La questione sul lavoro dei pubblici dipendenti era stata sollevata dal Tribunale di Genova
Legittime le norme su accordi che interpretano un contratto PAGINA PRECEDENTE
(Corte Costituzionale 199/2003)
   
   
Le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni sull’accertamento pregiudiziale relativo all’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi di cui ai commi 1, 2 e 3, dell’art. 64 del DLgs n. 165/2001 (Norme generali del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevate dal Tribunale di Genova in riferimento agli articoli 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111, della Costituzione, con la Sentenza della Corte Costituzionale 23 maggio-5 giugno 2003, n. 199, sono state dichiarate in parte inammissibili e in parte infondate. Il Tribunale di Genova aveva nutrito dubbi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni di cui all’art. 64, commi 1, 2 e 3, del DLgs n. 165/2001, in occasione di una controversia promossa da una dipendente del Comune di Genova con ricorso volto ad ottenere il riconoscimento del suo diritto alla progressione economica, previo accertamento della nullità, per contrasto con il contratto collettivo di comparto, della clausola del contratto decentrato che esclude dalla relativa valutazione i dipendenti con anzianità di servizio inferiore a due anni. I dubbi del Tribunale di Genova riguardavano essenzialmente il meccanismo delineato nelle disposizioni censurate in base alle quali, nel caso in cui nel corso di un giudizio sorga una questione di interpretazione di una clausola del contratto collettivo, il giudice deve sospendere il giudizio, darne comunicazione all’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) perché provveda a convocare le organizzazioni sindacali che hanno stipulato il contratto per una eventuale interpretazione autentica o modifica della clausola in contestazione, e applicare al processo in corso il contenuto dell’accordo con cui le parti sociali sono pervenute all’interpretazione autentica o alla modifica della clausola. La Corte Costituzionale, disattendendo tutte la considerazioni svolte dal giudice rimettente, ha innanzitutto dichiarato inammissibili e irrilevanti le censure sollevate in relazione agli articoli 101, 102 e 111 della Costituzione, perché aventi carattere meramente ipotetico. Tali censure, infatti, si riferivano alla eventualità, non verificatasi nel giudizio promosso dalla ricorrente, che per l’interpretazione o la modifica della clausola in contestazione fosse intervenuto un accordo tra l’ARAN e le Organizzazioni sindacali che avevano sottoscritto il contratto collettivo, accordo che secondo il Tribunale di Genova si sarebbe configurato come una “interferenza di un potere normativo in un processo in corso”, in contrasto con i principi di cui agli articoli 101, 102 e 111 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha poi ritenuto infondate le altre questioni, tra cui le seguenti. In particolare, la censura dell’art. 64, comma 2, del DLgs n. 165/2001, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione per asserita ingiustificata disparità della disciplina processuale applicabile al pubblico dipendente rispetto a quella applicabile al lavoratore privato, è stata dichiarata infondata perché, ad avviso della Corte, se di tendenziale “omogeneizzazione” tra le normative delle due categorie di lavoratori può parlarsi solo con riguardo alla disciplina sostanziale, come più volte affermato dalla stessa Corte, non può comunque parlarsi di una totale identità di situazioni che, ove sussistesse, renderebbe irrazionale ogni diversità di disciplina processuale. La questione secondo cui l’art. 64, comma 1, del DLgs n. 165/2001, contrasterebbe con l’art. 24 della Costituzione per il fatto che arrestando il processo per 120 giorni, al fine di consentire all’ARAN di avviare trattative per l’interpretazione autentica o la modifica della clausola contestata, renderebbe lo stesso processo incompatibile con la tutela cautelare, è stata dichiarata infondata perché secondo la Corte Costituzionale tale momentaneo arresto del processo non inibisce al giudice di valutare la fondatezza della richiesta della tutela cautelare e, inoltre, perché la natura sommaria di tale valutazione è del tutto compatibile con la rimessione della questione interpretativa all’ARAN. Quanto al dubbio di costituzionalità sollevato, con riferimento all’art. 76 della Costituzione, per eccesso di quanto disposto dalla normativa delegata di cui all’art. 64, comma 3, del DLgs n. 165/2001, rispetto alla delega di cui all’art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59/1997, anche tale dubbio è destituito di fondamento. Infatti, alla luce del criterio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante si effettua tenendo conto, tra l’altro, delle finalità che, attraverso i principi e i criteri enunciati, la legge delega si prefigge di realizzare e di perseguire, le “innovazioni processuali” contenute nella normativa censurata di cui all’art. 64, comma 3, del DLgs n. 165/2001, hanno realizzato le “misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso” affidate al legislatore delegato dalla legge delega. Sulla base principalmente di queste osservazioni, la Corte Costituzionale con la Sentenza sopra indicata ha sostanzialmente respinto le censure di incostituzionalità mosse dal Tribunale di Genova alla norme di cui ai primi tre commi dell’art. 64 del DLgs n. 165/2001. (11 luglio 2003)  


SENTENZA della Corte costituzionale N.199/2003

 

 
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

.................omissis................

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promosso con ordinanza del 17 luglio 2002 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Bracuto Maria Rita e il Comune di Genova, iscritta al n. 446 del registro ordinanze del 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 17 luglio 2002 il Tribunale di Genova, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), in riferimento, quanto ai primi due commi, agli articoli 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 e, quanto al terzo, agli articoli 3, 76 e 111 della Costituzione [2].

