Corte dei conti
Sezione giurisdizionale dell'Umbria
Sentenza 23 agosto 2005, n. 313
FATTO
Con Atto di Citazione n. G2005/02
del 7 febbraio 2005 (ritualmente notificato all'interessata) il Procuratore
Regionale dell'Umbria della Corte dei Conti - previo Invito a dedurre del 16
novembre 2004, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 19/1994 - ha citato in
giudizio davanti alla Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria della Corte
dei Conti la Sig.ra Daniela P. (nella qualità di dipendente del Comune di
Gubbio) per sentirla condannare al pagamento in favore dell'Erario della somma
complessiva di Euro 10.982,38, oltre alla rivalutazione monetaria, agli
interessi legali ed alle spese di giudizio, ritenendola responsabile del
corrispondente danno erariale subito dal citato Comune.
Con Provvedimento del 21 febbraio 2005 (anch'esso ritualmente notificato
all'interessata) il Presidente della predetta Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria
della Corte dei Conti ha fissato al giorno 7 giugno 2005 l'Udienza per la
discussione del giudizio in questione, assegnando a tutto il giorno 18 maggio
2005 il termine utile alle parti per il deposito di atti e documenti in
Segreteria.
Entro la predetta data del 18 maggio 2005 è stata depositata in Segreteria
Memoria difensiva e di costituzione in giudizio prodotta dagli Avv.ti Massimo
Perari ed Alessio Pottini del Foro di Perugia, per conto della convenuta.
Nell'Atto di Citazione il Procuratore Regionale ha rappresentato di aver
ricevuto notizia dal Comune di Gubbio (che ha trasmesso al riguardo la Delibera
di Giunta n. 348 del 10 luglio 2003) che l'impiegata, Sig.ra Daniela P., durante
l'orario di servizio sarebbe stata trovata più volte assente dal suo ufficio
senza autorizzazione, senza timbratura del cartellino e senza alcuna
giustificazione.
L'Atto di Citazione ha riferito che la Procura Regionale ha incaricato di
indagini il Corpo dei Vigili Urbani di Gubbio, che ha riferito con apposito
Rapporto del 4 novembre 2004, dal quale si evince:
- che il dirigente competente per settore ed il Segretario Comunale - dopo aver
notato alcune assenze ingiustificate della Sig.ra P. - in data 24 aprile 2003
hanno sottoposto la predetta dipendente a formale controllo, riscontrando
l'assenza di 1,05 ore senza il prescritto permesso e senza la timbratura del
cartellino;
- che la Sig.ra P., invitata a fornire spiegazioni, con nota del 30 aprile 2004
ha dichiarato che "parte del tempo della predetta assenza ingiustificata
(quantificata presuntivamente dal Dirigente in almeno 45 minuti) è stato
dedicato alla colazione al di fuori dell'edificio comunale" (in particolare,
l'interessata ha precisato, al riguardo, che "non è mai accaduto che la
sottoscritta si assentasse più volte dal posto di lavoro per motivi personali
senza la necessaria autorizzazione, tranne che sporadicamente e per brevissimi
periodi di tempo per la colazione di metà mattina, consuetudine radicata
indistintamente in tutto il personale dipendente");
- che "le ripetute assenze dal servizio della Sig.ra P. sono state confermate da
vari dipendenti comunali, come risulta dal Verbale redatto il 23 giugno 2003 dal
Segretario Comunale e dall'Avvocato Comunale (inoltre, la Conferenza dei
Dirigenti con Verbale del 10 giugno 2003 ha affermato che non rispondono a
verità le assenze generalizzate di cui alle dichiarazioni della Sig.ra P.);
- che "dall'esame dei prospetti riepilogativi delle timbrature della Sig.ra P.
... non risultano, nei mesi precedenti al fatto contestato, timbrature per
uscite dal servizio di metà mattina, a presumibile motivo di colazione";
- che il danno patrimoniale derivante dalle indicate assenze non giustificate
potrebbe essere quantificato - tenuto conto della "periodicità quotidiana con la
quale di solito viene consumata la colazione" e che "per la Sig.ra P. è
consuetudine assentarsi dal servizio in maniera non conforme alla normativa
vigente per 45 minuti al giorno" - in Euro 4.982,38, calcolando "un'assenza di
45 minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data del fatto
accertato, tenuto, a tal proposito, conto del termine quinquennale di
prescrizione";
- che "per quanto concerne il presunto danno all'immagine dell'Amministrazione
Comunale" occorre tenere presente, ai fini della sua quantificazione, che in due
quotidiani (la Nazione del giorno 8 giugno 2003 ed il Corriere dell'Umbria del
10 giugno 2003) è stata riportata la notizia (senza, peraltro, far riferimento
alcuno alla fonte da cui promana la detta informazione) che "all'interno del
Comune di Gubbio si sarebbe verificato un caso di mobbing (anzi, uno dei due
quotidiani parla addirittura di due casi)" ed "in essi non si fa riferimento al
nome della Sig.ra P.".
A seguito delle menzionate indagini la Procura Regionale con Invito a fornire
deduzioni del 16 novembre 2004 ha contestato alla Sig.ra P.: a) il danno
patrimoniale in senso stretto, per Euro 4.982,38; b) ed il danno all'immagine ed
al prestigio del Comune di Gubbio, per Euro 6.000,00.
Con Note controdeduttive depositate il 14 gennaio 2005 la Sig.ra P. ha ritenuto
non fondata l'accusa per entrambi i danni contestati, osservando, in
particolare, di non aver mancato di denunciare al nuovo Dirigente, Dott. S.,
l'eccessivo carico di lavoro al quale è stata sottoposta a seguito della nuova
riorganizzazione dell'intero settore e della conseguente redistribuzione delle
mansioni tra i dipendenti, facendo presente di aver sempre riscosso stima da
parte dei colleghi e dei superiori per le "sue riconosciute doti di
professionalità, serietà ed attaccamento al lavoro".
Dopo aver segnalato che da quando aveva osato lamentare l'eccessivo carico di
lavoro i rapporti con il proprio Dirigente si erano deteriorati, la Sig.ra P. ha
fatto presente che con Determinazione del 12 maggio 2003 è stata assegnata
temporaneamente all'Ufficio Archivio e Protocollo, "con notevole demansionamento",
e, poi, dal 4 novembre 2003, all'Ufficio di Segreteria Generale, mettendo anche
in evidenza che la gravosità del lavoro ed "il crescendo di pressioni esercitate
dal superiore avevano generato uno stato di malessere caratterizzato da varia
sintomatologia ansiosa depressiva", diagnosticata dalla Struttura Psicologica
Clinica e Psicoterapica dell'A.S.L. n. 2 dell'Umbria, "Reazione mista ansioso
depressiva di media gravità con diagnosi di verosimile dipendenza causale dei
disturbi dagli eventi stressanti occorsi sul posto di lavoro".
La Sig.ra P. ha, inoltre, rappresentato di essersi assentata solo sporadicamente
dal servizio per semplici coffee break, "la cui durata non ha mai superato i 15
o 20 minuti", consumati insieme a colleghi, dirigenti ed amministratori, e che
"la pausa cappuccino di mezza mattinata rappresenta, tra gli impiegati pubblici,
abitudine talmente sedimentata da dirsi ormai quasi una sorta di istituzione",
contro la quale "ora o in passato alcun dirigente del Comune di Gubbio ha mai
puntato il dito", tranne che nei suoi confronti in contrasto con i principi di
imparzialità e di pari trattamento, per aver osato criticare l'operato di un
superiore, dal quale è stata poi perseguitata per mesi, "ora con richiami
pedanteschi, ora con trasferimenti punitivi, ora con atteggiamenti non
collaborativi".
Non condividendo tali controdeduzioni e ritenendo non pertinenti "le
affermazioni della convenuta in ordine alla gravosità del carico di lavoro ed
alla mancanza di personale di supporto al proprio Ufficio", il Procuratore
Regionale ha convenuto in giudizio la Sig.ra Daniela P. (nella indica qualità),
chiamandola a rispondere del predetto complessivo danno di Euro 10.982,38 subito
dal Comune di Gubbio.
L'Atto di Citazione ha affermato che "non vi possono essere dubbi in ordine alla
fattispecie di danno ed alla condotta illecita posta in essere dalla dipendente
P., che, tra l'altro, ha ammesso di essersi assentata dal servizio sia nelle
giustificazioni prodotte all'Amministrazione e sia nelle deduzioni fornite
all'indicato Invito a dedurre, ed "ha solo giustificato ... (il proprio)
comportamento con la considerazione che tali assenze erano usuali in tutto il
personale comunale" e che "tale consuetudine è radicata indistintamente in tutto
il personale dipendente".
Dopo aver osservato che tali giustificazioni "potrebbero solo estendere le
fattispecie di danno anche nei confronti di altri dipendenti, ma certamente non
potrebbero costituire una esimente per la condotta illecita posta in essere", e
che "l'Amministrazione Comunale ha sconfessato che sussiste una situazione di
assenteismo generalizzato del tipo descritto dalla convenuta", la Procura
Regionale ha messo in evidenza che, "mentre risultano le assenze della Sig.ra
P., non risultano, per converso, le timbrature del cartellino della stessa
nell'apposita apparecchiatura sia per il giorno del controllo (24 aprile 2003) e
sia per tutto il periodo precedente".
L'Atto di Citazione ha condiviso la quantificazione in Euro 4.982,38 di tale
danno operata nel citato Rapporto redatto dal Corpo dei Vigili Urbani di Gubbio
("un'assenza di 45 minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data
del fatto accertato, tenuto, a tal proposito, conto del termine quinquennale di
prescrizione").
L'Atto di Citazione ha rappresentato, inoltre, che nel caso di specie sussiste
anche il "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio".
Al riguardo, la Procura Regionale ha richiamato giurisprudenza della Corte dei
Conti e - precisato, in particolare, che "il danno all'immagine non è connesso
all'accertamento di un reato" - ha fatto presente che "dal tenore degli articoli
(della stampa) risulta evidente un discredito per l'Ente Locale", che deriva
"dalla condotta illecita della convenuta, la quale ... si è assentata
arbitrariamente dall'Ufficio, coinvolgendo nella vicenda anche il restante
personale del Comune, che - come si evince dagli accertamenti effettuati
dall'Ente Locale - sono risultati completamente estranei alla vicenda".
La Procura Regionale ha quantificato tale danno in via equitativa ex art. 1226
c.c. in Euro 6.000,00, rimettendosi alle valutazioni del Collegio, "qualora la
sua quantificazione fosse ritenuta inesatta".
A seguito del riportato Atto di Citazione la Sig.ra Daniela P. si è costituita
in giudizio con Comparsa dell'Avv. Massimo Perari e dell'Avv. Alessio Pottini
depositata in data 18 maggio 2005, contestando la domanda attrice perché
infondata.
La difesa - dopo aver ripercorso la vicenda in causa e riportate (ribadendole)
le argomentazioni già esposte con le riferite note controdeduttive all'invito a
dedurre - ha messo, innanzitutto, in rilievo la "insufficienza del quadro
probatorio" posto a base dell'Atto di Citazione, osservando al riguardo che
"l'aver attribuito alla Sig.ra P. assenze abituali dal lavoro che si sarebbero
protratte oltre il tempo minimo necessario per consumare lo snack è assunto
privo di valido e sufficiente supporto probatorio ed è frutto di una grossolana
ed evidente distorsione dei fatti", atteso che: a) il rapporto dei Vigili Urbani
del 4 novembre 2004 "si è limitato a prendere atto degli stessi documenti e
delle stesse dichiarazioni allegate all'esposto del luglio 2003", con l'"unica
novità" costituita dalla "tabella riepilogativa delle ore sottratte al lavoro"
in base ad un "calcolo presuntivo opinabile"; b) "l'unico soggetto che risulti
aver riferito di assenze frequenti e prolungate è proprio quel dirigente (Dott.
S.) che non si era preoccupato di nascondere alla convenuta la propria personale
ostilità" con "rimproveri sistematici e pedanteschi... anche per iscritto" e con
una "azione repressiva ... in contrasto con i principi di imparzialità e di pari
trattamento dell'agire della P.A.", perché "se un comportamento non è
consentito, allora deve essere vietato a tutti e non solo ad alcuni"; c) le
"conferme giunte dai dipendenti C., F. e L." provengono da "persone che, in
quanto soggette all'autorità del Dott. S., possono averne subito un
comprensibile e determinante condizionamento psicologico"; d) "non ha pregio il
tentativo di controparte di assegnare alle dichiarazioni scritte della convenuta
senso e dimensioni eccedenti il loro contenuto", tenuto conto che nella nota
della predetta convenuta "si parla di uscite sporadiche e brevissime".
La difesa ha, inoltre, sottolineato la "irrilevanza dei fatti addebitati", ed ha
richiamato in merito giurisprudenza amministrativa, osservando che la Sig.ra P.
"non era affatto solita andare a consumare il cappuccino fuori dal Palazzo
durante l'orario di servizio" se non sporadicamente "per un avvertito bisogno di
un recupero psicofisico", dovendo "smaltire da sola il lavoro di 3 impiegati" a
seguito della ristrutturazione dell'Ufficio, "a tutto vantaggio della sua
produttività", senza mai superare i 10-15 minuti, come è avvenuto la mattina del
24 aprile 2003. A giudizio della difesa "consumare il cappuccino a metà
mattinata fuori del Palazzo costituisce comunque abitudine molto diffusa tra i
dipendenti e normalmente tollerata dai superiori", tant'è che "al bar ritrovava
colleghi, dirigenti ed amministratori del Comune" e "sovente consiglieri ed
assessori offrivano la colazione agli impiegati".
La difesa della convenuta ha, poi, ritenuto "insussistente il danno erariale
contestato".
Per quanto attiene al "danno da assenze ingiustificate", a giudizio della difesa
il comportamento della Sig.ra P. è "privo di rilevanza e di concreto disvalore",
nella considerazione che "le pause caffè, oltre a conformarsi ad un costume
ormai comunemente accettato, per il loro carattere breve e sporadico appaiono
sfornite di qualsiasi lesività", dovendo comunque tenere conto che "ogni
possibile pregiudizio deve intendersi compensato dal vantaggio tratto
dall'Amministrazione ogni volta che la (citata) Sig.ra P. ha svolto turni di
straordinario senza pretendere la pur prevista maggiorazione".
La difesa ha, peraltro, sostenuto che il contestato danno, anche ove ne venisse
accertata l'esistenza, per il "metodo di calcolo adottato" ("assenza
dall'ufficio tutte le mattine per 45 minuti..., andando a ritroso - per 5 anni -
entro il limite della prescrizione quinquennale") risulta "vistosamente
esagerato e privo di riscontri", dovendosi, invece, "assumere come base la
retribuzione corrispondente a segmenti temporali non più lunghi di 15 minuti e
moltiplicarla per 20-30 (tale essendo il numero delle volte in cui la convenuta
è presumibilmente uscita a prendere il caffè)", ovvero provvedere - più
opportunamente - ad una "liquidazione di tipo equitativo, che tenga conto di
tutti gli aspetti (scarsa importanza dei fatti, particolari condizioni di
stress..., ampia diffusione di comportamenti analoghi da parte dei colleghi e
degli impiegati pubblici in genere)".
Per quanto attiene al "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio",
a giudizio della difesa, tale addebito non è fondato: a) perché in base alla
giurisprudenza in materia per configurare il danno in questione occorre che "al
dipendente sia stato attribuito dalla stampa un reato già accertato con Sentenza
o, quanto meno, oggetto di processo penale"; e nel caso specifico ciò non è
riscontrabile; b) perché in base alla giurisprudenza in materia "non è
sufficiente, sulla base di un ritenuto astratto automatismo, il mero riferimento
al discredito per l'Ente di appartenenza, occorrendo dare la prova della
sussistenza di un pregiudizio specifico e concretamente valutabile e
risarcibile"; e nel caso specifico "nessun elemento fattuale pare deporre a
favore dell'effettivo patimento di un pregiudizio patrimoniale riconducibile
alla diffusione di notizie sui fatti de quibus"; c) perché i due articoli di
stampa posti a base del contestato danno "non vertono affatto sui fatti di cui è
causa" e non fanno alcun riferimento ai caffè consumati nelle ore di servizio,
né alcun cenno alla convenuta, atteso che il primo articolo si occupa del
trasferimento di un dipendente da un ufficio all'altro del Comune di Gubbio, che
avrebbe procurato un notevole stress al soggetto interessato (non indicato), e
che il secondo articolo si occupa di due impiegati (anche essi non indicati),
che avrebbero meditato di far causa per mobbing al Comune di Gubbio.
In conclusione, i difensori della convenuta hanno chiesto: a) in via principale,
di dichiarare la infondatezza degli addebiti e di rigettare la domanda attrice;
b) in via subordinata, di ridurre l'importo del risarcimento richiesto, tenuto
conto che il danno all'immagine non è configurabile e che quello da assenze
ingiustificate andrebbe liquidato secondo uno dei criteri in precedenza
indicati.
Alla discussione avvenuta alla odierna Udienza pubblica del 7 giugno 2005, il
P.M. ed il difensore della Sig.ra P. hanno illustrato le rispettive posizioni
ed, argomentando ulteriormente, hanno concluso in conformità agli scritti.
La causa è, quindi, passata in decisione.
DIRITTO
I - PREMESSA
La pretesa attrice di cui all'Atto di Citazione in giudizio n. G2005/02 del 7
febbraio 2005 del Procuratore Regionale dell'Umbria della Corte dei Conti nei
confronti della Sig.ra Daniela P. (nella qualità di dipendente del Comune di
Gubbio) ha alla base - come è stato specificatamente riportato in FATTO - la
valutazione del danno erariale di complessivi Euro 10.982,38
(diecimilanovecentoottantadue/38), oltre alla rivalutazione monetaria, agli
interessi legali ed alle spese di giudizio, subito dal citato Comune.
La vicenda in causa riguarda le irregolarità e la condotta illecita che - a
giudizio della Procura Regionale - sarebbe stata posta in essere dalla
convenuta, che sarebbe stata trovata più volte (ed, in particolare, in data 24
aprile 2003) assente dal suo ufficio durante l'orario di servizio, senza
autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna
giustificazione, per essersi recata a fare colazione al di fuori dell'edificio
comunale.
L'Atto di Citazione ha rappresentato, in particolare, che la stessa convenuta
"ha ammesso di essersi assentata dal servizio sia nelle giustificazioni prodotte
all'Amministrazione e sia nelle deduzioni" fornite all'Invito a dedurre,
giustificando il proprio comportamento soltanto "con la considerazione che tali
assenze erano usuali in tutto il personale comunale" e che "tale consuetudine è
radicata indistintamente in tutto il personale dipendente".
Precisato che "l'Amministrazione Comunale ha sconfessato che sussiste una
situazione di assenteismo generalizzato", l'Atto di Citazione ha condiviso la
quantificazione in Euro 4.982,38 di tale danno operata dal Corpo dei Vigili
Urbani di Gubbio (interessato dalla Procura Regionale) con apposito Rapporto del
4 novembre 2004 ("un'assenza di 45 minuti giornalieri a partire da 5 anni
antecedenti alla data del fatto accertato - 24 aprile 2003 -, tenuto, a tal
proposito, conto del termine quinquennale di prescrizione").
Oltre all'indicato danno patrimoniale in senso stretto, la Procura Regionale ha
rinvenuto anche il "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio"
(quantificato, in via equitativa, in Euro 6.000,00), derivante "dalla condotta
illecita della convenuta, la quale... si è assentata arbitrariamente
dall'Ufficio, coinvolgendo nella vicenda anche il restante personale del Comune,
che - come si evince dagli accertamenti effettuati dall'Ente Locale - sono
risultati completamente estranei alla vicenda".
L'Avv. Massimo Perari e l'Avv. Alessio Pottini, per la convenuta, hanno
contestato - come specificatamente riportato in FATTO - le deduzioni e le
richieste formulate con il riferito Atto di Citazione, eccependo:
a) la "insufficienza del quadro probatorio" posto a base della domanda attrice,
osservando, in particolare che "l'aver attribuito alla Sig.ra P. assenze
abituali dal lavoro che si sarebbero protratte oltre il tempo minimo necessario
per consumare lo snack è assunto privo di valido e sufficiente supporto
probatorio ed è frutto di una grossolana ed evidente distorsione dei fatti";
b) la "irrilevanza dei fatti addebitati", osservando, in particolare, che la
Sig.ra P. solo sporadicamente, e per non più di 15 minuti, si recava a consumare
il cappuccino fuori del Palazzo durante l'orario di servizio (avendo bisogno di
un "recupero psicofisico"), e che l'abitudine di consumare il cappuccino a metà
mattinata è "molto diffusa tra i dipendenti" ed è "normalmente tollerata dai
superiori", tranne che nei suoi confronti, oggetto di un'azione repressiva e di
"rimproveri sistematici e pedanteschi..., anche per iscritto" da parte del Capo
Ufficio;
c) la "insussistenza del danno da assenze ingiustificate e, comunque, la sua
erronea quantificazione", osservando, in particolare, che "ogni possibile
pregiudizio deve intendersi compensato dal vantaggio tratto dall'Amministrazione
ogni volta che la Sig.ra P. ha svolto turni di straordinario senza pretendere la
pur prevista maggiorazione" e che, in ogni caso, "il metodo di calcolo adottato"
(prima indicato) risulta "vistosamente esagerato e privo di riscontri",
dovendosi, invece, "assumere come base la retribuzione corrispondente a segmenti
temporali non più lunghi di 15 minuti e moltiplicarla per 20-30" assenze, ovvero
provvedere - più opportunamente - ad una "liquidazione di tipo equitativa", che
tenga conto della scarsa importanza dei fatti, delle particolari condizioni di
stress dell'interessata, e dell'ampia diffusione di comportamenti analoghi da
parte dei colleghi e degli impiegati pubblici in genere;
d) la "insussistenza del danno all'immagine ed al prestigio del Comune di
Gubbio", osservando, in particolare, che nel caso di specie non è rinvenibile
alcun reato da parte della Sig.ra P. accertato con Sentenza o oggetto di
processo penale e che, comunque, non è stata data alcuna prova di un pregiudizio
specifico e concreto subito dal Comune, tenuto conto, peraltro, che i due
articoli di stampa posti a base del contestato danno "non vertono affatto sui
fatti di cui è causa e non fanno alcun riferimento ai caffè consumati nelle ore
di servizio, né alcun cenno alla convenuta (il primo articolo si occupa di un
trasferimento di ufficio, causa di stress al soggetto interessato , non
indicato; il secondo articolo si occupa di un caso di mobbing nei confronti di
due impiegati del Comune di Gubbio, anche essi non indicati).
In conclusione, i difensori della convenuta hanno chiesto:
- in via principale, di dichiarare la infondatezza degli addebiti e di rigettare
la domanda attrice;
- in via subordinata, di ridurre l'importo del risarcimento richiesto, tenuto
conto che il danno all'immagine non è configurabile e che quello da assenze
ingiustificate andrebbe liquidato secondo uno dei criteri in precedenza
indicati.
II - MERITO
Richiamato quanto sopra, passando al merito della causa, sulla base delle
contestazioni mosse il Collegio è tenuto, nella fattispecie concreta del
presente giudizio, a verificare la reale sussistenza del danno erariale
contestato, e la sua quantificazione, e ad accertare la sussistenza, in capo
alla convenuta, della responsabilità amministrativa contabile in presenza del
nesso di causalità della condotta illecita commissiva od omissiva tenuta dalla
stessa ed in presenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave,
come richiesto dalla vigente normativa in materia, recata, da ultima, dall'art.
58 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 93 del T.U. n. 267 del 18 luglio
2000); dall'art. 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658; dalla legge 14 gennaio
1994, n. 19; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20; e dalla legge 20 dicembre 1996,
n. 639.
Come si è anticipato, il Procuratore Regionale ha contestato alla Sig.ra P.: a)
il danno patrimoniale in senso stretto, per Euro 4.982,38; b) ed il danno
all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio, per Euro 6.000,00.
IIa - DANNO PATRIMONIALE IN SENSO STRETTO
Il Procuratore Regionale ha sostenuto, sostanzialmente, che l'impiegata, Sig.ra
Daniela P., durante l'orario di servizio sarebbe stata trovata più volte (ed, in
particolare, in data 24 aprile 2003) assente dal suo ufficio, senza
autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna
giustificazione, per essersi recata a fare colazione al di fuori dell'edificio
comunale.
Le ingiustificate assenze dal servizio costituirebbero - a giudizio dell'attore
- il fatto colposo, da cui sarebbe scaturito il danno erariale in senso stretto
per indebita percezione di emolumenti non dovuti in relazione ai periodi di
assenze ingiustificate dal servizio.
In ordine alla vicenda in causa il primo e più importante aspetto da considerare
è quello relativo alla determinazione dell'orario di servizio e dell'orario di
lavoro (o del tempo di lavoro) che il dipendente pubblico è tenuto a rendere
all'Amministrazione di appartenenza, e le modalità del relativo controllo, per
la fondamentale ragione che l'orario ed il tempo di lavoro servono, da un lato,
per definire la misura della prestazione dovuta dal dipendente pubblico, e,
dall'altro lato, per commisurare la retribuzione ad esso spettante in relazione
all'orario ed al tempo di lavoro prestato, costituendo tali elementi il
sinallagma contrattuale prestazione/retribuzione, che caratterizza il rapporto
di lavoro.
Con la contrattualizzazione a regime di diritto privato del rapporto di lavoro
dei pubblici dipendenti (c.d. "privatizzazione") la materia dell'orario di
servizio e dell'orario di lavoro è stata disciplinata dall'art. 60 del d.lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, che ha anche risolto una serie di incertezze normative e
giurisprudenziali riscontrate da tempo in tale materia.
Questa norma è stata, poi, abrogata dall'art. 22 della legge 23 dicembre 1994,
n. 724, che ha nuovamente disciplinato la materia (rimasta affidata alla
contrattazione collettiva), fissando regole e criteri per l'articolazione
dell'orario di servizio nelle Amministrazioni Pubbliche, per la determinazione
dell'orario mensile e settimanale di lavoro ordinario da rendere nell'ambito
dell'orario di servizio e dell'orario d'obbligo contrattuale, introducendo e
definendo i concetti dell'orario di servizio, dell'orario di apertura al
pubblico e dell'orario di lavoro (e relative articolazioni) dei dipendenti delle
Amministrazioni Pubbliche, e precisando anche i conseguenti controlli da operare
(il comma 3 di tale norma ha stabilito, a tale ultimo riguardo, che "l'orario di
lavoro, comunque articolato, è accertato mediante forme di controllo obiettivo e
di tipo automatizzato").
A seguito delle riferite disposizioni legislative, la disciplina dell'orario di
servizio e dell'orario di lavoro nelle Amministrazioni Pubbliche, e dei relativi
criteri organizzativi, è stata illustrata dalla Presidenza del
Consiglio/Dipartimento della Funzione Pubblica con le Direttive/Circolari n.
8/93 del 9 marzo 1993 (G.U. n. 60 del 13 marzo 1993), n. 3/94 del 16 febbraio
1994 (G.U. n. 43 del 22 febbraio 1994), n. 7/95 del 24 febbraio 1995 (Suppl. Ord.
n. 36 alla G.U. n. 73 del 28 marzo 1995) e n. 21/95 dell'8 novembre 1995 (G.U.
n. 270 del 18 novembre 1995), sottolineando più volte - per quello che interessa
in questa sede - che l'osservanza dell'orario di lavoro costituisce un obbligo
del dipendente pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale
elemento essenziale della prestazione retribuita dalla Amministrazione Pubblica"
e che "l'orario di lavoro, comunque articolato, deve essere documentato ed
accertato mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come disposto
dalle vigenti normative in materia".
A quest'ultimo riguardo le predette Direttive/Circolari hanno precisato che "i
sistemi automatizzati di rilevazione dell'orario di lavoro dovranno... essere
utilizzati per determinare direttamente la retribuzione principale e quella
accessoria, da corrispondere a ciascun dipendente", per cui "ciò comporta che ad
ogni eventuale assenza, totale o parziale dal posto di lavoro (che non sia
giustificata dalla vigente normativa in materia) consegue - oltre alla
proporzionale automatica riduzione della retribuzione - anche l'attivazione, da
parte dei Dirigenti responsabili, delle procedure disciplinari previste dalla
normativa vigente".
In proposito, - sottolineato che anche "i permessi brevi fruiti dai dipendenti
pubblici per esigenze personali" (tra i quali rientrano certamente anche le
consumazioni al bar fuori dell'edificio presso il quale i dipendenti pubblici
sono in servizio) devono essere autorizzati e recuperati successivamente secondo
modalità definite dal Dirigente, e sottolineato che, ai sensi delle
Direttive/Circolari più volte citate, "i Dirigenti sono responsabili
dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte del personale dipendente" - va,
infine messo in evidenza che - ai sensi delle medesime Direttive/Circolari -
"eventuali violazioni dei dirigenti responsabili e del personale dipendente,
conseguenti a dolo o colpa grave, che comportano una mancata prestazione, con
relativo danno erariale, concretano una violazione penale, oltre che
responsabilità disciplinare e contabile".
In materia di orario di lavoro, - dopo varie ed ulteriori disposizioni
intervenute in sede di contrattazione collettiva - recentemente è stata emanata
la Direttiva/Circolare n. 8/2005 del 3 marzo 2005 del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali (redatta d'intesa con il Dipartimento della Funzione
Pubblica "per le parti riguardanti anche il personale dipendente dalle Pubbliche
Amministrazioni"), con la quale è stato illustrato il d.lgs. 8 aprile 2003, n.
66, integrato e modificato dal d.lgs. 19 luglio 2004, n. 213, adottati ai fini
del recepimento pieno anche nel nostro Ordinamento della Direttiva dell'Unione
Europea n. 93/104/CE del 23 novembre 1993, e successive modificazioni ed
integrazioni, con l'obiettivo di dare un assetto organico alla disciplina del
tempo di lavoro e dei riposi, "garantendo un ampio spazio di intervento
all'autonomia collettiva per ciò che riguarda la modulazione dei tempi di lavoro
(orario normale multiperiodale, gestione degli straordinari, limiti di orario
massimo, ecc.) in rapporto alle esigenze produttive ed organizzative".
Richiamato quanto sopra, si mette in rilievo che in presenza di accertata dolosa
o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa da parte dei pubblici
dipendenti, è pacifica e consolidata la giurisprudenza della Corte dei Conti nel
riconoscere la responsabilità amministrativa contabile dei predetti dipendenti
pubblici, ritenendo che il danno è, in questi casi, quanto meno pari alla spesa
sostenuta dall'Amministrazione Pubblica datrice di lavoro per la retribuzione
complessivamente erogata a favore dei dipendenti pubblici in questione nel
periodo in cui essi non hanno reso la dovuta prestazione lavorativa, fatti salvi
comunque gli ulteriori danni che possono essere stati causati a motivo della
assenza arbitraria nella gestione dei servizi ai quali i predetti dipendenti
pubblici erano addetti o preposti (cfr., fra le tante, Sez. Giurisd. Reg.
Molise, Sent. n. 226 del 22 novembre 1996; Sez. Giurisd. Reg. Toscana, Sent. n.
275 del 20 maggio 1996; Sez. Giurisd. Reg. Veneto, Sent. n. 238 del 29 novembre
2000; Sez. Giurisd. Reg. Marche, Sent. n. 807 del 28 ottobre 2003; Sez. Giurisd.
Reg. Sicilia, Sent. n. 2375 del 23 agosto 2004; Sez. Giurisd. Reg. Liguria, Sent.
n. 704 del 19 maggio 2005; e di questa Sezione Giurisdizionale Regionale
dell'Umbria, tra le varie, Sent. n. 50/E.L./96 del 17 gennaio 1996; Sent. n.
152/R/96 dell'11 marzo 1996; Sent. n. 290/E.L./97 del 21 luglio 1997; Sent. n.
831/R/98 del 2 ottobre 1998; Sent. n. 52/R/99 dell'8 febbraio 1999; Sent. n.
379/E.L./99 dell'1 luglio 1999; Sent. n. 424/R/2000 del 31 luglio 2000; Sent. n.
2/E.L./2004 del 9 gennaio 2004, ecc.).
Facendo applicazione al caso di specie del richiamato e condiviso indirizzo
giurisprudenziale, si deve convenire con la Procura Regionale sulla irregolare
ed eticamente riprovevole condotta tenuta, nella circostanza, dalla Sig.ra P.,
la quale - quantomeno il 24 aprile 2003 (data del controllo formale) - si è
assentata dal suo ufficio durante l'orario di servizio, senza autorizzazione,
senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione, per
essersi recata a fare colazione al bar al di fuori dell'edificio comunale.
In sostanza, nella fattispecie che ci occupa, la convenuta è venuta meno, con
colpa grave, ai suoi precisi obblighi di servizio, allorché - senza la
prescritta autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza
alcuna giustificazione - si è assentata dal suo ufficio per i motivi innanzi
detti, sottraendo un certo periodo di tempo all'orario di lavoro ed al tempo di
lavoro contrattualmente definito.
Nella vicenda in esame il danno patrimoniale sussiste ed è chiaramente da
imputare alla violazione del sinallagma prestazione/retribuzione
contrattualmente definito, non essendo stato recuperato da parte della convenuta
il tempo di lavoro arbitrariamente e colposamente sottratto all'Amministrazione
Pubblica datore di lavoro, pur in presenza di regolare percezione della intera
retribuzione.
Né, al riguardo, si rende possibile accedere alle argomentazioni della difesa
della convenuta in ordine ad una eventuale compensazione del tempo di lavoro
sottratto, di cui si discute, con ore di lavoro straordinario prestate e non
retribuite, sia perché non si rinviene in proposito alcuna possibilità giuridica
di pervenire a tale compensazione, (essendo stata del tutto arbitrario e non
autorizzato l'allontanamento della dipendente pubblica dal posto di lavoro), e
sia perché le ore di lavoro straordinario alle quali si fa cenno sono del tutto
ipotetiche e non precisate, e senza alcuna traccia negli atti del fascicolo
processuale.
Né può essere condivisa anche l'altra argomentazione della difesa della
convenuta circa l'abitudine diffusa dei pubblici dipendenti del c.d.
"cappuccino" di metà mattinata, normalmente tollerata e, perciò, non
antigiuridica e non lesiva, considerato che il limitato periodo di tempo in
questione è chiaramente usufruibile con l'utilizzo dei c.d. "permessi brevi" da
recuperare successivamente con le modalità disposte dal Dirigente.
Il Collegio deve, peraltro, osservare che nel caso di specie la Procura
Regionale non ha fornito una esatta e corretta quantificazione dell'ipotizzato
danno patrimoniale in senso stretto, in ordine al quale deve dirsi che è
certamente provato il fenomeno, ma non la durata nel tempo né la durata delle
singole assenze.
In sostanza, partendo da una rilevazione di un fatto accertato (quello
dell'assenza arbitraria del 24 aprile 2003 di 1 ora e 5 minuti rilevata a
seguito di formale controllo, in ordine alla quale si suppone che non tutto
l'indicato periodo di tempo sia stato dedicato alla colazione di metà
mattinata), si deve ritenere che non è certamente ipotizzabile che possa essere
calcolata - ai fini della quantificazione del danno erariale - "un'assenza di 45
minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data del fatto
accertato, tenuto, a tal proposito, conto del termine quinquennale di
prescrizione".
Il metodo utilizzato per la quantificazione del danno patrimoniale operato dalla
Procura Regionale, se non è propriamente "stravagante" - come è stato definito
dalla difesa della convenuta nella Udienza dibattimentale -, non è certamente
corretto ed affidabile, perché non è sorretto da alcuna prova, essendo esso
soltanto deduttivo e non basato su alcun atto o rilevazione (tranne quella del
24 aprile 2003) che possa in qualche modo giustificare la ipotizzata durata
delle singole assenze giornaliere (tutte di 45 minuti) e la ipotizzata durata
nel tempo (tutti i giorni per 5 anni!).
Ebbene, - considerato che, oltre alla assenza rilevata il 24 aprile 2003, alcune
assenze arbitrarie dal lavoro da parte della Sig.ra P. per fare colazione al bar
al di fuori dell'edificio comunale si sono certamente verificate (perché ciò,
senza indicarne il numero esatto, è stato ammesso dalla stessa convenuta, sia
nelle Note controdeduttive all'Invito a dedurre, e sia nella Comparsa di
costituzione in giudizio) - si deve ritenere che sembra più verosimile e più
credibile che le assenze arbitrarie e non autorizzate in questione si siano
verificate con saltuarietà per una durata di 15/20 minuti, e non risalenti
inevitabilmente a 5 anni addietro, come, peraltro, ammesso dalla stessa
convenuta, sia pure giustificando ciò con una prassi generalizzata (sconfessata
- però - dagli organi ufficiali del Comune di Gubbio).
Sulla base di tali considerazioni e valutazioni, e tenuto conto che allo stato
degli atti non vi è assoluta certezza sul numero e sulla durata delle indicate
assenze non autorizzate - che, come sopra detto, si sono certamente verificate
in un numero non definito -, si deve concludere che la quantificazione del danno
patrimoniale in senso stretto da assenze ingiustificate, di cui al presente
giudizio, non può che essere definita in via equitativa ex art. 1226 c.c.. Per
tali motivi, il Collegio determina il predetto danno patrimoniale in senso
stretto nella somma globale di 500,00 Euro, comprensiva di interessi legali e
rivalutazione monetaria.
A completamento di quanto sopra argomentato, va anche fatto presente che ben più
grave e diversa sarebbe stata la valutazione del Collegio nel caso in cui fosse
stata provata e documentata adeguatamente l'assenza arbitraria e non autorizzata
dall'Ufficio o nel caso in cui l'impiegato assentatosi senza autorizzazione
fosse stato adibito a servizi in diretto contatto con il pubblico, o, comunque,
ad altri servizi e settori più rilevanti, con conseguenti riflessi anche su
altre tipologie di danno (quale, in particolare, il danno da disservizio).
IIb - DANNO ALL'IMMAGINE ED AL PRESTIGIO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La Procura Regionale ha contestato, inoltre, alla Sig.ra P. il "danno
all'immagine ed al prestigio" del Comune di Gubbio, quantificando tale partita
di danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. in Euro 6.000,00.
La difesa della convenuta ha contrastato anche tale richiesta attorea,
chiedendone il rigetto.
Per quanto attiene il "danno all'immagine ed al prestigio della P.A." è ben
nota, ormai, la posizione e la impostazione concettuale assunta in merito a tale
forma di danno erariale da questa Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria (si citano, tra
le tante, Sent. n. 501/E.L./1998; Sent. n. 1087/R/1998; Sent. n. 147/R/1999;
Sent. n. 582/E.L./1999; Sent. n. 622/E.L./1999; Sent. n. 505/R/2000; Sent. n.
557/R/2000; Sent. n. 620/E.L./2000; Sent. n. 98/E.L./2001; Sent. n. 511/R/2001;
Sent. n. 275/E.L./2004; Sent. n. 278/E.L./2004; Sent. n. 49/E.L./2005; ecc.;
tutte perfettamente in linea con la giurisprudenza prevalente e maggioritaria in
materia, come definita anche in sede di Appello - vedasi al riguardo, in
particolare, Sez. Centr. Giurisd. d'Appello, Sent. n. 78/2003/A e Sent. n.
340/2003/A - e dalle Sezioni Riunite in sede Giurisd. della Corte dei Conti con
la Sentenza n. 10/Q.M./2003).
In questa sede si ritiene, peraltro, di dover ribadire che il "danno
all'immagine ed al prestigio della P.A." - contrariamente a quanto fatto
presente dalla difesa della convenuta - rientra nella connotazione del "danno
patrimoniale in senso ampio" ex art. 2043 c.c., in collegamento con l'art. 2
Cost., e "non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di reato
penale", non rientrando nell'ambito di applicabilità dell'art. 2059 c.c. (fermo
restando, in ogni caso, il principio della separatezza del giudizio per
responsabilità amministrativa contabile rispetto a quello penale, come
rilevabile dal novellato art. 3 c.p.p.), ma può ben discendere anche "da un
comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale". A
quest'ultimo riguardo, è stato, inoltre, precisato che - ove non si tratti di
fattispecie derivante da reati penali - "non tutti gli atti o comportamenti
genericamente illegittimi o illeciti compiuti da un amministratore, da un
dipendente (anche di fatto), o da un agente pubblico (che pure non giovano
certamente al prestigio ed all'immagine della P.A.) sono causalmente idonei a
determinare una menomazione di detta immagine e di detto prestigio", venendo in
rilievo - a questi fini (e, perciò, rilevanti nel giudizio di responsabilità
amministrativa contabile) - "solo i comportamenti gravemente illegittimi ovvero
gravemente illeciti (anche di carattere extrapenale)", purché "idonei - nella
loro consistenza fenomenica" - a produrre quella "grave perdita di prestigio e
della immagine" e quel "grave detrimento della personalità pubblica".
Va, inoltre, fatto rilevare che il "danno all'immagine ed al prestigio della P.A."
compiuto da parte di un soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di
impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo unitamente ad altri
fondamentali e necessari concomitanti elementi, quali il necessario "clamor" e
la risonanza e l'amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di
informazione, che "non integrano (però) la lesione, ma ne indicano la
dimensione", stando ad evidenziare gli "indici di dimensione via via maggiori
che il medesimo evento lesivo può assumere a seconda delle circostanze".
Come indicato anche nelle precedenti citate Sentenze della Corte dei Conti, tale
forma di danno erariale va inquadrato:
a) nell'ambito della categoria del "danno patrimoniale ingiusto per violazione
di un diritto fondamentale della persona giuridica pubblica", rapportandolo,
quindi, - come già evidenziato - al "danno patrimoniale in senso ampio" ex art.
2043 c.c. in collegamento con l'art. 2 Cost.;
b) nell'ambito della fattispecie del "danno esistenziale", inteso quale "tutela
della propria identità, del proprio nome, della propria reputazione e
credibilità";
c) nell'ambito della categoria del "danno/evento" (e non del
"danno/conseguenza"), considerato che, poiché l'"oggetto del risarcimento non
può che essere una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica
soggettiva e la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a
questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali
causati dalla lesione di diritti od interessi costituzionalmente protetti, quali
il diritto all'immagine, con la peculiarità che essa deve essere ammessa, per
precetto costituzionale, indipendentemente dalla dimostrazione di perdite
patrimoniali, oggetto del risarcimento, senza la diminuzione o la privazione di
valori inerenti al bene protetto";
d) nell'ambito delle fattispecie per le quali - non essendo richiesta la prova
delle spese necessarie al recupero del bene giuridico leso - si può fare
affidamento - per la concreta determinazione dell'ammontare del danno erariale -
sulla "valutazione equitativa del Giudice", ai sensi dell'art. 1226 c.c., sulla
base dei "parametri di tipo oggettivo, soggettivo e sociale" come definiti dalla
giurisprudenza maggioritaria e prevalente della Corte dei Conti di cui si è
detto ed, in particolare, da diverse Sentenze della Sez. Giurisd. Reg.
dell'Umbria;
e) nell'ambito delle fattispecie per le quali sussiste in ogni caso "l'onere per
l'attore di indicare le presunzioni, gli indizi e gli altri parametri che
intende utilizzare sul piano probatorio".
Precisato ciò in termini generali, nella fattispecie concreta del caso di specie
occorre tenere presente che - in relazione alla ricostruzione dei fatti ed agli
elementi probatori forniti dalla Procura Regionale per tale specifica partita di
danno - non sembra che possa essere concretamente individuato un "danno
all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio", non rinvenendosi negli atti
di causa elementi di prova veramente concreti e veramente efficaci che possano
utilmente dimostrare la sussistenza di tale danno erariale.
Al riguardo, occorre considerare che la Procura Regionale ha configurato tale
danno soprattutto in ragione del discredito che avrebbe colpito il Comune di
Gubbio a seguito della diffusione di notizie sulla vicenda in questione ed, in
particolare, a seguito della pubblicazione di due articoli della stampa locale
riguardanti detta vicenda.
Convenendo in ciò con la difesa della convenuta, va osservato che i due articoli
di stampa posti a base della contestata partita di danno (l'uno sulla "Nazione"
dell'8 giugno 2003 e l'altro sul "Corriere dell'Umbria" del 10 giugno 2003) non
attengono ai fatti di cui è causa (solo in uno, in una parentesi, si accenna al
"cappuccino" senza alcun altro collegamento), e non fanno alcun riferimento alla
convenuta (che non viene mai nominata). Infatti, il primo brevissimo articolo
(dal titolo "Trasferimento che sa di mobbing") si occupa del trasferimento di un
dipendente da un Ufficio ad un altro Ufficio del Comune di Gubbio, che avrebbe
procurato un notevole stress al soggetto interessato (non indicato),
"intenzionata a presentare formale denuncia", ed il secondo articolo, anche esso
brevissimo, (dal titolo "Due dipendenti puntano i piedi") si occupa di due
dipendenti (anche essi non indicati) che avrebbero meditato di far causa per
mobbing al Comune di Gubbio.
III - CONCLUSIONI GENERALI
In conclusione, sulla base delle constatazioni, delle considerazioni e delle
valutazioni che precedono, il Collegio
- non valutando necessario, in base alla documentazione contenuta nel fascicolo
processuale, acquisire ulteriore documentazione istruttoria né di integrare il
contraddittorio;
- e considerando assorbite ogni altra eccezione, argomentazione e deduzioni
formulate dalle parti;
ritiene di dover condannare la Sig.ra Daniela P. al pagamento della somma
complessiva, determinata in via equitativa ex art. 1226 c.c., di 500,00 Euro
(comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria), ritenendo la
convenuta responsabile, per colpa grave, del "danno patrimoniale in senso
stretto" subito dal Comune di Gubbio (nei termini sopra illustrati); mentre -
come è stato già detto - non individua negli atti di causa elementi di giudizio
tali da poter riscontrare, nel caso di specie, anche la sussistenza (nei termini
anche essi sopra illustrati) del danno erariale per "danno all'immagine ed al
prestigio del Comune di Gubbio".
Sul complessivo importo delle somme dovute dalla citata convenuta, come sopra
determinate, vanno, inoltre, corrisposti gli interessi legali (ex art. 1282,
comma 1, c.c.) dalla data di pubblicazione della presente Sentenza fino
all'effettivo soddisfo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria, definitivamente pronunciando in ordine al Giudizio di Responsabilità amministrativa contabile n. 10.433/E.L. del Registro di Segreteria, indicato in epigrafe, nei confronti della Sig.ra Daniela P.
CONDANNA
la citata Sig.ra Daniela P. - convenuta nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile sopra menzionato - al pagamento, nei termini specificati in motivazione, della somma complessiva di Euro 500,00 (cinquecento/00), comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria, in favore del Comune di Gubbio, per il "danno patrimoniale in senso stretto" da esso subito.
ASSOLVE
la citata Sig.ra Daniela P. - convenuta nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile sopra menzionato - dal danno erariale per "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio", nei termini specificati in motivazione.
DISPONE
che sul complessivo importo dovuto dalla indicata convenuta vanno corrisposti gli interessi legali dalla data della pubblicazione della presente Sentenza fino all'effettivo soddisfo.
LIQUIDA
a favore dello Stato, le spese di giudizio - che seguono la soccombenza, come specificato in motivazione - nella misura, alla data della pubblicazione della presente Sentenza, di Euro 308,08 (diconsi trecentootto/08).