REPUBBLICA ITALIANA                N. 436/2009

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL VENETO

Composta dai seguenti magistrati

-

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 26032 del registro di segreteria, promosso ad istanza della Procura Regionale della Corte dei Conti per il Veneto nei confronti di @@@@@@@ @@@@@@@, nato, il @@@@@@@, a @@@@@@@, residente a @@@@@@@ (TO), in via @@@@@@@ n.7, all’epoca dei fatti assistente della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza <@@@@@@@>, organico alla Questura di @@@@@@@.

Visto l’atto introduttivo del giudizio, la memoria di costituzione e i documenti tutti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 01 aprile 2009, il referendario relatore dott. -

FATTO

Con atto di citazione del 01 dicembre 2008, ritualmente notificato, la Procura Regionale della Corte dei Conti per il Veneto conveniva dinanzi questa Sezione giurisdizionale il sig. @@@@@@@ @@@@@@@ per sentirlo condannare al pagamento, in favore del Pubblico Erario, della complessiva somma di € 4.102,50, oltre rivalutazione monetaria interessi legali e spese di giudizio.

Esponeva, il requirente, che con sentenza ex art. 444 c.p.p., n.449/07, del 05 – 08 giugno 2007, irrevocabile al 31 luglio 2007, il Tribunale Ordinario di @@@@@@@, Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari, applicava, all’assistente della Polizia di Stato, @@@@@@@ @@@@@@@, la pena di anni uno e mesi sei di reclusione, nonché la multa di € 400,00, per essersi appropriato di un telefono cellulare, di munizioni da guerra e di armi comuni da sparo, per avere detenuto illegalmente e portato in luogo pubblico le munizioni e le armi da sparo, nonché per avere ceduto a terzi il munizionamento da guerra, fattispecie criminose legate dal vincolo della continuazione, poste in essere approfittando della posizione di operatore di polizia addetto al Corpo di Guardia del Commissariato @@@@@@@.

Ai rigori in sede penale seguiva, con decreto del Capo della Polizia, in data 20 settembre 2007, la destituzione dal servizio a far tempo dal 16 dicembre 2006.

Il Pubblico Ministero contabile, acquisita l’integrale documentazione penale, svolti gli accertamenti preliminari e ritenuti verosimili i presupposti della responsabilità, integranti sia un danno di natura patrimoniale, costituito dal valore commerciale del munizionamento, che un pregiudizio da lesione dell’immagine della Polizia di Stato, notificava al predetto dipendente, in data 21 ottobre 2008, invito a depositare, entro giorni 30, controdeduzioni ed eventuali documenti.

Nel medesimo atto era intimato il pagamento della complessiva somma di € 8.102,50 (di cui € 102,50, quale pregiudizio emergente, ed € 8.000,00, per danno all’immagine).

Il 25 novembre 2008, il presunto responsabile, depositava deduzioni scritte a firma propria, nelle quali chiedeva un ridimensionamento dell’importo del danno all’immagine, attesa la diffusione solo in ambito locale delle notizie afferenti i fatti delittuosi, apparse su quotidiani a tiratura limitata quali <Il gazzettino di @@@@@@@> e la <Nuova @@@@@@@>.

Il requirente se da un lato non riteneva dirimenti le difese di parte convenuta a far venir meno l’impianto accusatorio, dall’altro considerava le stesse decisive per una diversa quantificazione del danno, rideterminato (quello all’immagine), con l’odierno atto di citazione, in complessivi € 4.000,00, oltre € 102,50 per il danno patrimoniale diretto.

Nella richiesta di condanna il Pubblico Ministero evidenziava la gravità del comportamento tenuto dal dipendente di Pubblica Sicurezza, quale emergente dagli atti del giudizio penale, integrante l’apprensione, a fini di profitto personale, di un telefono cellulare, di munizionamento da guerra e di armi comuni da sparo, senza possibilità alcuna di poter addivenire al proscioglimento dello stesso.

Condotta ritenuta contraria ai doveri d’ufficio, posta in essere in <…palese violazione degli obblighi di fedeltà, imparzialità e trasparenza cui sono tenuti i pubblici ufficiali>.

La gravissima e dolosa deviazione dal corretto modello di comportamento istituzionale, ha determinato, ad avviso del Requirente, <…una notevole perdita dell’immagine della Polizia di Stato…>.

E, tale danno, per il quale sussiste la giurisdizione di questa Corte, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta è, tuttavia, suscettibile di valutazione economica.

Si trattava, ad avviso del Requirente, di <…un danno evento, in cui le conseguenze esistenziali negative finiscono per coincidere con la lesione in se di quel bene giuridico: il torto è un’entità ravvisabile in re ipsa>.

Ciò comportava la possibilità della tutela risarcitoria <…per il semplice fatto che una determinata prerogativa risulti danneggiata, restando in discussione soltanto gli aspetti relativi alla quantificazione del danno, rimessi al Giudice…secondo parametri di discrezionalità>.

Versandosi in materia di danno ontologicamente certo, la sua quantificazione, osservava, quindi, il P.M., era affidata alla valutazione equitativa del Giudice, ai sensi dell’art.1226 c.c., secondo parametri di natura soggettiva, oggettiva e sociale.

Riguardo al primo considerava la delicata posizione occupata dal convenuto, assistente della Polizia di Stato, in grado di dare una forte visibilità all’esterno dei comportamenti illeciti tenuti; a proposito dei secondi evidenziava la particolare gravità degli illeciti commessi (che riguardavano la sottrazione di armi), in grado di creare nei cittadini un grave allarme e un clima di sospetto nei <…confronti della generalità dei funzionari pubblici addetti a tali controlli, tale da indurre i controllati ad atteggiamenti di sostanziale evasione ed elusione dei propri doveri nei confronti dell’ordinamento pubblico>; infine, tra i parametri d’indole sociale individuava il pericoloso senso generale di sfiducia che condotte così gravi inducono nell’opinione pubblica.

Onde, alla luce di tali indicazioni riteneva equo rideterminare il danno all’immagine nell’importo di € 4.000,00, in luogo degli € 8.000,00 inizialmente previsti nell’invito a dedurre.

Al pregiudizio in questione era, inoltre, da aggiungere un danno patrimoniale diretto per la sottrazione di beni custoditi e, quindi, nella disponibilità del Commissariato @@@@@@@ di @@@@@@@.

Nella specie sia le armi che una parte delle munizioni da guerra sono state recuperate: tuttavia le cartucce, il cui valore commerciale era di € 102,50, non erano più utilizzabili, giacché non esistevano garanzie sulla loro corretta conservazione, quindi erano da distruggere, così come confermato dalla Questura di @@@@@@@ con nota del 22 settembre 2008.

In conclusione, il Requirente, chiedeva che l’Assistente @@@@@@@ @@@@@@@ fosse condannato al pagamento della complessiva somma di € 4.102,50.

Con memoria, prodotta in fascicolo il 12 marzo 2009 unitamente ad alcuni ritagli di stampa, si costituiva in giudizio, senza l’ausilio di difesa tecnica, il convenuto @@@@@@@, che terminava per il rigetto della domanda attorea e, in subordine, per la riduzione del danno <…che si reputi causato dall’illecito>.