Espone il rimettente che il giudizio de quo è stato introdotto da Maria Rita Bracuto nei confronti del Comune di Genova con ricorso volto ad ottenere il riconoscimento del suo diritto alla progressione economica, previo accertamento della nullità, per contrasto con il contratto collettivo di comparto, della clausola di quello decentrato che esclude dalla relativa valutazione i dipendenti con anzianità di servizio inferiore a due anni.

Il rimettente, premesse diffuse argomentazioni sulla delicatezza del nodo interpretativo dal quale dipende l'accoglimento o la reiezione della domanda attrice, rileva che tale questione, concernendo la portata di un contratto sottoscritto dall'agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), fa scattare il complesso meccanismo delineato nei commi 1, 2 e 3 dell'art. 64 del DLgs n. 165 del 2001: in base a tali norme il giudice, enucleata la questione, deve darne comunicazione all'ARAN e rinviare la trattazione della causa a non prima di centoventi giorni. Spetta poi all'ARAN convocare le organizzazioni sindacali stipulanti per una eventuale interpretazione autentica della clausola o delle clausole in contestazione o, se del caso, per una loro modifica. Peraltro, l'interpretazione autentica o la modifica, una volta intervenute, sono tout court applicabili anche al processo in corso, in quanto il secondo comma dell'art. 64 del DLgs n. 165 del 2001 dispone che "all'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell'articolo 49 [3]", norma che, a sua volta, recita: "l'eventuale accordo... sostituisce la clausola in questione sin dall'inizio della vigenza del contratto".

Rileva anche il giudice a quo che il contratto collettivo si configura, almeno nel settore dell'impiego presso la pubblica amministrazione, quale fonte di diritto oggettivo, posto che, tra l'altro, contiene norme generali ed astratte; è efficace erga omnes; è soggetto a pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e conseguentemente all'operatività del principio iura novit curia, nonché, in caso di contrasto con altri contratti collettivi, al principio gerarchico, ex articolo 40 del DLgs n. 165 del 2001 [4], quale criterio di soluzione dei conflitti tra fonti operanti a livelli diversi; non è derogabile né in peggio, né in meglio e si applica automaticamente al posto delle clausole difformi del contratto individuale; la violazione o falsa applicazione delle norme in esso contenute costituisce, ai sensi dell'art. 63, comma 5, del DLgs n. 165 del 2001 [5], motivo di ricorso per cassazione.

Ciò posto, ritiene il rimettente che i primi due commi dell'art. 64, laddove impongono al giudice il temporaneo arresto del giudizio, violino: gli artt. 101, 102 e 111 Cost., configurando l'interferenza di un potere normativo in un processo in corso, al punto che la decisione, almeno su un profilo della controversia, viene trasferita dalla sede giudiziaria ad altra sede e condizionata a un intervento che sarà espressione di discrezionalità normativa o, se si preferisce, di autonomia negoziale, ma non di uno ius dicere; l'art. 3 Cost., perché, in contrasto con il criterio di fondo ispiratore della disciplina del pubblico impiego - volto alla omogeneizzazione del trattamento sostanziale e processuale del lavoro dipendente nel settore pubblico e in quello privato -, riservano alle controversie promosse dai dipendenti della pubblica amministrazione una regolamentazione diversa da quella dettata per altre categorie di lavoratori; l'art. 24 Cost., atteso che privano di fatto la parte della facoltà di avvalersi della tutela cautelare, per la manifesta incompatibilità del meccanismo delineato nelle norme impugnate, vuoi con le esigenze di celerità, proprie dei mezzi d'urgenza, vuoi con una valutazione positiva del fumus boni iuris; gli artt. 24 e 111 Cost. - da riguardarsi a questi fini in connessione tra loro e con l'art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - per essere il lavoratore del tutto escluso dal tavolo delle trattative sindacali, sul quale in definitiva si gioca l'esito della controversia, in violazione del principio della "parità delle armi" delle parti nel processo; l'art. 39 Cost., atteso che mentre la pubblica amministrazione può far valere le proprie ragioni anche attraverso l'ARAN, che la rappresenta e nei cui confronti essa esercita un potere di indirizzo, tale possibilità è preclusa al singolo lavoratore, il quale del resto ben potrebbe non essere iscritto ad alcun sindacato o essere portatore di un interesse in contrasto con quello collettivo; l'art. 76 Cost., per eccesso di delega, in quanto l'art. 64 - che è norma di legge delegata - senza alcuna specifica autorizzazione da parte del delegante innova la disciplina del processo civile, introducendo un'ipotesi di arresto, sia pure temporaneo, del processo.

Rilevato inoltre che la caducazione di questa parte della norma impugnata imporrebbe al giudice di applicare tout court il terzo comma dell'art. 64, osserva il rimettente che anche tale disposizione è in contrasto con l'art. 76, perché, imponendo al giudice di emettere una sentenza non definitiva su un determinato profilo della controversia, introduce, ancora una volta, una rilevante modifica della preesistente disciplina processuale, senza una delega sufficientemente specifica; con l'art. 3 Cost., sia alla stregua delle considerazioni già svolte in ordine ai primi due commi dell'art. 64, sia per la manifesta irragionevolezza del sistema delineato; con l'art. 111 Cost., atteso che il processo, per essere equo, va definito entro un termine ragionevole, laddove la disposizione censurata impone un enorme spreco di attività giurisdizionale.

2.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, eccepisce l'inammissibilità o comunque la manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità.

Ricordato preliminarmente che il Tribunale di Genova ripropone una questione già sollevata in altra occasione e dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 233 del 2002, per difetto di adeguata motivazione sul problema interpretativo concernente la norma del contratto collettivo che in quel caso veniva in rilievo, sostiene che l'incidente dovrebbe avere lo stesso esito di quello precedente.

Evidenzia, poi, l'insussistenza del lamentato contrasto delle norme censurate con gli artt. 24 e 111 Cost., sia perché il mezzo predisposto dal legislatore comporta solo un breve differimento del processo, sia in quanto esso presuppone un testo contrattuale oscuro al punto che "l'eventuale accordo mai potrebbe essere accusato di produrre effetti ablatori di diritti già acquistati dalle parti del rapporto", sia, infine, (con riferimento alle argomentazioni svolte in punto di incompatibilità della disciplina impugnata con i rimedi di urgenza) perché alcuna domanda cautelare risulta attivata nel giudizio a quo.

Sostiene, inoltre, che proprio la ratio sottesa al riconoscimento alle norme pattizie del regime proprio degli atti normativi - ratio connessa al rilievo della speciale posizione del datore di lavoro nel momento della loro applicazione - spunta la fondatezza della denunzia di disparità di trattamento, rispetto al diverso regime processuale vigente per gli atti di autonomia collettiva del settore privato, perché dà conto della sostanziale disomogeneità delle situazioni poste a raffronto, come ritenuto anche dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 10974 del 2000 [6].

In ordine alla seconda questione di costituzionalità, inerente al terzo comma dell'articolo 64 del DLgs n. 165 del 2001, l'Avvocatura evidenzia l'assoluta ragionevolezza della disciplina impugnata e la sua congruenza rispetto alla divisata finalità di evitare sprechi di attività processuale.

2.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, successivamente, depositato memoria nella quale ha ulteriormente illustrato le ragioni addotte a sostegno delle sopra riferite conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Genova dubita della legittimità costituzionale dell'art. 64, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) in riferimento, quanto ai primi due commi, agli artt. 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 Cost. e, quanto al terzo comma, in riferimento agli artt. 3, 76 e 111 Cost. [2]

2. - Le questioni sollevate sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

2.1. - Premesso che il rimettente espone di aver sollevato la questione di legittimità costituzionale non appena sorto "un delicato problema di interpretazione" relativamente al contratto di comparto, deve essere, in primo luogo, valutata la rilevanza nel giudizio a quo della questione posta, in riferimento agli artt. 101, 102 e 111 Cost., relativamente alla idoneità dell'accordo - raggiunto dall'ARAN e dalle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo circa l'interpretazione autentica o la modifica della clausola controversa - ad incidere sulla controversia già insorta davanti al giudice, imponendosi con efficacia retroattiva al giudice stesso e, quindi, "configurandosi come interferenza di un potere normativo in un processo in corso".

Il rimettente, inoltre, censura - in relazione al combinato disposto degli artt. 24 e 111, commi primo e secondo, Cost. (questi ultimi trasposizione - osserva il rimettente - dei principi sulla "parità delle armi" di cui all'art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) - l'art. 64, commi 1 e 2, del DLgs n. 165 del 2001, in quanto il pubblico dipendente "non dispone più... di una sede in cui far valere il proprio punto di vista, mentre la controparte attraverso l'ARAN, che è un rappresentante della P.A., può far valere le proprie ragioni nella sede delle trattative sindacali, sede che... viene, sia pure in via eventuale, a sostituire quella processuale".

La norma censurata, ancora, confliggerebbe con l'art. 39 Cost., laddove il principio della libertà sindacale (comma primo) comporterebbe "la facoltà per il singolo di prospettare, in ordine ai prodotti della contrattazione collettiva, le proprie esigenze, il proprio punto di vista, e di manifestare il proprio dissenso"; facoltà della quale sarebbe "spogliato persino in sede giurisdizionale". Violati sarebbero altresì i commi secondo, terzo e quarto dell'art. 39 Cost., in quanto l'accordo di cui all'art. 64, comma 2, del DLgs n. 165 del 2001 potrebbe intervenire, con efficacia erga omnes, con le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto da interpretare o modificare, "a prescindere dalla loro attuale rappresentatività", e, quindi, con violazione del principio di maggioranza al quale, viceversa, si ispira (in relazione alla stipula di contratti collettivi efficaci erga omnes)l'articolo 43 del DLgs n. 165 del 2001 [7].

È del tutto evidente il carattere meramente ipotetico, e con ciò stesso l'irrilevanza, delle questioni fin qui esposte, non essendosi certamente verificata nel giudizio a quo - per non essere stata rimessa all'ARAN, ex art. 64, comma 2, del DLgs n. 165 del 2001 [1], la questione interpretativa e per non essere stata, quindi, nemmeno avviata la procedura eventualmente idonea a sfociare in un accordo - la paventata "situazione caratterizzata da una commistione fra il piano normativo e quello giudiziario" ed il conseguente (asserito) trasferimento della "decisione... dalla sede del processo in corso... ad altra sede"; così come non si è in concreto verificata la situazione suscettibile di dar luogo agli ulteriori, pretesi contrasti con i precetti costituzionali.

2.2. - Gli altri profili della questione di legittimità costituzionale, in quanto investono la disciplina del procedimento quale segue al sorgere della questione interpretativa, sono ammissibili - essendo rilevante il modus procedendi, in sé considerato, al quale il giudice è tenuto ad uniformarsi, quando sorga una questione interpretativa -, ma, come si è detto, essi sono infondati per le considerazioni che seguono.

3. - L'art. 64, comma 2, del DLgs n. 165 del 2001 viene censurato, in riferimento all'art. 3 Cost., per l'ingiustificata disparità della disciplina processuale applicabile al pubblico dipendente rispetto al lavoratore privato; disparità che si concreterebbe in un trattamento deteriore per il pubblico dipendente, nonostante la riforma del pubblico impiego tendesse alla "omogeneizzazione della disciplina sostanziale e processuale" di tutto il lavoro dipendente, pubblico e privato.

La censura è priva di fondamento.

Premesso che di tendenziale "omogeneizzazione" può parlarsi solo con riguardo alla disciplina sostanziale (articolo 11, comma 4, lettera a, legge 15 marzo 1997, n. 59 [8]), laddove per quella processuale la citata legge delega si limitava a prevedere la devoluzione delle controversie al giudice ordinario (art. 11, comma 4, lettera g), è evidente che - come questa Corte ha più volte statuito (da ultimo, con sentenza n. 82 del 2003) - non può parlarsi di una totale identità di situazioni che renderebbe irrazionale ogni diversità di disciplina processuale.

Le peculiarità del contratto collettivo nel pubblico impiego, sulle quali ampiamente il rimettente indugia - "efficace erga omnes", "funzionale all'interesse pubblico di cui all'art. 97 Cost.", inderogabile sia in pejus che in melius, oggetto di diretto sindacato da parte della Corte di cassazione per violazione o falsa applicazione (art. 63, comma 5, del DLgs n. 165 del 2001) - rendono evidente l'impossibilità di ritenere a priori irrazionali le peculiarità della disciplina del processo in cui quel contratto collettivo - ben diverso da quelli cosiddetti di diritto privato - deve essere applicato.

Quelle peculiarità sarebbero, pertanto, sindacabili da questa Corte non già in sé e per ciò solo che segnano differenziazioni di disciplina, ma solo se irragionevoli; il che, con la censura in esame, non è in alcun modo dedotto.

4. - L'art. 64, comma 1, del DLgs n. 165 del 2001 viene censurato, in riferimento all'art. 24 Cost., perché "la sua macchinosità", con l'arresto del processo per 120 giorni, lo renderebbe incompatibile con la tutela cautelare.

Anche tale censura è destituita di fondamento.

La tesi secondo la quale al giudice, in quanto vincolato ad investire della questione interpretativa l'ARAN, sarebbe inibito di valutare - se richiesto di una misura cautelare - il fumus boni juris appare non solo intesa ad ignorare il dovere del giudice di interpretare le norme in senso, finché possibile, conforme alla Costituzione, ma anche palesemente errata, atteso che la natura sommaria della valutazione è ben compatibile con una (anteriore, coeva o successiva) rimessione della questione interpretativa all'ARAN ai fini della (successiva) decisione di merito; senza dire che il vigente articolo 412-bis del codice di procedura civile [9] (introdotto dal medesimo provvedimento - DLgs 31 marzo 1998, n. 80 - trasfuso nel DLgs n. 165 del 2001) prospetta un'ipotesi in cui un istituto di generale applicazione in ogni controversia di lavoro (il tentativo obbligatorio di conciliazione) si arresta in presenza di un'istanza cautelare, prevalendo - sulle altre perseguite dal legislatore - le esigenze proprie della tutela cautelare.

5. - Altrettanto infondato è il dubbio di costituzionalità sollevato, in riferimento all'art. 76 Cost., per avere il legislatore delegato - autorizzato ad introdurre "misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso" (art. 11, comma 4, lettera g), legge n. 59 del 1997) - "innovato la disciplina del processo civile, introducendo, come si è visto, un'ipotesi di arresto, sia pure temporaneo, del processo stesso". Analogo dubbio - che merita, pertanto, di essere esaminato congiuntamente - solleva il rimettente con riguardo alla norma (art. 64, comma 3) che impone al giudice, ove non intervenga l'accordo tra l'ARAN e le organizzazioni sindacali, di "emettere una sentenza non definitiva su un determinato profilo della controversia, privandolo di ogni valutazione discrezionale sull'opportunità di rinviare ogni decisione al definitivo", laddove - in assenza di una specifica prescrizione della legge delega - andrebbe "restituita al giudice ogni valutazione discrezionale in merito all'opportunità di emettere allo stato una sentenza non definitiva, o di rinviare ogni decisione a seguito dell'ulteriore trattazione del processo".

Questa Corte ha costantemente affermato che il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante si esplica attraverso il confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, tenendo conto delle finalità che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si prefigge con il complessivo contesto delle norme da essa poste e tenendo altresì conto che le norme delegate vanno interpretate nel significato compatibile con quei principi e criteri (sentenze n. 425 del 2000; n. 15 del 1999), in quanto "la delega legislativa non fa venir meno ogni discrezionalità del legislatore delegato, che risulta più o meno ampia a seconda del grado di specificità dei principi e criteri fissati nella legge delega" (ordinanza n. 490 del 2000); sicché, "per valutare di volta in volta se il legislatore delegato abbia ecceduto tali - più o meno ampi - margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia ad essa rispondente" (sentenza n. 163 del 2000).

Alla luce di questi principi vanno considerate le "innovazioni processuali" attraverso le quali il legislatore delegato ha realizzato le "misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso", affidategli dalla legge delega: disfunzioni temute quale effetto, da un lato, della devoluzione del contenzioso non più ad un ristretto numero di giudici di legittimità (TAR) bensì ad un elevato numero di giudici di merito (Tribunali) e, dall'altro lato, quale conseguente effetto delle possibili, divergenti interpretazioni del contratto collettivo.

Proprio la peculiare natura - quale sopra (n. 3) si è illustrata - del contratto collettivo disciplinato dal DLgs n. 165 del 2001 rende evidente l'esigenza, avvertita dal legislatore delegante anche per i riflessi sui valori protetti dall'art. 97 Cost., di meccanismi idonei ad evitare il rischio di una "polverizzazione" delle decisioni che, nel concreto, avrebbe vanificato la perseguita uniformità dell'applicazione del contratto collettivo; meccanismi di natura preventiva che, attesa la rilevanza fondamentale delle esigenze considerate dalla legge delega, il legislatore delegato ben poteva (ed anzi era tenuto ad) individuare. Invero, questa Corte ha statuito che la disposizione di cui all'art. 76 Cost. "non osta all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante; va escluso, infatti, che le funzioni del legislatore delegato siano limitate ad una mera "scansione linguistica" delle previsioni dettate dal delegante, essendo consentito al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di "riempimento" che lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e di quella delegata" (così, sentenza n. 308 del 2002; conformi: sentenze n. 198 del 1998, n. 117 del 1997, n. 4 del 1992).

Inteso, come deve essere, nel complessivo contesto delle norme poste dalla legge delega, il principio da questa fissato in subiecta materia del tutto adeguamente è stato tradotto, dal legislatore delegato, in una disciplina che, in presenza di una (ovviamente, "seria") questione interpretativa, fa della controversia individuale l'occasione per pervenire ad una definitiva, perché potenzialmente generale, soluzione della questione e, quindi, alla rimozione erga omnes della situazione di incertezza posta in evidenza dalla controversia.

Disciplina che, del tutto razionalmente, affida tale risultato ora alla contrattazione collettiva ora, in difetto dell'efficace funzionamento del primo strumento, ad un meccanismo puramente processuale (sentenza non definitiva) teso a provocare (anche attraverso la pluralità dei legittimati al ricorso) l'intervento della Corte di cassazione con una pronuncia che, senza ledere il principio della soggezione del giudice alla legge, tendenzialmente vincola tutti i giudici, contestualmente o in futuro investiti della medesima questione.

Checché si pensi della opportunità della scelta del legislatore delegato, il meccanismo è certamente in sintonia con lo scopo perseguito dalla legge delega e con il generale contesto normativo che quello scopo ha suggerito; e deve, pertanto, escludersi che il legislatore delegato abbia ecceduto rispetto alla delega.

6. - È del tutto ovvio, per quanto si è appena detto, che un meccanismo inteso ad utilizzare la controversia individuale quale occasione per diradare, in termini generali e potenzialmente definitivi, ogni incertezza sull'interpretazione ed applicazione del contratto collettivo possa in qualche misura "sacrificare" l'interesse del singolo lavoratore dedotto nel giudizio individuale: sacrificio consistente sia nella "pausa" di 120 giorni concessi all'ARAN ed alle organizzazioni sindacali per pervenire ad un accordo sulla clausola controversa, sia nella previsione che, in difetto di accordo, il giudice si astenga, comunque, dal decidere nel merito la controversia, ma provveda a risolvere la sola questione interpretativa con sentenza non definitiva, ricorribile per cassazione.

Premesso e ribadito che siffatto meccanismo (e conseguente "sacrificio" per il singolo) opera soltanto in presenza di una "seria" questione interpretativa (e, può aggiungersi, sempre che la domanda sia concludente e non sussistano eccezioni, di rito e di merito, che ne impongano l'immediato rigetto), appaiono destituite di fondamento le censure di illegittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.

Esclusa in radice l'irragionevolezza del meccanismo (e, quindi, anche del diverso trattamento rispetto al lavoratore privato), è del pari da respingere la tesi secondo la quale vi sarebbe "uno spreco di attività giurisdizionale" e una "non ragionevole, e quindi iniqua, durata del processo": che la singola controversia possa subire un iter più lungo di quello (che sarebbe stato) normale è indubbio, ma appartiene altrettanto indubbiamente alla discrezionalità del legislatore optare per una soluzione che, a fronte di un modesto sacrificio del singolo, sia idonea a produrre in termini di certezza (e, quindi, tra l'altro, di prevenzione di imponenti contenziosi e di più agevole definizione di altre controversie pendenti) rilevanti vantaggi di carattere generale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevate, in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione [2], dal Tribunale di Genova con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2, 3, del medesimo decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 24, 76, 111 della Costituzione, dal Tribunale di Genova con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2003. Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2003.

 
  TUTTE LE NOTE DEL TESTO
 

[1] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 64. Accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi. (Art. 68-bis del DLgs n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 30 del DLgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 19, commi 1 e 2 del DLgs n. 387 del 1998)

1. Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all’articolo 63, è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall’ARAN ai sensi dell’articolo 40 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell’ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all’ARAN.

2. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l’ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull’interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa. All’accordo sull’interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell’articolo 49. Il testo dell’accordo è trasmesso, a cura dell’ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell’udienza. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, in mancanza di accordo, la procedura si intende conclusa.

3. Se non interviene l’accordo sull’interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo.

4. La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell’articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti.

5. L’ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre il termine previsto dall’articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell’intervento alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione di cui al comma 1. Possono, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Della presentazione di memorie è dato avviso alle parti, a cura della cancelleria.

6. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d’ufficio, l’udienza per la prosecuzione del processo.

7. Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui al comma 1 sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3.

8. La Corte di cassazione, nelle controversie di cui è investita ai sensi del comma 3, può condannare la parte soccombente, a norma dell’articolo 96 del codice di procedura civile, anche in assenza di istanza di parte.

 

 

[2] Costituzione della Repubblica Italiana 27 dicembre 1947

Art. 3

1. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

2. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 24.

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Art. 39.

L’organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

Art. 76.

L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

Art. 101.

La giustizia è amministrata in nome del popolo.

I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

Art. 102.

La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

Art. 111. (nel testo modificato dall’art 1, della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, ndr).

La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.

Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.

Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore.

La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei Tribunali militari in tempo di guerra.

Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione

 

 

[3] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 49. Interpretazione autentica dei contratti collettivi. (Art. 53 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 24 del D.Lgs n. 546 del 1993 e successivamente modificato dall’art. 43, comma 1 del D.Lgs n. 80 del 1998)

1. Quando insorgano controversie sull’interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano per definire consensualmente il significato della clausola controversa. L’eventuale accordo, stipulato con le procedure di cui all’articolo 47, sostituisce la clausola in questione sin dall’inizio della vigenza del contratto.

 

Art. 47. Procedimento di contrattazione collettiva. (Art. 51 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 18 del DLgs n. 470 del 1993 e poi dall’art. 4 del DLgs n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall’art. 14, comma 1 del DLgs n. 387 del 1998; Art. 44, comma 6 del DLgs n. 80 del 1998)

1. Gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dai comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale e negli altri casi in cui è richiesta una attività negoziale dell’ARAN. Gli atti di indirizzo delle amministrazioni diverse dallo Stato sono sottoposti al Governo che, non oltre dieci giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale.

2. L’ARAN informa costantemente i comitati di settore e il Governo sullo svolgimento delle trattative.

3. Raggiunta l’ipotesi di accordo, l’ARAN acquisisce il parere favorevole del comitato di settore sul testo contrattuale e sugli, oneri finanziari diretti e indiretti che ne conseguono a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate. Il comitato di settore esprime, con gli effetti di cui all’articolo 41, comma 1, il proprio parere entro cinque giorni dalla comunicazione dell’ARAN. Per le amministrazioni di cui all’articolo 41, comma 2, il parere è espresso dal Presidente del Consiglio dei ministri, tramite il Ministro per la funzione pubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Per le amministrazioni di cui all’articolo 41, comma 3, l’esame delle ipotesi di accordo è effettuato dal competente comitato di settore e dal Presidente del Consiglio dei ministri, che si esprime attraverso il Ministro per la funzione pubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. In caso di divergenza nella valutazione degli oneri e ove il comitato di settore disponga comunque per l’ulteriore corso dell’accordo, resta in ogni caso escluso qualsiasi concorso dello Stato alla copertura delle spese derivanti dalle disposizioni sulle quali il Governo ha formulato osservazioni.

4. Acquisito il parere favorevole sull’ipotesi di accordo, il giorno successivo l’ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. La Corte dei conti certifica l’attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio, e può acquisire a tal fine elementi istruttori e valutazioni da tre esperti designati dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. La designazione degli esperti, per la certificazione dei contratti collettivi delle amministrazioni delle regioni e degli enti locali, avviene previa intesa con la Conferenza Stato-regioni e con la Conferenza Stato-città. Gli esperti sono nominati prima che l’ipotesi di accordo sia trasmessa alla Corte dei conti.

5. La Corte dei conti delibera entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione dei costi contrattuali, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente. L’esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all’ARAN, al comitato di settore e al Governo. Se la certificazione è positiva, il Presidente dell’ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo.

6. Se la certificazione della Corte dei conti non è positiva, l’ARAN, sentito il comitato di settore o il Presidente del Consiglio dei ministri, assume le iniziative necessarie per adeguare la quantificazione dei costi contrattuali ai fini della certificazione, ovvero, qualora non lo ritenga possibile, convoca le organizzazioni sindacali ai fini della riapertura delle trattative. Le iniziative assunte dall’ARAN in seguito alla valutazione espressa dalla Corte dei conti sono comunicate, in ogni caso, al Governo ed alla Corte dei conti, la quale riferisce al Parlamento sulla definitiva quantificazione dei costi contrattuali, sulla loro copertura finanziaria e sulla loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio.

7. In ogni caso, la procedura di certificazione deve concludersi entro quaranta giorni dall’ipotesi di accordo, decorsi i quali il Presidente dell’ARAN ha mandato di sottoscrivere definitivamente il contratto collettivo, salvo che non si renda necessaria la riapertura delle trattative ai sensi del comma precedente.

8. I contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’articolo 40, commi 2 e 3, sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

 

 

[4] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 40. Contratti collettivi nazionali e integrativi. (Art. 45 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 15 del DLgs n. 470 del 1993 e poi dall’art. 1 del DLgs n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall’art. 43, comma 1 del DLgs n. 80 del 1998)

1. La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali.

2. Mediante appositi accordi tra l’ARAN e le confederazioni rappresentative ai sensi dell’articolo 43, comma 4, sono stabiliti i comparti della contrattazione collettiva nazionale riguardanti settori omogenei o affini. I dirigenti costituiscono un’area contrattuale autonoma relativamente a uno o più comparti. I professionisti degli enti pubblici, già appartenenti alla X qualifica funzionale, i ricercatori e i tecnologi degli enti di ricerca, compresi quelli dell’ENEA, costituiscono, senza alcun onere aggiuntivo di spesa a carico delle amministrazioni interessate, unitamente alla dirigenza, in separata sezione, un’area contrattuale autonoma, nel rispetto della distinzione di ruolo e funzioni. Resta fermo per l’area contrattuale della dirigenza del ruolo sanitario quanto previsto dall’articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni. Agli accordi che definiscono i comparti o le aree contrattuali si applicano le procedure di cui all’articolo 41, comma 6. Per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici e di ricerca, sono stabilite discipline distinte nell’àmbito dei contratti collettivi di comparto.

3. La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra diversi livelli. Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.

4. Le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti.

 

 

[5] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 63. Controversie relative ai rapporti di lavoro. (Art. 68 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 33 del DLgs n. 546 del 1993, e poi dall’art. 29 del DLgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 18 del DLgs n. 387 del 1998)

1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.

2. Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.

3. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui all’articolo 40 e seguenti del presente decreto.

4. Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.

5. Nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all’articolo 64, comma 3, il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’articolo 40.

 

 

[6] Cass., sez. lav., 18-08-2000, n. 10974.

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 - con riferimento all’art. 3 cost. - nella parte in cui prevede la possibilità di un accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi dei dipendenti pubblici da parte del giudice ordinario, impugnabile direttamente con ricorso per cassazione, e non consente analogo esame diretto dei contratti collettivi di diritto comune nell’impiego privato, attesa la profonda diversità tra i contratti che regolano tali rapporti.

 

 

[7] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 43. Rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva. (Art. 47-bis del DLgs n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 7 del DLgs n. 396 del 1997, modificato dall’art. 44, comma 4 del DLgs n. 80 del 1998; Art. 44 comma 7 del DLgs n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 22, comma 4 del DLgs n. 387 del 1998)

1. L’ARAN ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale. Il dato associativo è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell’ambito considerato. Il dato elettorale è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell’ambito considerato.

2. Alla contrattazione collettiva nazionale per il relativo comparto o area partecipano altresì le confederazioni alle quali le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva ai sensi del comma 1 siano affiliate.

3. L’ARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative ai sensi del comma 1, che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell’area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo ambito.

4. L’ARAN ammette alla contrattazione collettiva per la stipulazione degli accordi o contratti collettivi che definiscono o modificano i comparti o le aree o che regolano istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti, le confederazioni sindacali alle quali, in almeno due comparti o due aree contrattuali, siano affiliate organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi del comma 1.

5. I soggetti e le procedure della contrattazione collettiva integrativa sono disciplinati, in conformità all’articolo 40, comma 3, dai contratti collettivi nazionali, fermo restando quanto previsto dall’articolo 42, comma 7, per gli organismi di rappresentanza unitaria del personale.

6. Agli effetti dell’accordo tra l’ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative, previsto dall’articolo 50, comma 1, e dei contratti collettivi che regolano la materia, le confederazioni e le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale ai sensi dei commi precedenti, hanno titolo ai permessi, aspettative e distacchi sindacali, in quota proporzionale alla loro rappresentatività ai sensi del comma 1, tenendo conto anche della diffusione territoriale e della consistenza delle strutture organizzative nel comparto o nell’area.

7. La raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe è assicurata dall’ARAN. I dati relativi alle deleghe rilasciate a ciascuna amministrazione nell’anno considerato sono rilevati e trasmessi all’ARAN non oltre il 31 marzo dell’anno successivo dalle pubbliche amministrazioni, controfirmati da un rappresentante dell’organizzazione sindacale interessata, con modalità che garantiscano la riservatezza delle informazioni. Le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di indicare il funzionario responsabile della rilevazione e della trasmissione dei dati. Per il controllo sulle procedure elettorali e per la raccolta dei dati relativi alle deleghe l’ARAN si avvale, sulla base di apposite convenzioni, della collaborazione del Dipartimento della funzione pubblica, del Ministero del lavoro, delle istanze rappresentative o associative delle pubbliche amministrazioni.

8. Per garantire modalità di rilevazione certe ed obiettive, per la certificazione dei dati e per la risoluzione delle eventuali controversie è istituito presso l’ARAN un comitato paritetico, che può essere articolato per comparti, al quale partecipano le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale.

9. Il comitato procede alla verifica dei dati relativi ai voti ed alle deleghe. Può deliberare che non siano prese in considerazione, ai fini della misurazione del dato associativo, le deleghe a favore di organizzazioni sindacali che richiedano ai lavoratori un contributo economico inferiore di più della metà rispetto a quello mediamente richiesto dalle organizzazioni sindacali del comparto o dell’area.

10. Il comitato delibera sulle contestazioni relative alla rilevazione dei voti e delle deleghe. Qualora vi sia dissenso, e in ogni caso quando la contestazione sia avanzata da un soggetto sindacale non rappresentato nel comitato, la deliberazione è adottata su conforme parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro - CNEL, che lo emana entro quindici giorni dalla richiesta. La richiesta di parere è trasmessa dal comitato al Ministro per la funzione pubblica, che provvede a presentarla al CNEL entro cinque giorni dalla ricezione.

11. Ai fini delle deliberazioni, l’ARAN e le organizzazioni sindacali rappresentate nel comitato votano separatamente e il voto delle seconde è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti presenti.

12. A tutte le organizzazioni sindacali vengono garantite adeguate forme di informazione e di accesso ai dati, nel rispetto della legislazione sulla riservatezza delle informazioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive disposizioni correttive ed integrative.

13. Ai sindacati delle minoranze linguistiche della Provincia di Bolzano e delle regioni Valle D’Aosta e Friuli Venezia-Giulia, riconosciuti rappresentativi agli effetti di speciali disposizioni di legge regionale e provinciale o di attuazione degli Statuti, spettano, eventualmente anche con forme di rappresentanza in comune, i medesimi diritti, poteri e prerogative, previsti per le organizzazioni sindacali considerate rappresentative in base al presente decreto. Per le organizzazioni sindacali che organizzano anche lavoratori delle minoranze linguistiche della provincia di Bolzano e della regione della Val d’Aosta, i criteri per la determinazione della rappresentatività si riferiscono esclusivamente ai rispettivi ambiti territoriali e ai dipendenti ivi impiegati.

 

 

[8] Legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa).

Art. 11.

1. ~3.…………….omissis………..

4. Anche al fine di conformare le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, alle disposizioni della presente legge recanti princìpi e criteri direttivi per i decreti legislativi da emanarsi ai sensi del presente capo, ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, possono essere emanate entro il 31 ottobre 1998. A tal fine il Governo, in sede di adozione dei decreti legislativi, si attiene ai princìpi contenuti negli articoli 97 e 98 della Costituzione, ai criteri direttivi di cui all’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, a partire dal principio della separazione tra compiti e responsabilità di direzione politica e compiti e responsabilità di direzione delle amministrazioni, nonché, ad integrazione, sostituzione o modifica degli stessi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) completare l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e la conseguente estensione al lavoro pubblico delle disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro privato nell’impresa; estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche, mantenendo ferme le altre esclusioni di cui all’articolo 2, commi 4 e 5, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;

b) prevedere per i dirigenti, compresi quelli di cui alla lettera a), l’istituzione di un ruolo unico interministeriale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, articolato in modo da garantire la necessaria specificità tecnica;

c) semplificare e rendere più spedite le procedure di contrattazione collettiva; riordinare e potenziare l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) cui è conferita la rappresentanza negoziale delle amministrazioni interessate ai fini della sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali, anche consentendo forme di associazione tra amministrazioni, ai fini dell’esercizio del potere di indirizzo e direttiva all’ARAN per i contratti dei rispettivi comparti;

d) prevedere che i decreti legislativi e la contrattazione possano distinguere la disciplina relativa ai dirigenti da quella concernente le specifiche tipologie professionali, fatto salvo quanto previsto per la dirigenza del ruolo sanitario di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, e stabiliscano altresì una distinta disciplina per gli altri dipendenti pubblici che svolgano qualificate attività professionali, implicanti l’iscrizione ad albi, oppure tecnico-scientifiche e di ricerca;

e) garantire a tutte le amministrazioni pubbliche autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa nel rispetto dei vincoli di bilancio di ciascuna amministrazione; prevedere che per ciascun ambito di contrattazione collettiva le pubbliche amministrazioni, attraverso loro istanze associative o rappresentative, possano costituire un comitato di settore;

f) prevedere che, prima della definitiva sottoscrizione del contratto collettivo, la quantificazione dei costi contrattuali sia dall’ARAN sottoposta, limitatamente alla certificazione delle compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, alla Corte dei conti, che può richiedere elementi istruttori e di valutazione ad un nucleo di tre esperti, designati, per ciascuna certificazione contrattuale, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tesoro; prevedere che la Corte dei conti si pronunci entro il termine di quindici giorni, decorso il quale la certificazione si intende effettuata; prevedere che la certificazione e il testo dell’accordo siano trasmessi al comitato di settore e, nel caso di amministrazioni statali, al Governo; prevedere che, decorsi quindici giorni dalla trasmissione senza rilievi, il presidente del consiglio direttivo dell’ARAN abbia mandato di sottoscrivere il contratto collettivo il quale produce effetti dalla sottoscrizione definitiva; prevedere che, in ogni caso, tutte le procedure necessarie per consentire all’ARAN la sottoscrizione definitiva debbano essere completate entro il termine di quaranta giorni dalla data di sottoscrizione iniziale dell’ipotesi di accordo;

g) devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario, tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a), tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorché concernenti in via incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione, prevedendo: misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso; procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato; infine, la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti;

h) prevedere procedure facoltative di consultazione delle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi dei relativi comparti prima dell’adozione degli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro;

i) prevedere la definizione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica di un codice di comportamento dei dipendenti della pubblica amministrazione e le modalità di raccordo con la disciplina contrattuale delle sanzioni disciplinari, nonché l’adozione di codici di comportamento da parte delle singole amministrazioni pubbliche; prevedere la costituzione da parte delle singole amministrazioni di organismi di controllo e consulenza sull’applicazione dei codici e le modalità di raccordo degli organismi stessi con il Dipartimento della funzione pubblica.

4-bis. I decreti legislativi di cui al comma 4 sono emanati previo parere delle Commissioni parlamentari permanenti competenti per materia, che si esprimono entro trenta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati.

5. ~7.………omissis………

 

 

[9] Codice di Procedura Civile

Art. 412-bis. Procedibilità della domanda (Articolo aggiunto dall’art. 39 del DLgs 31 marzo 1998, n. 80, e modificato dall’art. 19 del DLgs 29 ottobre 1998, n. 387, ndr).

L’espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.

L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all’articolo 416 e può essere rilevata d’ufficio dal giudice non oltre l’udienza di cui all’articolo 420.

Il giudice ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione.

Trascorso il termine di cui al primo comma dell’articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni.

Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d’ufficio l’estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all’articolo 308.

Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d’urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV.