REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO

composta dal Sigg.ri Magistrati

dott. Tullio Simonetti

Presidente

dott. Antonio Vetro

Consigliere

dott. Davide Morgante

Consigliere

dott. Rocco Di Passio

Consigliere

dott.ssa Piera Maggi

Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

(Numero 175/2006)

nel giudizio pensionistico di appello iscritto al n. 24002 del registro di Segreteria, proposto dal sig. L.D., rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Bava, avverso la sentenza n. 988/04 del 13 luglio 2004- 19 luglio 2004, resa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia;

Visti gli atti di causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 23 giugno 2006, il relatore Consigliere dott.ssa Piera Maggi, e parte appellata a mezzo della rappresentante dell'Amministrazione dott.ssa Rita Graziano.

FATTO:

Il sig. L.D., rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Bava, ha presentato appello avverso la sentenza in epigrafe nella parte in cui, in sede di attribuzione del trattamento di pensione, l'indennità dl amministrazione è stata inserita nella sola quota di pensione prevista dall'art. 13 comma I lett. B del D.l.vo 30.12.1992. n. 503 ed ha chiesto quindi la declaratoria del diritto del ricorrente a vedere inserita l'indennità medesima nella quota di pensione di cui all'art. 13 lett. A del citato D.1.vo con conseguente condanna della amministrazione alla riliquidazione della pensione ed al pagamento di tutte le differenze pensionistiche con interessi e rivalutazione ex art. 429 c.p.c.

Espone parte appellante che il Sig. L.D. già Assistente Tributario presso la Direzione compartimentale delle Dogane e delle Imposte Dirette di Milano è stato collocato a riposo dal 15.12.1999 con anzianità di anni 39 mesi 0 e giorni 28.

Con il provvedimento impugnato l'Amministrazione ha conferito al ricorrente il trattamento di pensione inserendo l'indennità di amministrazione percepita dal ricorrente al tempo della di lui prestazione lavorativa nella sola quota di pensione di cui all'art. 13. comma 1. lett. B del D.L.vo 30.12.1992. n. 503 anziché nella quota di cui alla lettera A del citato decreto.

Avverso il provvedimento impugnato in parte qua e per l'accertamento del diritto all'inserimento nella quota A. il sig. L.D. proponeva ricorso

A sostegno della propria pretesa significava che l'indennità di amministrazione introdotta ai sensi dell'art. 34, comma 2. C.C.N.L. Comparto Ministeri 1995 fin dall'origine venne attribuita per intero anche durante il tempo parziale ferie, permessi retribuiti, maternità, assenze per malattia, sospensione cautelare per procedimenti disciplinari e penali, permessi, distacchi, aspettative sindacali, sciopero.

Successivamente il C.C.N.L. integrativo 16.05.2001 con l'art. 17 comma 11 poneva norma interpretativa del seguente tenore:

"l'art. 33 del CCNL del 16 febbraio 1999 è integrato dal seguente comma: "3. L 'indennità di cui al presente articolo è corrisposta per dodici mensilità. ha carattere di generalità ed ha natura fissa e ricorrente" esplicitando, secondo parte appellante, un principio che, in realtà, era evidentemente già proprio dal punto di vista sostanziale della indennità medesima fin dalla sua istituzione.

Per il ricorrente la caratteristica delle voci stipendiali fisse e ricorrenti è utile a inserirle, a termini dall'art. 13, comma 1, nella lett. A del D.Lvo 30.12.1992, n. 503, essendo dunque l'indennità in questione in pratica parte integrante dello stipendio base e, dunque, necessariamente partecipe dello stesso stipendio tabellare, pacificamente in quota "A".

Né preclusione sarebbe rinvenibile nell'art. 43 del t.u. n. 1092/73, che rimette alla legge la determinazione delle voci appartenenti alla base pensionabile trattandosi di norma anteriore alla cd. 'privatizzazione del pubblico impiego' ed alla relativa contrattualizzazione, divenuta fonte unica - con esclusione, ora, della legge salvo eccezioni qui non ricorrenti - del rapporto del pubblico impiego, tanto che il contratto collettivo, oggi con la funzione che fu propria della legge, ben può avere la valenza di definire e comunque qualificare valida a base pensionabile una voce retributiva.

Con la sentenza impugnata il Giudice Unico respingeva il ricorso.

La sentenza pur ammettendo la natura fissa e ricorrente dell'indennità negava l'ipotesi della equiparazione dell'indennità in esame allo stipendio tabellare e l'utilità del contratto collettivo a soddisfare il principio di tassatività delle voci pensionabili previsto dall'art. 43 d.p.r n. 1092/73.

Parte appellante nel proprio ricorso deduce i seguenti motivi

-  VIOLAZIONE DI LEGGE (art. 72 D.lgs. 29/1993). VIOLAZ10NE CCNL COMPARTO MINISTERI 1998-2001, (Artt. 28 e 33).

La sentenza appellata avrebbe escluso a priori di poter considerare l'indennità di amministrazione come equiparabile allo stipendio in senso stretto motivando sull'esistenza del principio di tassatività ex art. 43 d.p.r. 1092/73.

In realtà, come da giurisprudenza (difforme da quella citata nella sentenza), ben potrebbe l'indennità in questione equipararsi allo stipendio (e dunque, come esso, inserirsi nella base pensionabile).

Cita in particolare parte appellante le argomentazioni di cui alla sentenza della C. Conti, Sez. Giur. Sicilia. 5 luglio 2004 n. 1620) secondo cui, alla stregua della disamina del valore del contratto collettivo e delle norme regolatrici della pensione, potrebbe affermarsi che “il trattamento definito “indennità di amministrazione” debba essere considerato come elemento generale e costante della retribuzione e, in quanto tale, rientrante nella base pensionabile ai sensi degli artt. 3 e 43 del D.P.R. n. 1092/1973 e parte integrante della retribuzione imponibile ai fini contributivi ed ai fini del calcolo della base pensionabile”.

A maggior sostegno della esatta qualificazione giuridica della indennità di amministrazione nell'ambito della retribuzione vengono poi citati gli artt. 33 e 28 del nuovo CCNL del periodo 1998 -2001 che inserirebbero la voce “indennità di amministrazione” nello stipendio e conferma si avrebbe anche dall'art. 17 comma 11 del CCNL del 16 maggio 2001 e dalla pronuncia dell'Amministrazione del Tesoro in occasione di un parere sulla sequestrabilità dell'indennità stessa.

Da tanto emergerebbe, quindi, che l'indennità di amministrazione, è emolumento avente carattere di generalità e continuità, e, in quanto tale, rientrante nella base pensionabile nel calcolo della quota A) di cui all'art. 13 D.Lgs. n. 503/1992.

Tale norma, infatti, disciplina il passaggio dal vecchio al nuovo sistema di calcolo della pensione per i dipendenti statali, stabilendo, per una quota della base pensionabile, il riferimento all'importo relativo all'anzianità contributiva acquisita anteriormente alla data dell'1.l.1993.

La sentenza in questione prosegue affermando altresì che, per tale periodo, la pensione deve essere determinata sulla base dell'art. 43 del D.P.R. n. 1092/73, integrato dalla successiva evoluzione normativa che ha introdotto la contrattazione collettiva quale fonte primaria di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e, nel caso, è evidente che alla stregua di detti contratti l'indennità di amministrazione è elemento fisso e continuativo della retribuzione.

Analogamente la Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, nell'adunanza congiunta del 26 febbraio 2004, ha deliberato ritenendo che l'avvenuto frazionamento dell'emolumento, originariamente ricompreso in quota A nella sua interezza, non potesse determinare una differenziata collocazione, ai fini della pensione in quota A e in quota B, in quanto, nel disporre in ordine all'emolumento, l'innovazione introdotta dal contratto di categoria consiste nel rendere fissa una parte della retribuzione di posizione "di importo uguale per tutti impermeabile ai cambiamenti di incarico e costante anche in caso di assenza temporanea di funzioni attraendola nel trattamento economico fondamentale (art. 38, CCNL) che assorbe l'indennità in discorso. Non si può escludere, a parere della Sezione di controllo, che il rapporto di derivazione con l'indennità di cui alla legge 334/97 si ponga con l'intera retribuzione di posizione nelle due componenti fissa e variabile, e che, conseguentemente, entrambe mutuino il requisito della pensionabilità in quota A.

Esaminando la sentenza impugnata risulterebbe evidente, secondo parte appellante, che essa ha potuto negare ragione al ricorrente solo ed esclusivamente per un motivo formalistico. In primo luogo essa ha apoditticamente sostenuto che l'inserimento della voce in esame nella quota B escluderebbe la possibilità di ottenere lo stesso effetto nella quota A.

In realtà tale argomentazione non sarebbe convincente, stante la assoluta differenza dei due sistemi, tanto che non è vero che ciò che è valutato in quota B non possa entrare (per il periodo anteriore al 31.12.1992, ovviamente) nella quota A.

Inoltre la sentenza sarebbe assolutamente immotivata nel negare che l'indennità in questione possa essere considerata parte integrante dello stipendio.

In realtà le caratteristiche stesse della voce in questione, solo semanticamente indicata come "indennità", avrebbero dovuto portare, secondo parte appellante ad una qualificazione, condotta in termini non formalistici ma sostanziali, che considerasse l'indennità di amministrazione fin dall'origine come una componente dello stipendio, creata dalla fonte esclusiva e apposita (il CCNL) e dunque da valutare nella base pensionabile esattamente come lo stipendio base in senso stretto.

A supporto di questa costruzione parte appellante richiama anche due ulteriori contributi giurisprudenziali (Sezione Giurisdizionale della Lombardia sentenza 202/05/C del 15.02.05-24.03.05 che ha accolto impostazione analoga a quella qui propugnata e Tribunale di Orvieto sentenza n. 13 del 26.01-25.03.2005 entrambe incentrate sulla decisiva circostanza della idoneità del CCNL a disciplinare la dinamica stipendiale del pubblico impiego senza alcuna residua riserva di legge).

Parte appellante chiede, quindi, la riforma della sentenza impugnata e, per l'effetto, l'annullamento in parte qua della determinazione di attribuzione al ricorrente del trattamento di pensione con allegato prospetto di liquidazione, nella parte in cui l'indennità di amministrazione viene inserita nella sola quota di pensione prevista dall'art. 13, comma l, lett. B, D.Lvo 30.12.1992, n. 503 previa declaratoria del diritto del ricorrente a vedere inserita l'indennità medesima nella quota di pensione di cui all'art. 13 lett. A D.lg.vo 503/92, e con conseguente condanna della amministrazione alla riliquidazione della pensione e, dunque, al pagamento di tutte le differenze pensionistiche, con interessi e rivalutazione ex art. 429 c.p.c..

L'Agenzia delle Dogane si è costituita in giudizio con memoria depositata il 12 giugno 2006 ed ha osservato che il carattere di retribuzione accessoria dell'indennità di amministrazione ne impedisce la pensionabilità in quota A seppure, dal 1.1.1996, ne è consentita la valutazione in quota B anche per il fatto che, da tale data, è soggetta a contribuzione. Inoltre non sarebbe sostenibile la tesi della parte ricorrente che ritiene che la normativa pattizia avrebbe modificato tale interpretazione e superato le norme di cui all'art. 43 del D.P.R. n. 1092/1973 in quanto la pensionabilità dell'indennità di cui trattasi è stata introdotta dall'entrata in vigore della legge n. 335/1995 che, dal 1° gennaio 1996, ha introdotto, ai fini dell'armonizzazione degli ordinamenti pensionistici, un criterio unico di omnicomprensività ai fini della determinazione della base pensionabile introducendo all'art. 2 comma 9 anche ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche l'applicazione dei criteri previsti nell'art. 12 della legge n. 153/1969 che considera retribuzione “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro” disponendo anche al comma 10 che nei casi di applicazione dei commi 1 e 2 dell'art. 15 della legge n. 724/1994, la disposizione relativa al comma 9 opera per la parte eccedente l'incremento della base pensionabile prevista dagli artt. 15, 16 e 22 della legge n. 177/1976. La legge n. 335/1995 ha altresì precisato all'art. 2 comma 11 che le retribuzioni definite dai commi 9 e 10 concorrono alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall'art. 13 comma 1 lettera B del d.lg.vo n. 503/1992. In tal senso è anche l'informativa dell'INPDAP n. 51 del 2002 e la giurisprudenza. Conclusivamente la parte ha chiesto il rigetto per infondatezza del ricorso, la conferma della sentenza impugnata, la condanna della parte alle spese del giudizio..

Alla pubblica udienza la rappresentante dell'Agenzia delle Dogane si è riportata agli scritti sottolineando la natura accessoria dell'indennità de qua ed ha chiesto il rigetto dell'appello.

DIRITTO:

L'appello è infondato e deve essere respinto.

Esso si articola, sostanzialmente, su due richieste:

- la rideterminazione della pensione liquidata includendo, nella base di calcolo riferita alla cosiddetta "quota A", l'importo corrispondente all'indennità di amministrazione introdotta all'articolo 34 del contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto Ministeri del 1995;

- la condanna dell'Agenzia delle Dogane alla riliquidazione della pensione del ricorrente con conseguente liquidazione degli arretrati e degli interessi e rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c; 

La sentenza impugnata non è assolutamente censurabile sotto alcuno dei profili sui quali si articola la sua motivazione: profili riconducibili, da un lato, alla ricostruzione del quadro normativo nel cui ambito si è realizzato il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo e, dall'altro, all'esatta applicazione del principio della tassatività e nominatività degli emolumenti pensionabili introdotto dall'art. 43 DPR n. 1092/1973, operante, nella specie, nel contesto di quel principio di gradualità previsto dal legislatore del 1995 per l'introduzione nell'ordinamento pensionistico del nuovo regime.

Detto questo, il Collegio non può che ricordare come il delineato principio di tassatività, che rinviene la propria fonte nell'ultimo comma dell'art. 43 cit. (“agli stessi fini, nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabile, possono essere considerati se la relativa disposizione legge non ne preveda espressamente e specificamente la valutazione nella base pensionabile”), preclude la computabilità in pensione di analoghi trattamenti accessori con la motivazione specifica di non assimilabilità di detti emolumenti allo stipendio o alle voci espressamente e specificamente previste con disposizioni legislative: il che rende irrilevante, fra l'altro, qualsiasi riferimento ai parametri di fissità e continuità nell'erogazione degli emolumenti.

D'altro canto la pensionabilità in quota A dell'indennità de qua non è ipotizzabile in quanto su di essa non sono stati comunque corrisposti i contributi utili al computo dell'anzianità contributiva ivi prevista.

La inclusione della indennità di amministrazione tra le voci della retribuzione accessoria è consentito dalla espressa elencazione di essa al punto 3 dell'allegato B al CCNL del 16.5.1995 che si richiama all'art. 34 del contratto stesso mentre il contratto stipulato il 16.2.1999 per il biennio 1998-1999 all'art. 34 si limita ad aumentare gli importi dell'indennità stessa senza modificarne la natura.

Orbene, nella specie, l'Amministrazione ha operato in base al cd. sistema retributivo che ai sensi del comma 13 dell'art. 1 della l. n. 335/1995 viene applicato, in via transitoria, ai pubblici dipendenti i quali, alla data del 1 gennaio 1996 posseggono un'anzianità contributiva non inferiore ai diciotto anni: tale sistema è sostanzialmente temperato dal meccanismo introdotto dall'art. 13 del D.Lvo n. 503/1992 che prevede il calcolo della pensione determinato dalla somma della quota “A” (anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 1992) e della quota “B” (anzianità contributive acquisite dal 1 gennaio 1993).

In tale contesto, il Collegio non può che richiamare l'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale i trattamenti accessori sono divenuti pensionabili solo a seguito dell'entrata in vigore delle disposizioni contenute nell'art. 2 ,commi 9 e 10, della legge n. 335/1995 (per tutte, Sez. controllo 5 aprile 2002 n. 10), secondo un criterio (richiamato nella sentenza impugnata) che, comunque, fa del ricordato art. 43 e del principio di tassatività in esso contenuto il perno principale intorno al quale ruota tutto il meccanismo della determinazione della base pensionabile del personale che alla data del 31 dicembre 1995 possedeva un'anzianità contributiva superiore a diciotto anni: ciò ai sensi del comma 13 dell'art. 1 della legge 335 cit., secondo cui, per detto personale, la pensione deve liquidarsi secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo.

Deve comunque sottolinearsi che il comma 11 dell'art. 2 della legge n. 335/1995 espressamente prevede che “la retribuzione definita dalle disposizioni di cui ai commi 9 e 10 concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall'art. 13 comma 1, lettera b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 503”.

Né può sostenersi che i successivi CCNL abbiano modificato la natura dell'indennità in via interpretativa in modo che si dovesse intendere la pensionabilità dell'indennità in quanto, quando ciò si è voluto, il CCNL (16.5.2001) ha espressamente statuito l'equiparazione dell'indennità di cui trattasi agli incrementi stipendiali utili a pensione con la conseguente sottoposizione di essa alla dovuta contribuzione. Ciò esclude che possa riconoscersi alla norma valore interpretativo di precedenti contratti in cui tanto non era previsto.

Del resto, in diversa ipotesi, non potrebbe riconoscersi al CCNL capacità di innovare l'ordinamento in materia (pensionistica) non demandata alla contrattazione.

In definitiva, nella specie, è stato correttamente applicato detto sistema che, in via transitoria, deve operare per i dipendenti del pubblico impiego sulla base dei tre elementi costituiti: a) dalla base pensionabile; b) dal servizio utile o anzianità contributiva cui corrispondono aliquote di pensionabilità o di rendimento; c) principio di tassatività o nominatività degli emolumenti pensionabili (Sez. controllo n. 10 cit.).

Quanto alla pretesa assimilabilità allo stipendio o, comunque, alla retribuzione dell'indennità di amministrazione è appena il caso di ricordare che l'art. 45 del D.Lvo 30 marzo 2001 n. 165 distingue pur sempre il trattamento fondamentale da quello accessorio, cosicché appare evidente che tale distinzione non è mai venuta meno. (Sez. III n. 321/2004; Sez. Contr. del. n. 10 del 05-04-2002; Sez. Giur. Reg. Sard., sent. n. 65 del 04-02-2004; Sez. App. III, sent. n. 8 del 08-01-2003; Sez. Contr., del. n. 10 del 05-04-2002).

Dalle esposte considerazioni segue il rigetto dell' appello.

Sussistono motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

La Corte dei Conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette

RIGETTA:

1'appello in epigrafe avverso la sentenza pure in epigrafe.

Spese compensate.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 23 giugno 2006.

L'Estensore                                  Il Presidente

F.to Piera MAGGI          F.to Tullio SIMONETTI

Depositata in Segreteria il 7/8/2006      

Il Dirigente

                                  F.to Maria FIORAMONTI