SENTENZA N. 14/2009   REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE – Sede di TRENTO

nelle persone dei seguenti Magistrati:

-                              Presidente

@@@@@@@       -                           Consigliere, relatore

-                                       Consigliere

nella pubblica udienza del 5 febbraio 2009 ha posto in decisione la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità già iscritto al n. 3517 del registro di Segreteria, promosso ad istanza del Procuratore Regionale presso questa Sede di Trento della Sezione giurisdizionale del Trentino-Alto Adige, nell’interesse del Ministero dell’Interno, nei confronti del sig.:

·              @@@@@@@ @@@@@@@, nato a Trento il 12.12.1963 e residente in -- elettivamente domiciliato, ai fini del presente giudizio, in Trento,--, che lo rappresenta e difende giusto mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta depositata il 9.1.2009;

Visti l’atto introduttivo e gli altri atti e i documenti del giudizio;                                            

Uditi nella pubblica udienza del 5 febbraio 2009 il Consigliere relatore @@@@@@@ --, che ha concluso riportandosi alla memoria depositata il 9.1.2009 ed insistendo, in subordine, per  l’esercizio del potere riduttivo;  il Pubblico Ministero nella persona del  Procuratore Regionale dott. --, che ha concluso confermando l’atto scritto, insistendo per la affermazione della colpa grave del convenuto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione depositata il 14.10.2008, la Procura presso questa Sezione Giurisdizionale conveniva in giudizio il sig. @@@@@@@ @@@@@@@ chiedendone la condanna - in favore del Ministero dell’Interno - al pagamento di una somma da determinare fino alla concorrenza di complessivi euro 22.984,88 oltre a interessi, rivalutazione monetaria e spese del presente procedimento, a titolo di responsabilità amministrativa per danno indiretto.

A sostegno della propria pretesa, il Pubblico Ministero precisava quanto segue in punto di fatto.

A) Con citazione in data 25.9.2001, la sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@ conveniva in un giudizio civile il Ministero dell’Interno e l’impiegato della Polizia di Stato sig. @@@@@@@ @@@@@@@, chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno (da quantificare in corso di causa, con interessi e rivalutazione monetaria e vittoria di spese) a lei cagionato dalla “colposamente errata identificazione da parte di @@@@@@@ @@@@@@@” e dall’ingiusto processo penale per furto cui ella era stata sottoposta, concluso con sentenza di proscioglimento confermata in appello e passata in giudicato.

Nell’atto introduttivo del processo civile si lamentava che il @@@@@@@ -assistente capo in servizio presso la Questura di Trento - aveva erroneamente identificato l’autrice di un furto, fermata in un supermercato priva di documenti, semplicemente in base alle dichiarazioni della ladra ed ai rilievi effettuati a mezzo computer, redigendo un verbale ex art. 161 c.p.p. (elezione di domicilio con contestuale nomina del difensore di fiducia), nel quale si riportavano le generalità di @@@@@@@  ed un numero identificativo di una patente di guida, rubata alla parte attrice quasi otto anni prima.

Sulla base di tale erronea identificazione, la @@@@@@@ era stata ingiustamente assoggettata a processo penale e, quindi, era stata assolta per non aver commesso il fatto con sentenza n. 213/96 del 15.3.1996 del Pretore di Trento, nella quale si evidenziava, da un lato, che l’ispettrice di vendita del supermercato Eurospin (la quale, per prima, aveva fermato la ladra) aveva escluso con certezza che l’imputata @@@@@@@  fosse la persona da lei fermata e consegnata alla pattuglia di Polizia intervenuta il giorno del furto; dall’altro, che l’assistente di P.S. @@@@@@@ @@@@@@@ era (stranamente) rimasto assente per ben due udienze, ragion per cui si inviavano gli atti del giudizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento “per l’eventuale inizio dell’azione penale, per il delitto di calunnia o altro delitto” a suo carico.

La decisione penale di primo grado era stata appellata dal Procuratore Generale ed era stata confermata con sentenza della Corte di appello di Trento (n. 407/99, depositata il 21.10.1999), sulla base di una rinnovata istruttoria nella quale erano state acquisite le seguenti prove:

a)      la testimonianza del @@@@@@@ @@@@@@@, il quale dichiarava che la @@@@@@@ era stata identificata con la patente di guida indicata nel verbale e di essere certo della identificazione della persona (precisava, tuttavia, di non essere in grado di riconoscere quella persona, dato il tempo trascorso, e di non ricordare se, al fine di accertare l’identità della fermata, erano stati effettuati accertamenti sul terminale della centrale operativa della Questura di Trento);

b)     la testimonianza dell’assistente capo di P.S. @@@@@@@ (che aveva preso in consegna ed accompagnato presso la Questura l’autrice del furto, nonché firmato, insieme al @@@@@@@, il verbale di elezione di domicilio), il quale descriveva la fisionomia della donna fermata - completamente diversa da quella riferibile alla imputata - e dichiarava di non riconoscere la @@@@@@@, presente in aula;

c)     la perizia calligrafica sull’autenticità della firma apposta dalla ladra sul verbale redatto il 14.2.1995: perizia secondo cui la firma era apocrifa, ovvero non di pugno della @@@@@@@.

B)   All’esito del processo civile, con sentenza n. 256/04 del 25.2.2004 il Tribunale di Trento accoglieva la domanda di @@@@@@@ @@@@@@@, condannando l’Amministrazione dell’Interno e @@@@@@@ @@@@@@@, in solido tra loro, al risarcimento del danno (liquidato in euro 5.183,53 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali), nonché al rimborso delle spese del giudizio (liquidate in euro 3.200, 00 per onorari, euro 1.927,64 per diritti, euro 601,83 per spese, oltre il 10% ex art. 15 T.F. ed agli ulteriori accessori di legge).

B1) In esecuzione di questa sentenza, con decreto in data 10.10.2005, il Ministero dell’Interno autorizzava il pagamento di 16.994,15 euro; peraltro, stante che la Sig.ra @@@@@@@ aveva già percepito complessivi euro 1.087,92, mediante trattenute operate sullo stipendio del dipendente @@@@@@@ @@@@@@@, il Ministero dell’Interno emetteva ordinativi diretti per complessivi euro 15.996,23.

C)   Nel contempo, la decisione del Tribunale civile era appellata dal Ministero dell’Interno ma il gravame era respinto con sentenza (n. 440 del 21.12.2005) della Corte di appello di Trento che condannava la medesima Amministrazione, in solido con il Sig. @@@@@@@ @@@@@@@, al pagamento delle spese di giudizio di secondo grado, liquidate in complessivi euro 6.819,13, oltre agli accessori di legge.

C1) In esecuzione di questa nuova sentenza, con ulteriore decreto in data 20.7.2006, il dirigente responsabile del Ministero dell’Interno autorizzava il pagamento di euro 8.544,53 per le spese del giudizio di appello; peraltro, poiché la @@@@@@@ aveva già percepito complessivi euro 1.555,88 mediante trattenute operate sullo stipendio del @@@@@@@, veniva emesso ordinativo di pagamento pari ad euro 6.988,65.

D) Infine, con provvedimento in data 10.10.2006, l’Amministrazione dell’Interno costituiva in mora il Sig. @@@@@@@ @@@@@@@ per la somma di euro 22.984,88, complessivamente pagata in esecuzione delle sentenze rese nei due gradi del giudizio civile (€ 15.996,23 più € 6.988,65).

E) Espletata la istruzione documentale, la Procura Regionale contestava al @@@@@@@ @@@@@@@ il danno erariale conseguente al risarcimento del danno civile cagionato per la instaurazione del processo penale nei confronti di persona estranea al fatto di reato. Quindi, superando le controdeduzioni del @@@@@@@, incentrate anche sul difetto di colpa grave, la Procura emetteva la citazione posta a base del presente giudizio.

Premessa la precedente ricostruzione dei fatti, in punto di diritto la citazione affermava che le prove documentali acquisite e la sentenza di condanna n. 256/04 pronunciata dal Tribunale di Trento il 25.2.2004 evidenziavano la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa dell’Assistente capo di P.S. @@@@@@@ @@@@@@@; infatti, la sentenza del Tribunale di Trento aveva affermato la responsabilità civile del @@@@@@@ @@@@@@@ e del Ministero dell’Interno << per avere posto in essere una condotta negligente e superficiale, che ha determinato per l’incolpevole attrice @@@@@@@ @@@@@@@, completamente estranea ai fatti, la ingiusta sottoposizione a due procedimenti penali durati oltre quattro anni, conclusi entrambi con l’assoluzione della @@@@@@@ per non aver commesso il fatto >>. 

In particolare, la sentenza civile del Tribunale di Trento individuava come causa del processo penale nei confronti della @@@@@@@ una condotta omissiva e negligente del convenuto in quanto: a) da un lato, non risultava che il @@@@@@@ avesse svolto un approfondito ed idoneo controllo sulla patente di guida “asseritamente” esibita dalla donna tradotta in Questura (che riproduceva in realtà dati falsi e relativi alla @@@@@@@); b) dall’altro, non era provato nemmeno che il @@@@@@@ avesse ottenuto dalla ladra la patente di guida i cui dati vennero riportati nel verbale. Per cui, poteva ritenersi che il @@@@@@@ avesse provveduto ad identificare la persona fermata solo in base alle dichiarazioni da lei rese ed ai rilievi effettuati al computer (anche in considerazione della contumacia del convenuto, comparso nel processo civile solo per rendere l’interrogatorio formale).

Inoltre, dagli atti del processo civile (in specie l’atto di citazione in data 25.9.2001 e le acquisizioni probatorie in primo grado) emergeva che causa unica ed esclusiva del processo penale ingiustamente subito dalla Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@ era stata l’erronea identificazione della vera autrice del fatto di reato. Tale condotta era quindi causa della condanna civile e del danno indiretto contestato in questa sede.

A rendere grave ed ingiustificabile l’errore - e quindi la colpa del @@@@@@@ - nell’identificazione dell’autrice del furto, secondo la Procura, era la circostanza che il 16.7.1987 la Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@ aveva denunciato alla stazione dei Carabinieri di Trento il furto del portafogli e dei documenti di identità ivi contenuti, tra i quali anche la patente di guida. In specie, il Pubblico Ministero evidenziava l’estrema negligenza dell’agente di polizia giudiziaria @@@@@@@ @@@@@@@, il quale - a fronte al rifiuto opposto dalla ladra di esibire il documento di identità - aveva ritenuto di identificarla sulla base delle dichiarazioni rese da lei stessa (che affermava di essere @@@@@@@ @@@@@@@) e sulla base dei rilievi effettuati a mezzo computer, per poi redigere il verbale contestato (in seguito trasmesso alla Procura della Repubblica di Trento), nel quale egli erroneamente identificava l’autrice del furto nella Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@, menzionando il numero identificativo della patente di guida di cui la legittima titolare aveva già denunziato la illecita sottrazione. La Procura evidenziava altresì che i successivi sviluppi dei due gradi del giudizio penale avevano rimarcato e consacrato la gravità dell’errore di identificazione della vera autrice del fatto di reato, nonché la gravità della ingiustizia subita dalla Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@, sottoposta ad un procedimento penale per reati consumati da un’altra persona, la quale si era inverosimilmente sottratta all’esercizio dell’azione penale.

Quanto, poi, alla gravità della colpa, necessaria a configurare la responsabilità amministrativa, la Procura evidenziava che l’Assistente capo @@@@@@@ @@@@@@@ aveva manifestato grave negligenza ed assoluta trascuratezza nello svolgimento dei propri doveri di ufficio in diversi momenti.

a) Anzitutto, al momento dell’identificazione dell’autrice del reato, il convenuto aveva violato “elementari principi di comportamento nell’identificazione dell’imputato mediante l’acquisizione delle esatte generalità (atto di fondamentale rilevanza processuale, tanto che in caso di rifiuto o di resa di false informazioni da parte della persona indagata sono comminate sanzioni penali: cfr. artt.60, 66, 161, 685 cod. proc. pen., 21 disp. att. cod. proc. pen., 495-496 cod. pen.)”.

b) Inoltre, il @@@@@@@ non era comparso a testimoniare in due udienze penali dinanzi al Pretore di Trento, e la testimonianza da lui resa nel giudizio penale di appello era generica, lacunosa ed in contrasto con la precisa testimonianza resa dal collega @@@@@@@ @@@@@@@; e nel corso del giudizio civile di primo grado il @@@@@@@ era rimasto contumace, “omettendo quindi ogni adempimento di tipo istruttorio idoneo a convalidare la propria versione dei fatti nonché quella fornita dal Ministero convenuto” (cfr. la sentenza del Tribunale di Trento n. 566/04).

Tale negligente comportamento processuale aveva avuto determinante efficacia causale nella condanna al risarcimento del danno civile per la ingiusta sottoposizione della Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@ al procedimento penale instaurato per fatti consumati da un terzo soggetto,  rimasto ignoto.

In merito al danno erariale, il P.M. quantificava il danno subìto dal Ministero dell’Interno in euro 22.984,88, equivalenti alla somma degli ordini di pagamento emessi dalla P.A. in  esecuzione delle sentenze civili (€ 15.996,23 più € 6.988,65).

