cumulo alle prime aventi natura indennitaria, non trovando tale distinzione fondamento nella lettera della legge.

4. L’insegnamento del Giudice costituzionale rinvenibile nelle pronunce sopra indicate ha indotto la prevalente giurisprudenza delle Sezioni regionali e centrali della Corte dei conti ad assumere differenti posizioni in merito alla problematica del divieto di cumulo delle indennità integrative speciali ( cfr. SS.RR. 3.1.2000 n. 1/2000/QM e SS.RR. 18 giugno 2003, n.14/2003/QM, per una messa fuoco della problematica).

Occorre distinguere, innanzitutto, l’ipotesi del cumulo di pensioni da quella del cumulo di pensione e retribuzione.

4.1.1. Secondo un primo orientamento permane il divieto di cumulo in presenza di due o più trattamenti pensionistici, semprechè la seconda o ulteriore pensione risulti superiore all’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti INPS ( ex multis, Sez. II centrale, 18 luglio 2002,n.262/A; Id., 12 giugno 2003 n. 231; Sez. Sardegna 29 gennaio 2002 n. 104; Sez. Friuli-Venezia Giulia, 3 ottobre 2000, n. 467; Sez. Toscana, 18 aprile 2000, n.686 ).

4.1.2. Secondo un altro orientamento, invece, va riconosciuto il diritto alla indennità integrativa speciale su entrambi i trattamenti pensionistici ( Sez. III centrale, 21 marzo 2002 n.106; Id., 6 febbraio 2001 n.26; Id., 28 marzo 2001 n. 66; Sez. Toscana 7 marzo 2002, n.155;Id., 23 aprile 2002 n.309; Sez. Lombardia, 3 dicembre 2001 n. 1775; Sez. Marche, 23 febbraio 2000, n.2873 ).

4.1.3. Per dirimere il contrasto giurisprudenziale, questa Sezione Giurisdizionale Regionale, in composizione monocratica, ha deferito questione di massima alle SS.RR., che lo hanno risolto nel senso della riaffermazione del divieto di cumulo, salvo il minimo I.N.P.S. ( cfr. SS.RR n.14/2003/QM; infra n.8 )

4.2. Anche il divieto di cumulo delle indennità integrative riferite a pensione più retribuzione è stato oggetto di vivace dibattito nella giurisprudenza, in quanto ad un iniziale orientamento che ha affermato l’incondizionata cumulabilità delle indennità integrative speciali riferite a pensione e retribuzione ( cfr. Sez. Sardegna, 6 febbraio 1992 n. 25 e Sez. Marche, 11 febbraio 1999 n. 2132) si è contrapposto un indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale trova applicazione analogica il divieto di cumulo sancito dall’art. 1, comma 4°, della L. 324/1959 nel caso di cumulo di impieghi ( SS.RR, 13 luglio 1994 n. 100/C). Per un terzo orientamento giurisprudenziale, intermedio tra i due precedentemente esposti, pur continuando ad avere vigore il divieto di cumulo, va fatto salvo comunque il minimo I.N.P.S. ( cfr.: Sez. Veneto, 1° ottobre 1999, n. 511; SS.RR, 16 luglio 1997 n. 39/40/QM).

Le Sezioni Riunite., investite nuovamente in sede di questione di massima, avrebbero dovuto risolvere il contrasto insorto nella giurisprudenza di merito e al suo interno.

Ma, così non è stato, dappoichè la sentenza n.1/2000/QM del 3 gennaio 2000 ha introdotto ulteriori elementi di incertezza in una materia così travagliata sul piano giurisprudenziale, riaffermando la vigenza del divieto di cumulo della doppia indennità integrativa speciale, ma –è questo l’elemento di novità - purchè la retribuzione non superi il limite corrispondente all’importo reddituale massimo annualmente stabilito per la sussistenza della condizione economica di nullatenenza dei congiunti ai fini della reversibilità delle pensioni ordinarie .

Un quarto orientamento giurisprudenziale, dunque, con buona pace del principio della certezza del diritto e della funzione – si dice – di nomofilachia delle Sezioni Riunite della Corte dei conti!

4.3. Senonchè, anche dopo l’intervento delle SS.RR. è continuato il contrasto nella giurisprudenza delle Sezioni centrali e regionali, tra le quali è nettamente maggioritaria la tesi del riconoscimento in misura integrale della indennità integrativa speciale sulla pensione ( Sez. Sicilia, 27 marzo 2000, n.444 e 24 luglio 2000, n. 840; Sez. III centrale, 18 giugno 2001 n.153; Sez. II centrale, 5 maggio 2000, n.141; Sez. II centrale, 7 maggio 2001 n. 171/A; Sez. Campania, 9 luglio n. 2001 n. 1019; Sez. Puglia, 18 febbraio 2002, n.75; Sez. Basilicata, 2 ottobre 2002, n. 344; Sez. Emilia Romagna, 21 novembre 2001, n. 1927 ) mentre appare isolata la tesi secondo la quale il cumulo è consentito nei limiti del trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti ( c.d. minimo I.N.P.S.) ( cfr. Sez. Sicilia, 14 giugno 2001, n. 511 ).

5. Dopo avere esaminato brevemente la giurisprudenza formatasi sulla problematica del cumulo delle indennità integrative speciali, deve questo Giudice prendere in esame le domande introduttive dei giudizi odierni, per verificarne la fondatezza o meno e, ancora prima, esaminare le eccezioni preliminari in rito, che sono state sollevate dall’INPDAP e dall’Amministrazione del Tesoro.

5.1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi con contestuale atto di diffida ad adempiere, in accoglimento della eccezione sollevata dall’I.N.P.D.A.P., a mente dell’art. 71 lett. b) del R.D. 1038/1933, in base al quale i ricorsi in materia di pensioni non sono ammessi quando si propongono domande sulle quali non si sia provveduto in sede amministrativa; norma da ritenersi tuttora in vigore e che non contraddice con la configurazione del processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti: l’oggetto della giurisdizione è sì il rapporto pensionistico e non l’atto amministrativo; ma l’atto costituisce il necessario presupposto processuale, nel senso che rappresenta l’emersione della pretesa sostanziale. D’altronde, l’ordinamento giuridico conosce altri tipi di processi, che sono strutturati come giudizi su rapporti, pur essendo formalmente su atti ( cfr., ad esempio, il processo tributario )

5.2. Parimenti fondata è l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’I.N.P.D.A.P. nelle memorie depositate in segreteria il 2 gennaio 2003, in relazione a quei ricorsi che attengono ai trattamenti pensionistici privilegiati tabellari che sono amministrati dall’ex Direzione Provinciale del Tesoro ( ora Dipartimento Provinciale ) di Brindisi.

E, specularmene, si appalesa fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Dipartimento Provinciale di Brindisi con riferimento ai ricorsi aventi oggetto trattamenti pensionistici che dal 1° gennaio 1999 sono gestiti e pagati dall’I.N.P.D.A.P., per effetto del combinato disposto degli artt. 4 D.lgvo 30.6.1994 n. 479 e 2 L. 8.8.1995 n. 335.

Rimane assorbita dall’accoglimento della eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’I.N.P.D.A.P. l’eccezione di improcedibilità proposta dall’Istituto con riferimento ai ricorsi proposti dai Sigg. Semeraro Francesco, Caliandro Angelo, D’Amuri Antonio, De Luca Antonio, D’Errico Umberto, Rogoli Bruno, Semeraro Giovanni, Martellotta Mauro.

5.3. Altrettanto fondata è l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’I.N.P.D.A.P. con riferimento al periodo anteriore alla data di collocamento a riposo dei Sigg. Lapadula, Cogliandro Domenico, Tafuro Antonio, in quanto per effetto dell’art. 4 del D.lgvo. 479/1994 e dell’ art. 2 della L. 335/1995 l’I.N.P.D.A.P. è subentrato sia nella gestione e nel pagamento della pensione, sia nella legittimazione attiva e passiva delle controversie instaurate dinanzi alla giurisdizione ordinaria, amministrative e contabile.

6. Passando all’esame del merito, preliminarmente, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere in relazione ai giudizi promossi dai Sigg. Calvaro Donato, Di Serio Pasquale, Farina Beniamino, Lenoci Vincenzo, Pacileo Anna, Piccinni Aldo, Russo Antonio che, con dichiarazioni agli atti, hanno rinunziato rispettivamente alla prosecuzione dei ricorsi n. 14480 ( 20121/m )- 19337 ( 20129/m ) – 14199 (20126/m ) – 19360 ( 20147/m ) – 19342 ( 20130/m ) – 14507 ( 20118/m ) – 14511 ( 20120/m ); per quanto riguarda Lenoci e Calvaro, limitatamente al periodo di contestuale attività lavorativa retribuita.

7. Ciò premesso, in primo luogo deve essere riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla percezione dell’indennità integrativa speciale in misura intera sul trattamento pensionistico privilegiato di cui si lamenta la mancata corresponsione, nella ipotesi di contestuale prestazione lavorativa alle dipendenze di terzi privati o di una P.A..

E ciò per effetto della sentenza costituzionale n.566/1989 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 5°, del D.p.r. 1092/1973, e della sentenza costituzionale n.204/1992, che reca analoga declaratoria di incostituzionalità dell’art. 17 della L. n.843/1978.

Con riferimento agli effetti dispiegati da dette sentenze, si è parlato in giurisprudenza di effetto ablatorio ( cfr., ex multis, Sez. II centrale, 141/A cit. ) o di mero annullamento ( cfr., SS.RR., 14/2003/QM cit. ) per significare che deve ritenersi caducato il divieto di corresponsione dell’indennità integrativa speciale sulla pensione, nei confronti del pensionato per il periodo in cui questi presti opera retribuita presso terzi.

Dopo l’intervento della Corte costituzionale non può, quindi. tuttora ritenersi vigente il divieto di cumulo originariamente previsto inizialmente dall’art. 2 comma della legge 324/1959 e, poi, trasfuso nell’art. 99, comma, e successivamente esteso ad ogni rapporto lavorativo dall’art. 17 della L. 843/1978.

Va accolto, dunque, quanto sostenuto dai difensori dei ricorrenti, i quali hanno richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Regionali e centrali della Corte dei conti assolutamente concorde nell’affermare l’insussistenza del divieto di cumulo in ipotesi di percezione di retribuzione e pensione, e disattesa, viceversa, l’eccezione sollevata dalle Amministrazioni intimate ( I.N.P.D.A.P. e Ministero del Tesoro ) diretta a sostenere la necessità di un intervento del legislatore che stabilisca la misura del trattamento economico complessivo al di sotto del quale ritenersi operante il cumulo, osservando che in assenza di alcun intervento legislativo è tuttora operante il divieto di cumulo

Ritiene, invero, questo Giudice che a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme sopra citate non si verifica alcun vuoto normativo, trovando immediata applicazione la regola generale che non è quella del divieto di cumulo, ma, al contrario, quella del cumulo, in quanto la Corte costituzionale ha censurato un divieto di cumulo generalizzato che sarebbe illegittimo ( cfr. sent. 21 novembre 2000 n.516, cit.).

Pertanto, in carenza di disposizioni normative dalle quali possa trarsi con sicurezza il limite dell’emolumento al di sopra del quale non opera il cumulo tra indennità integrative speciali ( su retribuzione e pensione ), non resta al Giudicante altra via che quella di decidere nel senso della riespansione del diritto prima compresso dal divieto di cui all’art. 99, comma 5° , D.p.r. 1092/1973, e dall’art. 17 L. 843/1978, senza che sia consentito all’interprete di prendere a prestito da altri settori dell’ordinamento pensionistico il criterio della c.d. nulla tenenza, siccome deciso dalle SS.RR. con sentenza n. 1/2000/QM, dappoichè il giudice deve limitarsi ad applicare il diritto vigente e.non può sostituirsi , con una operazione di ermeneutica ortopedica, al legislatore rimasto inattivo.

8. Apparentemente più complessa è la problematica concernente l’ipotesi di percezione di plurime pensioni, che è stata decisa dalle Sezioni Riunite con la sentenza n. 14/2003/QM, cit.

Le Sezioni Riunite, intervenute in sede di questione di massima, su impulso di questa Sezione Giurisdizionale Regionale, hanno affermato i seguenti principi di diritto: “ 1) in ipotesi di doppio trattamento di pensione non è consentito il cumulo della indennità integrativa speciale; 2) il titolare di due pensioni ha diritto a percepire la indennità integrativa speciale sulla seconda pensione soltanto nei limiti necessari per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti ( c.d. minimo I.N.P.S.) “.

8.1.Il ragionamento svolto dalle SS.RR. è assai articolato e merita di essere esposto per l’accurata ricostruzione della giurisprudenza costituzionale e per la accuratezza delle considerazioni di diritto, sebbene non condivise, nelle conclusioni, da questo Giudice, come si vedrà più avanti.

8.1.1 Si legge nella motivazione della sentenza n.14/2003/QM del 18 giugno 2003 che la Corte costituzionale ha tenuto ben distinta l’ipotesi di cumulo della i.i.s. su pensione e retribuzione da quella della doppia pensione, emettendo nel primo caso sentenze di mero annullamento e, nel secondo caso, sentenze additive che hanno avuto l’effetto di estendere alle disposizioni recanti il divieto di cumulo della i.i.s. nei confronti del titolare di due pensioni il principio della salvaguardia del minimo I.N.P.S. contenuto nell’art. 17, 1° comma, della legge n.843 del 1978 .

8.1.2. Sulla base di tale presupposto, si confuta, in sentenza, la tesi favorevole al cumulo – sostenuta dall’avv. Paolo Guerra sia nel giudizio innanzi alle Sezioni Riunite, sia nel presente giudizio, sul presupposto che la norma “ aggiunta “ all’art. 17 della legge n.843 del 1978 dalla sentenza costituzionale n. 172 del 1991 sarebbe stata travolta per effetto della successiva sentenza n. 204 del 1992 e tenuto conto dell’effetto di mero annullamento della sentenza n. 494 del 1993 – per la considerazione che la declaratoria di incostituzionalità contenuta nella sentenza n. 204 del 1992 riguarda solo l’ipotesi del pensionato che presta opera retribuita, fermo restando la disposizione aggiunta con la sentenza n. 172 del 1991 relativamente all’ipotesi della doppia pensione, e in quanto la sentenza n. 494 del 1993 ha avuto l’effetto di aggiungere all’art. 99, comma 2° del D.p.r. 1092/1973 la salvaguardia del trattamento minimo I.N.P.S. nei confronti del titolare di due pensioni, salvo il divieto di cumulo della i.i.s. nella sua originaria formulazione.

8.1.3. Che il legislatore abbia tenuto nettamente distinte le due ipotesi lo si evince dalla sentenza n.376 del 1994 e ciò troverebbe giustificazione con il fatto che “ la salvaguardia del minimo I.N.P.S. era stata introdotta dal legislatore del 1978 ( all’art. 17, 1° comma, della legge n.843 ) e, quindi, la Corte costituzionale ha reperito nell’ordinamento vigente il parametro da applicare nell’ipotesi di duplice pensione “ ed in relazione alla diversa tutela del pensionato rispetto al lavoratore con riguardo ai principi contenuti, rispettivamente, negli artt. 38 e 36 della Costituzione

8.1.4. Inoltre, pur qualificando come sentenza di mero annullamento la sentenza n. 516 del 2000, che si riferisce ad entrambe le ipotesi ( pensione più retribuzione/doppia pensione ), le Sezioni Riunite ritengono che l’effetto della declaratoria di incostituzionalità sia quello di mantenere inalterata l’efficacia dell’art. 17, comma 1° della legge n. 843 del 1978 come “ manipolato “ dalla sentenza n. 172 del 1991 e dell’art. 99, 2° comma, del D.p.r. 1092/1973 come “ manipolato “ dalla sentenza n. 494 del 1993.

8.2. I difensori, come si è accennato ( infra 8.1.2. ), hanno sostenuto la tesi che la norma “ aggiunta “ all’art. 17 della legge n.843 del 1978 dalla sentenza costituzionale n. 172 del 1991- vale a dire la cosiddetta garanzia del minimo I.N.P.S. - sarebbe stata travolta per effetto della successiva sentenza n. 204 del 1992 anche relativamente al titolare di due pensioni ed in considerazione della natura ablatoria della sentenza n. 494/1993, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 2°. D.p.r. 1092/1973.

Da ciò discenderebbe, quale conseguenza delle declaratorie di incostituzionalità, che sarebbe oramai espunto dall’ordinamento il divieto di cumulo delle indennità integrative speciali, senza che si possa operare una distinzione tra pensionati, a seconda che prestino opera retribuita o siano titolari di ulteriore trattamento pensionistico, anche sulla scorta della natura ablatoria della sentenza n.376/1994.

Contestano i difensori, inoltre, quanto sostenuto dalle SS.RR. a proposto del fatto che con la sentenza n. 517/00 la Corte costituzionale abbia esaminato la sola ipotesi del pensionato che presti attività retribuita alle dipendenze di una Amministrazione Pubblica, richiamando il dispositivo di accoglimento della sentenza n. 516/2000.

Eccepiscono, infine, la disparità di trattamento che si verrebbe a creare – per effetto dell’art. 15 della L. 724/1994, che ha previsto il conglobamento dell’i.i.s. nella pensione a decorrere dall’1.1.1995 – tra titolari di pensioni precedenti il 31.12.1994 ( nelle quali l’i.i.s. viene corrisposta con assegno separato perché più favorevole ) e fruitori di plurime pensioni dall’1.1.1995 ( nelle quali l’i.i.s. viene conglobata ), ove trovasse accoglimento la tesi delle SS.RR.

8.3. Tanto premesso, condivide questo Giudice quanto osservato dalle SS.RR. a proposito del rapporto intercorrente tra le sentenze della Corte costituzionale n. 172/1991 e n. 204/1992.

In disparte il fatto che la sentenza n. 172/1991 si riferisce all’ipotesi di fruizione di plurime pensioni e la sentenza n. 204/1992 si riferisce alla diversa ipotesi del pensionato che presti opera retribuita, diversa è la tecnica seguita nella declaratoria di incostituzionalità: nel primo caso, l’illegittimità con la salvezza del c.d. minimo INPS; nel secondo caso, l’illegittimità tout court.

Il che equivale a dire che la prima sentenza è qualificabile come “ manipolativa-additiva “, mentre la seconda ha natura “ ablatoria “ .

Va disattesa, pertanto, la tesi portata avanti dalla difesa dei ricorrenti che fa leva sulla natura ablatoria della sentenza n.204/1992 e, quindi, sull’effetto di annullamento della disposizione “ aggiunta “ con la sentenza n. 172/1991, sostenuta anche con riguardo alla sentenza n. 494/1993, che fa riferimento alla differente ipotesi della doppia pensione. Invero, anche detta sentenza appartiene al genere delle pronunce “ manipolative-additive “, dappoichè è fatta espressamente salva la cosiddetta garanzia del minimo I.N.P.S. .

Sicchè si può convenire con le Sezioni Riunite, le quali hanno affermato che “… la Corte costituzionale abbia tenuto ben distinta l’ipotesi di cumulo della i.i.s. su pensione e retribuzione da quella di doppia pensione, emettendo nel primo caso sentenze di mero annullamento e, nel secondo caso, sentenze additive che hanno avuto l’effetto di estendere alle disposizioni recanti il divieto di cumulo della i.i.s. nei confronti del titolare di due pensioni il principio della salvaguardia del minimo I.N.P.S. contenuto nell’art. 17, comma 1°, della legge n. 843 del 1978 “.

Ma ciò è vero sino alla sentenza n. 516 del 2000, con cui la Corte costituzionale ha preso in esame entrambi le ipotesi di pensione più retribuzione e di doppia pensione.

Ritengono le SS.RR. che a seguito della declaratoria di incostituzionalità del divieto di cumulo previsto dalla normativa regionale siciliana torna ad acquistare efficacia l’art. 17, comma 1°, della legge n. 843 del 1978, come “ manipolato “ dalla sentenza costituzionale n. 172/1991 e l’art. 99, comma 2°, del D.p.r. n. 1092/1973, come “ manipolato “ dalla sentenza costituzionale n. 494 del 1993.

Da tale avviso, sia pure autorevole, questo Giudice intende tuttavia discostarsi secondo quanto in appresso detto.

Deve osservarsi, innanzitutto, la diversa formulazione del dispositivo di accoglimento della sentenza n. 516 ( “ dichiara l’illegittimità costituzionale…nella parte in cui non determina la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi operante… il divieto di cumulo… “ ) rispetto a quella utilizzata in precedenti sentenze con riferimento alla medesima ipotesi della doppia pensione ( “ dichiara l’illegittimità costituzionale…nella parte in cui non prevede che … debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti “: cfr. sentt. n. 376/1994 e n. 494/1993 ).

Ciò non è senza conseguenze di rilievo, in quanto attribuisce alla pronuncia di incostituzionalità la valenza di una sentenza di annullamento, a differenza della giurisprudenza costituzionale precedente, nella quale le due ipotesi sono tenute nettamente distinte sul piano degli effetti delle declaratorie di incostituzionalità.

D’altronde le stesse Sezioni Riunite si rendono conto di come la sentenza n. 516 del 2000 “ potrebbe offrire qualche spunto alla tesi del venir meno del divieto di cumulo della i.i.s. in entrambe le ipotesi di pensione più retribuzione e di doppia pensione “, sebbene poi in maniera incoeerente si ritenga che a seguito della declaratoria di incostituzionalità della normativa regionale torni ad acquistare forza espansiva e cogente la disposizione di cui all’art. 4 della L.R. n. 17 del 1978 - come “ manipolata “, relativamente all’ipotesi della doppia pensione – dalla sentenza costituzionale n. 376 del 1994, nonché gli artt. 17, comma 1°, L. n. 843 del 1978 – come “ manipolato “ dalla sentenza costituzionale n. 172 del 1991 – e l’art. 99, comma 2°, D.P.R. n.. 1092 del 1973 – come “ manipolato “ dalla sentenza costituzionale n. 494 del 1993.

Non considerano, infatti, le Sezioni Riunite che a differenza delle precedenti sentenze costituzionali intervenute con riferimento alla ipotesi della doppia pensione, nelle quali è fatto salvo il c.d. minimo INPS, la sentenza n. 516 del 2000 è qualificabile come ablatoria, in quanto viene dichiarata l’illegittimità costituzionale tout court del divieto di cumulo dell’indennità di contingenza ( indennità integrativa speciale ) in relazione ai “ titolari di pensione ed assegni vitalizi “

9. Parimenti va accolta la domanda relativa alla 13^ mensilità, di cui i ricorrenti lamentano la mancata corresponsione a diverso titolo.

Come è noto, l’art. 97 del D.p.r. n. 1092 del 1973 stabiliva al 1° comma il divieto di corresponsione della 13^ mensilità al titolare di pensione ( o assegno rinnovabile ) che presta opera retribuita alle dipendenze di una P.A. durante il periodo in cui ha prestato detta opera retribuita.

La norma in questione è stata dichiarata incostituzionale “ nella parte in cui non determina la misura della retribuzione, oltre la quale non compete la tredicesima mensilità “ ( cfr. sentenza n. 232 del 18 maggio 1992 ).

La prevalente giurisprudenza della Corte dei conti è orientata in senso favorevole al riconoscimento della 13^ mensilità al titolare di pensione che presta opera retribuita alle dipendenze di una P.A. ( cfr. SS.RR., n. 25/1998; Sez. III p.c. n. 69880/1993; Sez. Giur. Sicilia, n.184/1995 ; Id., n.68/1995; Id., n.159/1995; Id., n.112/1995; Id., n.180/1995; Sez. III, n.74/1996 e n.181/2002; Sez. Lazio, n. 1461/1996 e n.1491/1997; Sez. Marche, n. 2132/1999; Sez. Emilia Romagna, n.3192/2002 ), traendo spunto dalla sentenza costituzionale n.232 del 1992.

Va dichiarato, dunque, il diritto alla percezione della 13^ mensilità relativa al trattamento pensionistico, anche in presenza di attività lavorativa del titolare della pensione, il quale fruisca di altra 13 ^ mensilità legata al trattamento di attività.

Deve ritenersi, inoltre, che non sussistendo alcuna norma di divieto di cumulo di due o plurime tredicesime mensilità, il diritto alla percezione della 13^ mensilità spetti in misura intera nel caso di cumulo di più trattamenti pensionistici ( cfr.: Sez. Giur. Sicilia, n.1/C /1994 e n. 151/1998)

10. Conclusivamente, i ricorsi sono fondati, per quanto concerne il diritto alla corresponsione in misura integrale della indennità integrativa speciale e della 13^ mensilità sulle pensioni in godimento e, pertanto, alla restituzione delle somme illegittimamente decurtate a titolo di i.i.s. e 13^ mensilità.

Le Amministrazioni costituite in giudizio hanno comunque eccepito la prescrizione quinquennale dei ratei pensionistici.

L’Amministrazione del Tesoro ha eccepito la prescrizione quinquennale ai sensi degli artt. 2 R.D.L. 295/1939 e art. 2948 n. 4 c.c. e , in via subordinata, la prescrizione decennale a mente dell’art. 2946 c.c.

In ordine alla eccezione di prescrizione, i difensori dei ricorrenti hanno chiesto che ne venga dichiarata la inammissibilità ove sollevata per la prima volta in udienza.

Nel merito, che la prescrizione non opera, in quanto non sono stati comunicati ai ricorrenti i provvedimenti relativi alla indennità integrativa speciale e poichè l’Amministrazione avrebbe dovuto d’ufficio liquidare o riliquidare il trattamento pensionistico, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale 566/1989, 204/1992, 172/1991 e 494/1993. In via subordinata, che la prescrizione sarebbe limitata ai ratei non percepiti prima del decennio anteriore l’atto interruttivo.

Va respinta, innanzitutto, l’eccezione di inammissibilità, in quanto risulta sollevata prima della discussione dei giudizi odierni.

Due sono gli aspetti della eccezione di prescrizione che devono essere esaminati, ai fini della decisione della eccezione medesima:

1) individuazione del tipo di prescrizione ( decennale o quinquennale );

2) individuazione del dies a quo dal quale far decorrere la prescrizione ;

In ordine alla individuazione del tipo di prescrizione , la tesi prevalente in giurisprudenza è quella della prescrizione quinquennale (in termini:Sez. II centr. App., n. 34/2003 ; Id., n. 203/2003; Id., n. 153/2002; Sez. III centr. App., n. 40/2003 ; Id., n. 62/2003; Sez. Campania n. 1019/2000; Sez. Toscana, n.139/2000 ) nonostante un indirizzo giurisprudenziale favorevole alla durata decennale della prescrizione ( cfr. Sez. Molise n.155/2001; Sez. Lazio n. 1736/2002 ; Sez. Emilia Romagna n.55/2001; Id., n.2079/2000; Sez. Puglia n.346/2002; Sez. Piemonte n.130/1999 ).

Ritiene il Giudice, discostandosi dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, che il diritto alla percezione dei ratei arretrati a titolo di indennità integrativa speciale e di 13^ mensilità è soggetto al termine decennale di prescrizione.

E’ invero indubitabile, ad avviso del Giudicante, che le rate di pensione dovute dallo Stato debbano essere assoggettate al termine di cinque anni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere ( art. 2, primo e secondo comma, R.D.L. n.295/1939, come modificato dall’art. 2 della L. n. 428/1985 ).

E tuttavia può invocarsi, per l’indennità integrativa speciale e per la 13^ mensilità, il più lungo termine decennale di prescrizione di cui alle sentenze della Suprema Corte citate dai difensori.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, richiamato dai difensori, la prescrizione breve prevista dall’art. 2948 n. 4 c.c. concerne soltanto i crediti “ liquidati e pagabili, cioè posti a disposizione del creditore, non potendosi, peraltro, la esigibilità configurare come astratta possibilità di liquidazione del credito, non ancora sufficiente perché il credito sia messo a disposizione del creditore medesimo “ e che “ Il credito deve essere pagabile, cioè riscosso alla scadenza stabilita, perché la prescrizione operi a danno del titolare di esso, evidenziandosi, con riferimento a tale condizione, che la liquidazione dei crediti degli enti pubblici…deve avvenire sulla base di particolari disposizioni di legge o regolamentari sicchè l’osservanza di tali formalità fa escludere che il credito possa considerarsi di pronta liquidazione in quanto la sua esigibilità è subordinata all’emanazione di un provvedimento amministrativo, né può bastare, ai fini dell’applicazione dell’art. 2948 c.c., la idoneità del credito in astratto ad essere prontamente determinato nel suo ammontare, essendo necessaria la sua effettiva determinazione secondo le procedure descritte dalla legge e dai regolamenti interni, in modo che ne sia possibile la riscossione, con la conseguenza che fino al momento in cui il procedimento anzidetto non venga svolto, la prescrizione applicabile è quella concernente il diritto alla liquidazione o riliquidazione delle pensioni ( art. 2946 c.c. ) ( così, tra le tante, Cass. n.670/1987 ).

La Suprema Corte, inoltre, ha statuito: “ La regola generale per i ratei della prestazione previdenziale o assistenziale è la prescrizione decennale, mentre opera la prescrizione quinquennale solo per ratei liquidi, liquidità da intendere non secondo la nozione comune che si desume dall’art. 1282 c.c., ma quale effetto del completamento del procedimento amministrativo di liquidazione della spesa “ ( cfr. Cass. n.3437/1999; conf.: Cass. n.6245/1990 e n.2562/1994 ).

Orbene, nel caso di dichiarazione di incostituzionalità della norma preclusiva di un diritto in materia pensionistica, come nel caso di specie, è evidente che non possa ritenersi sussistente il presupposto della liquidità del credito pensionistico.

Come è stato invero osservato giustamente dalla Sez. App. Sicilia: “ La norma ( non ancora dichiarata incostituzionale ) che vieta l’attribuzione di una prestazione pensionistica…impedisce la realizzazione del diritto, per cui i ratei non liquidati e non esigibili rimangono ancora ricompresi nel diritto astratto ed unitario alla pensione, della quale rappresentano una frazione non ancora individuata “ ( sent. n. 196/2002 )

L’insegnamento della Corte di cassazione, sebbene si riferisca all’art. 2948 c.c., può considerarsi espressione di principi generali, a prescindere dalla normativa di riferimento e, pertanto, può trovare applicazione in relazione alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2 R.D.L.n.295/1939, giacchè ciò che rileva è il presupposto della liquidità che riguarda qualsiasi diritto, compreso quello pensionistico.

In ordine, poi, al problema della individuazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione dei ratei di indennità integrativa speciale e di 13^ mensilità è intervenuta di recente una sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte, nella quale si è affermato il seguente principio di diritto: “ il termine prescrizionale dei ratei di indennità integrativa speciale e di tredicesima mensilità non corrisposti sul trattamento pensionistico in forza di norme di legge successivamente dichiarate incostituzionali decorre dalla data di scadenza di ogni singola rata e non dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale dichiarativa della incostituzionalità “. ( sent. n.16/2003/QM )

Ritiene questo Giudice di discostarsi dalla tesi seguita dalle Sezioni Riunite, in quanto fondata su erronei presupposti di diritto, secondo quanto in appresso detto.

Va considerato che ai sensi dell’art. 5 del D.p.r. n. 1092/1973, il diritto alla pensione non si perde per prescrizione.

L’art. 2 del R.D.L. n. 295/1939, come modificato dall’art. 2 della L. n.428/1985, riproducendo in parte il contenuto dell’art. 2935 c.c., stabilisce che il termine di prescrizione per le rate e differenze arretrate degli emolumenti pensionistici decorre “ dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere “.

L’art. 143 u.c. del D.p.r. n. 1092/1973 sancisce, infine, che tale termine non decorre prima del giorno in cui il provvedimento di liquidazione della pensione sia portato a conoscenza dell’interessato.

Da tali disposizioni – si è detto - consegue che “ è necessario che vi sia certezza legale del credito e, cioè, che i ratei pensionistici siano stati posti in riscossione e che il titolare del trattamento pensionistico ne abbia avuto piena disponibilità per essere stato emesso e portato a sua legale conoscenza il formale provvedimento dell’amministrazione liquidatrice. Ove, invece, non sia necessario uno specifico provvedimento perché l’obbligazione scaturisce direttamente dalla legge, è necessario che la norma stessa preveda misura e termini di liquidazione del rateo attribuibile, senza necessità di uno specifico provvedimento ricognitivo “ ( cfr. Sez. Sic. App., n. 196/2002, cit. )

Sul presupposto che la realizzazione del diritto è subordinata all’emanazione di un provvedimento amministrativo o ad una specifica disposizione di legge si è concluso, pertanto, che in presenza di una sentenza della Corte costituzionale che abbia dichiarato incostituzionale una norma preclusiva di un diritto in materia pensionistica è da tale momento che decorre il termine prescrizionale ( ibidem ).

E’ ben consapevole questo Giudice che la giurisprudenza della Corte di Cassazione è pressoché concorde nel ritenere che l’impossibilità di agire cui la legge attribuisce rilevanza, quale causa che osta al decorso del termine di prescrizione ( contra non valentem non currit praescriptio ), è solo quella che deriva da impedimenti di ordine generale previsti dalla legge ( Cass. n. 4235/1996; n.2429/1994 ) e non anche da difficoltà di fatto ( Cass. n. 1047/1988; n. 1445/1985 ). In particolare, la giurisprudenza ha affermato che il vizio di illegittimità costituzionale non ancora dichiarato costituisce una mera difficoltà di fatto all’esercizio del diritto assicurato dalla norma, così come risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale, non incidendo sulla decorrenza della prescrizione e, quindi, restando esclusa la possibilità di far decorrere il termine prescrizionale dalla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità ( Cass. Sez. Lav. n. 5577/1998; n. 536/1998; n. 12067/1995; n. 986/1993; n. 986/1990; n. 2417/1985; n. 1165/1985 )..

Peraltro, nel caso della indennità integrativa speciale e della 13^ mensilità è soltanto con la declaratoria di incostituzionalità della norma che il diritto viene ad esistenza, divenendo azionabile e non potendosi parlare soltanto di “ mera difficoltà di fatto “, siccome affermato dalle Sezioni Riunite nella motivazione della sentenza n. 16/2003/QM., ma a ben vedere di vero e proprio impedimento giuridico a far valere il diritto.

La prescrizione potrà compiersi, pertanto, soltanto nel decennio successivo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge, ove non vi siano atti interruttivi.

Ed è, pertanto, che ad avviso di questo Giudice vanno distinte le seguenti situazioni:

- cumulo di pensione e retribuzione: il dies a quo decorre dalla data di pubblicazione della sentenza n. 566/1989 se trattasi di opera retribuita dallo Stato o dalle altre amministrazioni pubbliche ovvero della sentenza n. 204/1992 in ipotesi di prestazione lavorativa alle dipendenze di terzi

- cumulo di trattamenti pensionistici: il dies a quo decorre dalla data di pubblicazione della sentenza n. 172/1991;

- 13^ mensilità: il dies a quo decorre dalla data di pubblicazione della sentenza n. 232/1992

sicchè è prendendo a riferimento la data di pubblicazione delle sentenze costituzionali che sono intervenute sul divieto di cumulo, per dichiararne l’illegittimità costituzionale, che occorre veriificare se a prescrizione si è o meno maturata

Nei casi in esame, il termine decennale di prescrizione è stato interrotto con gli atti di diffida ad adempiere notificati nel corso del 1999.

L’eccezione va, pertanto, respinta, in quanto destituita di fondamento.

11. Conclusivamente, va riconosciuto il diritto dei ricorrenti, per quanto di loro spettanza, alla indennità integrativa speciale e alla 13 ^ mensilità sul trattamento pensionistico, con corresponsione degli arretrati a decorrere dalla maturazione dei singoli ratei pensionistici, rimanendo assorbita qualsivoglia eccezione e deduzione.

12. Sulle somme così dovute spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria - secondo gli indici ufficiali ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai – ai sensi degli artt. 2 e 3 del D.M. Tesoro 1° settembre 1998, n. 352.

Per effetto della riforma introdotta dalla L. 205/2000, risulta oramai superata la vexata quaestio del cumulo tra interessi e rivalutazione, il cui divieto è stabilito dall’art. 45 comma 6 della L. 448/1998, da ritenere oramai travolto per effetto dell’art. 5 L. cit. che ha richiamato l’art. 429 c.p.c. ( cfr. Sez. I, n.31/A/2001 ).

L’applicabilità della nuova disciplina ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della L. 205/2000 è stata affermata dalle Sezioni Riunite sul presupposto della natura sia sostanziale che processuale della stessa “ che viene ad incidere soltanto sugli effetti del riconoscimento giudiziale di tale diritto e cioè sulle componenti accessorie, rivalutazione da degrado monetario ed interessi legali ….” ( n.10/2000/QM cit. ).

Per quanto riguarda la decorrenza, gli interessi e la rivalutazione monetaria spettano dalla scadenza di ciascun rateo pensionistico.

Per quanto riguarda le modalità di calcolo, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria vanno calcolati separatamente sugli importi nominali dei crediti pensionistici, secondo quanto statuito dal Consiglio di Stato, Ad. Plen., con decisione 15 giugno 1998, n. 3.

13. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio, in considerazione della complessità della controversia.

P.Q.M.

la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, previa riunione dei giudizi in epigrafe;

DICHIARA

- l’inammissibilità dei ricorsi iscritti ai nn.14199-14202-14208-14211-14214-14223-14262-14480-14482-14486-14488-14490-14503-14507-14509-14511-14513-19317-19331-19335-19337-19342-19360-19363-19457;

- cessata la materia del contendere dei giudizi iscritti ai nn. 20121, 20129, 20106, 20147, 20130, 20118, 20120, nei sensi in motivazione;

ACCOGLIE

i ricorsi iscritti ai nn. 20102- 20103–20104-20110 -19835-21419-20105-20108-20111-20116- 20117- 20119-20120- 20121 -20123- 20128-20135-20137-20134- 20147-20152 e, per lo effetto,

ACCERTA

- il diritto dei Sigg.: XXXXX alla corresponsione della indennità integrativa speciale e della 13^ mensilità sul trattamento pensionistico privilegiato, con decorrenza dai singoli ratei pensionistici;

- il diritto dei Sigg. YYYYY alla corresponsione della indennità integrativa speciale e della 13^ mensilità sulla pensione privilegiata, con decorrenza dai singoli ratei pensionistici, e su entrambi le pensioni ( privilegiata e di quiescenza ), dal momento in cui sono diventati titolari di doppia pensione;

- il diritto dei Sigg. XYXY alla corresponsione della indennità integrativa speciale e della 13^ mensilità su entrambi le pensioni ( privilegiata e di quiescenza ), dal momento in cui sono diventati titolari di doppia pensione;

- il diritto del Sig. XYX alla corresponsione della indennità integrativa speciale e alla 13^ mensilità sul trattamento pensionistico privilegiato e, conseguenzialmente, al recupero della somma di £. 79.639.774 ( pari a € 41130,511 ) , con decorrenza dai singoli ratei pensionistici, e sulla pensione ordinaria, dalla data di collocamento a riposo.

Sulle somme dovute per effetto di tale accertamento sono dovuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del quattro novembre duemilatre.

IL GIUDICE

( V. Raeli )