In sintesi, il presunto responsabile osservava che <…il trattamento sanzionatorio formulato…oltre che generico e non concretamente dimostrato, sia ancora sproporzionato (nonostante la già avvenuta riduzione rispetto alla prima richiesta) in relazione all’effettiva gravità dell’episodio>.

Rilevava come l’unico danno <…provato e non meramente affermato> era il danno patrimoniale di € 102,50 causato all’Amministrazione, mentre non era dato evincere alcuna <…esplicazione dei parametri utilizzati dalla pubblica accusa per la determinazione della sanzione richiesta…>: in sostanza <…pur nulla volendo disconoscere a titolo di responsabilità e pur ammettendo l’enorme ingenuità dimostrata nel commettere quella che è una inaccettabile bravata, lo scrivente ritiene di essere già stato adeguatamente punito…nella sede…penale, oltre che nell’ambito disciplinare, essendosi meritato la destituzione dal proprio ufficio (e la sua conseguente e tutt’ora persistente condizione di disoccupato)>.

Per cui, con riguardo al danno all’immagine, osservava che per definire gli atti illeciti, posti in essere da un dipendente pubblico, come idonei a causare tale pregiudizio deve essere dimostrata la capacità di essi a produrre una concreta perdita della fiducia della collettività nel buon andamento <…dello specifico settore amministrativo o la spendita di danaro da parte dell’ufficio di appartenenza per il ripristino dell’immagine>.

Parte convenuta richiamava, al riguardo, la diversa posizione assunta della giurisprudenza sul punto: onde da una parte vi era l’indirizzo di chi non trascurava l’effettiva spendita di danaro da parte del settore amministrativo che si assumeva leso, e dall’altra vi era l’orientamento che prescindeva dalla necessità delle spese patite dalla P.A. per l’affermazione di un danno risarcibile.

Osservava, ancora, che il danno all’immagine, andava attentamente individuato e provato dall’attore; inoltre per la valutazione degli indici su cui poggiare la richiesta sanzionatoria occorreva tenere in conto anche la struttura più o meno ampia dell’Amministrazione di appartenenza e, dunque, la reale possibilità di patìre un danno ad opera di un singolo dipendente, atteso che i vari dipendenti sono assunti mediante pubblico concorso e, pertanto, l’Ente di appartenenza non era moralmente coinvolto nella scelta.

E unitamente a tale elemento occorreva valutare, come evidenziato in diversi precedenti giurisprudenziali, la delicatezza dell’attività svolta, la posizione funzionale dell’autore, le ricadute socio economiche, l’eventuale ripetitività del fenomeno, la rilevante e significativa compromissione dell’efficienza dell’apparato, la necessità di onerosi interventi correttivi, il clamor fori.

Al riguardo rilevava che la gravità del fatto era da ridimensionare, atteso che si trattava di cartucce e armi destinate al macero, che il danno patrimoniale ammontava a poco più di un centinaio di euro, che la propria posizione funzionale in seno al Commissariato di Pubblica Sicurezza non era quella specifica di custode degli oggetti asportati bensi di generica attività di addetto al Corpo di Guardia in alternanza con tutti gli altri colleghi in servizio, che il clamor fori era stato limitato, giacché la notizia era stata riportata da due quotidiani a diffusione locale (Il Gazzettino di @@@@@@@ e La Nuova di @@@@@@@), dove il prevenuto era tratteggiato non come un pericoloso delinquente, ma quasi come un collezionista d’armi, offrendo in tal modo una lettura ancora meno allarmante dei fatti, mentre, al contrario, è evidenziata l’efficienza della Polizia di Stato nella ricostruzione dell’illecito e nell’immediata scoperta del colpevole.

Concludeva, quindi, per il rigetto della domanda, per non essere stati, gli addebiti contestati, adeguatamente motivati e comunque perché non poggianti su parametri solidi e, in subordine, per una diversa quantificazione del danno all’immagine.

All’udienza di discussione odierna, il Vice Procuratore Generale, dott. Alberto Mingarelli, riproponeva il contenuto e le conclusioni, in termini di condanna, di cui all’atto di citazione.

DIRITTO

Il Collegio rinviene negli elementi raccolti a prova della condotta appropriativa con risvolti economici, posta in essere dall’Assistente della Polizia di stato, @@@@@@@ @@@@@@@, tutti i presupposti di legge per far luogo a una pronuncia di condanna.

La vicenda processuale riguarda la configurazione di una duplice fattispecie di danno.

La prima a carattere patrimoniale diretto, avente per condotta l’impossessamento, a fini di lucro, di un telefono cellulare, di quattro armi comuni da sparo e di cartucce cal. 9 x 19 parabellum: il danno emergente, stante il recupero del telefono cellulare e delle armi, riguardava il solo valore commerciale delle 250 munizioni da guerra, non utilizzabili per mancanza di garanzie sul loro corretto stato di conservazione, quantificato in € 102,50.

La seconda fattispecie attiene, invece, alla lesione conseguente alla grave perdita di prestigio e al grave detrimento dell’immagine e della personalità della Pubblica Sicurezza, integrante, con la condotta causa del danno emergente, una forma d’illecito gestorio aggravato dall’evento, quale appendice, quindi, di una più complessa fattispecie dannosa anche se non nella sua espressione quantitativa.

La Sezione, pertanto, in primis deve accertare la sussistenza di un danno patrimoniale, concreto e attuale, sofferto dal Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, frutto di una condotta commissiva ovvero omissiva posta in essere dal convenuto, il nesso di causalità tra la condotta materiale tenuta dallo stesso e l’eventum damni, l’elemento psicologico in termini di colpa grave o di dolo, la non ricorrenza di esimenti, la sussistenza di un particolare rapporto di servizio tra il presunto responsabile e l’Amministrazione.

Solo la concorrenza di tutti gli elementi positivi in uno con la mancata realizzazione di quelli negativi (esimenti) integra la fattispecie di responsabilità amministrativo - contabile con tutte le conseguenze risarcitorie - sanzionatorie da essa scaturenti.

Nulla quaestio riguardo al legame di servizio tra @@@@@@@ @@@@@@@ e l’Amministrazione dell’Interno, poiché il medesimo risultava legato alla stessa da rapporto professionale d’impiego, quale dipendente della Polizia di Stato, all’epoca dei fatti in servizio presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza <@@@@@@@> di @@@@@@@: rapporto la cui esistenza non è, d’altra parte, oggetto di alcuna riserva.

La condotta materiale, il nesso causale e l’elemento psicologico erano, invece, individuati dal Pubblico requirente nei fatti, realizzati tra agosto e settembre 2006, integranti una consapevole inosservanza degli obblighi di fedeltà, imparzialità e trasparenza a cui sono tenuti i pubblici ufficiali, esitati nella sentenza penale, n.449/07, del 05 – 08 giugno 2007, resa ai sensi dell’art.444 c.p.p., che applicava al predetto assistente la pena di anni uno e mesi sei di reclusione, nonché € 400,00 di multa.

Ora, è pur vero che le sentenze pronunciate a seguito di giudizio abbreviato (artt. 438 – 443 c.p.p.) o di patteggiamento (artt.444 – 448 c.p.p.), come nell’ipotesi di causa, poiché scaturenti da cognizione imperfetta, devono considerarsi improduttive di vincolo nel giudizio contabile, ciò tuttavia non preclude al Giudice della responsabilità erariale di ricavare elementi di valutazione ai fini del proprio convincimento dalla condotta del convenuto accertata nel giudizio penale (cfr. ex multis Sezione 1° centrale, sent. n.187/A, del 26 giugno 2001, Sezione 2°, sent. n.253/A, del 30 luglio 2001, e Sezione 3°, sent. n.349/A, del 15 novembre 2001), condotta gravemente antigiuridica e dal medesimo non revocata in dubbio nella memoria a difesa, in atti al 12 marzo 2009.

In sostanza, la Sezione non disconosce che la sentenza di condanna patteggiata, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., non fa stato, ossia non ha efficacia di giudicato nel giudizio contabile, vuoi riguardo alla sussistenza e alle modalità materiali dei fatti, vuoi in ordine alla colpevolezza (cfr. Corte dei Conti, Sezione II Centrale, sent. n. 20, del 20 maggio 1996). Tuttavia i fatti e le prove raccolte su di essi, così come acquisiti in tale sede non possono essere ritenuti tamquam non essent, potendo e dovendo, invece, essere liberamente apprezzati (così come dispone l’art. 116 c.p.c.) dal Giudice Contabile, ai fini della formazione del proprio convincimento, unitamente ad eventuali elementi circostanziali di segno opposto allegati dalle parti (ex multis Corte dei Conti, Sezione 1° d’Appello, sent. n.25/A, del 27 gennaio 2000, e n.97/2008/A, del 04 dicembre 2007).

Si tratta, peraltro, di acquisizioni probatorie effettuate nel corso delle indagini preliminari, realizzate con il consenso delle parti e sotto il controllo giudiziale (cfr. Corte dei Conti, Sezione 1° Centrale, sent. n.222/A, del 13 luglio 2001, Sezione Lombardia, sent. n.1893, del 19 dicembre 2001, e Sezione Veneto, sent. n. 623, del 22 febbraio 2006).

Le premesse formulate permettono, pertanto, di riconoscere alla sentenza di condanna, pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., e al materiale istruttorio in essa raccolto, un’idoneità sufficiente a integrare il convincimento del Collegio, in ordine alla sussistenza materiale dei fatti posti alla base della pretesa risarcitoria azionata dal P.M. contabile.

Questi prendono le mosse dalla denuncia di furto, di un telefono cellulare, presentata il 13 settembre 2006 da un collega di servizio dell’Assistente @@@@@@@, che segnalava la scomparsa del proprio apparecchio mobile, lasciato incustodito su un tavolo all’interno degli Uffici del posto di Polizia <Lido di @@@@@@@>.

In seguito, attraverso il monitoraggio del traffico telefonico, gli investigatori acquisivano la conferma dell’utilizzo diretto e personale del cellulare da parte del dipendente in questione: il portatile era rimasto completamente inattivo sino al 29 settembre 2006, data in cui riappare la tracciatura e le relative telefonate, che continuano frequentissime sino al 21 ottobre 2006 (cfr. informativa di reato in data 27 novembre 2006 e relativi allegati).

In ragione degli indizi, gravi e concordanti, emersi a carico dell’indagato, veniva richiesto decreto di perquisizione personale e locale, sia presso gli uffici di @@@@@@@, ove il dipendente prestava servizio ed alloggiava, sia presso la propria residenza a @@@@@@@ (TO).

Al momento della notifica del decreto e prima dell’inizio dell’atto di ricerca, l’indagato consegnava agli operatori di polizia il cellulare in questione, mentre all’atto dell’esecuzione della perquisizione domiciliare, eseguita in @@@@@@@, dichiarava di essere in possesso di una pistola, che affermava aver sottratto all’interno degli Uffici del Commissariato @@@@@@@ di @@@@@@@.

E, invero, gli inquirenti rinvenivano, nella disponibilità dell’indagato, una pistola di marca <Erma>, tipo <Luger P02>, calibro 22, con relativo caricatore privo di cartucce (cfr. verbale di attività delegata, con sequestro, del 14 dicembre 2006).

Nel corso della successiva verifica della documentazione di scarico armi e di un inventario di quelle in deposito, da parte del personale della Questura di @@@@@@@, si acquisiva che dagli armadi del Corpo di Guardia, del Commissariato @@@@@@@, mancavano altre tre armi comuni da sparo (una Beretta Calibro 6,35, una pistola Browning, calibro 6,35 e una Smith & Wesson, calibro 38 special) e 250 cartucce calibro 9x19 parabellum.

Ne sortiva un nuovo decreto di perquisizione, in data 15 dicembre 2006, eseguito presso l’abitazione di @@@@@@@, che portava al rinvenimento di quanto segnalato e all’arresto in flagranza del @@@@@@@ (cfr. verbale di sequestro e di arresto in data 15 dicembre 2006).

Le gravissime responsabilità ascritte al prevenuto, delineate nella chiara attività di indagine posta in essere e nei suoi esiti, trovavano conferma nell’interrogatorio di garanzia del 29 dicembre 2006, nel corso del quale lo stesso ammetteva ogni responsabilità sugli addebiti: <…Quanto al telefono cellulare…ho visto nella sala volanti, sulla scrivania, due cellulari…poi…mi sono impossessato di uno dei due apparecchi anche perché in quel periodo avevo un telefono cellulare tutto scassato…Quanto alle armi…me ne sono impossessato verso la fine del mese di settembre (2006). Ero in servizio presso il Commissariato @@@@@@@…Sono entrato per spegnere le luci e ho aperto le ante dell’armadio dove sono depositate le armi. Mi sono impossessato delle armi, tra quelle presenti, che mi piacevano di più…Ho pensato alla possibilità di venderle in futuro ad un eventuale collezionista interessatoIn merito alle cartucce me ne sono impossessato verso la fine del mese di agosto. Le ho sottratte dall’armadio del Corpo di Guardia…dove prestavo servizio…e dove, in tale qualità, avevo la disponibilità delle chiavi…Me ne sono appropriato perché intendevo esercitarmi in alcuni poligoni di @@@@@@@…>.

Del succitato munizionamento, una parte era rinvenuta nella disponibilità di altri due dipendenti di Polizia (circa 100), che affermavano averle ricevute dal @@@@@@@, mentre 50 risultavano mancanti (cfr. i verbali di sequestro, del 30 dicembre 2006, e la nota del questore di @@@@@@@ in data 22 settembre 2008).

La gravità dei fatti contestati e il pericolo di recidivanza erano ritenuti, dal Giudice delle Indagini Preliminari, talmente intensi e concreti da consigliare la custodia cautelare in carcere, quale <…unica misura adeguata ed idonea alle esigenze cautelari del caso di specie> (cfr. verbale di convalida dell’arresto e di adozione della custodia cautelare in carcere, del 18 dicembre 2006).

In data 04 gennaio 2007, una volta esclusa la più allarmante delle ipotesi delittuose, ossia che l’indagato si appropriasse di armi e munizioni per immetterle, a fini di lucro, in un circuito criminale, era disposta la misura degli arresti domiciliari, revocata il 05 febbraio successivo.

I fatti contestati, che non consentivano, per la loro gravità, di addivenire ad un proscioglimento, esitavano nella sentenza patteggiata in discorso, che permetteva di beneficiare della riduzione di un terzo della pena.

La predetta ricostruzione, non smentita dall’odierno convenuto, che nella memoria di costituzione (pag.1) rileva come <…il danno materiale, l’unico provato e non meramente affermato, causato all’Amministrazione (€ 102,50)…nulla volendo disconoscere a titolo di responsabilità…>, fa emergere, senza esitazione alcuna, la responsabilità amministrativa ascrivibile al medesimo, che in spregio ai doveri di servizio e agli obblighi di fedeltà e di probità caratterizzanti le proprie funzioni di operatore di Polizia, volte alla prevenzione e repressione dei reati in genere, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla protezione del patrimonio pubblico e dei privati cittadini e, quindi, a consolidare la percezione, il senso di sicurezza da parte degli stessi, ha posto in essere con dolo, quindi con coscienza e volontà non solo della condotta ma anche dell’evento, un comportamento di rilevante disvalore sotto ogni profilo.

Egli, infatti, ha realizzato, profittando delle proprie funzioni, una serie di condotte delittuose, legate tra di loro dal vincolo della continuazione, obiettivamente gravi, siccome riguardanti il furto di un telefonino, il furto e l’illecita detenzione di quattro armi comuni da sparo e il peculato di un consistente quantitativo di munizionamento da guerra (250 cartucce), azioni perpetrate nella piena consapevolezza dell’illiceità e dell’estrema riprovevolezza delle condotte.

La dolosa e preordinata sottrazione di beni, ascrivibile al convenuto, era motivo di danno erariale (quale pregiudizio emergente) con riguardo al solo munizionamento da guerra, che, benché, in parte, oggetto di recupero (200 cartucce sulle 250 illegalmente apprese), era da considerare non più utilmente fruibile e, quindi, da distruggere, poiché non sussistevano garanzie sulla sua corretta conservazione.

Con riguardo, pertanto, a tale pregiudizio si ritiene che all’assistente @@@@@@@ debba essere imputato, a ragione della illecita condotta tenuta, il valore commerciale del munizionamento da guerra sottratto, nella misura di € 102,50, importo confermato, altresì, dall’Autorità Provinciale di Pubblica Sicurezza di @@@@@@@, nella nota in data 22 settembre 2008.

Il disvalore creato dalla condotta appropriativa ben introduce all’esame dell’altra voce di danno, costituita dal pregiudizio all’immagine.

Le vicende su menzionate, per il luogo in cui le azioni antigiuridiche sono state realizzate, ossia all’interno di un Commissariato di Polizia, e per la loro idoneità nel creare un particolare allarme sociale, sono state rese note e diffuse dalla stampa, con grave lesione dell’immagine esterna dell’Amministrazione della Polizia di Stato e della sua credibilità: sono fatti che testimoniano l’indifferente violazione dei più elementari doveri di servizio, di fedeltà e di probità promananti dall’Amministrazione.

Ora, in linea generale, deve osservarsi che anche le persone giuridiche, al pari delle persone fisiche, sono titolari di diritti non patrimoniali, tra i quali quello alla propria immagine, ossia alla tutela della propria identità personale, del proprio buon nome, reputazione e credibilità in sé considerate.

Nel contesto delle persone giuridiche, la tutela di quelle pubbliche e, quindi, delle pubbliche amministrazioni, discende, in via principale, dal dettato Costituzionale, in particolare dalla generale previsione dell’art.2, relativa alla tutela delle formazioni sociali, e dall’art.97, a cui vanno ad aggiungersi, gli artt. 7 e 10 c.c. relativi alla tutela del nome e dell’immagine della persona, ritenuti applicabili anche alle persone giuridiche (cfr. SS.RR. sent. n.10/QM/2003).

L’immagine dell’Ente collettivo è, infatti, un bene della vita (diritto) tutelato dall’ordinamento non solo in sede penale, nelle specifiche ipotesi di reato, ma anche in altre sedi attraverso forme inibitorie di comportamenti illeciti e risarcitori del danno.

Orbene, il danno da perdita d’immagine pubblica non consegue ad un qualsiasi comportamento di un soggetto dell’ordinamento, ma solo ad un comportamento illecito, costituente o non reato, contrario ai doveri d’ufficio, tenuto da colui che è legato da un rapporto di servizio con l’amministrazione e, pertanto, la conformazione della lesione del diritto e la sua gravità è segnata dall’esistenza di detto rapporto.

Ciò significa, e in questo si è suffragati dal costante orientamento del Giudice Contabile, che nel danno da lesione dell’immagine, il principio d’immedesimazione organica, di rilievo sociologico ancor prima che giuridico, che porta sempre ad identificare l’Amministrazione con il soggetto che per essa ha agito (cfr. Corte dei Conti, Sezione Giur. Umbria, sent. n.501/1998, Sez. 1° App., sent. n. 16/2002), consente di ricondurre all’Amministrazione stessa, tanto gli sviluppi concreti di reale attuazione dei valori di legalità, buon andamento e imparzialità caratterizzanti l’agire pubblico per statuizione costituzionale (art.97), <…quanto i corrispondenti, opposti disvalori, legati alle forme più gravi d’illecito amministrativo contabile, con evidente discredito delle Istituzioni pubbliche> (cfr. Corte dei Conti, Sezione 3°, sent. n.143/2009).

Quindi, anche nelle ipotesi di condotte disdicevoli l’attività funzionale del pubblico dipendente invera l’azione della P.A.

In detti casi vi è la dimostrazione che l’attività della P.A. non si è svolta secondo i principi fissati dall’art.97 Cost., poiché nell’esercizio dei pubblici poteri, il soggetto preposto all’ufficio o incardinato nello stesso (nel caso di specie dipendente da un Ufficio territoriale di Polizia) ha perseguito in concreto fini contrastanti o comunque diversi da quelli pubblici, di cui è centro d’imputazione quell’Amministrazione (Pubblica Sicurezza) nella quale l’ufficio o organo è inserito, e per il raggiungimento dei quali il potere è conferito.

E questo fatto incide, potenzialmente, anche al di là del singolo episodio, sui rapporti tra pubblica amministrazione, lesa dall’attività criminosa, e cittadini, non solo in generale rispetto allo svolgersi del processo democratico ma in modo specifico nei confronti di quei cittadini (o di quei soggetti o categorie di soggetti) che fruiscono di pubblici servizi(nell’ipotesi dei servizi a tutela della sicurezza), sono, quindi, i destinatari degli stessi o sono incisi dall’esercizio di un potere autoritativo.

Ora, alla luce del fatto che sia lo Stato sia gli altri enti pubblici rappresentativi della comunità si caratterizzano in modo specifico rispetto a tutte le altre persone giuridiche per essere posti a tutela degli interessi fondamentali della comunità e per il perseguimento delle finalità che trovano la loro fonte nella medesima Carta Costituzionale, la lesione dell’immagine sussiste, nella ricorrenza dell’ulteriore requisito del superamento della <soglia minima del pregiudizio> su cui si dirà, tutte le volte in cui il pubblico amministratore o dipendente abbia tenuto un comportamento illecito, anche penalmente non rilevante, che si ponga in contrasto con i predetti valori costituzionali tra i quali la legalità, trasparenza, buon andamento ed imparzialità della P.A.

E a fronte di tale condotta, negli amministrati (in cui rientrano anche i colleghi di lavoro dell’autore dell’illecito), o se si vuole nello Stato Comunità, s’incrinano quei naturali sentimenti di affidamento e di appartenenza alle Istituzioni.

Il <…recupero di tali sentimenti e, con essi, il recupero dell’immagine pubblica è essenziale per l’esistenza stessa della P.A. e impongono di intervenire per ridurre – prima – ed eliminare – dopo – i danni conseguenti alla lesione della sua dignità e del suo prestigio con ovvie implicazioni anche di costi per l’Erario> (cfr. Corte dei Conti, Sezione III, sent. n.143/09 cit.).

Le conseguenze della condotta contra ius integrano, in questo caso, un danno emendativo, la cui riparazione è indispensabile al ripristino della lesa estimazione e la cui definizione, attesa la specifica finalità di porre il patrimonio valoriale della P.A. nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato senza l’effetto lesivo, non può prescindere dalla prova della sua esistenza, da perseguire anche con parametri di valutazione presuntivi.

E, questo, nel momento in cui la figura del danno esistenziale (attinente alla sfera del fare non reddituale del soggetto), in cui la Giurisprudenza contabile fa confluire il danno all’immagine, da intendere come danno evento, in cui il pregiudizio si identifica con l’evento dannoso (quale componente materiale del fatto illecito), quindi in re ipsa (cfr. Sezioni Riunite, sent. n.10/QM, del 23 aprile 2003), appare recessiva, atteso il sistema bipolare, costituzionalmente orientato, ribadito di recente (con quattro sentenze gemelle nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008) dal Giudice della Giurisdizione, basato sul danno patrimoniale e non patrimoniale (artt. 2043 e 2059 c.c.), che non pare dare più spazio ad un tertium genus o a diverse categorie di danno variamente denominate.

Per i Supremi Giudici il danno non patrimoniale <…è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare non può farsi riferimento ad una generica categoria denominata danno esistenziale, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nella atipicità, sia pure attraverso l’individuazione dell’’apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art.2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione>.

Il predetto orientamento, specifico per il danno alla persona fisica, non può non essere esteso, pur con gli opportuni adattamenti imposti dalla diversità ontologica, anche alla lesione dell’immagine di un soggetto collettivo pubblico, soprattutto con riguardo all’ulteriore requisito, evidenziato dai Supremi Giudici, costituito dalla gravità dell’offesa (quindi della condotta che ha originato la lesione dell’immagine) per l’ammissione a risarcimento del danno non patrimoniale.

E, invero, <…la gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art.2 Cost.).

Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico> (cfr. Cass. SS.UU. sent. n.26972, del 24 giugno – 11 novembre 2008, nonché n.16255/2002).

Volendo tenere nella giusta considerazione tale ricostruzione giurisprudenziale, può rinvenirsi nella lesione dell’immagine, un danno non patrimoniale extracontrattuale (da fatto illecito), la cui previsione normativa va, per l’appunto, individuata nell’art. 2059 c.c. anziché nell’art. 2043, interpretazione che consente la risarcibilità del danno non patrimoniale oltre i limiti derivanti dalla riserva di legge posta dall’art. 2059 c.c. e non presuppone, quindi e necessariamente, la qualificazione del fatto illecito come reato ex art.185 c.p. (cfr. Cass. Sezione III, sentenza n. 12929, del 04 giugno 2007).

In sostanza, la risarcibilità del danno non patrimoniale – secondo la lettura costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c. – è consentita quando viene in rilievo la lesione di un diritto inviolabile inerente la persona fisica non avente natura economica, ai sensi dell’art.2 della Costituzione, in tal modo configurandosi un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.

E l’omologo riconoscimento non può non aversi in favore della persona giuridica, giacché i diritti inviolabili, inerenti alla persona, riconosciuti dalla Carta fondamentale, non aventi natura economica, esigono uguale tutela sia nei confronti del singolo che nei confronti del soggetto collettivo, pena la manifesta contraddizione nel sistema delle garanzie.

In questo modo l’art. 2059, diventa il mezzo privilegiato per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona da attivare, in mancanza di reato, quando vi è lesione di uno dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, tra cui rientra l’immagine della persona giuridica, privata o pubblica (così e con chiara esposizione, Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Lombardia, sent. n.240, del 14 febbraio – 09 aprile 2008).

Da tanto consegue, quindi, che il danno non patrimoniale s’identifica nella lesione d’interessi inerenti la persona giuridica pubblica, com’è la lesione dell’immagine (bene socialmente apprezzabile), il cui risarcimento, al pari del danno patrimoniale, postula la verifica della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, che si ricavano dall’art.2043, quali la condotta, il nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest’ultimo dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela: di tutta evidenza che essendo esso, nel caso di specie, un’appendice del danno emergente non si pongono particolari problemi sugli elementi che lo compongono.

In questo modo l’art.2059 c.c. non configura una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, fungendo così da norma di rinvio alle leggi che determinano i casi di risarcibilità di tale tipo di pregiudizio (es. art. 185 c.p., per l’ipotesi di reato che abbia cagionato un danno patrimoniale e non, art. 2, della legge n.117/1998, per i danni derivanti dalla privazione della libertà professionale, art.9, legge n.675/1996, per l’impiego di modalità illecite nella raccolta dei dati personali, ecc.), e, attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata data di esso, nei casi in cui un evento di danno abbia causato la lesione di specifici diritti inviolabili della persona.

Per le persone giuridiche pubbliche occorre richiamare sia la specifica ipotesi di danno all’immagine, prevista nella delega al Governo di cui alla legge 04 marzo 2009, n.15 (c.d. legge Brunetta), che all’art. 7, comma 2, lettera e) ha previsto, con l’intento di contrastare i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo dei dipendenti pubblici, oltre l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, il danno all’immagine (quindi non patrimoniale) subìto dall’Amministrazione, che gli artt. 2 e 97 della Cost., relativi, il primo, alla tutela delle più rilevanti formazioni sociali (come lo Stato Apparato e gli altri Enti, specialmente esponenziali di collettività insistenti sul territorio) nelle quali si svolge la personalità dell’uomo e, il secondo, ai principi di imparzialità e di buon andamento, la cui violazione integra una ingiustizia costituzionalmente qualificata.

Rileva, al riguardo la Corte Regolatrice che <…nella logica accolta dalle sentenze nn.8827 e 8828 del 2003 in punto di configurabilità di un danno non patrimoniale diverso dal danno morale soggettivo (e,naturalmente, da quello biologico) nei casi in cui vi sia una lesione di diritti della persona aventi fondamento nella Costituzione, si debba riconoscere tale risarcibilità anche allorquando si verifichi la lesione di un diritto della persona giuridica o del soggetto giuridico collettivo, che rappresenti l’equivalente di un diritto avente detta natura riferibile alla persona fisica e non supponente proprio per questo la fisicità del soggetto titolare>.(cfr. Corte di Cass., Sez. III, sent. n.12929, del 04 giugno 2007, cit.).

In quest’ottica deve affermarsi, pertanto, la risarcibilità della lesione dello stesso diritto all’esistenza nell’ordinamento come soggetto, del diritto all’identità, del diritto al nome, del diritto all’immagine della persona giuridica e in genere dell’Ente collettivo.

La Cassazione soggiunge, ancora: <…va rifiutata la logica della identificazione del danno nella stessa lesione della situazione dell’ente collettivo riconducibile nel senso indicato ad una situazione che evidenzi un interesse costituzionalmente tutelato. Deve, cioè, respingersi l’individuazione del danno nel c.d. danno – evento rappresentato dal fatto in se della stessa lesione. Va condivisa, invece, l’idea che anche in questo caso il danno si debba identificare sempre in un danno conseguenza, cioè in un accadimento ricollegantesi alla lesione della situazione protetta sulla base di un nesso di causalità>.

E tali premesse impediscono al Collegio di valutare favorevolmente le conclusioni alle quali è giunto il P.M. riguardo al danno da lesione dell’immagine, dal medesimo considerato in re ipsa, atteso che esso non può rappresentare una conseguenza automatica dell’illecito, mentre l’attore deve allegare gli elementi costitutivi e le circostanze di fatto a prova del medesimo, avvalendosi anche di presunzioni (così Cass. sent. n. 16004, del 24 ottobre 2003, n. 1655, del 04 novembre 2003, e Corte dei Conti, Sezione Toscana, sent. n.147, del 30 marzo 2005, Sez. Friuli, sent. n. 285, del 26 aprile 2005).

In sintesi la realizzazione di un comportamento penalmente rilevante, causa o non anche di danno emergente, non si traduce automaticamente, anche se astrattamente ipotizzabile in tali termini (specialmente alla presenza di gravi ipotesi delittuose), in un danno da perdita d’immagine, poiché lo stesso rappresenta una sua eventuale conseguenza da provare nell’an e che pur sussistendo ed oggettivamente serio potrebbe risultare secondo la coscienza sociale, di un dato momento storico (il cui apprezzamento è rimesso, volta per volta, al Giudice: <…ai fini risarcitori o riparatori la potenzialità dannosa va saggiata nei singoli casi…>, così Corte dei Conti, Sez. 1°, sent. n. 340/A, del 30 ottobre 2003), insignificante o irrilevante per il livello raggiunto: in questo caso l’ingiustizia del danno, ossia la lesione non giustificata dall’ordinamento, consente di graduare il pregiudizio tenendo esente da responsabilità quella parte di esso che va al di sotto di una certa soglia minima.

Questo, ad avviso della Cassazione, serve anche ad evitare la proliferazione <…delle c.d. liti bagatellari…> con le quali vengono individuate <…le cause risarcitorie in cui il danno consequenziale è futile o irrisorio…> ovvero <…insignificante o irrilevante per il livello raggiunto. In entrambi i casi deve sussistere la lesione dell’interesse in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice (al di fuori dei casi previsti dalla legge) l’invocabilità dell’art.2059 c.c. La differenza tra i due casi è data dal fatto che nel primo, nell’ambito dell’area del danno conseguenza del quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio esistenziale futile, non serio (es. non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici) mentre nel secondo è l’offesa arrecata che è priva di gravità, per non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima (es. di un graffio superficiale dell’epidermide, del disagio di poche ore cagionato dall’impossibilità di uscire di casa per l’esecuzione di lavori stradali di pari durata> (cfr. Cass. SS.UU. sent. n.26972/2008 cit.).

Detto diversamente, per aversi danno all’immagine pubblica risarcibile, il comportamento tenuto, costituente o non reato, deve integrare un’aggressione tale da superare la c.d. <soglia minima> della lesione del bene tutelato: contrariamente potrebbe assistersi a un ritorno a casi di responsabilità formale dando rilievo alla semplice infrazione di precetti penali o addirittura prescindendo dall’astratta configurazione del fatto come reato, rischiando, così, di risarcire la mera violazione dei soli doveri di servizio (ossia la mera infrazione dei principi del buon andamento e imparzialità), non assistita da alcuna deminutio patrimonii, trasformando di fatto il danno da lesione dell’immagine in una pena accessoria a quella principale (cfr. Cass. SS.UU. sent. 26972 dell’11 novembre 2008; Corte dei Conti, Sezione Veneto, sent. n.322, del 17 aprile 2009), tesa ad esaltare un profilo meramente sanzionatorio che non trova giustificazione normativa specifica.

Ebbene, nell’ipotesi di causa, reputa, il Collegio, che l’Organo requirente abbia sufficientemente allegato e provato il danno da lesione, essendo comunque ammesso, a tal fine, anche il ricorso alle nozioni di comune esperienza e alla prova per presunzioni: per le fattispecie di lesione di un bene immateriale, come la reputazione e l’estimazione goduta da un’Amministrazione pubblica: <…il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (così Cass. SS.UU. sent. n. 26972/2008, cit.).

Nella specie appare corretta l’affermazione del P.M. secondo cui la Polizia di Stato ha subìto un grave pregiudizio all’immagine, a maggior ragione laddove si consideri che l’attività posta in essere dal convenuto integra gli estremi del furto pluriaggravato, del peculato e della detenzione illegale di armi e di munizionamento da guerra, condotte sintomatiche del grave patologico scostamento rispetto al modello comportamentale pubblico.

Il danno conseguenza deve in tale evenienza presumersi esistente <…sulla base di una massima di esperienza per cui la lesione dell’immagine della persona giuridica o dell’ente si riverbera sul loro agire, perché percepita dalle persone fisiche che agiscono come loro organi…> (cfr. Cass. Sent. n.12929/2007).

Il danno da perdita d’immagine, pertanto, rileva come negativo riflesso dei comportamenti antidoverosi e intenzionali (dolosi) posti in essere dal dipendente di Polizia incardinato nella struttura della P.A., che deteriora e offusca l’estimazione della medesima, la quale, per definizione, deve possedere, diffondere e difendere valori di onestà, correttezza, trasparenza e legalità.

Non va, infatti, dimenticato che il motto della predetta Forza di Polizia, <Sub lege libertas>, sta a significare che solo l’operare nella legge, e non al di fuori ed in violazione di essa, permette di assicurare il pieno rispetto dei diritti di libertà. E tale obbligo, prima ancora che ai cittadini in genere, e rivolto ai tutori dell’ordine, come l’odierno convenuto, che con il loro concreto operare devono fungere da modelli valoriali per la collettività tutta.

Sottrarre, all’interno di un ufficio di Polizia (quindi nel posto ritenuto sicuro per principio), il telefono cellulare di un collega, armi comuni da sparo, poco importa se destinate alla rottamazione ma non certo per il loro non funzionamento quanto perché taluni cittadini non intendevano più detenerle, e munizionamento da guerra, in parte poi ceduto a terzi (altri agenti), non solo mina alla radice il senso di fiducia riposto dalla collettività nell’Istituzione <Polizia di Stato>, traducendosi, in termini di immediatezza, nell’allentamento del rapporto di c.d. <affectio societatis>, e, in via mediata, nella incapacità di realizzare le finalità istituzionali, minate alla base nel loro buon funzionamento (cfr. Corte dei Conti, Sezione 2° d’Appello, sent. n.285, del 9 ottobre 2003), ma è causa, altresì, di scoramento nei dipendenti onesti che così vedono offuscato il loro corretto operato teso a garantire la sicurezza dei cittadini e a dare lustro all’Amministrazione.

In sostanza le azioni perpetrate integrano quella c.d. <soglia minima> di lesione del bene tutelato, giacché idonee a produrre, per la gravissima devianza dal modello di corretto comportamento istituzionale, una concreta perdita di fiducia della collettività nel perseguimento del buon andamento dello specifico settore della pubblica sicurezza (cfr. Corte dei Conti, Sez. d’App. 1°, sent. n.78/2003).

E proprio a causa del verificarsi di tali eventi, atteso che l’immagine di un soggetto pubblico si alimenta con continuità della stima e della considerazione che ne ha la <gente>, la legge 7 giugno 2000, n.150 (recante Disciplina delle attività d’informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni) e la direttiva 7 febbraio 2002 della Funzione Pubblica, hanno previsto, nel ridefinire, tra l’altro, i compiti degli Uffici per le relazioni con il pubblico, che ogni amministrazione adotti le misure ed individui i mezzi più adeguati, tra quelli indicati, <…a promuovere l’immagine…> (così art.1, comma 4, lettera f), della citata legge n.150/2000), al fine di attuare la massima trasparenza comunicazionale fra amministrazioni e utenti non disgiunta dall’intento di recuperare credito e fiducia di fronte a episodi di malcostume: queste attività, proiettate nel tempo, comportano dei costi addossati, in ultima istanza, alla collettività, integranti l’aspetto economico del danno da lesione dell’immagine, in mancanza di specifiche spese a ciò rivolte.

Ora, l’attività attraverso la quale tale danno s’invera è rappresentata dal <clamor fori> e dallo <strepitus> che la propalazione della notizia del comportamento illecito, da parte della stampa, produce.

Nel caso per cui è causa la notizia relativa all’arresto dell’Assistente @@@@@@@ @@@@@@@ veniva ripresa e diffusa da quotidiani a rilevanza locale (Regionale) quali <La Nuova @@@@@@@> e <Il Gazzettino> .

Nella <Nuova>, del 18 dicembre 2006, si leggeva (a pag. 11): <Il poliziotto era arrivato qualche mese fa a @@@@@@@ da @@@@@@@. Tra i suoi compiti c’era anche quello di vigilare sulle armi consegnate dai cittadini…durante uno di questi controlli il 36enne poliziotto, appassionato di armi, si sarebbe appropriato di quattro vecchie pistole e di alcune cartucce… nella sua casa in provincia di @@@@@@@…qui venivano trovate le armi e le munizioni. Portato in questura a @@@@@@@…è stato successivamente arrestato proprio dai suoi colleghi…e sospeso in via cautelare dal servizio. Le indagini proseguiranno anche in relazione ad altri piccoli furti compiuti in commissariato ai danni di altri agenti che prestano servizio lì. Il sospettato numero uno, a questo punto, è diventato proprio lui…Quello che ha fatto non ha comunque alcun tipo di giustificazione, soprattutto perché ha tradito la fiducia dei colleghi. C’è grande amarezza. Ma allo stesso tempo questo episodio dimostra la capacità della Polizia di fare pulizia al proprio interno…>.

E ancora: <…Furto d’Armi al Commissariato…In Questura ieri mattina erano in molti a ritenere molto grave il reato commesso, in particolare se chi lo compie è un poliziotto che, per servizio, è nella disponibilità delle chiavi per poter eseguire la procedura prevista per accedere alle armi>.

In seguito alla sentenza di condanna la <Nuova @@@@@@@>, del 06 giugno 2007, scriveva: <Un anno e mezzo di carcere a un poliziotto. Ha preferito patteggiare la pena, evitando il processo in aula e soprattutto una condanna più pesante, l’Assistente Capo del Commissariato di Polizia di @@@@@@@ accusato di peculato, furto e porto abusivo d’armi…spesso ferri vecchi inservibili, ma c’erano anche armi ancora utilizzabili e più recentiC’era chi affermava che l’assistente arrestato fosse un semplice collezionista di armi, altri invece sospettavano che dietro a quei furti ci fosse un vero e proprio traffico. Ma @@@@@@@ non ha mai parlato ed ora la vicenda è conclusa>.

Sul Gazzettino era riportato, invece: <Furto d’armi in Commissariato, patteggia un poliziotto. Ha patteggiato un anno e sei mesi con la sospensione della pena il poliziotto accusato, tra l’altro, di avere rubato quattro vecchie pistole che erano state consegnate al Commissariato di @@@@@@@ per essere rottamate…>.

La gravità della vicenda così come divulgata era, quindi di tutta evidenza, motivo di offuscamento dell’immagine esterna dell’Amministrazione della Polizia di Stato e della sua credibilità.

In merito, poi, alla quantificazione del succitato pregiudizio, comprovato nella sua essenza ontologica (an), soccorre, stante la evidente difficoltà di provarlo nel suo ammontare(cfr. Corte dei Conti, Sezione Basilicata, sent. 11 febbraio 1999, n.27), il criterio equitativo previsto dall’art. 1226 del codice civile, norma alla quale la giurisprudenza fa risalire l’individuazione dei seguenti criteri di valutazione: a) la diffusività dell’episodio nella collettività (criterio sociale), b) la gravità obiettiva del fatto, da desumere dalle modalità di perpetrazione di esso, dalla sua reiterazione, dalla particolare offensività, dall’elemento soggettivo (criterio oggettivo); c) la qualifica rivestita dal o dai soggetti agenti unitamente al ruolo dagli stessi ricoperto nell’organizzazione amministrativa di riferimento (criterio soggettivo) (cfr. Corte dei Conti, Sezione 1^ d’Appello, sent. n.340/A, del 3 ottobre 2003).

In primo luogo va detto che il <clamor fori> non è eliso o attenuato dal fatto che la diffusione della vicenda sia avvenuta a livello locale, attraverso quotidiani a tiratura limitata, da ritenere, nell’ipotesi di causa, gli strumenti che meglio si prestano allo scopo divulgativo.

In fattispecie, infatti, il sentimento di sfiducia e l’affievolimento nella percezione del <valore sicurezza> riguardano non il cittadino in genere, raggiunto magari dagli organi d’informazione a livello nazionale, ma la comunità stanziale allocata territorialmente, che ha un continuo e frequente contatto con gli organi di Polizia del luogo, dai quali si attende di essere protetta e rassicurata, con cui si trova immediatamente a interagire e che è legata anche a strumenti d’informazione vincolati al posto.

In questo caso i quotidiani a diffusione locale, quali veicoli di divulgazione della cronaca più diversa, hanno molte più probabilità di raggiungere anche quei soggetti non interessati alla stampa nazionale, creando, in essi, perplessità, meraviglia e sfiducia, in questo caso, nell’operato delle Forze dell’Ordine agenti nelle sedi periferiche, inducendo un profondo e frustante senso di abbandono da parte dello Stato, sovente compensato da fughe verso modelli di sicurezza asseritamente integrativi quali le <associazioni di volontari per la sicurezza> (c.d. ronde).

Ciò chiarito, volendo ora fare applicazione dei criteri sopra richiamati, ai fini della determinazione del <quantum debeatur>, viene in rilievo, con immediata percezione, la continuità della condotta antigiuridica posta in essere dal @@@@@@@ in spregio dei doveri di servizio e del ruolo rivestito all’interno del Commissariato di P.di S. @@@@@@@ (aveva la responsabilità nel turno di servizio dei beni custoditi all’interno degli armadi collocati al Corpo di Guardia), l’offensività e la particolare gravità delle azioni scientemente poste in essere al fine di apprendere un telefono cellulare, quattro armi comuni da sparo(di cui si riservava la cessione a terzi asseritamente collezionisti), il peculato di munizionamento da guerra, con esclusivo profitto personale.

In questo senso, appare grave anche il comportamento post – crimine tenuto dallo stesso, giacché nel consegnare all’atto della perquisizione domiciliare una sola arma, dissimulando le altre tre, rinvenute nel corso di un secondo provvedimento di rintraccio, dava prova di notevole capacità delinquenziale, assolutamente non compatibile con la <bravata> (ragazzata) di cui lo stesso parla in memoria di costituzione.

Non da ultimo viene in rilievo il ruolo rivestito quale assistente della Polizia di Stato che in quanto tale avrebbe dovuto garantire la legalità, la correttezza dei comportamenti nonché la più energica reazione legale a fronte di condotte non consone alle regole della convivenza civile, senza che su ciò possa incidere l’aspetto organizzativo più o meno ampio dell’Amministrazione di appartenenza. In tale circostanza la qualifica e le funzioni rivestite vengono ad assumere rilievo non per la loro essenzialità nel processo decisionale, bensì per il concentrato di funzioni a rilievo pubblico che ad esse ineriscono e che contribuiscono a dare una forte visibilità all’esterno dei comportamenti illeciti tenuti.

Non può, infine, sottacersi l’elemento c.d. emulativo della condotta criminosa tenuta, che può pericolosamente indurre, nei controllati, atteggiamenti di sostanziale evasione ed elusione delle norme giuridiche (se lo ha fatto lui!!!).

Tuttavia, con riguardo all’elemento sociale (diffusione degli episodi nella collettività), il Collegio non può sottrarsi ad una ulteriore breve considerazione.

Va detto, infatti, che in alcuni casi ad un evento disdicevole, causa di perdita di estimazione di una Pubblica Amministrazione, può accompagnarsi anche uno o più accadimenti di segno opposto provenienti dall’autore dell’illecito, dall’Amministrazione danneggiata o da terzi, capaci di attenuare e, in alcuni casi, addirittura di elidere il danno (cfr. Corte dei Conti, Sezione 1°, sent. n.205, del 19 ottobre 2006, id. Sezione Veneto, sent. n.927, del 07 novembre 2006).

Con riguardo alla prima ipotesi può richiamarsi, ad esempio, l’opzione per il rito speciale del patteggiamento, operata dall’indagato per avere un impatto esterno sull’opinione pubblica di certo inferiore, atteso che il processo si celebra in udienza preliminare e quindi a porte chiuse, rispetto ad una decisione adottata in dibattimento, a condizione, però, che il suo effetto non venga annullato dal chiaro interesse a fruire della riduzione di pena di un terzo; le spontanee dimissioni dal servizio, quale forma di autosanzione in riconoscimento del proprio comportamento antigiuridico, purché ripresa dalla stampa.

Con riferimento alle iniziative dell’Amministrazione può ricordarsi la sua immediata attivazione al fine di contrastare gli effetti negativi della lesione, come ad es. la particolare efficacia delle indagini svolte, magari dalla stessa forza di Polizia di appartenenza dell’interessato, e concluse celermente con l’arresto del dipendente, dando così ragione della <pulizia interna effettuata>, purché adeguatamente divulgata, nonché, ancora, la notizia della eventuale destituzione, in esito a procedimento disciplinare, ampiamente pubblicizzata.

Dai terzi, invece, può provenire qualunque segnalazione, raccolta e divulgata dalla stampa, tesa ad evidenziare eventuali precedenti ineccepibili del dipendente pubblico.

Nel caso di specie la stampa (cfr. La Nuova @@@@@@@ del 18 dicembre 2006) ha dato chiaro risalto alla capacità e all’efficienza della Polizia di Stato di <…fare pulizia al proprio interno…e il fatto che le indagini siano state fatte da suoi colleghi e che la notizia sia stata data proprio dalla polizia è per il cittadino una garanzia. Una prova di trasparenza e democrazia che deve dare fiducia a tutta la collettività>.

Anche la notizia dell’immediata sospensione dal servizio del @@@@@@@, unica riportata dalla stampa, atteso che della destituzione, avvenuta con provvedimento del 20 settembre 2007, non vi è traccia, ha la funzione di calmierare gli effetti denigratori dell’immagine pubblica.

Tutto ciò, a parere del Collegio, attenua il criterio sociale del <clamor fori> e induce a quantificare il danno da lesione dell’immagine nella misura di € 2.000,00 rispetto agli € 4.000,00 richiesti dal P.M.

Conclusivamente, l’odierno convenuto è ritenuto responsabile del danno emergente, costituito dal valore commerciale delle cartucce da guerra, illegalmente apprese e non più utilizzabili, pari ad € 102,50, e del pregiudizio all’immagine dell’Amministrazione della Polizia di Stato quantificato, equitativamente, in € 2.000,00, somme comprensive della rivalutazione monetaria.

Dal deposito della presente sentenza e sino all’effettivo soddisfo competono, sulle somme in questione, gli interessi nella misura di legge.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale regionale per il Veneto, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando, condanna @@@@@@@ @@@@@@@ a risarcire, in favore del Pubblico Erario – settore Entrate Ministero dell’Interno, la somma complessiva di € 2.102,50, di cui € 2.000,00 per danno all’immagine, ivi compresa la rivalutazione monetaria.

Dal deposito della sentenza all’effettivo soddisfo competono, sulle somme in questione, gli interessi nella misura di legge.

Le spese processuali, che si liquidano in € 283,63 (diconsi euro duecentoottantatre/,63 centesimi), seguono la soccombenza.

Così deciso in @@@@@@@, nelle Camere di Consiglio del 01 e 21 aprile 2009.

IL REFERENDARIO ESTENSORE                      IL PRESIDENTE

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO Sentenza 436 2009 Responsabilità 04-06-2009