Infine, replicando alle controdeduzioni presentate dal convenuto, la Procura evidenziava:

a) la sussistenza di colpa grave del convenuto, stante la macroscopica ed inescusabile devianza da elementari regole nell’adempimento di un atto fondamentale nell’espletamento dell’operazione di polizia (ovvero l’identificazione dell’imputata, rea in flagranza di reato);

b) la mancanza di pregiudizialità del giudizio civile pendente dinanzi alla Corte di Cassazione, rispetto al presente giudizio di responsabilità amministrativa, stante l’attualità ed effettività del danno erariale derivante dall’avvenuto pagamento del risarcimento civile, ferma restando la possibilità dare rilievo ad eventuali successive revisioni del giudice civile in sede di esecuzione del giudicato di responsabilità amministrativa (cd.  exceptio in executivis);

c) la irrilevanza causale del fatto che l’appello civile fosse stato proposto ad iniziativa dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, ai fini della quantificazione del danno erariale imputabile al convenuto, in quanto anche le spese dell’appello civile erano avvinte da nesso di causalità con il comportamento che aveva generato prima l’ingiusto processo penale, e poi la giusta azione di risarcimento del danno civile, salva ed impregiudicata la determinazione individuale della quota economicamente addebitabile.

Depositata la documentazione attorea, con separati decreti presidenziali si fissava l’udienza odierna per la discussione del giudizio e si nominava il consigliere relatore; quindi la Procura depositava la copia della citazione notificata al convenuto nel domicilio eletto.

            Il 9.1.2009 si costituiva, per il convenuto, l’Avvocato Stefano Giampietro, depositando una memoria difensiva, con mandato a margine nella quale formulava diverse richieste in rito ed in merito, argomentate come segue.

a) In via preliminare, chiedeva di sospendere il giudizio in attesa della decisione della Corte di Cassazione sul ricorso presentato dall’Avvocatura Generale dello Stato contro la sentenza n. 440/2004 della Corte di appello di Trento (ricorso in attesa di fissazione dell’udienza di discussione), eccependo la pregiudizialità (in senso lato) del ricorso, in quanto fondato su motivi da tenere comunque presenti in questa sede onde valutare la posizione del @@@@@@@.

b) Nel merito, la difesa del convenuto chiedeva il rigetto della domanda attorea in tutto o in parte, per un triplice ordine di motivi.

aa)        Anzitutto, la mancanza di colpa grave ed inescusabile del convenuto, in quanto la ladra aveva esibito un documento falso, ed il @@@@@@@ non se ne era avveduto perché il documento era apparso genuino e, quindi, non gli erano sembrate necessarie altre indagini sul punto. A sostegno della propria eccezione, la difesa richiamava la giurisprudenza di questa Corte in materia di colpa grave, secondo cui tale presupposto della responsabilità amministrativa sussiste solo in presenza di un grado particolarmente elevato di negligenza, imprudenza o imperizia nel comportamento del convenuto, tale da rendere facilmente prevedibile e probabile l’evento dannoso: il tutto da valutarsi con riferimento    alle   concrete  circostanze soggettive ed oggettive della

condotta.

bb)       La mancanza di prova di un danno erariale concreto ed attuale (ovvero la inammissibilità della citazione), attesa la pendenza del suddetto ricorso in Cassazione; tanto più che il ricorso di legittimità era stato proposto dall’Avvocatura Distrettuale e non dal convenuto, sulla base di serie argomenti, comunque, da tenere presenti in questa sede per valutare la posizione del @@@@@@@. In particolare sembrava contraddittorio che l’Amministrazione, da un lato, contestasse in cassazione la sentenza di appello e, dall’altro, la invocasse nel presente giudizio -tramite la Procura di questa Corte- a fondamento della richiesta di risarcimento del danno erariale.

cc)       La mancanza di responsabilità del @@@@@@@ per le spese del giudizio di appello civile che era stato proposto su iniziativa dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato (il @@@@@@@ era solo intervenuto ad adiuvandum), la quale si era assunta ogni responsabilità del suo esito, portandolo avanti in Cassazione senza che il @@@@@@@ potesse in alcun modo intervenire sullo stesso.

c) La difesa chiedeva, inoltre, l’applicazione del potere riduttivo, considerato il concorso dell’Amministrazione ed anche della Procura penale (che, anch’essa, non aveva effettuato alcun accertamento prima di rinviare a giudizio la @@@@@@@) nella causazione del danno, ovvero della  situazione operativa e psicologica del @@@@@@@ nelle circostanze in cui egli operò.

d) In via istruttoria, la difesa chiedeva l’acquisizione della documentazione depositata in Procura il 24.6.2008 (contenente deduzioni

e quattro documenti).

Nell’ odierna udienza, uditi il relatore nonché il difensore costituito del convenuto ed il rappresentante della Procura - i quali hanno concluso come in epigrafe - la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1 – Prima di esaminare le questioni prospettate dalle parti, appare opportuna una ricostruzione della vicenda, oggetto di causa, quale si desume dai documenti prodotti in atti.

1.1 - In data 16.7.1987, la Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@ (classe 1951) aveva denunziato alla stazione dei Carabinieri di Trento il furto del proprio portafogli e dei documenti di identità ivi contenuti, tra cui la patente di guida (cfr. la sentenza 256/04 del Tribunale civile di Trento, oltre citata).

1.2 – Dopo vari anni, il 14.2.1995, era stata fermata l’autrice di un furto in un grande magazzino (discount alimentare “Eurospin” di Trento), la quale aveva rifiutato di fornire agli agenti intervenuti un proprio documento (cfr. la sentenza oltre citata).

1.3 – Quindi, il convenuto @@@@@@@ @@@@@@@, assistente capo in servizio presso la Questura di Trento, e l’agente scelto @@@@@@@ @@@@@@@ sottoscrivevano un verbale di elezione di domicilio e contestuale nomina del difensore di fiducia (ex art. 161 c.p.p.), nel quale si identificava la ladra (che sottoscriveva il verbale anch’ella) come @@@@@@@ @@@@@@@, grazie ad una patente di guida “rilasciata dalla Prefettura di Trento il 2.10.1987”; il verbale recava la data 14.2.1995 ed indicava lo stato civile e la professione, il domicilio ed il numero di telefono della persona fermata (cfr. fasc. P.M., doc. 1).

1.4 – Trasmesso tale verbale alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento, la @@@@@@@ era assoggettata a giudizio penale per furto semplice (art. 624 c.p.) con decreto di citazione per l’udienza del 5.3.2006 (citato nel doc. 2 e doc. 3 del fascicolo del P.M.). Nel processo penale erano chiamati come testi l’ispettrice di vendita del supermercato Eurospin (che per prima aveva fermato la ladra), ed il @@@@@@@ @@@@@@@ (cfr.fasc. P.M., docc. 2 e 3).

1.4.1 – All’udienza del 5.3.1996 emergeva quanto segue (cfr. verbale di udienza, fasc. P.M., doc. 4).

Il P.M. - nella relazione introduttiva - precisava che si era proceduto con citazione a giudizio penale, anziché con decreto penale di condanna, in quanto l’imputata aveva professato veementemente la sua innocenza ed aveva ipotizzato che la vera ladra avesse dato false generalità, utilizzando una patente che la @@@@@@@ aveva smarrito anni prima; per cui, avendo verificato che effettivamente la patente era stata smarrita, erano stati richiesti chiarimenti alla Questura, la quale aveva precisato che l’imputata era stata identificata con un duplicato della patente, non con la patente originale di cui era stato denunziato il furto.

Quindi, era sentita l’ispettrice delle vendite che aveva fermato la ladra il giorno del furto (14.2.1995), consegnandola alla pattuglia di Polizia intervenuta. La testimone escludeva con certezza che la persona fermata fosse l’imputata Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@, presente in aula; e precisava che il giorno del furto si era recata con gli agenti a sporgere denunzia in Questura, dove la ladra non voleva fornire i documenti, e che due mesi dopo (il 19.4.1995) era stata chiamata in Questura, dove –confrontata con l’imputata presente in aula - aveva già dichiarato di non conoscerla (cfr. fasc.P.M. doc. 4).

All’esito della testimonianza, il P.M. evidenziava che sulla questione dell’identificazione dell’imputata il @@@@@@@ aveva in precedenza dichiarato che la persona fermata - che non voleva fornire i suoi documenti - aveva esibito la patente indicata nel verbale (un duplicato di quella rubata) solo dopo che la polizia aveva manifestato l’intenzione di chiamare i suoi congiunti per identificarla. Dal canto suo, la difesa dell’imputata evidenziava che il rapporto di polizia, oltre a descrivere una persona del tutto differente dalla @@@@@@@, precisava che al momento dell’arresto questa persona non aveva alcun documento; per cui ipotizzava che la polizia avesse ricostruito i dati anagrafici della persona fermata sulla base del nome da lei dichiarato, grazie ad una ricerca al terminale (che indicava il numero del duplicato di patente, rilasciato dopo il furto della patente originale).

1.4.2 – Essendo stata rinviata la trattazione all’udienza del 15.3.1996, anche in tale sede il @@@@@@@ non si presentava a testimoniare, per malattia (cfr. fasc. P.M. doc. 5); nonostante la richiesta di rinvio del P.M. (cfr. fasc. P.M. doc. 6), il Pretore, con ordinanza, decideva di non sentire il @@@@@@@ (cfr. appello della Procura generale, fasc. P.M., doc. 8) e definiva il giudizio assolvendo la @@@@@@@ dal reato contestatole “per non aver commesso il fatto”. In particolare, la sentenza pretorile (n. 213/96, depositata il 28.3.1996: cfr. fasc P.M. doc. 7) motivava l’assoluzione sulla base del disconoscimento dell’imputata da parte della responsabile del supermercato (sulla cui attendibilità non vi era da dubitare, tanto più che già prima del giudizio ella aveva dichiarato alla polizia giudiziaria di non riconoscere la @@@@@@@ come la ladra); nella stessa sentenza, il Pretore disponeva trasmettersi gli atti alla Procura della Repubblica per accertare eventuali responsabilità penali dell’assistente di P.S. @@@@@@@ @@@@@@@ (per il delitto di calunnia o altro), evidenziando che egli era rimasto stranamente assente per ben due udienze.

1.5 – La decisione di primo grado veniva appellata dal Procuratore Generale per l’omesso interrogatorio dell’ufficiale di P.S. il quale aveva identificato l’imputata il giorno del furto, necessario per riscontrare tanto la autenticità della testimonianza resa dalla responsabile alle vendite del supermercato, quanto lo scambio di persona che si assumeva commesso dal @@@@@@@ (cfr. fasc. P.M., doc. 8).

1.5.1 – All’udienza del 12.5.1999, la Corte di appello disponeva la rinnovazione del dibattimento e l’audizione dei testi @@@@@@@ @@@@@@@ e @@@@@@@ @@@@@@@ (cfr. fasc. P.M., doc. 9).

1.5.2 – Nella stessa udienza (cfr. fasc. P.M., doc. 10), il @@@@@@@ dichiarava:

a.       che quella mattina erano presenti in Questura solo la @@@@@@@ e le altre persone sentite; non ricordava se vi erano stati altri accompagnamenti in giornata;

b.      che al momento dell’arresto, la ladra era stata identificata con la @@@@@@@ grazie alla patente di guida indicata nel verbale, da lei sottoscritto alla presenza del testimone;

c.      che presumibilmente il domicilio e la professione erano stati dichiarati dalla persona arrestata;

d.      di non ricordare se, in quella occasione, erano stati effettuati - come di

consueto - accertamenti sul terminale della centrale operativa della Questura;

e.      di essere certo dell’identificazione della persona;

f.       di non essere in grado di riconoscere quella persona, dati gli anni trascorsi;

g.      di non ricordare se, durante le indagini preliminari, fosse emersa la questione del duplicato della patente.

1.5.3 – Sempre nell’udienza del 12.5.1999, veniva sentito l’assistente capo di P.S. @@@@@@@, il quale dichiarava quanto segue (fasc. P.M., doc. 10):

a)   al momento dell’arresto egli aveva preso in consegna ed accompagnato presso la Questura l’autrice del furto,nonché firmato, insieme al @@@@@@@, il verbale di elezione di domicilio (redatto da una sola persona);

b)   l’identificazione della ladra era avvenuta a mezzo di patente di guida.

Il medesimo testimone, inoltre, forniva una descrizione della fisionomia della donna fermata (“persona robusta, di età media, 40-45 anni, non curatissima, capelli scuri, viso un po’ tignoso. Per robusta potrei dire 80/85 Kg. Rispetto ad un’altezza di metri 1,65”).

1.5.4 – Quindi, il difensore chiedeva alla Corte di procedere a ricognizione personale, mostrando al teste tre donne presenti in aula per verificare se egli riconoscesse la ladra tra di loro; ma la Corte di appello si riservava la decisione e, udite le conclusioni delle parti, disponeva l’acquisizione di perizia grafologica sulla firma apposta al verbale contestato, rinviando la trattazione (cfr. fasc. P.M. doc. 8, doc. 9 e la motivazione del doc. 11).

1.5.5 – A quanto consta dalla sentenza che definisce il giudizio di appello (cfr. fasc. P.M., doc. 11), il @@@@@@@ aveva dichiarato di non riconoscere la @@@@@@@, “successivamente” presente in aula; e la perizia grafologica depositata il 1.10.1999 aveva attestato che la firma apposta sul verbale redatto il 14.2.1995 era apocrifa.

1.5.6 – Alla luce di queste risultanze probatorie, nell’udienza del 1.10.1999 la Corte di appello confermava l’impugnata sentenza di assoluzione. La sentenza n. 407/99, depositata il 21.10.1999 e passata in giudicato il 17.12.1999 (cfr. fasc. P.M., doc. 11), respingeva l’appello per le seguenti motivazioni:

a)      l’autrice del furto, accompagnata in Questura, aveva esibito la patente smarrita dalla @@@@@@@ o un duplicato di essa con fotografia contraffatta (laddove “le altre ipotesi della difesa su eventuali firme false o su possibili scambi di persona non hanno riscontro in atti”);

b)     questa persona, che aveva sottoscritto il verbale, non era la @@@@@@@ @@@@@@@, come comprovato dalle dichiarazioni della responsabile del supermercato e del @@@@@@@ e dalla perizia grafologica;

c)     la tesi del P.M. in primo grado, secondo il quale la ladra aveva esibito un duplicato della patente e non l’originale patente smarrita, non aveva alcun riscontro in atti.

1.6 – Passata in giudicato la sentenza penale, con atto di citazione in data 25.9.2001(cfr. fasc. P.M. doc.f12 e doc.f15/1) la @@@@@@@ @@@@@@@ conveniva in giudizio civile il Ministero dell’Interno e l’assistente capo della Polizia di Stato, @@@@@@@ @@@@@@@, chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno (da quantificare in corso di causa, con interessi e rivalutazione monetaria e vittoria di spese) a lei cagionato dalla “colposamente errata identificazione da parte di @@@@@@@ @@@@@@@” e dall’ingiusto procedimento penale per furto cui ella era stata sottoposta, concluso con la predetta sentenza di proscioglimento con formula piena della Corte di Appello.

Nella citazione, in punto di fatto, la parte attrice ricostruiva brevemente la vicenda, precisando che il 16.7.1987 aveva denunciato alla Stazione dei Carabinieri di Trento il furto della sua borsetta contenente documenti di identità e patente; quindi, essa affermava  che il @@@@@@@ aveva identificato la ladra - che dichiarava falsamente di essere @@@@@@@ @@@@@@@ di @@@@@@@ - risalendo al numero di patente ed ai dati anagrafici non tramite l’esame di una patente, ma a mezzo del computer della centrale (forse “a causa del clima Interno all’Ufficio”, in quanto la persona fermata si rifiutava di dare i documenti e faceva un po’ di scena).

A motivo di quest’erronea identificazione, nonostante che dopo due mesi la responsabile del supermercato avesse reso sommarie informazioni sull’estraneità della parte attrice al furto (su sollecitazione di quest’ultima, che era venuta casualmente a conoscenza del procedimento penale), era stato disposto il rinvio a giudizio penale della @@@@@@@ (anziché disporsi l’archiviazione del procedimento e l’apertura di un fascicolo contro ignoti).

Seguivano le sentenze assolutorie con formula piena del Pretore e della Corte di appello sopra citate e, quindi, la richiesta di risarcimento del danno in data 7.12.1999 diretta al @@@@@@@ ed al Ministero dell’Interno, rimasta senza esito.

In punto di diritto, la parte attrice affermava che la “condotta calunniosa e comunque illegittima che il @@@@@@@ ha mantenuto contro di essa” aveva dato luogo ad una vicenda di “mala giustizia” durata quattro anni, coinvolgendo in un processo penale una persona del tutto estranea al reato, e lasciando impunita la vera responsabile. In particolare, la @@@@@@@ contestava al @@@@@@@ non solo di avere con colpa grave accusato un’innocente (con l’erronea e superficiale identificazione sopra precisata), ma anche di avere “caparbiamente”  e “falsamente” testimoniato, dinanzi alla Corte di appello di Trento, di avere proceduto alla identificazione della persona fermata con l’esame della patente esibita. Tale condotta rientrava nelle previsioni degli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 3/1957, in quanto l’impiegato aveva violato di diritti di terzi per dolo o colpa grave; ed anche l’amministrazione di appartenenza ne rispondeva in forza del rapporto di immedesimazione organica, non escluso dalla possibilità di configurare una calunnia del @@@@@@@, in quanto tale condotta produttiva di danno era stata comunque tenuta nell’espletamento delle incombenze istituzionali del soggetto (c.d. “nesso di occasionalità necessaria” con l’esercizio delle funzioni), non per fini personali ed egoistici  del reo (come evidenziato da Cass. civ., Sez. III, n. 9260 del 17.9.1997). Inoltre, la parte attrice lamentava di avere subito un pesante danno in termini psicologici, di immagine sociale e di ordine patrimoniale, di cui chiedeva la liquidazione nella misura “ritenuta di giustizia” anche in via equitativa. Quanto al danno non patrimoniale (inteso come pretium doloris , ovvero compenso per le sofferenze morali e psicologiche sofferte, non ristorato dalla semplice pubblicazione della sentenza assolutoria: Cass. 11.10.1985 n. 4947, Sez. III 6.10.1994 n. 8177, Tribunale CEE 26.10.1993 n. 59/92/1993), la parte attrice affermava che il giudicato penale faceva stato rispetto alla ricostruzione dei fatti, ma non delle questioni giuridiche da quei fatti derivanti, attinenti all’azione civile non esercitata nel processo penale (Cass. 27.6.1972 n. 2205); e che ai fini del risarcimento del danno ex art. 2059 cod. civ. il giudice civile ben poteva accertare la sussistenza degli elementi costituitivi del reato anche in assenza di una pronunzia del giudice penale (Cass. civ. Sez. III 22.7.1996 n. 6527), che faceva stato solo della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale (art. 27 c.p.p.).

Viceversa, la parte ricorrente non precisava nella citazione i danni patrimoniali sofferti.

1.6.1 – L’Avvocatura Distrettuale dello Stato si costituiva nel giudizio civile, chiedendo dichiararsi l’incompetenza territoriale del Tribunale di Trento ex L.117/1988 e, in subordine, il rigetto della domanda, mentre il @@@@@@@ rimaneva contumace (cfr. la sentenza 256/2004 oltre citata). In precedenza, la Questura di Trento aveva relazionato all’Avvocatura sui fatti di causa (cfr. nota n. Z/3/224 Gab.2001 del 28.11.2001:fasc. P.M., doc.15/3), precisando che:

a)      il verbale del 14.2.1995 era stato redatto dal @@@@@@@ @@@@@@@;

b)     su richiesta della Procura della Repubblica, si era accertato che la @@@@@@@ aveva ottenuto un duplicato della patente (rubatale il 16.7.1987), recante la stessa data (2.10.1987) e lo stesso numero della patente indicata nel verbale di identificazione;

c)     l’identificazione dell’autrice del furto – in occasione dell’arresto - era stata effettuata sulla base di quest’ultimo documento;

d)     in particolare, il @@@@@@@ @@@@@@@ aveva riferito che - al momento dell’arresto - l’autrice del furto aveva dichiarato di essere sprovvista di documenti, declinando le generalità e la data ed il luogo di nascita di @@@@@@@ @@@@@@@, e solo successivamente aveva mostrato la patente riportante i dati suddetti;

e)     il verbale riportava anche i dati di stato civile, la professione ed il numero telefonico della @@@@@@@.

1.6.2 – Quindi, con sentenza n. 256/04 (pronunciata il 25.2.2004: cfr. fasc. P.M. doc.13 e doc.15/4), il Tribunale di Trento - respinta una preliminare eccezione di incompetenza territoriale - condannava l’Amministrazione dell’Interno e @@@@@@@ @@@@@@@, in solido tra loro, al pagamento, a titolo di risarcimento del danno in favore di @@@@@@@ @@@@@@@, della somma di euro 5.183,53 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; condannava inoltre i convenuti al rimborso delle spese del giudizio, liquidate in euro 3.200,00 per onorari, euro 1.927,64 per diritti, euro 601,83 per spese, oltre il 10% ex art.  15 T.F. ed agli ulteriori accessori di legge.

Tale sentenza - che dava atto della contumacia del @@@@@@@ - fondava la condanna sulle seguenti motivazioni:

a)      non risultava provato che il convenuto avesse ottenuto in visione tale patente dall’autrice del furto (in quanto il @@@@@@@, pure comparso a rendere l’interrogatorio formale, non aveva fornito prove di tale circostanza);

b)     anche volendo ritenere veritiera la versione dei convenuti, secondo i quali era stato effettuato un  controllo sulla patente “asseritamente” esibita dalla donna tradotta in Questura, in ogni caso tale controllo era stato inefficiente ed inadeguato, in quanto il @@@@@@@ “nonostante l’impiego degli strumenti informatici, non è stato in grado di rilevare l’illecito utilizzo di un documento di identità tempestivamente denunciato quale oggetto di furto”, e comunque non aveva effettuato “più approfondite indagini al fine

di accertarsi della effettiva identità della donna fermata”;

c)     l’esercizio dell’azione penale da parte della Procura della Repubblica non faceva venire meno il nesso causale tra l’attività di denunzia del @@@@@@@ e il danno cagionato alla @@@@@@@, in quanto l’organo giudiziario procedente non poteva che dare per buona l’attività di polizia giudiziaria svolta dal @@@@@@@ e gli atti pubblici da lui redatti;

d)     la domanda di risarcimento del danno morale veniva respinta, da un lato perché non si  potevano riscontrare nella condotta del @@@@@@@ gli elementi costituitivi del reato di calunnia, in specie il dolo (nonostante la giurisprudenza che riteneva superfluo l’accertamento di un reato ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, in presenza di interessi costituzionalmente tutelati), dall’altro perché non vi era prova dell’invocato danno psicologico e morale, stante che l’innocenza della @@@@@@@ era subito apparsa evidente e l’esito assolutorio del giudizio penale (per quanto lungo) era scontato;

e)     viceversa, era accolta (ex art. 28 Cost.) la domanda di risarcimento del danno patrimoniale avanzata dalla @@@@@@@ per le spese da lei sostenute nel giudizio penale di primo grado e di appello, accertate in euro 5.183,53 più rivalutazione monetaria ed interessi legali dal gennaio 1996 (da calcolare separatamente sul capitale predetto) fino alla pubblicazione della sentenza, oltre interessi legali sulla somma complessivamente dovuta dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo.

Ne conseguiva la condanna alle spese di giudizio sopra precisate, ex art. 91 c.p.c..

1.7 – Sulla base di questa sentenza (esecutiva ex art. 282 c.p.c.), il legale

difensore della @@@@@@@ chiedeva al Ministero dell’Interno il pagamento di € 15.883,95 (cfr. fasc. P.M., doc.15/5).

Seguivano una fitta corrispondenza tra l’amministrazione e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, la notifica di un primo atto di  precetto (cfr. fasc. P.M. documenti da 15/6 a 15/11, 15/13 e 15/14), un pignoramento presso terzi a danno di @@@@@@@ @@@@@@@ (cfr. fasc. P.M., doc.15/12), un sollecito del difensore di quest’ultimo (cfr. fasc. P.M., doc.15/15), un nuovo precetto notificato all’Amministrazione per € 16.954,86 (cfr. fasc. P.M., doc.15/17), una nuova corrispondenza tra il Ministero e l’Avvocatura dello Stato (cfr. fasc. P.M., documenti da 15/18 a 15/21), un nuovo atto di precetto per € 16.555,24 (cfr. fasc. P.M., doc.15/22), una ulteriore corrispondenza tra vari uffici del Ministero e l’Avvocatura Distrettuale (cfr. fasc. P.M., documenti da 15/23 a 15/30) ed una finale corrispondenza tra il difensore della @@@@@@@ e l’Avvocatura Distrettuale (cfr. fasc. P.M., doc. da 15/30 a 15/32).

Infine, con decreto n. 557 PAS 13582.10000.A del 10.10.2005 (cfr. fasc. P.M., doc.15/34) il Ministero dell’Interno autorizzava il pagamento di 16.994,15 euro (“al netto di quanto già percepito da controparte a seguito della precedente esecuzione”, tramite  trattenute sullo stipendio del @@@@@@@) così computati:

a)  euro 5.183,53 a titolo di risarcimento danni, oltre alla svalutazione monetaria con decorrenza dal gennaio 2006 (euro 1.032,66), oltre gli interessi legali sulla somma svalutata (euro 2.215,65);

b)  euro 8.562,31 per spese di giudizio, diritti ed onorari.

Peraltro, stante che la Sig.ra @@@@@@@ aveva già percepito complessivi euro 1.087,92, mediante trattenute operate sullo stipendio del dipendente @@@@@@@ @@@@@@@ dal mese di marzo 2005 al mese di settembre 2005, il Ministero dell’Interno emetteva ordinativi diretti per complessivi euro 15.996,23 con accreditamento su conto corrente bancario (fasc. P.M., doc.15/35).

1.8 – Nel contempo, l’Avvocatura Distrettuale proponeva appello avverso la sentenza civile nell’interesse del Ministero dell’Interno (esibito in sede di deduzioni: fasc. P.M., doc.17/4), chiedendo di dichiarare l’incompetenza  del Tribunale di Trento ex L.117/1988, il rigetto totale o parziale della domanda della @@@@@@@, con condanna di quest’ultima alla restituzione di quanto indebitamente corrispostole in forza della sentenza di primo grado, la compensazione o riduzione nei limiti di legge delle spese del giudizio civile di primo grado, e vittoria di spese dell’appello.

Nell’atto di appello si prospettavano varie eccezioni, tutte disattese nella sentenza  ed oltre citate. In particolare, si eccepiva la mancata prova della gravità della colpa del @@@@@@@, stante la natura fidefacente nel processo civile (fino a querela di falso) del verbale di identificazione (confermato in sede di interrogatorio formale dello stesso convenuto), verbale nel quale correttamente si attestava che il @@@@@@@ aveva operato seguendo le normali procedure di servizio previste in questi casi (ovvero identificando l’autrice del furto con un documento da lei stessa esibito, come del resto evidenziato dalla Corte di appello in sede penale). Pertanto, non vi era la prova di quanto asserito nella domanda della @@@@@@@, che pretendeva che il @@@@@@@ non avesse preso in visione alcun documento, ma avesse recepito i dati della ladra da ricerche al terminale, visto che la teste a difesa nulla aveva detto sul punto; in ogni caso, poi, solo nel prosieguo del procedimento, con l’intervento della @@@@@@@, e con una perizia grafologica, si era potuto accertare l’artifizio utilizzato dalla ladra per sottrarsi al procedimento penale. Pertanto, non vi era prova di una colpa grave del @@@@@@@.

1.8.1 – Con comparsa depositata il 19.7.2004  (esibita in sede di invito a dedurre: cfr. fasc. P.M. all.17/3) il @@@@@@@ si costituiva ad adiuvandum nel processo di appello, chiedendo l’accoglimento dell’appello principale e la condanna della @@@@@@@ alla restituzione delle somme da lei indebitamente percepite sulla base della sentenza di primo grado e vittoria di spese. In tale memoria, il @@@@@@@ evidenziava:

a)      di essersi recato - il 14.2.1995- con un collega presso il supermercato, dove la ladra aveva subito declinato le proprie generalità (nome, cognome, data di nascita e residenza) ;

b)     di avere condotto questa persona in Questura, dove - dopo aver negato di avere un documento e dopo essersi messa a piangere - l’autrice del furto esibiva la patente di guida riportata nel verbale (rilasciata il 2.10.1987);

c)     di avere riscontrato che la foto sul documento fosse quella della persona fermata e di avere controllato i suoi dati presso la centrale operativa della Questura;

d)     di avere infine richiesto la professione e il numero di telefono della persona stessa, riportati nel verbale, poi sottoscritto dalla ladra;

e)     che, quindi, non sussisteva la colpa grave necessaria per configurare la responsabilità civile diretta dell’impiegato pubblico ex art. 28 Cost. ed ex artt. 22-23 D.P.R. n. 3/1957 (da intendersi, secondo la difesa, come colpa con previsione ex art. 61 n. 3 c.p. o, comunque, come negligenza rispetto al parametro del “del buon padre di famiglia” ex art. 1176 cod. civ., nella fattispecie rispettato);

f)      che, in ogni caso, la @@@@@@@ non aveva fornito la prova della colpa grave del @@@@@@@, come era suo onere (secondo cospicua giurisprudenza);

g)     che l’errore contestato al @@@@@@@ era, comunque, scusabile mancando una cosciente e determinata violazione delle norme di servizio correlata a negligenza, imprudenza, imperizia e leggerezza.

1.8.2 - Il gravame veniva respinto con sentenza n. 440 in data 21.12.2005 della Corte di appello di Trento, che condannava la medesima Amministrazione, in solido con il @@@@@@@ @@@@@@@, al pagamento delle spese di giudizio di appello, liquidate in complessivi euro 6.819,13, oltre accessori di legge (cfr. il dispositivo di sentenza, fasc. P.M., doc.15/36). Questa pronuncia, esibita dalla parte convenuta in sede di invito a dedurre (cfr. fasc. P.M., doc.17/2), motivava nei sensi che seguono.

a)      Anzitutto, premesso il rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale ex L. n. 117/1988, si affermava l’infondatezza dell’eccezione attorea, secondo cui il rigetto dell’eccezione predetta implicava che l’attività del @@@@@@@ non fosse giurisdizionale, onde non si poteva far discendere da essa la responsabilità del convenuto per l’autonoma scelta del P.M. penale di rinviare a giudizio la @@@@@@@: infatti, la attività di polizia giudiziaria contestata al @@@@@@@ non coincideva con l’attività giurisdizionale, ma era strumentale ed assumeva rilievo determinante rispetto a quest’ultima .

b)     Quindi, si esaminava l’eccezione di mancanza di danno ingiusto ex art.

2043 cod. civ., sollevata sia perché l’azione penale esercitata dal P.M. di per sé non poteva ritenersi illecita a causa della successiva assoluzione (stante la obbligatorietà dell’azione penale), sia perché l’ordinamento non prevede la responsabilità da “ingiusta sottopozione a processo penale” (ma solo la riparazione dell’errore giudiziario ex art. 643 c.p.p., la riparazione per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p., la responsabilità ex artt.2 e 3 L. n. 117/1988 e la responsabilità per eccessiva durata del processo ex L. n. 89/2001), sia perché la sentenza –contraddittoriamente- da un lato escludeva una calunnia del @@@@@@@, dall’altro affermava che vi era stato un “ingiusto processo”. La decisione respingeva tale eccezione, in quanto l’instaurazione di tale processo era comunque dipesa non da un’autonoma iniziativa del P.M., ma dalla erronea e colpevole condotta del @@@@@@@, che male aveva identificato l’autrice del reato,  pur potendosi avvedere che “la @@@@@@@ aveva denunciato il furto della patente di guida ben otto anni prima che la stessa venisse utilizzata dalla ladra illegittimamente per indurre in errore l’Ispettore di polizia sulla sua identificazione”.

c)     Per analoghi motivi si respingeva l’eccezione di difetto di nesso causale tra l’attività del @@@@@@@ e il danno contestato (fondata sempre sulla pretesa dipendenza del processo penale da autonome iniziative della Procura della Repubblica, non dalla denunzia o dalla querela, come precisato da varie sentenze della Cassazione), evidenziando che il processo penale era stato in ogni caso concausato dall’attività del @@@@@@@, che aveva identificato la ladra senza avvedersi che ella disponeva di un documento rubato, accertamento facilmente eseguibile attraverso un esame più accurato del documento esibito, sul quale era stata sostituita la foto.

d)     Si respingeva poi l’eccezione di ultrapetizione della sentenza (fondata sul fatto che “l’inefficienza dell’apparato amministrativo”, che non aveva utilizzato i mezzi informatici a sua disposizione, non era stata indicata in citazione come titolo del risarcimento del danno richiesto), in quanto in realtà la citazione indicava la condotta del @@@@@@@ come causa del danno, e la sentenza faceva riferimento proprio a tale condotta nell’evidenziare la circostanza che si pretendeva ultronea alla domanda civile.

e)     Era, quindi, respinta l’eccezione di errata individuazione del danno, poiché correttamente calcolato sulla base delle spese legali che la @@@@@@@ aveva dovuto sostenere per difendersi nei vari giudizi penali e civili.

f)      Inoltre, si respingeva l’eccezione di difetto di nesso causale tra le spese del giudizio dell’appello penale (disposto dalla Procura Generale) in quanto anch’esse traevano origine dall’iniziale errore del @@@@@@@.

g)     Era, poi, respinta l’eccezione di erronea liquidazione delle spese nel primo grado del processo civile, in quanto il giudice a quo aveva correttamente valutato i diritti ed onorari applicando lo scaglione delle cause di valore indeterminato.

h)     Infine, venivano respinte le eccezioni prospettate dal @@@@@@@ e dal Ministero relative alla mancanza di colpa grave nella sua condotta (ex artt. 22 e 23 D.P.R. n. 3/1957), e sulla mancata prova di tale colpa (il cui onere gravava sulla parte attrice ex art. 2697 cod. civ.), evidenziando che nella concreta fattispecie “il @@@@@@@  […] si è fatto ingannare da una ladra sorpresa a rubare in un supermercato, nonostante avesse la possibilità di smascherarla se avesse compiuto più diligenti accertamenti, avvalendosi anche degli strumenti informatici a sua disposizione”, e che la @@@@@@@ aveva provato di avere subito un procedimento penale benché del tutto estranea al fatto.

1.9 – Sulla base della sentenza di appello, mentre proseguivano le trattenute sullo stipendio del @@@@@@@ (cfr. fasc. P.M., doc. 15/37), la difesa della @@@@@@@ chiedeva il pagamento delle spese di appello all’amministrazione dell’Interno nella misura di € 8.820,08 (cfr. fasc. P.M., doc. 15/38); quindi – dopo una ulteriore corrispondenza tra vari uffici del Ministero dell’Interno e l’Avvocatura Distrettuale (cfr. fasc. P.M., documenti da 15/39 a 15/43), con il decreto n.  557 PAS 10621.10000.A del 7.4.200620.7.2006, il dirigente responsabile del Ministero dell’Interno autorizzava il pagamento di euro 8.544,53 per le spese di giudizio, diritti ed onorari, al netto dell’importo delle trattenute (pari a complessivi euro 1.555,88)  operate sullo stipendio del @@@@@@@ dalla @@@@@@@ dal mese di ottobre 2005 al mese di giugno 2006 (cfr. fasc. P.M., doc. 15/43 e doc. 15/46). Dopo un sollecito del difensore del @@@@@@@, che evidenziava come fosse in corso una procedura di esecuzione immobiliare (cfr. fasc P.M., doc. 15/44) veniva emesso ordinativo di pagamento pari ad euro 6.988,65 con accreditamento su conto corrente bancario (cfr. fasc P.M., doc. 15/47).

1.10   – Avverso la sentenza di appello, l’Avvocatura Generale dello Stato proponeva ricorso per cassazione (prodotto in sede di invito a dedurre: fasc P.M. doc. 17/1), prospettando le eccezioni che seguono.

a)      La violazione e falsa applicazione degli artt. 1-4 L. n.117/1988, sotto il profilo dell’incompetenza territoriale (art. 360 n. 2 c.p.c.).

b)     La  contraddittorietà  della  motivazione  (art.  360, n. 5  c.p.c.),  sotto il

profilo già oggetto dell’appello (in quanto non si poteva negare la qualificazione dell’attività del @@@@@@@ come attività di polizia giudiziaria per affermare la competenza del Tribunale di Trento e nel contempo affermare che l’assoggettamento a processo penale della @@@@@@@  fosse dipeso da tale attività “non giurisdizionale”).

c)     La violazione e falsa applicazione del’art. 2043 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), in quanto:

-         non potevano addossarsi al Ministero le conseguenze dell’appello proposto dal Procuratore generale;

-         l’assoggettamento ad un giudizio penale -in quanto tale- non può ritenersi ingiusto per il solo fatto che l’imputato sia stato assolto;

-         l’ordinamento prevede solo casi tassativi in cui l’assoggettamento a procedimento penale determina diritto a ristoro per attività giurisdizionale illegittima (artt. 314 e 643 c.p.p., responsabilità ex L. n. 117/1988, o ex L. n. 89/2001);

-         il Tribunale aveva escluso una calunnia da parte dell’agente di polizia giudiziaria.

d)     La violazione e falsa applicazione degli artt.2055 e 1223 cod.civ. (art. 360, n. 3 c.p.c.) e la insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.), in quanto:

-         secondo costante giurisprudenza di Cassazione, l’attività del Pubblico Ministero interrompe il nesso causale tra il processo penale e la denunzia o querela da parte di un privato, per cui – tranne i casi di calunnia - la persona assoggettata a processo penale ed assolta non può agire per il risarcimento dei danni avverso il denunziante o querelante; onde non si poteva ammettere tale nesso tra il verbale redatto dal @@@@@@@ (al quale comunque non era contestata la calunnia) e il danno richiesto dalla @@@@@@@;

-          la discrezionalità del P.M. nel rinviare a giudizio la @@@@@@@ non era esclusa dalla identificazione effettuata dal @@@@@@@, e quindi il decreto di citazione a giudizio penale si poneva come autonoma causa del danno;

-         l’ordinamento prevede solo casi tassativi in cui l’assoggettamento a procedimento penale determina diritto a ristoro (artt. 314 e 643 c.p.p., responsabilità ex L. n.117/1988, responsabilità ex L. n. 89/2001);

-         diversamente da quanto asserito dalla sentenza di appello, mancava la prova della colpa grave e quindi della responsabilità dell’amministrazione e del @@@@@@@; infatti, il P.M. era perfettamente a conoscenza dei problemi di identificazione dell’imputata, ed aveva anche disposto supplementi di indagine, ottenendo dal @@@@@@@ tutte le informazioni del caso fin dal 30.3.1995, sicché non si comprendeva perché avesse comunque deciso di rinviare a giudizio la @@@@@@@;

-         inoltre, la Corte di Appello aveva affermato che la patente era stata contraffatta e che il @@@@@@@ colpevolmente non se ne era avveduto, senza avere la prova di questo assunto (non essendo stato esibito nel processo tale documento, per verificare se lo stesso presentasse segni di contraffazione); viceversa, il @@@@@@@ ed il suo collega non avevano nessun motivo per dubitare della autenticità del documento, ed avevano anche verificato via terminale la correttezza dei dati anagrafici riportati sulla sentenza.

e)     La  violazione e falsa applicazione del D.M. 5.10.1994 n. 585 (art. 360,

 n. 3 c.p.c.) , per erronea liquidazione delle spese di giudizio civile (dovendosi prendere a base del calcolo non la somma richiesta ma quella in concreto attribuita alla parte vincitrice).

1.11        - Infine, dopo avere accertato che il responsabile delle condanne civili era il @@@@@@@ (cfr. fasc. P.M., documenti da 15/48 a 15/51),  l’Amministrazione dell’Interno costituiva in mora il convenuto per la somma complessiva di euro 22.984,88 (€ 15.996,23 più € 6.988,65), con provvedimento prot. n. 557 PAS 6454.10000.A del 10.10.2006, notificato il 1.12.2006 (cfr. fasc. P.M. doc.14 e doc.15/52).

1.12        – Risultano, altresì, in atti: l’invito a dedurre, notificato all’interessato il 30.5.2008, sostanzialmente analogo nella ricostruzione dei fatti e nelle considerazioni in diritto all’atto di citazione posto a base del presente giudizio; le controdeduzioni depositate dalla difesa del @@@@@@@ il 24.6.2008, anch’esse sostanzialmente analoghe per motivazioni alla memoria depositata nel presente giudizio. A tali deduzioni sono allegate la citazione in appello dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, la comparsa di costituzione del @@@@@@@ nel giudizio di appello, la sentenza della Corte di appello, il ricorso in cassazione dell’Avvocatura generale dello Stato, il cui contenuto è stato sopra precisato.

2 – Ciò necessariamente premesso, passando all’esame delle questioni di rito e di merito prospettate dalle parti, deve anzitutto esaminarsi la richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa della decisione della Corte di Cassazione sul ricorso (in attesa di fissazione d’udienza) ad essa presentato dall’Avvocatura Generale dello Stato, avverso la sentenza 440/2004 della Corte di appello di Trento (cfr. le deduzioni pre-processuali e la memoria difensiva dell’Avv. Giampietro depositata il 9.1.2009).

La difesa del convenuto afferma che la decisione di tale ricorso sarebbe pregiudiziale rispetto al presente giudizio e, quindi, ne imporrebbe la sospensione in quanto la Cassazione dovrebbe decidere su questioni (esistenza del danno, colpa grave del funzionario ed altre) il cui esame sarebbe, comunque, necessario in questa sede per valutare la posizione del @@@@@@@. La Procura, invece, afferma la mancanza di pregiudizialità del giudizio civile, stante l’attualità ed effettività del danno erariale derivante dall’avvenuto pagamento del risarcimento alla @@@@@@@, sulla base delle sentenze civili provvisoriamente esecutive, ferma restando la possibilità dare rilievo ad eventuali successive revisioni della cassazione civile in sede di esecuzione del giudicato di responsabilità amministrativa (c.d. exceptio in executivis).

2.1 – In ordine a tale questione, va evidenziato che nel rito dinanzi a questa Corte sono ammesse solo la sospensione necessaria per pregiudizialità (ex art. 26 R.D. n. 1038/1933 ed ex art. 295 c.p.c.), ovvero, secondo una certa giurisprudenza (cfr. Sez. I app., n.14 del 3.3.2003), la sospensione facoltativa per motivi in senso lato di opportunità, in presenza di questioni di fatto o di diritto oggetto del processo penale connesse alle questioni oggetto del giudizio contabile (facoltà che viene talora ricondotta all’ampio potere sindacatorio di acquisizione probatoria ex artt.14 e 15 R.D. n. 1038/1933).

2.2 – In merito alla sospensione necessaria, va precisato che la ratio dell’articolo 295 c.p.c. è di evitare contrasto di giudicati (Cass. civ., Sez. 1, n. 14795 del 15.12.2000, Sez. Un., n. 8584 del 1.10.1996) per cui il rapporto di “dipendenza” tra due giudizi che legittima la sospensione va inteso non in senso fattuale (ossia che può esservi contrasto logico tra le due decisioni, per diversa qualificazione o ricostruzione degli stessi fatti) ma giuridico, nel senso che il possibile esito di uno dei giudizi dev’essere intrinsecamente incompatibile con l’accertamento richiesto nell’altro, creando un conflitto di giudicati (Cass. civ., Sez. 3^, n. 10284 del 27.7.2001, Sez. Lav., n. 8819 del 28.6.2001e n. 8402 del 20.6.2001, Sez. Un., n. 408 del 6.6.2000).

La giurisprudenza prevalente di questa Corte esclude, per lo più, detta pregiudizialità, evidenziando l’autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa, rispetto a quello civile, anche se quest’ultimo abbia ad oggetto il recupero dell’indebito dedotto come illecito amministrativo-contabile (cfr. Sez. II app., n. 285 del 6.9.2001, n. 291 del 10.9.2001; Sez. 3 app., n. 192 del 6.6.2002; Sez.1 app, n. 443 del 18.12.2002; Sez. Giur. Molise n. 263 del 7.11.2002), ovvero la debenza delle retribuzioni che la procura contabile affermi indebitamente corrisposte (cfr. Sez. Giur. Sardegna, n. 869 del 9.8.2007), oppure la responsabilità dell’esattore verso l’ente (cfr. Sez. I app., n. 318 del 25.9.2002). In altri termini, tale giurisprudenza afferma che, di norma, il giudicato civile non fa stato nel processo amministrativo-contabile, per diversità di oggetto e titolo, per cui il danno accertato nel giudizio civile (anche senza la partecipazione dell’impiegato), “costituisce il mero presupposto per iniziare un processo distinto e separato, nel quale tutto può essere rimesso in discussione ed esaminato” (cfr. Sez. Giur. Umbria, n. 114/R/2006 depositata il 10.4.2007). Di conseguenza, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il processo di responsabilità non può essere sospeso in attesa della definizione di un giudizio civile, anche se ha ad oggetto fatti identici (cfr. Sez. I app., n. 408 del  21.11.2002, Sez. III app., n. 392 del 10.9.2003); soprattutto se esistono già due sentenze civili di primo e secondo grado, entrambe affermative della responsabilità dei convenuti (cfr. questa stessa Sezione, n. 78 del 13.9.2005), salva ovviamente la improcedibilità dell’azione di responsabilità se il danno sia stato integralmente risarcito in sede civile  (Sez. Giur.  Lombardia, n. 615 del 4.12.2007) .

Peraltro, la stessa giurisprudenza evidenzia che - in casi particolari di danno indiretto - il giudizio civile può porsi come pregiudiziale in senso tecnico (giuridico e non logico, come sopra precisato), rispetto a quello di responsabilità amministrativa, rendendo necessaria la sospensione del processo amministrativo fino al passaggio in giudicato della sentenza civile ex art. 295 c.p.c. (cfr. ad esempio: Sez. I app., ordinanza n. 15 del 25.2.2002, con riferimento alla mancanza di danno indiretto certo ed attuale in pendenza del giudizio civile; Sez. II app. ,n. 297 dell’8.10.2004; Sez. Giur. Abruzzo, n. 49 del 7.2.2008; Sez. Giur. Puglia, ord. n. 199 del  22.9.2005, che ipotizza una “sospensione facoltativa” qualora il giudizio civile tenda ad individuare il limite massimo della pretesa risarcitoria “direttamente ricollegabile” al c.d. danno indiretto). Fermo restando, ovviamente, che il contrasto di giudicati, in astratto configurabile, recede in ogni caso quando il possibile conflitto concerne non il giudizio ma soltanto gli effetti pratici dell'una o dell'altra pronuncia (cfr. Sez. Giur. Molise, n. 126 del 26.10.2006).

Pertanto, occorre verificare caso per caso se la decisione civile possa

fare stato nel processo di responsabilità amministrativa, ai fini della pregiudizialità in senso tecnico (ex art. 295 c.p.c.), e se si possa procedere ad una nuova e/o diversa valutazione dei fatti in tale processo (non ostandovi un giudicato civile). In particolare, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. (“l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”), l’ efficacia di giudicato del giudizio civile, e quindi la sua natura pregiudiziale, va senz’altro esclusa (cfr. Sez. Giur. Campania, n. 80/2002 depositata il 30.8.2002):

-         se una delle parti del processo pregiudicato non sia stata parte del processo pregiudicante (c.d. limiti soggettivi del giudicato: cfr. Cass. civ., Sez. 1, n. 661 del 21.1.2000; Sez. 3, n. 7280 del 29.5.2001; Sez. 2, n. 858 del 21.1.2003/ord.);

-         se l’accertamento abbia ad oggetto azioni diverse tra loro per oggetto e/o titolo, in quanto, in tal caso, non può esservi contrasto di giudicati (anche a parità di questioni giuridiche o di fatto affrontate) e, quindi ,pregiudizialità .

2.2.1 - Nella concreta fattispecie, diversa da quelle affrontate solitamente in giurisprudenza, il terzo danneggiato non ha agito in sede civile solo nei confronti della Pubblica Amministrazione ma anche (ex art. 28 Cost.) del funzionario autore del danno, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni a titolo di dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 23 D.P.R. n. 3/1957, invocando - a sostegno della pretesa - la violazione di precisi doveri di servizio in base alla ricostruzione dei fatti analoga a quella prospettata in questa sede dalla Procura regionale, ovvero ipotizzando che il @@@@@@@ avesse provveduto a identificare l’autrice del furto non con la patente, bensì a mezzo computer (cfr. § 1.6). Inoltre, sia il @@@@@@@ sia l’Amministrazione dell’Interno, nel cui interesse agisce la Procura, erano parti nel processo civile e, quindi, il giudicato civile fa stato nei loro confronti.

Non a caso, nella citazione, la Procura desume la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa del convenuto @@@@@@@ @@@@@@@ dalla sentenza n. 56/04 del Tribunale di Trento, che ha affermato la responsabilità civile del medesimo nonché del Ministero dell’Interno << per avere posto in essere una condotta negligente e superficiale, che ha determinato per l’incolpevole attrice @@@@@@@ @@@@@@@, completamente estranea ai fatti, la ingiusta sottoposizione a due procedimenti penali durati oltre quattro anni, conclusi entrambi con l’assoluzione della @@@@@@@ per non aver commesso il fatto>>. 

Pertanto, la fattispecie qui in esame presenta nessi più stretti con il processo civile, rispetto alle tipiche ipotesi di danno indiretto (esaminate dalla giurisprudenza) in cui il processo civile non è pregiudiziale rispetto al giudizio di responsabilità amministrativa vuoi per i limiti soggettivi del giudicato civile ex art. 2909 cod. civ. (si pensi alle ipotesi in cui l’impiegato pubblico  sia rimasto estraneo al processo civile promosso dal terzo danneggiato solo contro l’amministrazione), vuoi per i limiti oggettivi del giudicato stesso (si pensi alle ipotesi in cui la sentenza civile non esamini il dolo o la colpa grave del funzionario che gli ha causato il danno, ma la colpa dell’Amministrazione).

Tuttavia, anche in questa particolare fattispecie, la diversità delle situazioni giuridiche oggetto dei due giudizi non consente di ipotizzare una

pregiudizialità in senso tecnico.

Infatti, nel processo civile, è controverso il diritto del privato al risarcimento del danno per violazione del generale dovere del neminem laedere ex art.2043 cod. civ. ma non il diritto dell’Amministrazione (nella specie, dell’Interno) al risarcimento dal danno indiretto arrecato dal suo dipendente per violazione degli obblighi e doveri di servizio (che rientra nella giurisdizione esclusiva di questa Corte ex R.D. n. 1214/1933 e L. n. 2440/1923).

Inoltre, anche nell’identità di fatti storici oggetto dei due giudizi, non vi è nemmeno pregiudizialità logica tra i due accertamenti, che si svolgono su piani ed in prospettive diverse ed operano differenti qualificazioni dello stesso fatto, poiché:

a)      il danno erariale contestato è finanziario, non giuridico, e consiste nel pagamento delle somme recate dalle sentenze civili provvisoriamente esecutive (cfr. § 1.7 e § 1.9) non nell’insorgere dell’obbligazione di risarcimento controversa in sede civile; quindi, prescinde dall’esito del giudizio civile (in Cassazione);

b)     il nesso causale tra la condotta del @@@@@@@ e il danno finanziario suddetto non coincide, se non in parte, con il nesso causale tra la stessa condotta e il danno non patrimoniale subito dalla @@@@@@@ per assoggettamento a processo penale;

c)     anche se l’inadempimento dei medesimi doveri di ufficio da parte di un funzionario può essere causa sia di danni a terzi sia (indirettamente) di danni all’erario (a seguito del risarcimento ai terzi danneggiati), la “colpa grave” del funzionario, presupposto del risarcimento civile ex art. 28 Cost. (artt. 22-23 del D.P.R. n. 3/1957) non coincide con la “colpa grave” presupposto della responsabilità amministrativa, la quale è caratterizzata dalla “personalità della colpa” (ai sensi dell’art. 1, comma 1 della legge n. 20/1994) e quindi presuppone sempre un esame delle concrete circostanze soggettive ed oggettive della vicenda in relazione all’Amministrazione. Infatti, la medesima violazione di obblighi di servizio può essere “grave” rispetto al privato (cui sono indifferenti i rapporti interni tra l’Amministrazione ed i suoi dipendenti), ma non nei rapporti interni con l’Amministrazione (che non può, ad esempio, imputare a colpa grave dell’impiegato violazioni del rapporto di servizio dovute a problemi organizzativi imputabili alla stessa Amministrazione). In altri termini, anche nell’ipotesi di danno indiretto derivante da sentenza civile di condanna dell’Amministrazione e dell’impiegato (per colpa grave, ex art. 28 Cost.), non possono essere confusi i presupposti legali della responsabilità civile con quelli della responsabilità amministrativa: infatti, l’obbligo risarcitorio civile che l’Amministrazione o l’impiegato ha verso i terzi resta giuridicamente autonomo, quanto ai presupposti, dall’obbligo risarcitorio che il funzionario ha verso l’Amministrazione di appartenenza per i danni cagionati al terzo.

In tal senso, può citarsi la sentenza della Sezione Giur. Piemonte n. 12/07 depositata il 16.1.2007, che bene evidenzia la diversità di oggetto e titolo del giudizio civile tra privato e P.A. rispetto al giudizio di responsabilità amministrativa di rivalsa della P.A. nei confronti dell’impiegato ex art. 22 D.P.R. n. 3/1975 per il danno indiretto, <<essendo il giudizio contabile finalizzato alla valutazione, nell’ottica dei criteri enucleati dall’articolo 1 della Legge nr. 20 del 1994, come modificato dalla Legge nr. 639 del 1996, della illiceità di specifici comportamenti individuali in violazione degli obblighi di servizio. In tale prospettiva, […] si stima utile precisare che il Giudice contabile, per il principio della separatezza ed autonomia dei giudizi, non è vincolato alle conclusioni cui è pervenuto, con la sentenza irrevocabile di condanna dell’Amministrazione, il Giudice civile o quello amministrativo in base all’attribuzione della relativa giurisdizione, sia per quanto attiene all’ “an” del risarcimento a carico dell’agente pubblico, sia relativamente alla stessa quantificazione del danno>>.

2.3 – Nemmeno, d’altro canto, può procedersi alla sospensione facoltativa del presente giudizio (peraltro, di incerta configurabilità e di ristretta applicazione dopo la riforma dell’art. 111 Cost. e l’introduzione del principio di ragionevole durata del processo) in quanto, all’esito di due gradi di giudizio penale e due gradi di giudizio civile, nessun utile elemento di prova può venire dal giudizio di mera legittimità della Cassazione civile; fermo restando che la causa risulta matura per la decisione (e, quindi, la sospensione è inopportuna) per i motivi che seguono.

3 – Sempre in via preliminare, va dichiarata inammissibile per difetto di interesse l’istanza istruttoria del convenuto (contenuta nella memoria di costituzione), in quanto la richiesta di esibizione delle deduzioni presentate al P.M. e dei relativi allegati è già stata soddisfatta dalla Procura che ha depositato tali documenti.

4 – Nel  merito  della  causa,  il  diritto  azionato  dal  P.M.  a  titolo  di

responsabilità amministrativa degli impiegati ed amministratori statali (ivi compresi gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria) trova i suoi presupposti: nel danno per l’Amministrazione statale; nella condotta dell’agente pubblico, posta in essere nell’esercizio delle funzioni ed in violazione degli obblighi di servizio con l’Amministrazione danneggiata; nel nesso causale tra la condotta ed il danno e, infine, nel dolo o nella colpa grave nella consumazione del fatto illecito, ai sensi delle disposizioni di legge applicabili nella fattispecie in esame, trattandosi di dipendente del Ministero dell’Interno (articoli 52 del R.D. 12.7.1934, n. 1214; 81, 82 e 83, primo comma, del R.D. 18.11.1923, n. 2440; artt.18 ss. e 22 D.P.R. 10.1.57, n. 3 in relazione al D.M. 28.11.2000; artt. 1 ss. D.L. n. 453/93 e L. n. 20/94; art. 55, comma 1, D. Lgs. n. 165/2001).

L’accoglimento della domanda presuppone l’accertamento della sussistenza, nella concreta fattispecie, di tutti tali presupposti. La loro prova (il cui onere grava sul Pubblico Ministero ex art.2697 cod. civ.) può essere fornita sulla base di ogni elemento presuntivo utile (art. 2698 cod. civ.), comprese le prove dei fatti di causa raccolte nel procedimento penale (Sez. Giur. Toscana, n. 423/2007 depositata il 15.5.2007) o nel processo civile, in quanto tali, autonomamente valutabili dal  giudice contabile  a  prescindere dall'eventuale cassazione senza rinvio

della decisione civile cui afferiscono (cfr. Sez. I app., n. 12 del 19.1.2004) .

4.1 - Quanto al danno erariale, il P.M. lo identifica nell’esborso subìto dal Ministero dell’Interno per l’esecuzione delle condanne civili provvisoriamente esecutive. Vi è, in atti, la prova della sussistenza di tale danno, correttamente liquidato dalla Procura in euro 22.984,88, equivalenti alla somma degli ordini di pagamento emessi dalla P.A. (ovvero € 15.996,23 più €  6.988,65: cfr. § 1.7 e § 1.9).

Nella memoria di costituzione, la difesa del convenuto eccepisce la mancanza di prova di un danno erariale concreto ed attuale (e, quindi, la inammissibilità della citazione) attesa la pendenza del suddetto ricorso in Cassazione; tanto più che il ricorso di legittimità risulta proposto dall’Avvocatura Distrettuale e non dal convenuto, sulla base di seri argomenti, comunque, da tenere presenti in questa sede per valutare la posizione del @@@@@@@. Inoltre, la difesa rileva la contraddittorietà che l’Amministrazione, da un lato, contesti in Cassazione la sentenza di appello e, dall’altro, la invochi nel presente giudizio - tramite la Procura di questa Corte - a fondamento della richiesta di risarcimento del danno erariale.

L’eccezione va disattesa, stante che essa identifica il danno indiretto contestato con l’obbligo risarcitorio da accertare nel processo civile, laddove - nella fattispecie - il danno contestato coincide con l’esborso finanziario; tale danno è concreto ed attuale e prescinde dall’esito del processo civile, potendo essere eliminato non da una sentenza della Cassazione (che dichiari l’Amministrazione non tenuta al risarcimento dei danni) ma solo dall’eventuale rimborso di quanto pagato al privato dal Ministero dell’Interno, in forza delle sentenze provvisoriamente esecutive. Ferme restando, ovviamente, la necessità di valutare il nesso causale tra la condotta del convenuto e l’eventuale concorso di condotte di terzi, rispetto a tale danno, e la necessità di dare rilievo ad eventuali successive revisioni del giudice civile in sede di esecuzione del giudicato di responsabilità amministrativa (cd. exceptio in executivis). 

4.2 – In merito agli altri presupposti della responsabilità amministrativa, nella citazione si richiama la sentenza del Tribunale civile di Trento, che ha condannato il @@@@@@@ @@@@@@@ ed il Ministero dell’Interno << per avere posto in essere una condotta negligente e superficiale, che ha determinato per l’incolpevole attrice @@@@@@@ @@@@@@@, completamente estranea ai fatti, la ingiusta sottoposizione a due procedimenti penali durati oltre quattro anni, conclusi entrambi con l’assoluzione della @@@@@@@ per non aver commesso il fatto >>, per i motivi sopra riportati (cfr. § 1.6.2). 

Sulla base di detta sentenza e dei verbali e delle altre sentenze dei vari processi penali e civili (non risultano acquisiti gli atti dell’indagine penale predibattimentale, a parte il contestato verbale di identificazione), la Procura Regionale afferma che il danno suddetto è stato cagionato “esclusivamente” dall’erronea identificazione dell’autrice del reato da parte del @@@@@@@; identificazione da cui sono conseguiti l’ingiustificato assoggettamento della @@@@@@@ a processo penale (cfr. pag. 6 della citazione) e, quindi, la condanna civile dell’Amministrazione ed il danno erariale. In altri termini, la Procura contesta al @@@@@@@ una condotta omissiva nell’identificazione del reo, ovvero una violazione degli obblighi di servizio che gli imponevano una corretta identificazione degli autori di reato; la violazione di tali obblighi di identificazione sarebbe causa del danno erariale contestato (ex art.40 c.p.) e connoterebbe la condotta omissiva del convenuto di antigiuridicità (che altro non è se non la violazione dei doveri nascenti dal rapporto di servizio) e di colpa (che altro non è se non la negligente esecuzione di tali doveri).

Inoltre, nella citazione, si contesta al @@@@@@@ una condotta negligente nel processo penale e nel processo civile, la quale - ad avviso del P.M. - si porrebbe come antigiuridica e colposa causa della condanna civile e, quindi, del danno indiretto contestato in questa sede.

4.3 – Partendo da quest’ultima condotta contestata, va precisato che il comportamento processuale del @@@@@@@ non è stato improntato a somma inerzia, come ipotizza la Procura, e non è connotato né dall’antigiuridicità (violazione dei doveri di servizio), né dal nesso causale (omissivo) con il danno erariale contestato, né dalla gravità della colpa.

Anzitutto, se può affermarsi che rientrava nei doveri di ufficio del convenuto difendere la legittimità del proprio operato, ad evitare la condanna dell’Amministrazione in sede civile (e, quindi, il danno erariale contestato), questo non implica, tuttavia, che egli avesse il dovere di costituirsi nel processo civile con proprio difensore e di articolare proprie prove in tal senso. Infatti, la decisione di costituirsi in giudizio è espressione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) che non si può imporre ad un assistente di polizia (anche per i costi non esigui del giudizio); tanto più quando già l’Amministrazione difende la legittimità della sua azione con la propria Avvocatura, tenuta direttamente a provvedere alla difesa della parte pubblica con tutti i mezzi istruttori del caso. In altri termini: a) la omessa (contumacia) del funzionario nel processo civile, in cui l’Amministrazione di appartenenza è convenuta in solido, non può essere invocata quale violazione di doveri di ufficio (né come indice di colpa) poiché esercizio di un diritto soggettivo, in quanto tale, non sindacabile come titolo di responsabilità per danno “ingiusto” (cfr. art. 2043 c.c. in relazione all’art. 51 c.p.); b) la stessa contumacia neppure può assurgere al ruolo di causa omissiva della condanna civile – e, quindi, dell’evento dannoso contestato - in quanto il dovere di difesa in giudizio della posizione dell’Amministrazione, tramite attività istruttoria, spetta non al funzionario ma all’ Avvocatura sicché non può configurarsi una causalità omissiva per dovere di impedire l’evento (art. 40 c.p.).

Viceversa, rientrava certamente nei doveri di ufficio del @@@@@@@ quello di svolgere l’attività stragiudiziale (relazioni al P.M. penale ed all’Avvocatura dello Stato) e giudiziale (testimonianze, interrogatori) necessarie alla tutela dell’Amministrazione nei processi penali e civili; doveri che, peraltro, non risultano violati dal convenuto in modo soggettivamente significativo. Infatti (premesso che l’attività stragiudiziale non è contestata come causa del danno erariale - e, comunque, risulta svolta: cfr. § 1.4.1 e § 1.6.1) - nel giudizio penale di primo grado il @@@@@@@ mancò soltanto alla prima udienza per motivi imprecisati (ma è fatto notorio che agenti di polizia giudiziaria, spesso impegnati in attività di ufficio, talora, non riescono a presenziare alle udienze) mentre, alla seconda udienza, mancò per problemi di salute (cfr. § 1.4.2). Inoltre, l’omessa testimonianza del convenuto fu il frutto di un’imprevedibile scelta del Pretore, il quale, anziché procedere al suo interrogatorio come teste ammesso (al limite con accompagnamento coattivo), definì il giudizio senza ascoltarlo (cfr. § 1.5). Non a caso, nel giudizio penale di appello, si ebbero la riapertura dell’istruzione e l’audizione del @@@@@@@ (cfr. § 1.5.1) il quale rese una precisa testimonianza che contraddiceva la versione dei fatti della @@@@@@@ (cfr. § 1.5.2).  Analogamente, nel processo civile egli si presentò a rendere l’interrogatorio formale (cfr. § 1.6.2) e, in appello, si costituì ad adiuvandum (cfr. § 1.8.1) per resistere alle pretese attoree, articolando le sue difese in dettaglio. Pertanto, non può imputarsi al convenuto una seria inerzia e, quindi, la “colpa grave” necessaria per configurare la sua responsabilità amministrativa.

Infine, non è stato precisato dal Pubblico Ministero in che modo la costituzione - o, in genere, una diversa condotta processuale del @@@@@@@ -avrebbero potuto determinare un diverso esito del processo civile, ovvero quali difese o quali prove egli avrebbe potuto fornire oltre a quelle già prospettate e richieste dall’Avvocatura dello Stato, e da lui fornite, nell’appello penale e nei due gradi del giudizio civile. Neppure sotto questo aspetto, pertanto, risulta provato il nesso causale tra la condotta processuale del @@@@@@@ ed il contestato danno erariale.

In conclusione, né per il profilo soggettivo né per quello oggettivo può affermarsi la responsabilità del convenuto avuto riguardo alla sua condotta nel processo civile e penale.

4.4 – Quanto all’altra condotta contestata, è provato in atti un errore di identificazione dell’autrice del furto: risulta con certezza, infatti, che la ladra - pure essendosi identificata come @@@@@@@ @@@@@@@ - in realtà era un’altra persona (come si desume dalle testimonianze e dalla perizia grafologica acquisite in sede penale: cfr. § 1.4.2, § 1.5.5). Simile errore è stato commesso, senz’altro, dal @@@@@@@ il quale aveva proceduto alla redazione del verbale di elezione di domicilio identificando l’autrice del furto (cfr. § 1.5.3.a-b) senza, però, avvedersi della falsità dei dati  a lei dichiarati.

Questa condotta omissiva si é realizzata in violazione dei doveri di ufficio sanciti dall’art. 349 c.p.p., secondo cui la polizia giudiziaria è tenuta a procedere all’identificazione della persona, nei cui confronti sono svolte le indagini, invitandola ad eleggere domicilio ex art.161 c.p.p., nonché - “se essa rifiuta di farsi identificare ovvero  fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono elementi per ritenerne la falsità” - a tradurre tale persona nei propri uffici per procedere ad accertamenti della sua identità, avvisando il P.M. della traduzione e del rilascio (da effettuarsi entro 12 ore, salva diversa decisione del P.M.).

Nella concreta fattispecie sussistevano molteplici elementi per ipotizzare la falsità delle generalità rese - e, dunque, per procedere a più approfonditi e diretti accertamenti sull’identità della persona fermata (ad esempio, tramite verifiche presso la residenza della persona i cui dati erano stati dichiarati) - tanto più necessari quanto più frequenti diventano i casi di “furto di identità” (e di sostituzione di persona) per effetto della immissione di dati personali in rete. In particolare, sussistevano i seguenti elementi di sospetto.

·        Anzitutto, la persona fermata faceva resistenza a fornire i propri documenti (cfr. § 1.4.1) .

·        Inoltre, secondo una prima ricostruzione della vicenda (fatta propria dal pretore penale e dal Tribunale civile, nonché dalla Procura presso questa Sezione: cfr. § 1.4.2, § 1.6.2), la ladra non aveva presentato alcun documento e, pertanto, il @@@@@@@ l’aveva identificata semplicemente sulla base delle sue dichiarazioni, verificando in via informatica l’esattezza personale dei dati forniti ed acquisendo con lo stesso mezzo i dati della patente riportati nel verbale. Se si accettasse questa ricostruzione dei fatti, certamente, vi sarebbe stata un’omissione dei dovuti accertamenti sulla veridicità dei dati dichiarati essendo evidente, perfino per uno sprovveduto, che le generalità ed i dati personali forniti da una ladra presa in flagrante priva di documenti possono essere false, anche se riferibili ad una persona realmente esistente (i cui dati personali potevano essere conosciuti dalla ladra anche all’insaputa di questa persona)   .

·        In alternativa, può sostenersi che la ladra aveva presentato un documento (come ritenuto dalla Corte di appello, sia in sede penale sia in sede civile: cfr. § 1.5.6 e § 1.8.2). In tal caso, si trattava o della patente rubata il 16.7.1987 (cfr. § 1.1) - come ipotizzato dalla Corte di appello (cfr. § 1.5.6 e § 1.8.2) - oppure del duplicato della patente rilasciato il 2.10.1987 (come indicato nel verbale di identificazione dal @@@@@@@ e sostenuto dal PM. penale: cfr. § 1.3). In ogni caso, comunque, autrice del furto non era la @@@@@@@, a quanto emerso inequivocabilmente dal processo penale (cfr., in particolare, la sentenza di appello penale sub § 1.5.6). Pertanto, o sul documento c’era la foto originale della @@@@@@@, ed il @@@@@@@ non aveva verificato che la ladra aveva una fisionomia diversa dalla persona raffigurata; o la foto era stata sostituita con quella della ladra, ed il @@@@@@@ non si era avveduto della contraffazione della patente. Inoltre, se si trattava della patente rubata il 16.7.1987, o la data di rilascio era stata contraffatta (perché nel verbale si indicavano il numero e la data del duplicato, 2.10.1987) o il @@@@@@@ non se n’era accorto, ed effettivamente aveva tratto altrove i dati della patente (in specie la data del rilascio).

In tutti i casi, comunque, risulta che il @@@@@@@ non ha correttamente effettuato la dovuta attività di identificazione dell’autrice del furto ex art.349 c.p.p.: la violazione di tale disposizione connota la condotta omissiva di antigiuridicità (che è per l’appunto la violazione di doveri di ufficio nell’esercizio delle funzioni), e la pone in nesso causale omissivo con il danno erariale contestato (in quanto la esatta identificazione del reo è obbligo teso ad impedire errori di persona e, quindi, la necessità di risarcire una persona ingiustamente accusata, sicché la sua violazione equivale a causazione del danno ex art. 40 c.p.).

4.4.1 - Nella citazione si afferma, altresì, che causa del danno erariale in contestazione era stata l’erronea identificazione della vera autrice del fatto di reato, da parte del @@@@@@@, sfociata nel processo penale ingiustamente subìto dalla Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@. Viceversa, nella memoria di costituzione, la difesa del convenuto afferma la mancanza di responsabilità del @@@@@@@ per il danno coincidente con le spese del giudizio di appello civile, proposto su iniziativa dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato (il @@@@@@@ era solo intervenuto ad adiuvandum), la quale si era assunta ogni responsabilità del suo esito, portandolo avanti in Cassazione senza che il medesimo @@@@@@@ potesse, in alcun modo, intervenire sullo stesso.

L’eccezione è infondata. Infatti, il nesso di causalità è escluso solo in presenza di fatti sopravvenuti da soli sufficienti a produrre l’evento (art. 41 c.p.), ovvero di uno sviluppo causale che si ponga come anomalo, rispetto alla normalità statistica-scientifica (id quod plerumque accidit). Nella fattispecie in esame, invece, la causa civile per risarcimento del danno (il cui sviluppo in più gradi rappresenta evento statisticamente più che prevedibile) era conseguenza diretta e normale di un’erronea identificazione dell’imputata, con il coinvolgimento di un’estranea innocente , la quale aveva acquisito titolo al risarcimento delle spese di difesa sostenute; e l’iniziativa dell’Avvocatura Distrettuale non era causa da sola sufficiente a produrre il giudizio di appello, in mancanza dell’iniziale condotta di erronea identificazione e della condanna civile di primo grado. Tutt’al più, l’iniziativa della Avvocatura potrebbe essere considerata una concausa del danno in esame.

Analogo discorso vale per l’eccepito concorso causale del P.M. penale che aveva deciso di rinviare a giudizio la @@@@@@@ (questione avanzata in sede di deduzioni).

Pertanto, come correttamente evidenziato dalla Procura Regionale in citazione (replicando alle deduzioni), anche le spese dell’appello civile sono avvinte da nesso di causalità con il comportamento che aveva generato (prima) l’ingiusto processo penale e (poi) la giusta azione di risarcimento del danno civile, salva ed impregiudicata la determinazione individuale della quota economicamente addebitabile in relazione a condotte di terzi (questione che, peraltro, non può che essere esaminata solo dopo avere accertato la sussistenza di tutti i presupposti della responsabilità amministrativa, in sede di riparto dell’addebito).

4.4.2 – Più complesso è il discorso sulla colpa grave del @@@@@@@ nell’identificazione dell’autrice del furto.

Il Pubblico Ministero di udienza ha segnalato la presenza di diversi orientamenti giurisprudenziali circa la nozione di gravità della colpa, talora intesa in senso quantitativo - ovvero come macroscopica “distanza” tra la condotta tenuta e quella che avrebbe tenuto un agente-modello - talaltra in senso qualitativo, ovvero come violazione di specifici criteri e parametri normativamente prefissati e doverosi come la “natura dell’attività (professionale) esercitata” (art. 1176, comma 2 cod. civ.) e la “speciale difficoltà” della attività stessa (art. 2236 cod. civ.).

In ogni caso, la Procura Regionale ha affermato in citazione la sussistenza di questo presupposto di responsabilità, sulla base delle seguenti motivazioni .

a)            Anzitutto, il Pubblico Ministero desume la grave negligenza e l’assoluta trascuratezza del @@@@@@@ dall’esistenza di precisi ed elementari doveri di ufficio relativi all’identificazione dell’autrice del reato, un fondamentale atto di rilevanza processuale, che va effettuato con l’acquisizione delle esatte generalità, per le quali sono pure comminate sanzioni penali nella ipotesi di rifiuto o di resa di false informazioni da parte della persona assoggettata ad indagini di tipo investigativo (v artt. 60, 66, 161, 685 cod. proc. pen.; 21 disp. att. cod. proc. pen.; 495 e 496 cod. pen.). In altri termini, la Procura evidenzia la “macroscopica ed inescusabile devianza da elementari regole nell’adempimento di un atto fondamentale nell’espletamento dell’operazione di polizia (= identificazione dell’imputato, reo in flagranza di reato)” .

b)           Inoltre, il Pubblico Ministero rammenta che la @@@@@@@ aveva già denunziato ai Carabinieri di Trento il furto della patente e dei documenti di identità il 16.7.1987 .

c)           Infine, la Procura Regionale ipotizza che il @@@@@@@, al rifiuto opposto dalla ladra di esibire il documento di identità, avrebbe ritenuto di identificarla sulla base delle semplici dichiarazioni rese da lei stessa (che affermava di essere @@@@@@@ @@@@@@@) e dei rilievi effettuati a mezzo computer, per poi redigere il verbale ex art. 161 c.p.p. contestato (successivamente trasmesso alla Procura della Repubblica di Trento), nel quale egli erroneamente identificava l’autrice del furto nella Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@, “menzionando il numero identificativo della patente di guida di cui la legittima titolare aveva già denunziato la illecita sottrazione” (pag. 6 della citazione).

4.4.2.1 – In merito a quanto innanzi, può anzitutto affermarsi che nel diritto comune la colpa in quanto tale consiste in una negligenza, ovvero nell’inadempimento dei doveri di cautela (diligenza, prudenza, perizia) richiesti ad un agente-modello variabile a seconda della natura del rapporto giuridico (il buon padre di famiglia, art.1176 cod. civ.; il professionista, art. 1176, comma 2 e 2236 cod. civ.), in vista del soddisfacimento dell’interesse del creditore. Nel campo della responsabilità amministrativa, che si caratterizza - rispetto alla comune responsabilità civile - per la presenza del rapporto di servizio e dei connessi doveri ed obblighi funzionali all’interesse pubblico (cfr. § 4), è ovvio che la diligenza richiesta come parametro della colpa di un amministratore o di un dipendente pubblico non può che riferirsi ai doveri ed obblighi di ufficio loro incombenti, che riempiono di contenuto le clausole generali recate dalle norme del codice civile (i succitati artt. 1176 e 2236 cod. civ.) ed il generale dovere di diligenza e di rispetto della legge e dell’interesse pubblico nell’adempimento dei doveri di ufficio, sancito dall’art. 13 del D.P.R. n. 3/1957. Pertanto, non può esserci negligenza al di fuori degli obblighi di servizio (al di là dei quali non vi è nemmeno antigiuridicità della condotta) che fungono da parametro di valutazione della diligenza.

Viceversa, la gravità della colpa va verificata con riferimento alle concrete circostanze dell’azione, accertando quale condotta si imponga nel caso concreto all’agente pubblico in forza di quei generali doveri di ufficio (come esige il principio di “personalità” della responsabilità amministrativa ex art. 1 della legge n. 20/1994) e di cautela. In altri termini, l’affermazione della “gravità” della colpa (ovvero della negligenza) presuppone l’accertamento delle condizioni soggettive ed oggettive in cui l’amministratore o il dipendente pubblico ha operato, per stabilire quali fossero - in presenza di quelle concrete condizioni - gli obblighi e i doveri di ufficio loro incombenti nonché il livello di diligenza richiesto nel relativo adempimento (sulla necessaria valutazione, in concreto, della colpa cfr.  SS.RR. n. 23/A del 21.5.1998 e n. 56/A del 10.6.1997). La gravità, in quest’ottica, potrà essere desunta da una serie di elementi, sia qualitativi (evidenza logica, particolare cogenza, contenuto specifico dell’obbligo di servizio violato), sia quantitativi (particolare ampiezza del divario tra la condotta dovuta e condotta tenuta), sia soggettivi (particolari stati soggettivi del convenuto), sia oggettivi (contesto organizzativo, modalità dell’azione): elementi, com’è agevole comprendere, non astrattamente individuabili ma da accertare, caso per caso, con una valutazione necessariamente demandata al giudice (sulla necessità di un intervento giurisdizionale per la qualificazione della gravità della colpa, non tipizzabile per legge, cfr. Corte cost. , 24.10.2001, n. 340).

4.4.2.2 – Ciò premesso, nella concreta fattispecie può certamente affermarsi che sussiste la colpa del convenuto, il quale: 1) non ha adempiuto il dovere di identificazione recato dalla norma di legge suddetta (art. 349 c.p.p.); 2) ha, perciò, violato il dovere di diligenza e di rispetto della legge nello svolgimento delle proprie mansioni (art. 13 del D.P.R. n. 3/1957); 3) non ha consentito all’Amministrazione di soddisfare l’interesse pubblico sotteso alla norma (identificazione di un reo).

L’affermazione della gravità di tale colpa presuppone, tuttavia, un accertamento delle concrete circostanze della condotta contestata, allegate dal P.M. come indici di gravità della colpa, per verificare se egli non abbia tenuto la condotta dovuta da un agente di polizia giudiziaria nella concreta fattispecie.

Quanto alla circostanza che la @@@@@@@ aveva denunziato ai Carabinieri di Trento il furto della patente e dei documenti di identità il 16.7.1987 (cfr. § 4.4.2 lett. b), non è ben chiaro se la Procura ipotizzi che il @@@@@@@: a) abbia recepito i dati della patente, riportati nel verbale, dalla denunzia a suo tempo presentata dalla @@@@@@@; b) ovvero che, apprendendo tale circostanza con una ricerca sulle denunzie di furto o in altri archivi, ben avrebbe potuto sospettare (ed avvedersi della falsità) delle generalità rese dalla ladra, a prescindere dalla presentazione o meno della patente.

In ogni caso, entrambe le ipotesi non sono provate, poiché non si desume dagli atti né che esistesse e fosse disponibile in Questura un archivio (anche informatizzato) di tutte le denunzie di furto, distinto per nome delle vittime; né che esso riportasse non solo le denunzie presentate alla Polizia di Stato ma anche a diversi corpi di polizia (la denunzia della @@@@@@@ era stata presentata ai Carabinieri, non alla Polizia di Stato: cfr. § 1.6); né che un archivio siffatto - se pure esistente e disponibile al @@@@@@@ - conservasse dati di denunzie presentate (ben) otto anni prima della identificazione per cui è causa, in un periodo in cui (come è fatto notorio) l’informatizzazione della P.A. era ancora assai incompleta (il furto dei documenti era avvenuto nel 1987, l’arresto della ladra nel 1995: cfr. § 1.1. e § 1.2).

Tale allegazione, quindi, non rileva ai fini della gravità della colpa.

4.4.2.3 – Inoltre, in merito alle caratteristiche dell’obbligo violato come indice di colpa grave (cfr. § 4.4.2 lett. a), può convenirsi che la violazione degli elementari doveri di diligenza è indice di gravità della colpa, in quanto più è evidente la sussistenza di un obbligo di diligenza (anche per un non addetto ai lavori) e tanto più grave è la colpa; e l’obbligo di identificare correttamente i criminali è di tale evidenza che la sua violazione deve’essere, di norma, considerata grave.

Peraltro, per i motivi suddetti, la gravità della colpa dev’essere valutata con riferimento a tutte le concrete condizioni soggettive ed og-gettive della condotta contestata, sicché anche la violazione di un obbligo elementare, in particolari condizioni, può non essere obiettivamente grave.

Pertanto, l’accertamento della gravità della colpa non può desumersi solo dalla natura e dalla cogenza dell’obbligo violato (di identificazione del soggetto) ma necessita di una più esatta ricostruzione della vicenda, precisando quale - tra le varie possibili violazioni dei doveri di imputazione sopra ipotizzate (cfr. § 4.3) - si sia verificata nella fattispecie, e con quali modalità.

4.4.2.4 – Deve, pertanto, verificarsi se il concreto svolgimento della vicenda manifesti una particolare colpa del @@@@@@@ (cfr. § 4.4.2, lett. c).

4.4.2.4.1 – In primo luogo, la Procura Regionale afferma che non è certa la esibizione di una patente di guida da parte della ladra; ciò implicherebbe che il convenuto, di fronte al rifiuto della ladra di esibire il documento di identità, avrebbe proceduto ad identificarla sulla base delle dichiarazioni rese da lei stessa (che affermava di essere @@@@@@@ @@@@@@@) e dei rilievi effettuati a mezzo computer per, poi, redigere il contestato verbale (successivamente trasmesso alla Procura della Repubblica di Trento) nel quale egli, erroneamente, identificava l’autrice del furto nella Sig.ra @@@@@@@ @@@@@@@ “menzionando il numero identificativo della patente di guida di cui la legittima titolare aveva già denunziato la illecita sottrazione” (cfr. pag. 6 della citazione). Indubbiamente, ove provata, questa ricostruzione dei fatti manifesterebbe una grave violazione del dovere di identificazione e, quindi, una colpa grave, come già precisato (cfr. § 4.3 e § 4.4.2.1).

Viceversa, la difesa del convenuto afferma che la ladra aveva esibito un documento falso ed il @@@@@@@ non se ne era avveduto perché il documento gli era sembrato genuino e, di conseguenza, non aveva ritenuto necessarie altre indagini sul punto. Ne conseguirebbe il difetto di colpa grave, che sussiste solo in presenza di un grado particolarmente elevato di negligenza, imprudenza o imperizia nel comportamento, tale da rendere facilmente prevedibile e probabile l’evento dannoso, con riferimento alle concrete circostanze soggettive ed oggettive della condotta.

Le due prospettazioni sono alternative ed entrambe fondate su indizi presenti in atti: non a caso, infatti, nel primo grado civile e penale, si è accolta la prima tesi mentre, nel successivo grado civile e penale, la seconda (cfr. § 4.3).

Al riguardo, il Collegio ritiene di non poter accogliere la ricostruzione della Procura per i seguenti motivi.

A) Nel verbale contestato, il @@@@@@@ indica i dati personali della @@@@@@@ (quelli reali, come incontestato tra le parti), dando atto dell’identificazione della ladra tramite la patente (di cui si indicano il numero e la data di rilascio). Se tale verbale può qualificarsi atto pubblico (poiché redatto da pubblico ufficiale il quale, nell’esercizio delle proprie funzioni, attesta fatti avvenuti in sua presenza e da lui compiuti, ex art. 2699 cod.civ.), allora non può affermarsi giudizialmente una realtà fattuale diversa da quella consacrata nel documento, anche perché il P.M. non ha proposto la querela di falso necessaria ex artt.10-11 R.D. n. 1038/1933.

In tal caso, dovrebbe ritenersi - iuris et de iure – che il @@@@@@@ abbia identificato la ladra con la patente di guida, come documentato nel verbale.

B) Se invece si nega al verbale la qualifica di atto pubblico con efficacia fidefacente, in quanto l’autore del documento è convenuto in un giudizio di responsabilità ed invoca tale atto a sua difesa (in tal senso, Cass. civ. Sez. Lav. 22.6.2002, n.9147; Corte dei conti, Sez. Giur. Veneto n. 273 del 7.3.2003),ovvero in quanto la falsità dell’atto è il titolo della responsabilità azionata contro l’autore dell’atto stesso (cfr. Sez. I app., n. 23 del 21.1.2009, n. 359 del 5.8.2008, n.102 del 25.2.2008), allora è possibile prescindere da detto verbale e dalla querela di falso per affermare la responsabilità del @@@@@@@. Tuttavia, anche in tal caso, è possibile prescindere dall’atto pubblico solo se  la prova dei fatti posti a sostegno della domanda si desuma “aliunde” e la decisione della causa può prescindere dal documento contestato, ai sensi dell’art. 11 R.D. n. 1038/1933 e dell’art.3 55 c.p.c. (cfr. le decisioni della Prima Sezione di appello della Corte dei conti, da ultimo citate).

B1) Viceversa, nella concreta fattispecie non risultano elementi “concordanti”, necessari per presumere (ex art. 2729 cod. civ.) che il @@@@@@@ non abbia realmente preso visione del  documento citato nel verbale (che, conseguentemente, sarebbe falso). Ed infatti:

-               indubbiamente, il verbale riporta come data di rilascio della patente non quella della patente a suo tempo rubata (§ 1.1) bensì la successiva data del duplicato di patente rilasciato dopo il furto (cfr. § 1.3 e § 1.6.1.b); ma ciò consente di pensare tanto che non sia stato esibito nulla (e che i dati siano stati presi in rete) quanto che sia stata esibita una patente recante tali dati (non necessariamente l’originale, ma anche un falso) ;

-               d’altro canto, la citazione non precisa - né lascia desumere in alcun modo - quale movente potrebbe avere spinto l’agente di polizia giudiziaria prima a fidarsi delle dichiarazioni della criminale e poi ad attestare falsamente di avere preso in visione la patente, infine a ricercare informaticamente ed a riportare nel verbale i dati mancanti ;

-               ancora, l’affermazione che il convenuto abbia falsificato il verbale, attestando di avere identificato la ladra con una patente in realtà mai esibita, urta con la qualificazione della condotta del @@@@@@@ - contenuta nella citazione qui in esame - come gravemente colposa; in tal caso si sarebbe di fronte ad una dolosa omissione di atti di ufficio (atti che, per motivi di giustizia, occorre compiere senza ritardo: art. 328, comma 1 c.p.) e ad un falso verbale di identificazione (art. 479 c.p.) ;

-               infine, va evidenziato che nel giudizio penale anche il collega del @@@@@@@ (agente @@@@@@@), il quale aveva portato in Questura la ladra, ha dichiarato che ella era stata identificata con la patente di guida (cfr. § 1.5.3.b).

In conclusione, non può ritenersi provato - e, anzi sussistono significative prove contrarie - che il @@@@@@@ abbia identificato la ladra solo sulla base delle sue dichiarazioni, senza visionare una patente (anche falsa) con gli estremi riportati nel verbale.

4.4.2.4.2 – In alternativa, potrebbe affermarsi che il @@@@@@@ abbia effettivamente consultato la patente recante i dati riportati nel verbale, senza, però, accorgersi della falsità totale o parziale del documento e, pertanto, con colpevole negligenza (cfr. § 4.3 e § 4.4.2).

In specie, a parte l’ipotesi che quella esibita fosse una patente vera (ovvero il duplicato rilasciato il 2.10.1987), poteva trattarsi della patente rubata nel 1987, con alterazione sia della data di rilascio (sostituita con quella del duplicato) sia della foto (sostituita con quella della ladra), oppure un documento integralmente falso (con i dati del duplicato e la foto della ladra): in tutti i casi, il @@@@@@@ non si sarebbe accorto che la persona raffigurata nella patente non era la ladra o che il documento era falsificato.

Anche in questa ricostruzione, alternativa della fattispecie, deve però rilevarsi che la vicenda si svolse con modalità che potevano indurre il convenuto ad una minore attenzione nel controllo – e, perciò, a non avvedersi della falsità del documento e/o della diversità tra la persona fermata e quella raffigurata nel documento – e, quindi, riducono l’intensità della colpa.

Anzitutto, è incontestato tra le parti che i dati personali della @@@@@@@ (quanto meno: nome, cognome e data di nascita) vennero forniti dall’autrice del furto: altrimenti dovrebbe ipotizzarsi che il convenuto abbia attribuito le false generalità alla ladra di sua iniziativa e senza alcun motivo apparente, consentendole di sottrarsi alla giustizia. Inoltre, nel verbale sono riportati anche altri dati personali della @@@@@@@ (residenza, numero di telefono, stato civile e professione) che, verosimilmente, sono stati forniti dalla persona fermata (altrimenti, non si vede perché il @@@@@@@ avrebbe dovuto darsi la pena di ricercarli e inserirli nel verbale di sua iniziativa). In conclusione, la ladra aveva declinato senza errore i dati personali della @@@@@@@ . Per di più, come si desume dal verbale del giudizio penale di primo grado (cfr. § 1.4.1), dalla informativa redatta dalla Questura (§ 1.6.1) e dalla testimonianza del convenuto in sede di interrogatorio in appello (§ 1.8.1), la persona fermata aveva prima negato di possedere documenti, poi si era messa a piangere e, infine, aveva  estratto il documento solo dopo la minaccia di chiamare i familiari della @@@@@@@: insomma, come se si fosse fatta convincere a forza a mostrare un documento vero solo per evitare che i (supposti) familiari venissero a conoscenza del fatto (laddove, in realtà, la ladra aveva paura di essere scoperta).

Infine, va evidenziato che la sostituzione di foto sulla patente è falsificazione difficilmente accertabile, soprattutto su documenti vecchi, usando una foto anch’essa proveniente da patente e recante anch’essa un timbro a secco; senza dire che la patente, di solito, ritrae una persona dall’aspetto giovanile e alquanto diverso da quello che dimostra con il passare degli anni (la @@@@@@@, classe 1951, aveva 44 anni circa nel 1995): ragion per cui spesso anche la visione della foto non consente, in quanto tale, un esatto riconoscimento.

Il complesso di tali circostanze poteva indurre il @@@@@@@ - così come qualsiasi agente di polizia giudiziaria che si fosse trovato ad operare in quel concreto frangente - a ritenere che la ladra fosse realmente la @@@@@@@, e quindi ad una minore attenzione sul documento, tanto da non riscontrare sia eventuali falsità ed alterazioni dello stesso (alterazioni  di non necessariamente immediata visibilità) sia la eventuale non corrispondenza della fisionomia della persona fotografata rispetto alla ladra (peraltro, non significativa per la distanza nel tempo del ritratto sulla foto).

5 – Avuto riguardo alle considerazioni fin qui svolte, la domanda attorea non può essere accolta per difetto di “colpa grave”, atteso che le concrete circostanze del caso potevano indurre il @@@@@@@ ad un minore sospetto circa la veridicità del documento mostrato e la identità della ladra.

5 1– La presenza di una condotta comunque colpevole, sia pure di grado non “grave”, l’obiettiva necessità per la parte attrice di procedere al giudizio, data l’obbligatorietà dell’azione, e la complessità in fatto della vicenda - oggetto di ricostruzioni radicalmente diverse da parte dei vari giudici penali e civili (cfr. § 1.4.2, § 1.5.6, § 1.6.2, § 1.8.2) - inducono il Collegio alla totale compensazione delle spese di giudizio tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2 c.p.c..

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Trentino-Alto Adige - Sede di Trento, definitivamente pronunziando nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 3517 del registro di Segreteria, promosso ad istanza della Procura Regionale nei confronti del sig. @@@@@@@  @@@@@@@, ogni diversa istanza, domanda, eccezione o deduzione disattesa e reietta, così provvede:

assolve il convenuto sig. @@@@@@@ @@@@@@@ per carenza di colpa grave;

compensa integralmente le spese tra le parti.

Trento, Camera di consiglio del 5 febbraio 2009.

            L’ESTENSORE                              IL PRESIDENTE

  -

 

Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 11 marzo 2009

 

 Il DIRETTORE DELLA SEGRETERIA

                f.to   (dott.ssa --


 

 

 

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICA